I rifornimenti sovietici vennero inviati quel tanto che bastava: questo perchè, sull’altra sponda, si stava a fatica costituendo una riserva tattica da impiegare nella controffensiva. Il sacrificio di Stalingrado e dei suoi difensori, nella mentalità dei sovietici, era necessario per volgere le sorti della battaglia.
Questa attitudine venne male interpretata da Hitler e da Paulus, il comandante della 6°Armata: costoro infatti si convinsero che i sovietici siano ormai allo stremo delle forze e che quindi la città fosse sul punto di cedere. In questo modo il grosso della forza tedesca venne buttata nella città, a scapito dei fianchi dello schieramento (tenuti da truppe rumene). In realtà il maresciallo Zhukov stava raccogliendo più di 27 divisioni di fanteria e 13 brigate corazzate. Queste erano composte perlopiù da unità siberiane, richiamate dall’estremo oriente (dove la minaccia giapponese, impegnato contro gli USA, si era notevolmente affievolita), equipaggiate ed addestrate per il combattimento invernale e fornite in quantità di carri T-34, in grado di avanzare facilmente sulla neve grazie ai larghi cingoli.
Hitler, senza saperlo, fu totalmente spiazzato. Ecco un suo discorso dell’8 Novembre
«Ho voluto raggiungere il Volga nella stessa città che porta il nome di Stalin, e questa città l’abbiamo conquistata ad eccezione di due o tre isolotti insignificanti. Lascio a piccoli elementi d’assalto il compito di completare la conquista.»
Il 19 Novembre l’attenzione si spostò altrove. Con un’intensa preparazione di artiglieria, le riserve sovietiche a Nord-Ovest e a Sud della città sferrarono un’offensiva a tenaglia che puntava a intrappolare la Sesta Armata a Stalingrado. L’attacco investì in pieno due settori del fronte, tenuti dalle male equipaggiate truppe romene (3° e 4° Armata Rumena). Il Volga era gelato, ed era in grado di sostenere agevolmente i pesanti T-34. Dopo quattro giorni la tenaglia si serrò, a Kalach sul Don (65 Km alle spalle di Stalingrado). L’armata di Paulus, più di 250.000 uomini e relativo equipaggiamento, era intrappolata.
Paulus, resosi conto della situazione, chiese ragguagli al comando. Invece di autorizzare una sortita verso Sud-Ovest, per rompere l’accerchiamento, Hitler ordinò all’armata di resistere sul posto e attendere i rinforzi. Perché Hitler prese questa decisione? L’ordine può sembrare irragionevole, ma c’è da ricordare che l’anno prima la stessa insistenza del Führer per una resistenza ad oltranza (i famosi ordini di “disporsi ad istrice“) causò il fallimento delle controffensive russe nell’inverno 1941- 42 nel settore nord del fronte russo. La situazione strategica però era ben diversa: bisognava tener conto di tutte le unità tedesche che in quel momento si trovavano ben più a sud, nel Caucaso. Se il fronte a Stalingrado fosse crollato rapidamente, i sovietici avrebbero potuto dilagare verso Rostov e verso il Mar Nero, tagliando fuori non solo la Sesta Armata ma anche tutto l’intero Gruppo d’Armate “A”. Un disastro di tali proporzioni probabilmente avrebbe cambiato il corso della guerra così come lo conosciamo noi. Carell sostiene che, in ogni caso, il compito di protezione del fianco del Gruppo d’Armate “A” avrebbe potuto essere assolto anche con un ripiegamento della Sesta Armata sul Don, senza necessariamente mantenere le posizioni a Stalingrado. Questa alternativa venne proposta da Paulus addirittura il 12 Settembre, quando si incontrò con il Führer al suo quartier generale. La proposta venne respinta, anche perché il servizio informazioni aveva segnalato (erroneamente) che sul fronte orientale i sovietici non disponevano di alcuna riseva.. Infine, bisogna tenere conto dei motivi di “prestigio”: dopo gli scacchi subiti in Africa e nel Caucaso, Hitler non voleva assolutamente mollare la presa. Non bisogna dimenticare anche un’altra circostanza, ricordata da L.Hart nel libro “Storia di una sconfitta”: sebbene i maggiori strateghi tedeschi avessero già rilevato la pericolosità del saliente di Stalingrado, essi non furono in grado di promuovere efficacemente questa idea presso Hitler. Questo perché il capo di stato maggiore, generale Halder, era stato estromesso il 24 Settembre proprio perché in disaccordo con la condotta aggressiva di Hitler. Costui fu sostituito dal generale Zeitzler, proveniente dal fronte occidentale e per nulla esperto del fronte orientale. Fresco di nomina, costui inizialmente non pose molte obiezioni alle decisioni di Hitler, che continuo così imperterrito a logorare l’esercito tedesco contro le forze sovietiche.
E’in questo contesto che bisogna leggere la decisione di Hitler: la fiducia nei risultati ottenuti l’anno precedente e la convinzione che la Sesta Armata avrebbe potuto resistere con le sue forze, in tempo per organizzare un contrattacco e rompere l’accerchiamento senza abbandonare le posizioni raggiunte. Bisogna risolvere anche la questione del famoso “ponte aereo” promesso dalla Luftwaffe per il rinforzo dell’armata: nel libro di Carell si evidenzia che non fu direttamente Göring a rassicurare il Führer riguardo alla possibilità di rifornimento aereo, bensì fù il capo di stato maggiore della Luftwaffe, Jeschonnek. Costui però sottolineò due fondamentali condizioni:
- Che si mantenesse il controllo dei campi d’aviazione nelle immediate vicinanze del fronte
- Che la situazione atmosferica lo permettesse
Paulus tentò di convincere il Führer che la situazione non era sostenibile, ma gli sforzi furono vani. Tra il 19 Novembre e il 24 vi fu un intenso scambio di marconigrammi tra Paulus e l’OKW – Hitler. A mano a mano che la situazione si delineava nella sua serietà, Paulus fece notare al comando la penuria di rifornimenti e l’assoluta necessità di ripiegare, se ciò si fosse rivelato necessario, così come l’impossibilità di resistere nelle posizioni sul Volga una volta che lo sfondamento dei sovietici non fu più contenuto. Invece, alle 8.38 del 24 Novembre, arrivò un perentorio messaggio del Führer, che così terminava:
«Attuale fronte Volga et attuale fronte nord devono essere tenuti in ogni caso.Rifornimento per via aerea»
A Paulus non restò che recepire gli ordini, di fronte all’alternativa di violare un ordine diretto di Hitler.Così la Sesta Armata si trincerò nella sacca attendendo i rinforzi.
Fu il feldmaresciallo Manstein a tentare un’azione per spezzare l’accerchiamento dall’esterno, ma questo obiettivo si dimostrò presto fuori dalla portata dei tedeschi: senza la partecipazione attiva della Sesta Armata dall’interno, ogni tentativo era vano. Ma l’ordine di resistere sul posto precludeva questa opzione.