«[…] Nelle prime ore del pomeriggio il comandante del carro di testa ( N.d.R.) comunica ai suoi uomini mediante il laringofono “Sulla destra, le torri di Stalingrado” I comandanti dei carri si affacciano alle torrette e scorgono l’ombra allungata della vecchia Zarizin, ora una moderna città industriale, che si stende per quaranta kilometri lungo il volga. Si stagliano nel cielo gru, camini di fabbriche, palazzoni e più a sud, nella città vecchia, anche le cupole a cipolla delle chiese. Dense nubi di fumo coprono alcuni quartieri della città. I bombardieri in picchiata colpiscono i quadrivi e le caserme […]
Improvvisamente, come ad un segnale convenuto, si accende un bagliore allungato nella striscia di terreno dove termina la città e inizia la steppa. La contraerea pesante russa inizia la battaglia per la difesa diretta di Stalingrado. Il gruppo Strachwitz distrugge pezzo per pezzo trentasette postazioni di artiglierie russe. I proiettili tedeschi colpiscono in pieno le piazzuole e fanno volare in aria i pezzi con tutti i serventi. Lo strano è che gli attaccanti non registrano praticamente perdite. Il mistero è presto chiarito. Quando i carristi arrivano alle postazioni sconquassate si accorgono con meraviglia e orrore che i serventi dei pesanti pezzi della contraerea erano donne, operaie della fabbrica di cannoni “Barricata Rossa” che erano state addestrate in fretta e furia nel fuoco antiaereo, ma non avevano la più pallida idea di come usare i loro pezzi contro obiettivi terrestri.
Mentre il 23 Agosto (1942 N.d.R.) volge al termine, il primo carro armato tedesco si affaccia nei pressi del sobborgo di Rinok, sull’alta sponda occidentale del Volga […] »
(Brano estratto dal libro “Operazione Barbarossa” di Paul Carell – BUR).
Per introdurre brevemente i fatti, ho preferito citare un episodio che può ben rappresentare l’apertura della sanguinosa battaglia. Una battaglia che, seppur più breve, fu in proporzione più cruenta del già terribile assedio di Leningrado. Ma perchè Stalingrado? Senza dilungarmi troppo, vi basti sapere che durante tutta la campagna di Russia vi fu un vero e proprio braccio di ferro tra la volontà di Hitler di “mettere mano” alle strategie e l’opinione dei comandanti sul campo. Non essendo stati conseguiti, nel 1941, gli obiettivi previsti dall’Operazione Barbarossa, nel 1942 Hitler volle proporre ai comandati un nuovo piano, l’Operazione Blau (Fall Blau).
Gli obiettivi di questa operazione, imposti da Hitler stesso, miravano ad effettuare una rapida puntata a nord in direzione Voronehz, seguita da una conversione a sud delle punte corazzate per intrappolare e distruggere le unità sovietiche nell’ansa del Don e conquistare Stalingrado. Dopo aver annientato la sacca, lo sforzo principale sarebbe stato diretto a sud, verso il Caucaso, per impadronirsi dei pozzi petroliferi della regione, Baku in primis. Stalingrado, in questo piano, figurava come obiettivo secondario (da occupare per proteggere il fianco nord-est).
Nella realtà delle cose, una volta scatenata l’offensiva, le truppe russe riuscirono a sottrarsi all’accerchiamento (senza ripetere quindi gli errori dell’anno precedente) e a rischierarsi ad est del Volga. Questo costrinse i tedeschi a cambiare i piani, considerato che l’offensiva di von Bock per prendere Voronehz si era impantanata su una fortissima resistenza. A questo punto l’interferenza di Hitler nella definizione delle fasi operative giocò un ruolo decisivo: a Luglio la IV PanzerArmee, che avrebbe potuto occupare di slancio la città di Stalingrado, fu dirottata più a sud, verso Rostov, per espresso ordine del Führer. In questo modo si perse tempo prezioso, e quando ci si accorse dell’errore e si ordinò una nuova avanzata su Stalingrado, era troppo tardi e la resistenza si era già irrigidita.
L’errore principale di Hitler fu quello di modificare le priorità del piano mentre era in pieno svolgimento. Nella direttiva originale, l’avanzata verso il Caucaso era subordinata alla conquista di Stalingrado. A questo punto invece, Hitler si convinse che era possibile perseguire contemporaneamente i due obiettivi (contro il parere dei suoi comandanti, come von Bock): questo determinò un frazionamento di forze che alla lunga si dimostrò fatale su entrambi i fronti. A questo si aggiunse la decisione di smembrare la Undicesima Armata di Manstein (che aveva appena concluso la conquista di Sebastopoli in Crimea), inviando due interi corpi d’armata e gli armamenti pesanti verso Leningrado (al capo opposta del fronte), una divisone a rinforzo del fronte centrale, una a Creta e le restanti di presidio per la Crimea. Si indebolirono e si dispersero così ulteriormente le forze tedesche nell’area delle operazioni. E questo pur essendo venuto a mancare un requisito cardine dell’intera operazione: l’accerchiamento e l’annientamento del grosso delle forze sovietiche nell’ansa del Don.
E’in questo contesto che va inserita la tragedia di Stalingrado. Quando fu chiaro ai tedeschi che la città non sarebbe affatto caduta facilmente, si cominciarono a inviare via via sempre maggiori rinforzi verso il centro urbano, spesso sottratti al Gruppo d’Armate “A” (che avanzava faticosamente verso il Caucaso). Al contempo, i sovietici non intendevano assolutamente permettere ai tedeschi l’attraversamento del Volga, ragion per cui continuarono a rinforzare la città.
Questa diventò ben presto un vero e proprio tritacarne: le divisioni corazzate tedesche, invischiate in un combattimento urbano, cominciarono ben presto a subire perdite spaventose. Anche i sovietici pagarono un pegno elevatissimo, soprattutto la popolazione civile. La città diventò ben presto un cumulo di macerie.
Il 30 Settembre 1942, davanti al Reichstag, Hitler dichiarò:
«Noi prenderemo d’assalto Stalingrado e la conquisteremo: su questo potete contare. Quando noi abbiamo conquistato qualcosa nessuno più ci sposta»
Il combattimento nella città fu spietato e confuso. Capitava di trovare, in un singolo palazzo, soldati tedeschi asserragliati al piano terra e soldati russi al piano superiore. Certi quartieri della città (Fabbrica di Trattori, Barricate, Ottobre Rosso per citare i più famosi, unitamente alle due stazioni ferroviarie) vennero conquistati e perduti più e più volte. I sovietici, ad un certo punto, si trovarono aggrappati ad una stretta linea lunga 8Km e larga da 100 a 800 metri rispetto al corso del Volga. I numeri sono da brividi: 700 attacchi in nove settimane, in media 12 al giorno, cinque grandi attacchi concertati.
Ma i tedeschi non riuscirono mai a prevalere del tutto: le loro forze erano totalmente dissanguate. Anche perchè, sull’altra sponda del Volga, i russi riuscirono a concentrare una massa imponente di artiglierie (tra cui i famosi Organi di Stalin) in grado di sconvolgere le posizioni tedesche.
Ecco che si legge su un diario:
«Stalingrado non è più una città. Di giorno è un’enorme nuvola di fumo accecante.E quando arriva la notte i cani si tuffano nel Volga, perché le notti di Stalingrado li terrorizzano»