Ho notato che praticamente nessuno si espone. E questo un po' mi sorprende. Credo che ognuno si sia fatto un'idea, oppure si seguono gli eventi senza pensare? Beh, lo avrete senz'altro capito. L'occidente ha forse le sue colpe, ma, onestamente, non mi sento di dargli addosso per ciò che sta succedendo. E' evidente che Putin ha programmato e progettato questa operazione da mesi. Senza se e senza ma, io sto con l'Ucraina. Putin è un porco e deve pagare. Mi piacerebbe poter capire cosa pensate, al di la che vi stiano antipatici o meno gli americani. Questo perô non deve diventare un terreno di scontro. Solo capire cosa pensate. Se dovesse diventare un thread selvaggio, prego gli amministratori di cancellarlo.
io penso che Putin sia andato fuori di testa da quando ha preso il covid. in ogni caso vorrei trovassero un accordo per il cessate il fuoco, perché questo scenario alla fine danneggerà si i russi ma ci rimetteranno migliaia di ucraini... va trovata una pace.
Disclaimer: tutto ciò che scrivo è ovviamente IMHO Disclaimer 2: il tempo futuro di alcuni passaggi di cose già accadute è perché scrissi questo articolo il 12 febbraio. Io molto cinicamente non ne ho mai dato un giudizio morale. Innanzitutto per me andrebbe analizzata la situazione dalla prospettiva e dal punto di vista americano. Come mai una cosa del genere quando gli attori sono così lontani? Semplice, perché sono gli USA ad avere l’iniziativa strategica. Immaginandola come una partita a scacchi, si può affermare che hanno una posizione dei pezzi tale da poter condurre il gioco. Nonostante questo vantaggio, gli USA hanno un problema: da una parte hanno necessità di concentrarsi in Cina (nell’indo-pacifico come l’hanno ribattezzato), dall’altra però devono impedire a russi ed europei di stringere troppi legami. L’europa per gli americani è un bel problema. Del resto, con una russia finalmente capitalista e dieci volte meno potente della vecchia URSS, la presenza americana sul suolo europeo non aveva molto senso di esistere, tantomeno di allargarsi. Ma procediamo con ordine. Fin dal 1904 Mackinder aveva teorizzato che se Europa e Russia si fossero “unite” avrebbero creato il più potente soggetto geopolitico del mondo. L’industria europea con le materie prime russe, con PIL, forze armate ecc, formerebbero un’entità di gran lunga superiore a quella che gli americani potranno mai contrapporre. E alcuni stati europei (germania, francia, e a volte anche italia) hanno fatto spesso l’occhiolino a Mosca. Quindi, come risolvere questo dilemma su due fronti? Come arrestare le derive centrifughe degli stati europei? Cosa possiamo fare per mantenere la presenza dei nostri soldati nel territorio europeo? (soldati che non sono venuti qui per prendere il sole o per mangiare pizza) Bisogna creare un problema che giustifichi la nostra presenza. Russia, missili iraniani, ecc. Non solo, ma allargando la nato ad est hanno anche sfruttato la debolezza russa di quei tempi per avanzare ed occupare territori strategici. La Russia però si sente accerchiata. Soprattutto quando un paese ancor più vicino come l’ucraina, dichiara di voler entrare nella NATO. A pochi minuti dal lancio di un missile balistico o addirittura a pochi secondi di distanza, la Russia vive la sua vita nella paranoia, una paranoia dovuta non soltanto al sentimento storico, conseguenza di tante invasioni devastanti subite negli ultimi secoli, ma anche alla geografia (tutta pianura) e alla velocità della guerra moderna, senza contare che i grandi centri industriali si trovano a poche centinaia di chilometri dal confine. Vivere con le armi puntate addosso e avere più o meno 30 secondi per capire cosa sono quei cinquanta puntini luminosi che si vedono sul radar, e cosa fare in quel lasso di tempo striminzito, ha fatto sì che la russia reagisse. Per prima cosa i russi hanno reagito con aggressività, ammassando al confine ucraino truppe e mezzi. Attenzione però! Se uno vuole veramente invadere uno stato, non te lo fa capire mesi prima, non fornisce al mondo la notizia tramite i telegiornali, non permette al nemico di valutare le sue forze. L’ammassamento di mezzi al confine era prettamente una mossa diplomatica, come se io ti venissi a parlare con due energumeni dietro. Se volessi fare fuori qualcuno, aspetterei il buio, e tirerei una mazzata dritta in testa senza farmi vedere da nessuno, non certo annunciando la mia visita. Con questo esercito schierato, la russia avvia trattative, lasciando intendere che non vogliono che l’ucraina entri nella NATO. (Sono così disperati che hanno richiesto conferma scritta!) Le promesse fatte negli anni 90, e poi non mantenute per 13 stati di fila, non bastavano più. Ritorniamo ora dagli americani. Io penso che abbiano avuto l’occasione perfetta per risolvere il loro problema strategico. Non hanno mai negato, mai confermato, hanno fatto i vaghi e nel mentre spronavano Kiev anche tramite la succursale Gran Bretagna e le cancellerie europee. Facendo sentire gli ucraini con le spalle coperte, questi hanno negato di volersi inchinare ai diktat russi. A questo punto la russia si sentirà costretta ad invadere, e lo farà. Allarme! I russi ci invadono! Le cancellerie europee corrono ai ripari, tuonano le sanzioni, le conferenze, i tg che mostrano i servizi strappalacrime, orde di immigrati e rifugiati… in una sola parola, i russi adesso sono l’inferno. Putin è la progenie di Satana. Germania, Francia, Italia, saranno costrette ad annullare l’interscambio commerciale e a trovare nuove strategie per rifornirsi di gas. (magari la guerra causerà l’ennesima crisi, giusto per farci comprare un altro po’ dall’estero). Il muro fra russia ed europa sarà definitivo, non solo, se si armano per bene i nazionalisti ucraini con le armi americane o europee, è possibile persino indebolire l’esercito russo e causargli una specie di afghanistan. In un solo colpo tutte le paure degli Stati Uniti si sono trasformate in vantaggi senza perdere un solo soldato a stelle e strisce. Europa rinsalda la sua posizione atlantica e viene divisa dai russi, russia a pezzi, aumento delle spese NATO, vendite e accordi commerciali multimiliardari a tutti i paesi sulla frontiera e così via.
Ma allora Putin non è quel genio a cui molti inneggiano, se è cascato in un tranello così elementare. L'EU sarebbe ora che si desse una svegliata ed inizi a fare un'unione politica e militare seria.
Ancora con sta storia che l'UE deve fare qualcosa.. l'UE non esiste, esiste la Germania che è UE, tutto in Europa ruota intorno alla Germania, l'economia, il debito, i bilanci, le banche, il lavoro, le finte istituzioni comunitarie e pure l'industria. Poi ci sono gli stati satellite della Germania, l'Austria, Il Belgio, L'Olanda, la Danimarca, il Lussemburgo, ricchi, avanzati e al seguito dei tedeschi. La Francia è apparentemente l'altro grosso attore europeo con aspirazioni di egemonia politica (e quindi militare), in realtà è un satellite degli Stati Uniti e contrappeso all'egemonia tedesca in Europa. Questa guerra fa benissimo il gioco degli Stati Uniti, evitare l'ennesima alleanza storica tra Germania-Russia (Nord stream 2) che significherebbe la perdita del controllo dell'Europa. La storia si ripete sempre. Sulle ragioni del conflitto... Credo che bisogna risalire almeno alla creazione dell'Ossezia e dell'Abkhazia in Georgia, perchè sono state create? I russi erano veramente una minoranza in pericolo entro la Georgia? La guerra in Georgia è stata fatta per difendere queste minoranze? Oppure, la guerra in Cecenia è stato un intervento legittimo a difesa della popolazione russo-ortodossa? I russi di Crimea nel 2014 e quelli del Donbass erano veramente oppressi dallo stato ucraino in qualche modo? Se la risposta a queste domande fosse sì, io credo che la nazione di appartenenza abbia il diritto di interferire e di intervenire per chiedere il rispetto della minoranza. Se poi questa fosse solo una scusa, allora per me si tratterebbe di guerra di aggressione semplice e pura.
Qui, mio parere, il ragionamento è errato. Non c'erano Russi in Crimea, c'erano Ucraini di origine Russa e quindi la nazione di appartenenza era l'Ucraina non Russia, indi per cui la Russia non aveva alcune diritto di intervenire. Sarebbe come sostenere che l'Austria ha diritto ad intervenire in Trentino e Friuli perchè ci sono italiani di origine austriaca o che l'Italia ha diritto di intervenire in USA perchè ci sono americani di origine italiana.
Certo, non sono russi, ma dal punto di vista etnico è un tecnicismo, cioè il passaporto dice Ucraina perchè la Crimea era Ucraina, ma quello che conta è l'etnia e mi sembra chiaro che la popolazione di Crimea sia a maggioranza russa. I trentini-austriaci non sono oppressi, nè lo sono gli italiani negli Stati Uniti, ma cosa succederebbe se domani vietassimo alla minoranza tedesca in trentino determinati diritti o se cominciassimo a bruciargli le case? In fondo è quello che è stato fatto col Kosovo ai danni della Serbia, seppure la situazione fosse molto più complicata.
A mio parere sono tutti porchi Patton , io non sto con nessuno e tanto meno combatterei per qualcuno che non so chi è , il sottoscritto morirà e combatterà solo per se stesso.
Non mi pare che avessero cominciato a bruciargli le case prima che la Crimea ed il Donbass decidessero di separarsi unilateralmente dall'Ucraina. Che faremmo se il Trentino decidesse unilateralemente di separsi dall'Italia? Sicuramente invieremmo le forze dell'orndine e ad arrestare gli attivisti separatisti. L'interventi in Kososvo avvenne sotto l'egida ONU, solo loro possono, giuridicamente, decidere un'intevento umanitario in un paese sovrano, non per nulla gli USA si ammantano praticamente sempre di un mandato ONU.
Alla fine, comunque, anche se non piacerà ed avrà conseguenza disastrose (dal punto di vista dell'immagine, della politica, delle alleanze, ecc), l'occidente deve mollare e lasciare l'Ucraina in mano russa. L'alternativa è la distruzione totale della civiltà. E non mi sembra un'idea molto saggia.
Beh ma che la razza umana (intendi quella razza immagino) meriti spesso l'estinzione non c'è dubbio. Ma una buona percentuale della popolazione di questo pianeta non la merita
Secondo me nessuno userà mai le atomiche, neanche quelle tattiche. Usarne solo mezza equivale ad accettare una reazione uguale e contraria dal nemico, il che vuol dire danni molto ingenti. Lasciando stare il first strike (che è roba da fantascienza anni 70-80), al momento le atomiche stanno alla politica come l'auto di lusso sta alla lunghezza delle parti intime: sono solo un modo per sembrare più forti
Forse questo articolo può essere utile. L'articolo è del 25 febbraio, un paio di giorni dopo l'inizio dell'invasione. L'idea è sempre stata quella di riunire Russia, Bielorussia e Ucraina......... Non riporto il link del corriere della sera perché l'articolo è dietro il firepay. Suslov: «Ci fermeremo soltanto quando sparirà l’Ucraina attuale. Torna la Cortina di ferro» di Paolo Valentino Perché la Russia ha attaccato l’Ucraina? Lo spiega il consigliere per la politica estera del Cremlino: «L’obiettivo è il cambio di regime a Kiev. L’esercito russo vuole controllare l’intero territorio. Putin ha una missione: riunire due Nazioni slave» «L’obiettivo è un cambio di regime a Kiev, né più, né meno. Putin lo ha detto chiaramente: gli obiettivi sono demilitarizzazione e denazificazione. L’esercito russo vuole prendere il controllo dell’intero territorio o della maggior parte di esso. Mosca rifiuta di parlare con il governo ucraino e questo implica che l’operazione militare continuerà e che il risultato che ci auspichiamo è l’emergere di un nuovo Paese. Stiamo vivendo le ultime ore dell’Ucraina come l’abbiamo conosciuta in 30 anni. Al suo posto nascerà un Paese che Mosca considererà amico e leale, privo di ideologia nazionalista e in rapporti del tutto diversi con l’Occidente». Dmitrij Suslov dirige il Centro di Studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, uno dei pensatoi di politica estera più vicini al Cremlino. Perché Putin agisce ora? «La pazienza russa è finita. Putin ha concluso che l’Occidente, per cecità o per scelta, ha sistematicamente ignorato le sue preoccupazioni e le sue richieste, di cui si è parlato per anni, in particolare negli ultimi mesi. Alla luce dell’assoluta mancanza di progressi nell’applicazione degli accordi di Minsk, del rifiuto da parte americana delle garanzie di sicurezza chieste dal Cremlino, del pericolo militare rappresentato dagli attuali rapporti tra gli Usa e l’Ucraina, la Russia ha deciso di risolvere il problema unilateralmente». Così non si rischia di innescare una guerra globale? «L’Occidente reagirà con sanzioni, critiche e il rafforzamento della struttura militare della Nato nell’Europa centro-orientale. Ma sappiamo bene che non ci sarà alcuna guerra nucleare. Gli Usa hanno detto chiaramente che non combatteranno contro la Russia per l’Ucraina. Certo, non c’è dubbio che siamo già entrati in una nuova realtà geopolitica, un nuovo stato delle relazioni. Il dopo Guerra Fredda è finito per sempre e siamo dentro una confrontazione a tutto campo con l’Occidente, inclusa l’Unione Europea. Se non è una nuova Cortina di Ferro, ci manca poco. Lo scontro sarà forte, ci considereremo di nuovo nemici. Tutto ciò purtroppo è vero, ma la leadership russa considera più importante la risoluzione della questione ucraina ed è pronta a pagare il prezzo». Al Cremlino sono emerse differenze di opinione. Putin ha deciso da solo? «Difficile dirlo. È vero che non c’è pieno consenso nella comunità di politica estera su questa scelta. Alcuni pensavano che ci fosse una chance per la diplomazia. Ma la decisione presa è stata un’altra». Non temete una forte resistenza interna in Ucraina, uno scenario afghano? «La leadership russa spera che le truppe ucraine rifiutino di combattere e l’esercito si disintegri. Non escludo una forte resistenza in alcune parti del Paese, quelle più nazionaliste dell’Ovest, territori ostili dove le truppe russe probabilmente non entreranno. Ma il paragone con l’Afghanistan non regge: era un altro Paese, un territorio che offriva possibilità di santuari, non c’era nessun elemento culturale comune. Non mi aspetto una guerriglia su vasta scala. Ma lo scenario ideale sarebbe l’implosione del governo ucraino e un cambio di regime prima che le truppe russe arrivino a Kiev». Ma questo porterà la Russia ad essere completamente isolata nella comunità delle nazioni. «Il mondo è più grande dell’Occidente, che non lo domina più. Non c’è dubbio che la Russia sarà politicamente isolata dal mondo occidentale e i loro rapporti saranno ostili per molti anni. Ma non ha senso parlare di isolamento russo nella comunità internazionale: le nazioni che gli Usa possono motivare contro la Russia sono una minoranza. Cina, India, Medio Oriente, Africa, America latina non la isoleranno. Pechino non critica Mosca, oggi Lavrov ha parlato con il ministro degli Esteri cinese e non c’è stata una sola critica da parte sua. Forse la Cina non gioisce di fronte a questa azione, ma la sua posizione nei confronti della Russia è amichevole e questo ci aspettiamo dalla maggioranza dei Paesi. Quanto all’isolamento all’Onu, suvvia, la Russia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza». Di fronte a sanzioni più dure, la Russia userà l’arma energetica contro l’Europa? «No. Piuttosto sarà l’Europa a usare l’arma energetica contro sé stessa. Dopo il blocco del Nord Stream 2, se diventasse impossibile il transito del gas attraverso l’Ucraina a causa dell’azione militare, le sole condutture attive sarebbero Nord Stream 1, Turkish Stream e una molto piccola attraverso la Bielorussia. Voglio dire che l’Europa soffrirà non perché la Russia taglierà le forniture, che continueranno, ma perché ha deciso di privarsi del Nord Stream 2». Putin vuole entrare nella storia come l’uomo che ha unificato il mondo russo? «Non c’è dubbio che questo sia uno dei pilastri del suo lascito storico: ristabilire l’unione dei tre Paesi slavi. Non si tratta di ridare vita all’Impero russo o all’Urss. Ma ristabilire un’alleanza tra nazioni sorelle. Sanzioni e confrontazione sono temporanee, questo è per le generazioni».
Mentre questo spiega molto bene alcuni atteggiamenti europei.... Articolo del 22 febbraio https://www.ilpost.it/2022/02/23/europa-debolezza-ucraina/ Perché l’Europa è così debole, sull’Ucraina C'entra la dipendenza dal gas russo, certo: ma non solo di Luca Misculin (Charles Platiau/Pool via AP) Prima che la situazione al confine fra Russia e Ucraina precipitasse, la comunità internazionale aveva fatto diversi tentativi per evitare una escalation. Un pezzo dei negoziati era stato condotto dagli Stati Uniti, in quanto leader informali della NATO, la principale alleanza militare dei paesi occidentali. Ma la gran parte degli sforzi era stata affidata ai leader europei. In pochi giorni avevano incontrato o parlato al telefono col presidente russo Vladimir Putin tutti i principali capi di stato e di governo europei. Eppure non è servito a nulla. Lunedì Putin ha ordinato al proprio esercito di entrare nei territori dell’Ucraina orientale controllati dai separatisti. Poche ore dopo sono arrivate fermissime condanne dell’operazione, a parole. E in parallelo una serie di sanzioni giudicate troppo timide dagli osservatori ancora prima che venissero ufficialmente approvate. Quasi nessuno si aspetta che l’Europa risolva la crisi in corso. Eppure sarà proprio l’Europa a subirne le conseguenze peggiori, comunque vada a finire: come hanno notato in molti, non esistono più soluzioni davvero accettabili. Certo, il rapporto dei paesi europei con la Russia è pesantemente condizionato dal gas. Secondo i dati più recenti di Eurostat, nel 2019 l’Unione Europea importava il 41,1 per cento del suo gas naturale dalla Russia. Ma la dipendenza energetica racconta solo un pezzo delle ragioni della debolezza dimostrata in questi giorni dall’Europa. Dalla fine della Guerra fredda l’Europa ha cercato di costruire un nuovo rapporto con la Russia, cercando di avvicinarla sempre di più al modello economico-sociale europeo. «L’obiettivo di questa strategia era una specie di “Russia Europea”», ha spiegato di recente il politologo Dmitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center: «cioè una Russia che avrebbe progressivamente accettato le norme e i princìpi elaborati dall’Unione Europea nella propria politica, economia e società, e che avrebbe cooperato strettamente con l’Unione nella propria politica estera. In altre parole, hanno immaginato la Russia non come un membro dell’Unione – neppure un candidato, come la Turchia – ma come un partner permanente». (il grassetto è mio) Questo obiettivo si è ormai sgretolato da una decina d’anni. Da quando cioè si è capito che la Russia di Putin non aveva alcuna intenzione di aderire al ruolo subalterno che l’Europa le aveva ritagliato, e che anzi intendeva restaurare l’antica area di influenza che apparteneva all’Unione Sovietica. Putin lo disse esplicitamente nel citatissimo discorso tenuto nel 2007 all’annuale Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, e lo rese chiaro nel 2008, quando invase l’Ossezia del Sud, in Georgia, per aiutare un gruppo indipendentista filorusso. Da allora l’Europa non ha più trovato un approccio condiviso nei confronti della nuova aggressività russa, limitandosi a sperare che prima o poi Putin avrebbe cambiato idea: o dietro la pressione degli abitanti della Russia rurale, povera e indietro anni luce ai paesi europei per qualità della vita, oppure della classe media urbana, desiderosa di replicare il modello di sviluppo occidentale. O ancora, più semplicemente, che Putin rinsavisse. Ma Putin in questi anni ha dimostrato di non agire secondo parametri che gli europei considerano razionali. La Russia ha una spesa militare altissima, un’economia che non produce nulla di innovativo o particolarmente richiesto tranne i combustibili fossili, una demografia insostenibile sul lungo periodo. E negli anni Putin ha fatto scelte assai spregiudicate nella propria politica interna ed estera. Eppure è rimasto saldamente al potere, con qualche crepa appena evidente. È evidente che in Russia non si applicano le regole di potere e consenso che invece sono valide in Europa; forse anche grazie alla colossale macchina della propaganda statale, di cui fino a pochi anni fa si aveva poca coscienza. I paesi europei e l’Unione Europea, però, si sono affidate a una sorta di pensiero magico, prendendo una serie di decisioni utili a evitare crisi e tensioni nel breve termine, ma che sul lungo periodo hanno inclinato il piano a favore della Russia. La scelta di comprare forniture sempre più ingenti di gas naturale russo aveva senso per avvicinare sempre di più la Russia all’Europa. Era stata la grande scommessa di Angela Merkel, l’unica politica occidentale che in tutti questi anni ha mantenuto un dialogo costante con Putin. Secondo alcuni, il ragionamento di Merkel era il seguente: maggiori legami la Russia riuscirà a sviluppare con l’Europa, anche solo di tipo commerciale, minori saranno le possibilità che la Russia si isoli sempre di più dal mondo occidentale. Come sostiene una dottrina politica di grande successo, infatti, l’interdipendenza è garanzia di pace e stabilità, mentre l’isolamento alla lunga porta a incomprensioni e conflitti. Certo, in questo modo anche la Russia è diventata in qualche modo dipendente dal mercato europeo, che ogni anno garantisce entrate di 50 miliardi di euro soltanto per il gas naturale. Ma anticipando un eventuale peggioramento delle relazioni, che alla fine è avvenuto davvero, ha preso le dovute contromisure, come faceva notare qualche settimana fa il Financial Times: «Già dal 2015 il governo russo ha obbligato i propri cittadini più ricchi a far rientrare in Russia il proprio patrimonio, vietando ulteriori esportazioni all’estero. Mosca ha anche accumulato riserve d’oro e di valute straniere per circa 546 miliardi di euro, dei quali soltanto un sesto è in dollari. Le entrate derivanti da petrolio e gas naturale sono state parzialmente convogliate in un fondo sovrano da 167 miliardi di euro, mentre il proprio debito pubblico rappresenta appena il 20 per cento del PIL». In altre parole: la Russia ha molto meno bisogno dell’Europa di quanto l’Europa abbia bisogno della Russia. Così facendo, fra l’altro, si è anche messa sempre più al riparo dalle sanzioni occidentali. Nel 2014, quando migliaia di soldati russi in incognito invasero e occuparono la Crimea, l’Europa rispose con sanzioni economiche piuttosto dure, e ottenne di escludere il presidente russo dalle riunioni del G8. La linea di pensiero era sempre la stessa: prima o poi la forza di gravità delle misure prese avrebbe costretto Putin a tornare sui propri passi. Nel brevissimo termine l’Europa aveva evitato di innescare una guerra aperta. Intanto però non stava seguendo l’esempio della Russia, magari accelerando notevolmente la transizione verso le energie rinnovabili o cercando di diversificare i paesi da cui acquistare gas naturale. Anzi. – Leggi anche: Possiamo produrre più gas? Fra il 2015 e il 2021 la quota di gas naturale proveniente dalla Russia sul totale fra prodotto e importato all’interno dell’Unione Europea ha registrato un lieve aumento. E in alcuni dei paesi più grandi, come ha notato Federico Fubini sul Corriere della Sera di mercoledì, la stima è notevolmente aumentata: «La quota russa nell’import tedesco di gas è passata dal 41 per cento del 2014 al 49 per cento del 2019, fino al 65 per cento del 2020. Quella italiana è salita dal 43 per cento al 47 per cento». (grafico del think tank Bruegel) Al contempo si è inceppato un processo che sembrava irreversibile, cioè l’adesione all’Unione Europea dei paesi dell’Europa centrale e orientale che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica o del Patto di Varsavia. La forza di attrazione dell’Unione è rimasta la stessa – per un paese piccolo e povero aderire all’UE significa avere accesso a opportunità impensabili, da fuori – ma all’interno dell’Unione si è rafforzata la percezione che ad alcuni paesi sia stato permesso di entrare nonostante i tempi non fossero ancora maturi. Sono proprio i paesi dell’Europa centro-orientale, come per esempio sottolinea spesso il presidente francese Emmanuel Macron, che oppongono resistenza a maggiori cessioni di sovranità alle istituzioni europee, a passi in avanti sui diritti civili, la parità di genere, e molti altri temi ancora. Sono i motivi per cui, per esempio, l’Albania e la Macedonia del Nord stanno faticando moltissimo per entrare nell’Unione Europea, molto più di quanto abbiano fatto ai tempi la Romania o la Bulgaria. Nel caso di altri paesi la procedura di adesione si è interrotta o non è mai iniziata. La Russia è riuscita a sfruttare a proprio vantaggio questa situazione, per esempio attirando a sé paesi che fino ad alcuni anni fa sembravano candidati ideali per entrare nell’Unione come la Serbia. E ancora oggi, anche se pochi paesi sono disposti ad ammetterlo, per riportare l’Ucraina nella propria area di influenza è disposta a fare molto di più di quanto l’Unione Europea e i governi europei sembrino disponibili a offrire. L’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea è scomparso dal dibattito, benché negli anni scorsi fosse stato fatto qualche progresso e da un recente sondaggio è emerso che circa il 62 per cento degli ucraini sarebbe a favore. L’atteggiamento dei governi europei, fra l’altro, rispecchia in pieno quello degli europei. Secondo un sondaggio realizzato a fine gennaio dallo European Council on Foreign Relations (ECFR) e citato di recente da Domani, in Francia, Italia e Germania appena 4 intervistati su 10, circa, ritengono che il proprio paese dovrebbe difendere l’Ucraina in caso di attacco della Russia. Se anche la crisi di questi giorni rientrasse, la Russia ne uscirebbe con un controllo più saldo di un pezzo dell’Ucraina orientale: e fra due, tre o quattro anni potrebbe chiedere che l’integrazione nel proprio territorio venga riconosciuta dalla comunità internazionale – come ha appena fatto con la Crimea – e applicare di nuovo la stessa strategia con un altro pezzo della vecchia Unione Sovietica. Sempre che nel frattempo non cambi qualcosa nell’approccio europeo.
Buongiorno a tutti, ottima intervista a un professore di economia Jeffrey Sachs. Le sue opinioni "sulle colpe" sono abbastanza nette, sono analisi molto interessanti e non fatte alla "twitter" o fatte per alimentare la TV della "sca**o". Corriere del primo maggio Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia» di Federico Fubini L’economista della Columbia University: «Gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata. Negli anni Novanta l’America sbagliò a negare gli aiuti a Mosca, la responsabilità fu di Bush padre e di Clinton» Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia, risponde con questa intervista all’articolo del 23 aprile in cui il Corriere si chiede se gli errori dell’Occidente nei rapporto con la Russia post-sovietica, che negli anni ‘90 ha vissuto una drammatica crisi economica, hanno contribuito ad aprire la strada al nazionalismo revanscista di Vladimir Putin. Sachs fu consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993. Imporre sanzioni sempre più dure sulla Russia è la linea giusta? «Accanto alle sanzioni abbiamo bisogno di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore degli americani è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. È difficile capire cosa significhi "sconfiggere la Russia", dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Sarebbe molto meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della "sconfitta" di Putin». Ma Putin non vuole la pace. Ha dimostrato che non gli interessa negoziare e va avanti con una guerra totale all’Ucraina, senza distinguere fra militari e civili. Come crede che funzionino dei negoziati in una situazione del genere? «La mia ipotesi è che gli Stati Uniti siano più riluttanti della Russia a una pace negoziata. La Russia vuole un’Ucraina neutrale e l’accesso ai suoi mercati e alle sue risorse. Alcuni di questi obiettivi sono inaccettabili, ma sono comunque chiari in vista di un negoziato. Gli Stati Uniti e l’Ucraina invece non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare. Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-americano, in termini militari, politici ed economici. Qui si trova la ragione principale di questa guerra. Gli Stati Uniti non hanno mai mostrato un segno di compromesso, né prima che la guerra scoppiasse, né dopo». Può fornire elementi concreti di ciò che lei dice? «Quando Zelensky ha lanciato l’idea della neutralità, l’amministrazione americana ha mantenuto un silenzio di tomba. Ora, stanno convincendo gli ucraini che possono realmente sconfiggere Putin. Ma, appunto, anche solo l’idea di sconfiggere un Paese con così tante armi atomiche è una follia. Ogni giorno setaccio i media per trovare almeno un caso di un esponente statunitense che approvi l’obiettivo di negoziare un accordo. Non ho visto di una sola dichiarazione su questo». Stati Uniti e Europa devono discutere con Putin per arrivare a una pace o dovrebbero aspettare la fine del suo regime, perché è un criminale di guerra? «Discutere, sicuramente. Se vogliono processare Putin per crimini di guerra, allora devono aggiungere alla lista degli imputati George W. Bush e Richard Cheney per l’Iraq, Barack Obama per la Siria e la Libia, Joe Biden per aver sequestrato le riserve in valuta estera di Kabul, alimentando così la fame in Afghanistan. E l’elenco non finisce qui. Non intendo scagionare Putin. Voglio sottolineare che bisogna fare la pace, ammettendo che siamo nel pieno di una guerra per procura tra due potenze espansioniste: la Russia e gli Stati Uniti. Non per nulla al di fuori degli Stati Uniti e dell’Europa, pochi Paesi sono schierati con l’Occidente su questo. Giusto gli alleati degli Stati Uniti come il Giappone e la Corea del Sud. Gli altri vedono all’opera la dinamica delle grandi potenze». La Russia però qui l’aggressore, che neanche aveva subito provocazioni. Non trova? «La Russia ha iniziato questa guerra, certo, ma in buona parte perché ha visto gli Stati Uniti entrare in modo irreversibile in Ucraina. Nel 2021, mentre Putin chiedeva agli Stati Uniti di negoziare l’allargamento della Nato all’Ucraina, Biden ha raddoppiato la scommessa diplomatica e militare. Non solo ha rifiutato di discutere con Mosca l’allargamento della Nato, ma ha fatto sì che l’impegno della Nato in questo senso fosse rinnovato al vertice del 2021, e poi ha firmato due accordi con l’Ucraina sul tema. Gli Stati Uniti hanno anche continuato le esercitazioni militari e le spedizioni di armi su larga scala. Tra l’altro è interessante vedere come gli Stati Uniti e l’Australia si stiano strappando i capelli per un patto di sicurezza tra la Cina e le piccole Isole Salomone, a 3.000 chilometri dall’Australia. Questo accordo viene visto come una terribile minaccia alla sicurezza dall’Occidente. Come si deve sentire allora la Russia riguardo all’allargamento della Nato all’Ucraina?». Dunque lei cosa suggerisce? «Per salvare l’Ucraina dobbiamo porre fine alla guerra, e per porre fine alla guerra abbiamo bisogno di un compromesso in cui la Russia si ritira e la Nato non si allarga. Non è difficile, eppure gli Stati Uniti non accennano neanche all’idea, perché sono contrari. Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina combatta per proteggere le prerogative della Nato. Già questo è un disastro ma, senza una soluzione ragionevole e razionale, ci aspettano rischi molto più grandi». L’argomento dell’allargamento della Nato può non convincere, professore. Prima della guerra l’Ucraina non aveva nemmeno un Membership Action Plan (una «roadmap») per l’adesione. E il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato al Cremlino, davanti a Putin, che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato «finché noi due saremo in carica» (cioè almeno fino al 2036). Non sembra proprio una ragione sufficiente per invadere… «Dire che l’Ucraina non entrerà sembra proprio un espediente americano. In realtà, gli Stati Uniti si stavano già impegnando molto per arrivare all’interoperabilità militare dell’Ucraina con la Nato, in modo che a un certo punto l’allargamento sarebbe diventato sostanzialmente un fatto compiuto. Come il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov stesso ha detto di recente, il ministero della Difesa dell’Ucraina brulicava già di consiglieri dell’Alleanza atlantica. L’idea che l’allargamento non avrebbe avuto luogo è in realtà più un’operazione di pubbliche relazioni che una verità. È la strada scelta dagli Stati Uniti, come mostra in ogni politica di oggi. Il punto fondamentale è che gli Stati Uniti si rifiutano di discutere la questione. Questo è già un indizio». Le sanzioni devono essere a oltranza o vanno vincolate a risultati tangibili: magari prevedendo che alcune saltano se la Russia accetta un cessate il fuoco o si ritira dall’Ucraina? «Le sanzioni andrebbero revocate come parte di un accordo di pace. La guerra in Ucraina è terribile, crudele e illegale, ma non è la prima guerra del genere. Gli Stati Uniti sono stati anche coinvolti in innumerevoli avventure irresponsabili: Vietnam, Laos, Cambogia, Afghanistan, Iran (golpe e dittatura del 1953), Cile, Iraq, Siria, Libia, Yemen. Questo solo per citarne alcune, perché ce ne sarebbero molte altre. Eppure gli Stati Uniti non sono stati banditi in permanenza dalla comunità delle nazioni. Neanche la Russia dovrebbe esserlo. Invece gli Stati Uniti parlano di isolare la Russia in permanenza. Di nuovo, è la tipica arroganza statunitense». Che pensa delle sanzioni sul petrolio e il gas russi in discussione in Europa, per paralizzare finanziariamente la macchina militare di Putin? «L’Unione europea dovrebbe muoversi in modo molto più deciso per favorire un accordo di pace. Un embargo totale su petrolio e gas probabilmente getterebbe l’Europa in una recessione. Non lo consiglio. Non cambierebbe in modo decisivo l’esito della guerra e non influirebbe molto su un accordo di pace, ma danneggerebbe l’Europa pesantemente». La preoccupa che l’inflazione possa alimentare il populismo in Occidente, dato che gli elettori ne danno la colpa alle sanzioni e non alla guerra scatenata da Putin? «Sì, la guerra e le sanzioni stanno già creando difficoltà politiche in molti Paesi e un forte aumento della fame nei Paesi più poveri, in particolare in Africa, che dipendono molto dai cereali importati. Anche Biden pagherà un prezzo politico al carovita alle elezioni di novembre. Si noti che questi shock dal lato dell’offerta si stanno verificando dopo un lungo periodo di espansione monetaria, quindi c’è ampio spazio perché l’inflazione corra. Ci aspetta un periodo difficile sul piano macroeconomico». In che misura i fallimenti nelle riforme durante l’era di Boris Eltsin hanno aperto la strada alla dittatura di Putin? Fu un fallimento simile a quello descritto da John Maynard Keynes nel 1919 sulla Germania? «Sono stato consigliere economico di Mikhail Gorbaciov nel 1991 e di Eltsin nel 1992-3. Il mio obiettivo principale era aiutare l’Unione Sovietica, poi la Russia come paese indipendente dopo il dicembre del ‘91, a mettere fino a una dura crisi finanziaria, in modo da garantire la tenuta sociale e migliorare le prospettive di pace e riforma nel lungo periodo. Non dimentichiamo che l’economia sovietica era crollata ed entrata in una violenta spirale negativa alla fine degli anni ‘80. In quegli anni, ho fatto spesso riferimento a “Le conseguenze economiche della pace”, il grande libro di John Maynard Keynes del 1919. Quel testo è stato probabilmente il più importante per la mia carriera, perché evidenzia un punto essenziale: per porre fine a una crisi finanziaria intensa e destabilizzante in un Paese, il resto del mondo deve intervenire prima che la situazione sfugga di mano. Questo è stato vero all’indomani della prima guerra mondiale: anziché imporre al popolo tedesco il pagamento di dure riparazioni, l’Europa e gli Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi a cooperare per una ripresa di tutta l’Europa, che avrebbe contribuito a prevenire l’ascesa del nazismo». Intende dire che il modo in cui l’Occidente ha gestito la Russia nei primi anni ‘90 ha contribuito a renderla una sorta di Repubblica di Weimar 2.0? «Quando nel 1989 proposi un’assistenza finanziaria internazionale per la Polonia – con un prestito d’emergenza, un fondo di stabilizzazione valutaria e la riduzione del debito – i miei argomenti furono accolti dalla Casa Bianca e dai Paesi europei. Quando feci le stesse proposte per l’Unione Sovietica sotto Gorbaciov nel 1991, e della Russia sotto Eltsin nel 1992-3, la Casa Bianca le respinse. Il problema era geopolitico. Gli Stati Uniti consideravano la Polonia come un alleato, mentre consideravano a torto l’Unione Sovietica e la Russia appena diventata indipendente come un nemico. Fu un errore enorme. Se si tratta male un altro Paese o lo si umilia, allora si crea una realtà che si auto-avvera: quel Paese diventerà davvero un nemico. Ovviamente nella storia non esiste un semplice determinismo, e certamente non su un periodo lungo trent’anni. Il Trattato di Versailles del 1919, con la sua durezza, non ha causato da solo l’ascesa di Hitler nel 1933. Hitler o qualcuno come lui non sarebbero mai arrivati al potere non fosse stato per la Grande Depressione del 1929 e, anche allora, senza i terribili errori di calcolo di Hindenburg e von Papen nel gennaio 1933. Allo stesso modo, gli errori finanziari degli Stati Uniti e dell’Europa nei confronti di Gorbaciov e Eltsin non hanno certo dettato gli eventi trent’anni dopo. Anche solo suggerirlo è assurdo. Ma la pesante situazione finanziaria dell’Unione Sovietica e della Russia nei primi anni ‘90 ha lasciato un retrogusto amaro. Ha contribuito alla caduta dei riformatori, al dilagare della corruzione e infine all’ascesa al potere di Putin. Ma anche in quel caso si sarebbe potuto recuperare. Putin avrebbe comunque potuto avere un approccio di collaborazione con l’Europa. Un grosso problema si è creato per l’arroganza degli Stati Uniti, che hanno lanciato l’allargamento della Nato verso Est dopo aver promesso nel 1990 che non l’avrebbero fatto. Poi anche per l’idea assolutamente pericolosa e provocatoria di George W. Bush di promettere che la Nato si sarebbe estesa alla Georgia e all’Ucraina. Quella promessa, del 2008, ha drammaticamente deteriorato le relazioni Usa-Russia. Il sostegno americano all’estromissione del presidente filorusso dell’Ucraina Viktor Yanukovych nel 2014 e il successivo riarmo dell’Ucraina su larga scala da parte degli Stati Uniti hanno drammaticamente peggiorato, anche loro, le relazioni tra Russia e Stati Uniti». Lei è stato consulente del Cremlino nel 1992-93, attraverso il suo ruolo nello Harvard Institute of International Development. Durante gli anni ‘90, il “big bang” di liberalizzazioni del mercato prevalse sulla costruzione delle istituzioni e degli assetti della democrazia. Fu un errore? «Queste lamentele sono chiacchiere accademiche, non c’entrano con il mondo reale. Il mio ruolo nel 1990-1992 era di aiutare la Polonia, l’Estonia, la Slovenia e altri Paesi ad evitare una catastrofe finanziaria. Questo era il mio obiettivo anche per l’Unione Sovietica e la Russia. Consigliai misure che si dimostrarono di successo in molti Paesi: stabilizzazione della valuta, sospensione delle scadenze del debito, alleggerimento degli oneri del debito nel lungo periodo, prestiti di emergenza, misure di sostegno sociale anch’esse di emergenza. Gli Stati Uniti accettarono questi argomenti per Paesi come la Polonia, ma li rifiutarono a favore di Gorbaciov e Eltsin. La politica e la geopolitica, non la buona politica economica, dominavano alla Casa Bianca. La costruzione delle istituzioni e le riforme democratiche avrebbero richiesto anni, anzi decenni. La Russia non aveva mai avuto una vera democrazia in un millennio di storia. La società civile era stata distrutta da Stalin. Ma nel frattempo c’era una crisi finanziaria pesante in corso. La gente aveva bisogno di mangiare, vivere, sopravvivere, avere un riparo sulla testa, avere assistenza sanitaria, mentre i poi cambiamenti di lungo periodo sarebbero stati introdotti gradualmente. Ecco perché ho raccomandato per molti anni un sostegno finanziario su larga scala a favore della Russia. Ed ecco perché continuavo a citare la lezione di Keynes». Ma, con il senno di poi, l’approccio alle riforme avrebbe dovuto essere meno incentrato sulla «shock therapy»? «Di nuovo, il mio ruolo era affrontare la crisi finanziaria. Sapevo bene - dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e altrove - che molte riforme avrebbero richiesto molto tempo. Il mio obiettivo era di prevenire l’iperinflazione e un collasso finanziario. Non mi sono mai pronunciato a favore di una privatizzazione rapida, per esempio. Sapevo che quelle politiche richiedono anni, anche decenni per essere portate a termine». È vero che la Polonia e altri paesi dell’Europa centro-orientale hanno avuto molto più successo applicando le stesse ricette della Russia. Ma la Polonia ha avuto aiuti per la stabilizzazione valutaria dagli Stati Uniti, quindi un rafforzamento delle istituzioni e il contributo di legislazione dell’Unione europea, non crede? «Certo, questo è il punto. La capacità di fare riforme dipende dal contesto internazionale. Tutto sarebbe stato molto più difficile in Russia rispetto all’Europa centro-orientale per innumerevoli ragioni di storia, politica, geografia economica, costi di trasporto, esistenza della società civile, geopolitica. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, come quella della Jugoslavia, ha anche complicato drammaticamente la situazione, aggiungendo instabilità e recessione. Eppure, per tutte queste ragioni, l’Occidente avrebbe dovuto essere molto più pronto ad aiutare finanziariamente la Russia, invece che dichiarare ‘vittoria’ e ignorare la durezza delle condizioni in Russia». Il problema fu la «shock therapy» in quanto tale o il rifiuto della Germania di condonare il debito estero della Russia e degli Stati Uniti di fornire aiuti come per la Polonia? La «shock therapy» con scarso sostegno finanziario esterno fu il mix sbagliato? «La cosiddetta "shock therapy" significava porre fine ai controlli sui prezzi all’inizio del 1992, come la Polonia aveva fatto nel 1990. La ragione era che con il crollo dell’economia a comando centralizzato, con una massiccia instabilità finanziaria e i controlli sui prezzi, tutte le transazioni avvenivano fondamentalmente sul mercato nero. Neanche i generi alimentari arrivavano nelle città. La deregolamentazione dei prezzi avrebbe dovuto essere combinata con un sostegno finanziario su larga scala da parte degli Stati Uniti e dell’Europa e con misure di politica sociale, come in Polonia. E questo è precisamente quello che consigliai, ogni giorno. Ma gli Stati Uniti e l’Europa non ascoltarono. Fu un fallimento dei governi occidentali vergognoso e terribile. Se la stabilizzazione fosse stata attivamente sostenuta dall’Occidente, avrebbe posto le basi per le successive fasi di riforma, che a loro volta avrebbero portato ad altre riforme in un periodo di anni e decenni». Andrei Shleifer, allora all’Harvard Institute of International Development con lei, era incaricato di consigliare la Russia sul big bang delle privatizzazioni. Che rapporto aveva con lei? «Il mio ruolo per Gorbaciov e Eltsin era quello di consigliere macro-finanziario. Davo consigli su come stabilizzare un’economia instabile. Non ero consulente sulle privatizzazioni. Shleifer, sì. Per quanto mi riguarda non ho sostenuto la privatizzazione con il modello dei voucher dei primi anni ’90 (che creò i primi oligarchi, ndr) e non ho dato consigli sugli abusi come i “prestiti per azioni” (uno schema progettato nel 1995 che ha permesso agli oligarchi di finanziare la rielezione di Eltsin in cambio di grandi azioni in aziende di proprietà dello Stato a prezzi ridotti). Ho dato consigli a Gorbaciov nel 1991 e poi Eltsin nel 1992 e 1993 sulle questioni finanziarie. Dopo il primo anno di tentativi di aiutare la Russia mi ero dimesso, dicendo che non ero in grado di aiutare dato che gli Stati Uniti non erano d’accordo con ciò che consigliavo. La mia permanenza sarebbe stata di un solo anno, il 1992. Poi fu nominato un nuovo ministro delle finanze, Boris Fyodorov. Una persona meravigliosa, che morì giovane. Mi chiese di rimanere come consigliere per aiutarlo. Ho accettato, a malincuore, e sono rimasto un altro anno, per poi dimettermi alla fine del 1993. Fu un periodo breve e frustrante, perché mi frustrava profondamente la negligenza e l’incompetenza sia della Casa Bianca di Bush padre nel 1991-1992, sia della Casa Bianca di Clinton nel 1993. Quando seppi che Shleifer stava facendo investimenti personali in Russia, l’ho licenziato dallo Harvard Institute of International Development. Naturalmente, non ho avuto niente a che fare con le sue attività d’investimento o con i suoi consigli sulle privatizzazioni russe. Né ho ricevuto mai un solo copeco per il mio lavoro, né un solo dollaro. Le mie consulenze per i governi, dall’inizio 37 anni fa in Bolivia, non hanno mai previsto un compenso oltre il mio stipendio accademico. Non consiglio i governi per ottenere guadagni personali».
Faccio mio il giudizio, su questa dannata guerra, di Pavel Podvig, russo, fisico e storico, autore del miglior libro mai scritto sulle forze nucleari russe: è un crimine, un errore, stupidità e tradimento insieme. Si tratta di un crimine perché va contro il diritto internazionale; è un errore, perché non può ottenere gli scopi prefissati; stupidità perché è una cattiveria che arreca danno all'aggredito senza che ne venga un vantaggio per l'aggressore; infine tradimento, perché proprio questo è quel che Putin ha compiuto nei confronti del suo dovere di proteggere la vita dei suoi concittadini e l'onore del suo Paese, massacrando, peraltro, coloro che aveva dichiarato di voler salvare. Per farla breve, Putin mi ha dato l'idea di un marito che sbrocca e aggredisce la moglie che vuole lasciarlo. Magari la moglie sarà stata irretita da qualcun altro che aveva secondi fini, magari la moglie non si sarà comportata sempre in maniera chiara e limpida nei confronti del coniuge, ma se questo arriva ad aggredirla, legarla a una sedia, cospargerla di benzina e darle fuoco, tutto quello che può aver fatto la moglie passa in secondo piano e l'aggressore perde qualsiasi diritto a rivendicare una qualsivoglia superiorità morale o ragione. Anche se dicesse di averlo fatto per amore. Anche se fosse convinto delle enormità che dice. Sì, lo so che sto semplificando ma non c'è bisogno che venga l'Orsini di turno a dirmi che la situazione è più complessa di così: ho la presunzione di essere in grado di valutare abbastanza bene la complessità di quello che sta succedendo. Se si va a prendere il singolo episodio, non c'è nessuno che sia pulito. Ma allora che facciamo? Analizziamo per non giudicare? Parlando della seconda guerra mondiale diremmo che gli Alleati sono paragonabili all'Asse perché entrambi hanno commesso crimini di guerra? Sì, è vero che entrambi hanno commesso crimini di guerra ma la qualità e la quantità di questi crimini è diversa. Quindi, per i medesimi motivi per cui mi sento di dire che gli Alleati erano dalla parte del giusto e l'Asse no, mi sento di dire anche in questo caso che Zelens'kyj è dalla parte del giusto e Putin no. Questo implica che la Russia è come la Germania nazista? Ovviamente no, i crimini russi, per quello che ne sappiamo finora, sono più simili a My Lai che a Babyj Jar. Questo significa che non dobbiamo pretendere chiarezza dagli ucraini sugli episodi torbidi di cui sono stati protagonisti? Manco per sogno! Ma alla fine torniamo sempre al solito punto: e il punto è che da una parte bisogna pendere, un voto bisogna darlo. Vogliamo bocciare sia chi ha preso 4 sia chi ha preso 7 perché "entrambi hanno fatto errori"? Mi sembra folle. Qualcuno forse starà ancora pensando che questi voti vengono dati, di fatto, a simpatia, perché, alla fine, la storia la scrivono i vincitori. Be', a parte il fatto che anche gli sconfitti scrivono molto (avete tutti presente l'abbondante memorialistica dei vari generali dell'Asse), io sono convinto (come anche Platone e Hegel) che ci sia una non casuale correlazione tra ciò che è bene e ciò che ha successo: non ha senso parlare di un bene che non sia anche buono (nel senso che intendiamo quando diciamo: buono a nulla). Quindi non è che quello che gli Alleati sostenevano è "bene" semplicemente perché hanno vinto, al contrario, hanno vinto perché (per lo più) avevano idee più "buone" di quelle dei nazisti. Parimenti, non è che le idee etnico-storico-politiche di Putin sono cattive perché sta perdendo, ma sta perdendo perché ha delle convinzioni che hanno perso il contatto con la realtà. E questo sgombra anche il campo dall'idea: Putin è semplicemente impazzito. Devo dire che, all'inizio, non vedendo alcun modo in cui potesse minimamente funzionare un'invasione russa dell'Ucraina (date le forze in campo e data la situazione politica interna e internazionale) pensavo che Putin - che non mi è mai stato simpatico, ma ho sempre considerato abbastanza realista e pragmatico - non si sarebbe mai lanciato in questo azzardo. Probabilmente ho commesso questo errore di valutazione perché non mi ero reso conto che veramente per Putin un mondo senza la Russia come superpotenza non è un mondo in cui valga la pena di vivere. Putin ha considerato che la Russia (e le sue varie incarnazioni statali, URSS inclusa) ha contato qualcosa in Europa solo quando ha avuto il controllo delle regioni attualmente occupate dalla Bielorussia e dall'Ucraina. Ora, guardando a quello che i russi chiamano "estero vicino" l'Ucraina era l'unica figurina mancante e rischiava seriamente di non averla mai in collezione (Putin dal 2014 era ossessionato dall'idea di rischiare di passare alla storia come il leader russo che ha definitivamente perso l'Ucraina). Di qui la guerra prima che si chiudesse definitivamente la finestra temporale utile. Mi ha convinto definitivamente che ci fosse una finestra temporale che si stesse chiudendo, e che questa guerra era oramai letta e chiara per tutti i contendenti, anche se non per noi europei occidentali, la visione di questo video tratto da un intervista del 2019 (poco prima delle elezioni ucraine) ad uno dei consiglieri di Zelens'kyj: Arestovyč. Ma allora anche gli ucraini se l'aspettavano questa guerra, anzi erano convinti di trarne vantaggi? Sì, ma questo non cambia la situazione: ricordate l'esempio del marito violento di cui sopra? Se la moglie gli avesse detto, provaci solo a toccarmi, così chiedo la separazione con addebito, questo avrebbe giustificato la sua successiva aggressione? La risposta è ovvia. Be', allora dovrei essere contento. Ho capito chi sono i buoni e i cattivi e i cattivi stanno perdendo. Tutto a posto, no? No. Avrei dato chissà che cosa perché non ci fosse questa guerra. Perché, comunque vada, questa guerra o finirà male o malissimo. Anche se gli ucraini vincessero, il livello di morte, distruzione e odio che questa guerra ha seminato non basterà una generazione a ripianarlo. E tutto questo in aggiunta a pandemie, crisi economiche e sociali etc. E questo è il male. Se poi la guerra si dovesse estendere, ed è più che possibile che accada e il perché non ve lo devo spiegare io, andiamo sul malissimo, perché significherebbe terza guerra mondiale. Vabbè, mi direte, adesso stai esagerando, veramente pensi che una guerra mondiale possa scoppiare solo perché un fiero stato slavo è stato aggredito dal grande, irritato e prepotente vicino dopo il rifiuto di un ultimatum irricevibile? Scherzi? Come? Ah... è già successo due volte? Due volte proprio con questo copione e nessuno si aspettava sarebbe finita così? Cazz... Io ho iniztato a interessarmi seriamente di storia militare e giochi di simulazione all'inizio degli anni '80, e non credevo che mi sarei mai ritrovato a dovermi di nuovo preoccupare di una guerra termonucleare globale. Non so chi di voi ha vissuto come me l'ultima parte della guerra fredda ma, nonostante tutto, mi sentivo più sicuro allora.
Ti ha già risposto @kaiser85 comunque, a mio avviso, vale la pena fare una osservazione di carattere linguistico. L'italiano ha un solo aggettivo per indicare "russo", il russo no. Per capirci: l'esercito degli zar era russkaja armija, l'esercito attuale è chiamato rossijskaja armija. Noi traduciamo in entrambi i casi "esercito russo" ma c'è una differenza non da poco: nel primo caso l'aggettivo ha una connotazione etnica, nel secondo no. E quando Putin parla di "mondo russo" parla di russkij mir: il suo è un discorso di "sangue" non di cittadinanza. Ovviamente il fatto che tutti i russi etnici si sentano ipso facto desiderosi di riunirsi alla Russia come entità statale, e a una russia nazionalista e intrisa di sciovinismo grande russo come quela di Putin, è una corbelleria smentita dai fatti. Però è quello che Putin pensa.
Idem. Ho studiato tedesco in Germania a metà degli anni'80 nella zona Francoforte-Mainz-Wiesbaden che allora era piena zeppa di basi americane (nei pressi c'erano basi di Pershing II). Nonostante tutta quell'ammucchiata di armamento ci si sentiva abbastanza tranquilli e al sicuro (certo, ai tempi della crisi di Cuba non era propriamente la stessa cosa). Una volta caduto l'URSS mi ha spesso attraversato il pensiero che si stava più tranquilli quando i paesi erano armati fino ai denti. Oggi è ancora peggio degli anni successivi alla caduta dell'URSS. Per lo meno allora c'era una certa "diligenza" da una parte e dall'altra. Oggi mi pare invece che non ce ne sia né da una parte né dall'altra l'intenzione di ragionare lucidamente. Biden è vecchio e fra non molto lascerà questo mondo di lacrime, Putin non è giovane ma quest'anno mi pare ne faccia 70, perciò non è di primo pelo e vista l'aspettativa di vita in Russia (considerato anche il precedente stile di vita sotto l'URSS) chissà fin quando rimarrà su questa Terra (sempre che non abbia davvero qualche malattia). Sembra che sia diventato un duello personale tra loro due, che se ne infischiano del resto del pianeta, tanto per male che vada, si accorceranno la vita solo di qualche anno. Poveri noi.
Non potevo limitarmi a metterti un generico like hai sintetizzato perfettamente quello che è anche il mio pensiero considerazioni sugli anni 80 comprese anche se la mia percezione parte leggermente prima della tua amore per il wargame compreso. Poi ci sarebbero ulteriori considerazioni egoistiche su quanti noi europei occidentali stavamo anche economicamente meglio a quei tempi e non è un caso, ma usciremmo abbondantemente dal seminato Chapeau