Il presupposto della strategia francese alla vigilia della guerra era che questa sarebbe stata di lunga durata e che, almeno sino al 1941-42, lo scopo della Francia e dei suoi alleati sarebbe stato quello di contenere la Germania. Solo dopo che il blocco navale avesse iniziato a strangolare l’avversario gli Alleati avrebbero potuto passare alla controffensiva. La linea Maginot era l’emblema di questa scelta strategica: i Francesi si affidavano ad una linea difensiva fissa e a un comando altamente centralizzato.
Queste scelte contrastano in modo evidente con quelle tedesche, che esaltavano l’elasticità, l’aggressività, il movimento di piccole unità, l’iniziativa dei singoli comandanti. Tuttavia va rilevato che all’epoca la maggior parte dei teorici militari, compresi i profeti del potere aereo Dohuet e Mitchell, erano convinti che la guerra sarebbe stata di logoramento e che gli eserciti di terra avrebbero avuto grosse difficoltà a sfondare linee difensive consolidate.
Per massimizzare gli effetti di una simile linea di difesa i Francesi si erano affidati ad un sistema diplomatico che aveva circondato la Francia di un insieme di alleanze militari. Punto cardine di questo sistema era la Gran Bretagna, da cui la Francia si aspettava, come nel primo conflitto mondiale, oltre alla realizzazione del blocco navale contro la Germania e ad azioni aeree contro i centri nevralgici del nemico anche un sostanziale contributo sullo stesso suolo francese (ciò, va rilevato, non faceva i conti con le necessità britanniche: sebbene la Gran Bretagna avesse sacrificato una gran quantità di bombardieri leggeri e di caccia nei cieli francesi, il Governo di Londra non era disposto a logorare completamente la propria forza aerea, rinunciando a una maggiore quantità di preziosi aerei e, soprattutto, di piloti difficilmente rimpiazzabili, che sarebbero stati necessari per difendere il proprio territorio).
Il sistema francese di alleanze era però presto andato incontro, nell’Europa orientale, ad un fallimento dopo l’altro. La chiave per una reale stabilità sarebbe stata l’alleanza con l’Urss, ma nonostante questa fosse caldeggiata da vari esponenti della sinistra francese, la diplomazia di Parigi non era in grado (non voleva o forse non poteva) offrire all’Urss ciò che essa chiedeva. D’altra parte Stalin considerava la Francia non affidabile e alla fine preferì, sia pure al solo scopo di guadagnare tempo, stabilire un accordo proprio con la Germania. Gli altri paesi orientali del sistema di alleanze, Polonia e Repubblica Cecoslovacca, potevano solo svolgere, nell’ottica di Parigi, una funzione di “distrazione” delle forze tedesche e non certo un’assistenza decisiva sul piano militare. In questo senso il sistema di alleanze era intrinsecamente debole: la Francia si aspettava dai suoi alleati orientali un aiuto in caso di attacco tedesco ma non era in grado, e non aveva la possibilità reale, di sostenere questi stessi paesi a fronte di invasioni tedesche verso oriente. Il ruolo di queste nazioni era pertanto di mero supporto, come lo stesso ministro Cot ammise candidamente allorché affermò che l’integrità di Parigi e Londra era politicamente e militarmente molto più importante, per gli stessi alleati orientali, di quella di Varsavia e Praga.
Questo ruolo di supporto trova riflesso nelle proposte e nei progetti di uso dell’arma aerea elaborate dai politici francesi negli anni ’30. La strategia disegnata dai Francesi prevedeva, in questo periodo, l’uso di una potente flotta aerea da bombardamento, realizzata unificando sotto comando francese tutte le forze aeree degli alleati orientali, che avrebbe colpito i centri vitali della Germania per poi terminare il viaggio negli aeroporti cechi o polacchi; da qui, gli aerei, una volta riforniti, avrebbero compiuto un viaggio di ritorno passando ancora sopra la Germania e colpendo nuovamente con le bombe i Tedeschi. In pratica, con i rispettivi eserciti bloccati in una guerra di posizione, all’Armée de l’Air spettava, analogamente a quanto preparavano gli alleati inglesi, il compito di colpire la Germania per accelerarne il crollo provocato dal blocco navale. Nell’ottica dei politici francesi questa minaccia doveva avere un peso sufficiente da agire da deterrente nei confronti della Germania.
Al di là della sottovalutazione degli aspetti logistici, politici, operativi e tecnologici, il limite principale di questa impostazione era che, semplicemente, il potere aereo francese non poteva raggiungere gli obiettivi posti dai politici. La minaccia francese era solo un bluff, che mancava sia di impegno morale sia di risorse tecnologiche per esser credibile, e di fatto la Germania non la tenne mai in serio conto. Si basava sul presupposto che la Francia accettasse realmente la possibilità di una guerra per difendere gli Stati cui aveva affidato la sua sicurezza: dopo il 1936 il presupposto era caduto. E’ probabile, del resto, che i progetti francesi di uso dell’arma aerea avessero solo un valore di sostegno psicologico verso gli alleati. Come dimostrò Monaco la Francia era incapace di sostenere effettivamente i suoi alleati. Il comandante de l’Armée de l’Air, generale Philippe Vuillemin, che nel 1938, nel corso di un viaggio in Germania, aveva avuto modo di conoscere la Luftwaffe, aveva ben valutato la situazione e la capacità effettiva del suo servizio. Così quando Daladier andò a Monaco, nella sua valigia, oltre ad un allarmistico memorandum di Gamelin, che dichiarava l’esercito non pronto per un conflitto, c’era anche una lettera di Vuillemin che avvertiva come la Francia non avesse in pratica nessuna forza aerea. Secondo Vuillemin la Luftwaffe avrebbe distrutto l’Armée de l’Air in due sole settimane.
A partire dall’ascesa al potere di Hitler negli anni ’30, nella coscienza della dirigenza politica e militare francese si era fatta strada la consapevolezza della debolezza della Francia, e si era cercato, sia pure tra mille ambiguità politiche e tecnologiche, di avviare politiche di riarmo che interessarono anche l’aviazione. Il nuovo ministro dell’Aria del governo di sinistra, Cot, operò una serie di scelte destinate ad avere un peso decisivo negli eventi successivi. La prima di queste scelte fu, nel 1933, quella di rendere autonoma l’aviazione rispetto alle altre armi, creando l’Armée de l’Air. La seconda fu quella di varare, nel 1934, il primo piano di riarmo aereo, Plan I, che prevedeva la realizzazione di 1343 aerei.
A differenza della Raf, che fu resa autonoma nello stesso anno, l’Armée de l’Air non riuscì però ad avere una reale indipendenza dalle altre armi e ne rimase sempre condizionata. Il compito specifico della nuova arma aerea francese fu stabilito sulla base di tre diverse missioni: partecipare ad operazioni aeree; operare a sostegno di Esercito e Marina, contribuire alla difesa del territorio. Queste linee guida, però, non furono articolate in una adeguata dottrina: al contrario, esercito e marina riuscirono a limitare l’autonomia dell’aviazione prevenendo il formarsi di una nuova visione rispetto alle tradizionali missioni di battaglia. La nuova arma rimase, pertanto, in posizione subordinata nelle riunioni ufficiali in cui si elaboravano le linee strategiche ed operative della difesa nazionale: in questo modo le priorità strategiche ed operazionali dell’aviazione restarono nei fatti quelle stabilite da esercito e marina. Questo obbligò l’Armée de L’Air a focalizzarsi sull’appoggio tattico e sulla ricognizione inibendo ogni sviluppo di dottrine, tattiche, tecniche e procedure necessarie per un’adeguata comprensione e per lo svolgimento della guerra aerea.
Inoltre, l’aver relegato nei fatti l’arma aerea a un ruolo di servizio verso le altre forze armate, forzò l’Armée de L’Air ad adattarsi al tipo di battaglia che era programmata dall’esercito, che, ricordiamo, prevedeva un lungo periodo di difesa strategica dietro potenti fortificazioni e una guerra di logoramento. E’ in questa ottica che il nuovo servizio prese a costruire le sue infrastrutture e ad addestrare il proprio personale.
Dal punto di vista delle altre forze armate il timore che l’aeronautica potesse utilizzare il suo potere per missioni indipendenti, a scapito del suo contributo al supporto tattico, era ragionevole. I principali teorici del potere aereo, e come si è detto anche qualche politico (tra cui lo stesso Cot), sostenevano che il compito dell’aviazione fosse di colpire obiettivi lontano dal campo di battaglia, come le aree urbane, e che tutte le forze dovessero essere utilizzate per realizzare una potente forza aerea da bombardamento da usare per attacchi strategici: questo ovviamente avrebbe sottratto risorse all’appoggio tattico. Inoltre in molti settori del mondo politico ed economico francese emergevano dubbi sull’opportunità di sviluppare un piano per colpire in profondità la Germania dall’alto lasciando nello stesso tempo vitali centri sociali, politici e industriali francesi indifesi di fronte a ritorsioni tedesche. Di fronte a queste ambiguità, e in una situazione tecnologica che non consentiva realisticamente, a meno di fortissimi e improbabili investimenti, la costruzione di una forza da bombardamento davvero capace di raggiungere gli obiettivi promessi, si comprende come alla fine ammiragli e, soprattutto generali, abbiano avuto la meglio. Il risultato fu che, nonostante il servizio aereo fosse diventato autonomo, i suoi ruoli e le sue missioni non furono mai pienamente definiti, e che per gran parte degli anni ’30 l’Armée de L’Air oscillò tra differenti modelli organizzativi, che concentravano le risorse aeree o che viceversa disperdevano i reparti per venire incontro alle esigenze dell’Esercito. Cot cercò di concentrare le risorse sotto comandi geografici (cinque armate aeree: due a nord e nord-est, per fronteggiare un attacco tedesco; una a sud per controllare l’Italia e il Mediterraneo; una di riserva per la Francia metropolitana; una per il Nord-Africa): in questo schema ciascun comando poteva utilizzare le forze aeree a disposizione per ottenere la superiorità aerea, per l’appoggio tattico, per il bombardamento strategico e di interdizione, per la ricognizione o per tenere i collegamenti, secondo le esigenze di volta in volta individuate. I critici, però, rilevarono che i comandi aerei erano troppo autonomi e che avrebbero potuto attribuire una bassa priorità alle missioni di appoggio per le forze di terra. Seguì allora una organizzazione dispersa che veniva incontro alle preoccupazioni dell’esercito: in questo modello le priorità per l’uso dell’arma aerea erano controllate e stabilite dai comandi operazionali e tattici dell’esercito. In pratica ogni unità dell’esercito voleva disporre di un proprio elemento aereo come supporto per le operazioni nel suo limitato campo di battaglia. Venivano enfatizzati i ruoli di ricognizione, sorveglianza, appoggio e collegamento a discapito della possibilità di usare l’arma aerea a più largo raggio.
Una ulteriore complicazione derivava dal modello operativo della difesa aerea, la Défense Aérienne du Territoire (DAT), che prevedeva la dispersione delle varie forze di difesa presso i maggiori centri urbani. La DAT, che utilizzava un proprio personale indipendente dalle altre armi, poteva contare su armi antiaeree, su un proprio servizio di avvistamento e allarme, su una propria linea di collegamenti e su un certo numero di velivoli da caccia. In caso di guerra era previsto che la DAT sarebbe passata sotto il controllo de l’Armée de L’Air con tutte le sue risorse. In pratica però i due servizi non pianificarono nessuna collaborazione efficace e rimasero largamente separati, al punto che nel 1940 nemmeno le informazioni relative agli avvistamenti aerei furono scambiate in modo efficace. La DAT rimase un servizio largamente inefficace, dotato di armamenti e apparecchiature superate e inadatto, nel complesso, al conseguimento dei suoi scopi, e sempre ultimo nel ricevere armi e personale.
Tra il 1934 e il 1940 il sistema operativo francese si orientò sempre di più verso la dispersione delle forze lungo la vasta linea del fronte sino a quando, nel febbraio 1940, e dunque in piena guerra, il ministro dell’Aria Guy La Chambre e il generale comandante delle forze aeree, Vuillemin, smantellarono completamente i comandi regionali. Si tornò, in pratica, al modello del Primo Conflitto, e i comandi terrestri utilizzarono il potere aereo come un’altra branca dell’Esercito: l’aviazione divenne una estensione della cavalleria e dell’artiglieria. I comandi dell’Esercito, a livello operazionale e persino tattico, potevano chiedere il supporto delle forze aeree; ma proprio l’attribuzione di competenze anche ai comandi più bassi impediva un’effettiva centralizzazione del comando, in grado di orchestrare efficacemente lo sforzo aereo attraverso un intero teatro. Inoltre i vari comandi aerei furono costretti a continui trasferimenti, sia al momento dell’attribuzione ai rispettivi teatri, sia al momento della ritirata, quando si scoprirono troppo vicini agli sfondamenti del fronte, con il risultato di rendere inefficace la catena di comando. Gli esperti dell’Aviazione provarono invano, esperimenti alla mano, a invertire la tendenza alla dispersione. Gli eventi del 1940 dimostrarono che la Francia, avendo disperso tutte le proprie forze aeree tra una pluralità di comandi terrestri e lungo tutto il fronte, non poteva concentrare abbastanza aerei non solo per affrontare le forze aeree tedesche, ma nemmeno per offrire un adeguato appoggio tattico alle forze di terra. Il sistema di allarme aereo si rivelò del tutto inefficiente: dal momento dell’avvistamento degli aerei tedeschi all’arrivo sul luogo dei velivoli francesi passava così tanto tempo che in genere i primi erano ormai da tempo sulla via di casa. La Luftwaffe riuscì ad attaccare in massa nei punti critici, mentre la dispersione dello schema operazionale francese impediva la costituzione di ampie forze nelle medesime aree.
La realtà è che i comandi di terra non erano in grado, per assenza di cultura, di competenze tecniche e di visione dei problemi relativi, di comprendere adeguatamente le vere possibilità del potere aereo, e alternarono richieste impossibili all’assenza di ordini. I comandi terrestri non furono in grado di utilizzare efficacemente il pieno raggio dell’arma aerea perché ciascuno pretendeva il controllo diretto della propria forza aerea senza voler adottare una più ampia prospettiva. Anche dopo la comprensione che lo sforzo tedesco si manifestava attraverso le Ardenne, le azioni di interdizione sulle strade, pur intasate di uomini e veicoli e dunque perfetto bersaglio, furono irrisorie: è probabile che azioni aeree ben coordinate avrebbero potuto se non altro mettere in maggiore difficoltà l’apparato logistico tedesco. Il comando della I Armata del generale Blanchard, nonostante l’ordine espresso ricevuto dal suo superiore, generale Georges, capo del gruppo di armate nord, di collaborare all’attacco aereo lungo le Ardenne, si rifiutò non solo di cedere gli aerei sotto il suo controllo al generale Hutzinger, comandante della II Armata che difendeva il settore, ma nemmeno di permettere a questi aerei di operare in un altro settore operativo diverso dal proprio.