Sia per le truppe di terra che per ogni singola astronave viene conteggiata l’esperienza. Una unità che sopravvive a più battaglie sarà sempre più difficile da sconfiggere. Naturalmente gli equipaggi “veteran” potranno usufruire degli upgrade delle astronavi a cui man mano vengono sottoposti i vecchi vascelli. Così alla vostra flotta “veteran” affiderete le navi migliori e le missioni da voi comandate, e certo non rischierete di perderle a causa di un poco felice impiego da parte dell’AI. In un modello operazionale così astratto tener conto dell’esperienza ha una funzionalità di background e non di dettaglio tattico.
Il modello economico, lo abbiamo già accennato, è legato ad un concetto di libero mercato basato su domanda ed offerta. A differenza di qualsiasi altro gioco di questo tipo, non costruiremo infrastrutture sulle colonie ma esse produrranno in base alle risorse disponibili, agli abitanti presenti e al generico “tasso di evoluzione” raggiunto dalla Colonia. Sparisce quindi il concetto di filiera produttiva; ad esempio, un pianeta fertile non avrà bisogno di una fattoria per produrre e di un mercato per vendere. Salvo guerre, la crescita delle colonie è lineare e non soggetta a nessun altro possibile evento (epidemie, inquinamento, etc etc) e pertanto le vostre colonie cresceranno in modo forse fin troppo lineare. In future espansioni sarebbe forse opportuno dare maggiore dettaglio e imprevedibilità al modello di crescita economica.
Lo spionaggio, ambiziosamente, tenta di inserire singoli “agenti di intelligence” all’interno di un contesto interstellare. Ciò che ne esce è un modello poco credibile e vecchio: la solita risma di opzioni, ruba questo o quello, sabota quell’altro. Aver catturato per 2 volte di seguito agenti nemici che tentavano di rubare le nostre mappe di navigazione può far collassare i rapporti tra gli stati coinvolti sino sull’orlo della guerra interstellare. Milioni di morti per 4 mappe? Non è credibile.
Le relazione diplomatiche hanno premesse sontuose. I tratti razziali mostrano caratteri complessi ed articolati delle varie razze. Una “living galaxy” basata su una economia di libero mercato avrebbe decine di modi per influenzare positivamente questa parte del gioco. Il modello proposto è quello tipico, ben noto e collaudato fin dai tempi di civilization.
Le opzioni disponibili sono tante. Dai semplici regali di piccole somme di denaro per “ammorbidire” i rapporti, ai canonici scambi e compravendita di tecnologia, sino a situazioni diplomatiche anche molto complesse ed originali.
Infatti le relazioni fra popoli prevedono i “soliti” patti commerciali e i “classici” trattati di reciproca difesa ma anche i più originali “protettorati”, gli “stati fantoccio” (Subjugated dominion), le “sanzioni commerciali” o “l’embargo”, con tanto di navi da guerra davanti agli spazioporti.
Non è quindi un problema di varietà delle scelte o di superficialità nella gestione degli umori delle varie razze, ma il risultato ottenuto è poco credibile e piuttosto approssimativo. Quello che non decolla è il dialogo fra i popoli. Le reazioni non sembrano sempre consone agli eventi e spesso le proposte ricevute sembrano casuali.
Per queste ragioni risultano più divertenti ed efficaci le relazioni con le bande di pirati piuttosto che la diplomazia con le altre nazioni. Questo paradosso mostra come sia possibile migliorare e rendere più credibile l’intero sistema diplomatico.
Il gioco ha l’intuizione di proporre, oltre a quello della ricerca già menzionato, altri elementi per cercare di appiattire le curve di crescita altrimenti esponenziali delle nazioni. La corruzione, ad esempio, cresce proporzionalmente al nostro impero. Questo incide sull’efficienza economica e politica con conseguenze in taluni casi devastanti: la guerra civile con la relativa divisione dell’impero. E’ davvero presto per capire se questi elementi introdotti introducano maggiore incertezza rispetto agli esiti delle partite, ma averli inseriti è già meritevole.
Bottom line
Dopo poche settimane dall’uscita, è difficile esprimersi con certezza sulla reale profondità di un gioco con così tanto dettaglio e così innovativo. Sopratutto, è difficile stabilire se le “galassie viventi” si susseguiranno alla fine tutte uguali o se il sistema si dimostrerà longevo.
Inoltre DW è stato rilasciato con qualche bug a cui gli sviluppatori (CodeForce) e i distributori (MatrixGames) stanno lavorando con molto impegno.
In tutti i modi, per chi volesse informazioni più dettagliate, continueremo a seguire il gioco con questo AAR e sui forum.
Al termine del nostro breve ma intenso periodo di gioco, scopriamo un paradosso:
DW è davvero un gioco molto innovativo ed intrigante ma a ben vedere non inventa (quasi) nulla di nuovo.
- Come Sins of the Solar Empire, rientra nella categoria “4X” ma non è gestito a turni;
- Il sistema di Real time lento che permette macrogestioni dei propri imperi non è lontano dalla filosofia della serie “Europa Universalis”;
- La grande mappa 2D è tutto sommato un’evoluzione della struttura di quella vista nella serie “Master of Orion” e una moderna rivisitazione della grafica (minimalista) di “Stars!”;
- Il disegno dei modelli di astronave è una leggera astrazione del modello di Space Empire V;
- Il concetto di delega della microgestione non è nuovissimo: era già presente in “supreme ruler 2010”.
Sono emersi con chiarezza alcuni difetti: molti report sono insufficienti e questa recensione ha evidenziato alcuni aspetti di gioco migliorabili. Ultimo ma non meno importante, l’interfaccia e la documentazione richiedono uno sforzo importante per entrare nel meccanismo del gioco.
“Nonostante tutto gioco e gioco… senza tregua!”
Scrive un utente in un suo intervento sui forum di NWI. Forse è il modo migliore per sintetizzare DW.
Il voto elevato è un premio alla carica innovativa e all’originalità.
Per i duri e puri del genere, il divertimento è assicurato perchè alla fine prevalgono la profondità di background della living galaxy, la scelta delle deleghe che il giocatore può fare, la grafica semplice ma coinvolgente, la possibilità di creare diversi credibili contesti, una buona intelligenza artificiale.
DW è stato sviluppato da una piccolissima software house neozelandese.
Se avranno la forza di continuare a sviluppare DW con questo talento, liberi dalle regole di marketing e con voglia di ascoltare la comunità, probabilmente ci troviamo di fronte all’inizio di una delle saghe di riferimento dei prossimi anni.