Racconti di guerra

Discussione in 'Off Topic' iniziata da TFT, 13 Luglio 2011.

  1. TFT

    TFT

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    Questo topic poteva essere messo in quello dove si parlava della guerra dei nostri nonni. Tuttavia la cosa che voglio mostrarvi non è esperienza diretta di guerra come soldato, quindi ho aperto un topic a parte.

    In pratica di recente sono andato da mio nonno e gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa, memorizzato tutto e ora posto qui, sperando lo troviate interessante.

    Premetto che mio nonno è del 34 se non sbaglio e viveva in un paesino agricolo nelle pianure del po', in mezzo alle risaie e vicino agli argini.

    << Fino al 43 diciamo che noi la guerra non l'avevamo praticamente sentita. Eravamo isolati dalle grandi città e dalle fabbriche; avevamo la terra e quindi il mangiare non ci mancava anche se tanti, chi volendo e chi no, erano stati mandati al fronte e quindi coltivare diventava difficile. Nella mia famiglia eravamo rimasti solo io, le mie sorelle più piccole, mia mamma, il mio bisnonno che aveva 89 anni e mio padre che era l'unico che poteva lavorare la terra bene. Non che noi non ci riuscissimo ma lui era l'unico abbastanza grande da riuscire a trasportare i sacchi di grano e tutte le altre cose senza avere la schiena rotta la mattina dopo. E poi c'erano anche le mie sorelle piccole a cui badare. Dicevo. Dopo il 43, quando sono arrivati gli americani, allora si che anche noi abbiamo sentito la guerra, specialmente nelle fasi finali. Dopo che gli americani avevano preso Ferrara, tutti i soldati tedeschi e italiani di Mussolini stavano scappando verso nord, verso il Trentino forse, non lo so. Avevano capito che non c'era più niente da fare e che la guerra era persa. I camion delle Brigate Nere correvano ingiro per le campagne e se vedevano uno in età da combattere che stava lavorando lo rincorrevano, lo tiravano sul camion e gli davano le manganellate, perchè pensavano o facevano finta di pensare che era un traditore, uno di quelli che non serviva nell'esercito insomma. Infatti mio zio e con lui tanti altri, si era rifugiato in mezzo alle campagne incolte dove il Po' si ingrossava e dove c'era tutta una specie di palude con canne e giunchi e li non lo trovava nessuno, perchè nessuno pensava di andare in un posto simile. I tedeschi, invece, quando sono arrivati da su erano ordinati e marciavano come delle macchine. Poi a vederli che tornavano in su era tutto cambiato. Dopo la sconfitta erano sporchi, luridi, fradici, senza scarpe e coperti di fango. Soprattutto avevano fame, perchè Hitler non gli dava più niente e non sapevano cosa fare. Venivano nelle nostre case e dicevano alle donne, in italiano "mamma ti prego, dammi da mangiare" e noi glielo davamo, perchè altrimenti ce lo avrebbero sicuramente preso con la forza. Da noi non c'erano partigiani e per questo i tedeschi e quegli altri (uomini RSI) si erano visti poco prima della disfatta. Una volta, mentre i tedeschi stavano fuggendo, il mio bisnonno aveva deciso di andare all'argine con la bicicletta e mio padre gli aveva detto "non andare, che ci sono i tedeschi!" ma lui non lo aveva ascoltato. Subito dopo lo avevano preso, buttato in un fosso e gli avevano rubato la bicicletta. Ci abbiamo messo tre ore a tirarlo fuori. Un'altra cosa che mi ricordo! Mio padre nascondeva sottoterra in un granaio una scatola di latta grossa, dove ci metteva salami, porchetta, formaggi e tante scorte per tutti noi. I tedeschi devono aver capito l'inganno e sono entrati li ma non trovarono niente. Allora mi hanno preso, mi hanno puntato due pistole nel collo e un fucile nella schiena e io mi sono messo a piangere e a gridare, non avevo nemmeno 12 anni. Mio padre ha sentito le grida ed è arrivato e gli ha detto che gli avrebbe dato tutto se mi lasciavano andare. Loro hanno capito e lo hanno fatto. Così mio padre gli ha dato la scatola di latta e anche il carretto con il bue. Quello poi lo abbiamo ritrovato all'argine, perchè quelli avevano talmente tanta fretta di scappare che non potevano tirarselo dietro e non avevano il tempo di ammazzarlo e cuocerlo. Il carretto lo ha trovato un nostro amico a Treviso, per fortuna ha riconosciuto il nome e ce lo ha riportato dopo.
    Quando è morto Mussolini c'era una felicità generale. Non perchè lo odiavamo. Magari molti lo odiavano. Ma alla fine a noi non interessava degli americani e delle loro parole e di tutti quelli che dicevano di aver fatto gli eroi (partigiani?). Eravamo felici perchè sapevamo che la guerra era finita, nel bene o nel male nessuno sarebbe più andato a morire con gli stivali di cartone e tutta quella roba vecchia.





    Se anche voi avete qualche racconto da postare...
     
  2. Pinky

    Pinky

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    M nonno, morto 2 anni fa, era del 13, raccontava spesso di come gli Inglesi l'avevano catturato in Etiopia e portate nei campi di prigionia in Zimbabwe, dove scoppiavano rivolte comuniste tutti i giorni :cautious:, ed era stato là fino a 2 dalla fine della guerra, lui aveva combattuto in Abissinia ed in Eritrea, poi non mi ricordo altro...
     
  3. Antigono

    Antigono

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    A me il racconto più bello l'ha fatto mia madre (e si, ho una certa età).
    Nel '44 lei era bambina, aveva 6 anni, e andava a scuola, a Milano.
    Un giorno suona l'allarme aereo e ovviamente tutti corrono nel rifugio.
    Mia madre, non sa neppure lei il motivo, infila invece la porta della scuola e corre verso casa.
    Ad un certo un punto si accorge "che il cielo era pieno di luci"
    Le strisce di stagnola (o una cosa simile) che i bombardieri alleati gettavano per ingannare i radar brillavano al sole.
    Allora mia madre si ferma in mezzo alla strada a guardare questa cosa per lei bellissima e quando le strisce di stagnola toccano terra si mette a raccoglierle.
    Pare che arrivata a casa le abbia prese da sua madre, perché si era messa a giocare "con la roba delle bombe".

    La guerra vista dagli occhi di una bambina.
     
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  4. Blueberry

    Blueberry

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    Nel posto giusto
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    confesso che fino in fondo non c'ho mai creduto pure io.
    voglio dire, sembra "esagerata" o altamente improbabile.
    il fatto è che ho avuto conferma anche da altra gente quindi... penso proprio che le cose siano non dico andate esattamente così punto per punto ma più o meno...

    i miei due nonni non avevano l'età per partecipare alla guerra. ma il fratello di mio nonno paterno, che ora non c'è più, ovvero mio prozio sì. combattè. proprio in paese anche. mentre invece il fratello di mia nonna paterna fu disperso in russia.
    piccola parentesi divertente: mio nonno era pieno di foto di mussolini. era contento del fascio e del fatto che la gente rigava diritto. mia nonna invece... lo odiava! per la sorte subita dal fratello. non li ho mai visti "discutere" su queste cose. mia nonna si teneva gentilmente in disparte... quando provavo a ricordare a nonno l'orrore in cui spinse l'intero paese mussolini...

    dunque il racconto vede protagonista questo mio prozio.
    ho visto delle foto che lo ritraevano vicino a mio nonno e devo dire che fisicamente noialtri non abbiam preso niente da lui. mio nonno era sul metro e sessanta. forse qualcosa in meno. mio padre sta sul metro e settanta e io lo supero di un po'.
    il mio prozio si avvicinava a giudicare dalla foto al metro e ottanta. o qualcosa di più. questo perchè mio nonno, vicino a lui, gli arrivava al petto.
    la storia è questa: il paese era oramai in mano agli alleati. c'erano i "marocchini". o almeno così diceva mio nonno. io ho sempre pensato che potessero essere reparti "indiani".
    dice che gli rompevano spesso le scatole perchè volevano, quando lo incontravano nei bar (ma al tempo credo fossero più osterie), o in giro, che li portasse dalle prostitute. e anche se non giravano strettamente armati, nonno diceva che avevano solo un coltello alla cintola, rompevano le scatole un po' a tutti comportandosi da padroni o quasi.
    la solita volta in cui cercano di costringere il mio nonno adolescente a fare qualcosa entra in scena il fratello più grande. ora non so se fosse disertore o che... fatto sta che stava lì. e sarà stato il 44 o il 45.
    comunque cosa fa? niente. si avvicina ai tipi (saranno stati 3 o 4 non l'ho mai capito) e ne colpisce uno. poi fugge via dal bar. i soldati gli tirano dietro convinti di macellarlo data la superiorità numerica.
    eh non sapevano che il mio prozio era peggio di leonida. li trascina con se nel paese, all'epoca ancora "medioevale", e nelle stradine strette li affronta uno per uno mandadoli al tappeto a suon di sberle.
    sembra incredibile! lo so!
    però altri vecchi me l'han confermato.

    sto mio prozio era una specie di celebrità. dice che usciva di casa facendo la capriola. voglio dire che a quei tempi, le porte delle case (da una camera in tutto in cui si dormiva, mangiava e ... ) erano costituite da due parti. una, quella più bassa, veniva tenita chiusa per evitare che gli animali potessero introdursi nell'abitazione e l'altra, quella più in alto, aperta per far circolare credo aria e luce. ecco mio nonno dice che non apriva la porta di sotto ma tuffandosi ne veniva fuori in acrobazia (la capriola non ho mai indagato se venisse fatta in aria o a terra ma suppongo a terra).

    è morto a 22 anni circa per unn incidente. era solito andare in bici sedendo sul manubrio.
    una sera non rientrava a casa e preoccupati han cominciato a cercarlo trovandolo a circa 10km dal paese (verso la stazione ferroviaria) morto in un piccolo burrone. mio nonno ha sempre sospettato ad un regolamento di conti perchè anche se le strade non erano asfaltate e la bicicletta non fosse altro che un rozzo pezzo di ferro pesantissimo lui sapeva che il fratello era una specie di "asso".
     
  5. TFT

    TFT

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    No, è corretto il termine Marocchini. Durante l'operazione Torch, siccome i francesi non sapevano più a chi chiedere aiuto visto che i camerunesi li avevano abbondantemente usati e molti simpatizzavano per Petain si risolsero ad arruolare in massa soldati magrebini dell'altopiano del fezzan. Un libro che avevo letto in merito citava "talmente barbari e selvaggi da fare ribrezzo perfino ai marocchini di casablanca. Questi reparti di magrebini si resero famosi per stupri di massa e saccheggi, prima in Italia poi, vista la loro ferocia, furono trasferiti in Germania, mi pare poco dopo l'offensiva delle Ardenne. Anche qui mantennero la loro fama rendendosi protagonisti di atti come lo stupro di una donna per 150 volte (da notare che probabilmente la poveretta era morta ben prima della 150). Le donne tedesche si risolsero ad evitare i misfatti mettendosi carne rancida fra le mutande e coprendosi i capelli con grasso di gallina, olio o feci. Pare che la cosa a volte funzionava ma a volte no.
    Fonte: Lo stupro è un diritto dei liberatori; centomila i figli della violenza
     
  6. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Mio nonno, che ha vissuto la guerra da civile, diceva che in Friuli facevano paura quelli che lui definisce i "Mongoli". All'inizio non ci credevo, poi ho scoperto che Hitler fece stabilire i Cosacchi nell'Adriatische dopo che in Russia la guerra si stava risolvendo a favore dei Sovietici. E questi "Mongoli" non erano tanto dei simpaticoni.
     
  7. Panzer

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    Davvero belli questi racconti di nonni ed altri familiari... Ci trasmettono il lato umano della Storia (e ci aiutano a non dimenticare quello che subirono)
     
  8. Pinky

    Pinky

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    Già....mio nonno faceva il pugile durante la prigionia, e guadagnava 2 cent di lire al mese
     
  9. Catilina

    Catilina

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    Il mio nonnino era militare di carriera. E da piccino lo annoiavo continuamente chiedendogli di raccontarmi i vari episodi di guerra in cui fu coinvolto.

    Nel '36 partì come legionario volontario per la guerra civile in Spagna. Partì da Napoli "destinazione ignota". Solo all'arrivo seppero dove stavano. Era sergente maggiore al comando di una squadra mitraglieri. Durante uno scontro contro altri iltaliani repubblicani si prese una granata in testa (sic!). L'esplosone gli sfondò l'elmetto e gli conficcò le schegge alla base del collo. Ricordo ancora una gobbetta di grasso che aveva in quel punto dove risiedevano le ultime schegge che si era rifiutato di farsi levare (non si era mai fidato dei medici ^__^).
    Rimase in Spagna fino al '39, continuando a servire in reparti operativi.

    Durante la seconda guerra, per sua fortuna, ebbe soprattutto compiti nelle retrovie. Fu aggregato all'Armir ma non venne mai assegnato alla prima linea. Si rifiutò di fucilare alcuni disertori, allontanò alcuni soldati semplici tedeschi che si divertivano a prendere a calci un ragazzo ebreo.
    Tornato in Italia, l'8 settembre lo sorprese mentre era in viaggio nella penisola verso il suo reparto. Come molti altri, rimase senza alcuno straccio di ordine. Si liberò della divisa e fece per recarsi nella sua città, Trieste. Il treno venne fermato dai militari tedeschi e fu cortesemente spedito in un campo di prigionia in Germania. Qui lavorò per molto tempo in alcune fattorie tedesche insieme ad altri prigionieri (soprattutto francesi).
    L'arrivo delle forze sovietiche non fu una vera e propria benedizione. Venne obbligato al lavoro coatto anche dai rossi, ma, sfruttando il fatto di aver imparato a parlocchiare un bel po' di lingue gli venne assegnato il compito di interprete. Aveva infatti una inclinazione naturale nell'apprendimento delle lingue. Era istriano, e oltre a parlare italiano, croato, sloveno, un po' di serbo, imparò negli anni lo spagnolo, il tedesco, il russo e probabilmente qualche altra lingua dell'est di cui non ricordo. Immagino che gran parte di queste lingue vennero imparate in maniera elementare, ma probabilmente i sovietici avevano la capacità di accontentarsi :p

    Quando venne finalmente liberato, tornò in Italia nel 1946 a piedi dalla Polonia. Si impadronì di un carretto e organizzò un largo gruppo di ex prigionieri italiani ormai sbandati. Grazie al rudimentale mezzo, salvò la vita a diversi italiani feriti (tra cui un cappellano) incapaci di camminare destinati a chissà quale fine. Ricordo che, finchè rimase in vita, ad ogni festività, ha ricevuto lettere e auguri dai reduci di questa bizzarra avventura colme di ringraziamenti per aver permesso loro di poter avere ancora una vita.

    Sono proprio orgoglioso del mio nonnino! :D
     
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  10. TFT

    TFT

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    Altro racconto. Questa volta intervisto mia nonna (quando è finita la guerra aveva 9 anni) che però mi parlerà di suo padre, cioè il mio bisnonno, che si è spento alla veneranda età di 89 anni. Purtroppo non ho avuto modo di conoscerlo bene e di chiedere direttamente a lui. Ma andiamo avanti.

    << Di guerre mio padre ne aveva viste tante. Quando era piccolo c'era stata la Grande Guerra. Non era abbastanza grande per entrare nell'esercito ma era un ragazzo e quindi le cose se le ricordava bene, specialmente per noi che vivevamo vicini alla frontiera e che siamo stati invasi dagli austriaci. Poi, non era facile parlare con lui della guerra in Abissinia. Ogni volta che chiedevo si metteva a piangere per quei brutti ricordi. Mi ha detto solo poche cose: sono partiti su una grandissima nave di acciaio che era strapiena di giovani festanti che cantavano "ti saluto vado in abissinia" e si rallegravano. Lui aveva 36 anni e il viaggio non gli piacque. << Ho visto più acqua quella volta che in tutta la mia vita >> è stato il suo unico commento. Gli abissini vivevano in capanne fatte di sterco e fango, erano poverissimi e malnutriti. Lui è arrivato in Eritrea e poi è passato in Etiopia; forse era li sull'Amba radam quando c'è stata la battaglia. I soldati abissini, mi diceva, erano delle bestie. Nonostante molti avessero dei fucili, adoravano andare alla carica con delle lunghe lance e colpire gli italiani. Questa era una cosa che terrorizzava mio padre e tutti i suoi compagni soldati, perchè finchè si trattava di sparare sapevano cosa fare, ma in una situazione come quella rimanevano spaesati. Gli abissini, quelli che non combattevano, invece era gente normale. Molti si avvicinavano agli italiani e gli chiedevano del cibo ma i nostri erano talmente messi male che spesso non potevano offrirgli niente. Ma a volte si trovavano insieme, i nostri e i paesani abissini. Scambiavano sigarette, cinture, alcuni provavano anche a parlarsi ma nessuno dei loro sapeva l'italiano e solo pochi dei nostri sapevano vagamente la loro parlata.
    Quando è tornato a casa, come premio, gli è stata data la camicia nera (questa non l'ho capita, era in uso allora dare camice nere? O era diventato un membro del suddetto corpo) e gli avevano raccomandato di indossarla sempre. Ma lui la usava solo quando andava al bar, non perchè gli piacesse ma perchè era una camicia, fatta bene e nuova; per gente come noi abituata a zappare la terra con addosso degli stracci era una cosa bella avere un indumento nuovo.
    Quando è scoppiata l'altra guerra non mi ricordo dove lo hanno mandato. Però arrivavano lettere da Firenze, poi da Pisa e poi anche da Pistoia. é rimasto la fino all'8 settembre, non ricordo l'anno ma ricordo che l'8 settembre c'è stato l'armistizio. Allora lui ha pensato <<la guerra è finita, torno a casa>> ma gli altri gli dicevano di rimanere, perchè bisognava combattere ancora, però lui aveva insistito << se è stato fatto un'armistizio, la guerra è finita, vado a casa>> e lo hanno lasciato andare. è tornato da noi ma a volte si è dovuto nascondere, perchè alcuni lo cercavano e volevano che tornasse a fare la guerra ma lui non ne voleva sapere. Aveva quasi 45 anni e di guerre ne aveva viste abbastanza. Suo fratello, invece, l'aveva continuata la guerra. Era di stanza a Treviso o a Trieste, non ricordo, quando ci dissero che aveva la pleurite. Allora noi siamo andati a prenderlo, in bicicletta, è stato un bel viaggio farsi tutto il veneto. Quando siamo arrivati il suo comandante ci ha chiesto se potevamo guarirlo perchè loro non avevano più niente, ne medicine, ne bende, niente insomma. Allora lo abbiamo caricato sulla canna della bicicletta e lo abbiamo portato a casa. Il viaggio è stato pietoso, perchè lui non stava bene e stare su una canna di certo non lo aiutava. Ma alla fine siamo tornati, siamo riusciti a curarlo e si è salvato.
     
  11. TFT

    TFT

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    Faccio il re del necroposting e scrivo un altro racconto di guerra, sempre di mia nonna, ambientato fra il 44 e il 45. La zona è sempre la campagna della provincia di Rovigo.

    "Il Po si guada con una matita"

    Quando gli americani spinsero le forze tedesche sempre più a nord, chi faceva parte degli occupanti della nostra zona ricevette immediatamente l'ordine di ritirarsi in Germania. Così, i soldati tedeschi arraffarono tutto quello che riuscirono a trovare o rubare, fecero saltare i ponti e fuggirono.
    C'era un ragazzo tedesco che parlava l'italiano, perchè aveva studiato a Bologna, che era fidanzato con una ragazza del nostro paese. Lui era basso, scuro e tarchiato, lei alta, bionda con gli occhi azzurri, per questo diceva sempre "io italiano tu tedesca", quando scherzavano insieme.
    Una sera è andato alla casa della ragazza e le ha detto che il giorno dopo sarebbe scappato e che il mattino sarebbe venuto a prenderla. Lei, che non voleva separarsi dalla sua famiglia, disse tutto al padre che inscenò un'influenza.
    Quando il tedesco la vide, si rassegnò a partire da solo e disse "non preoccuparti, io torna!". Non è mai tornato.

    Una volta che le compagnie tedesche ebbero lasciato la nostra zona, arrivarono quelle in fuga dagli americani da sud, da Bologna, Ferrara e tutte quelle grandi città che noi vedevamo solamente durante il periodo dei mercati. Erano sbandati, senza più ordini, affamati, vestiti di stracci e con pochissimi bagagli. Sapevano solamente che dovevano andare a nord, ma non conoscevano i nostri paesi e come muoversi.
    Si trovarono davanti il grande Po e non sapevano come superarlo, perchè i ponti erano saltati, appunto, e i guadi erano pieni di partigiani che dopo la fuga dei primi tedeschi erano usciti allo scoperto e davano la caccia a quelli che venivano da sud.
    Hitler (o chi per lui), non sembrava preoccupato e alle truppe diceva "state tranquilli, il Po è un piccolo fiume che si guada con una matita".
    Così molti tentavano di superarlo a nuoto e affogavano. Quando ci accorgemmo che i morti erano veramente tanti, andavamo di nascosto a recuperarli dalle rive e prendevamo gli stivali, o se eravamo fortunati, del liquore tipo Vov, ma era molto rischioso perchè se un tedesco vivo ti vedeva fare quella cosa ti sparava senza pensarci.
    Si sentivano intrappolati ed erano diventati ancora più cattivi, infatti entravano nelle case in cerca di cibo e se non lo trovavano diventavano violenti. Siccome se li avessimo sfamati tutti saremmo morti di fame, allora noi del posto avvolgevamo le nostre cose in degli stracci e le mettevamo in delle buche nel terreno, che poi ricoprivamo di sterco o paglia.
    Quando arrivavano i soldati, gli davamo poco e dicevamo che non era rimasto più niente.
    A mio zio avevano rubato anche la bicicletta, ma poi si erano accorti che non potevano portarla oltre il Po e l'avevano lanciata in un fosso. Mio padre disse a mio zio di non andare a prenderla, perchè era troppo rischioso ma lui non lo volle ascoltare. Altri tedeschi lo videro con la bicicletta e, forse pensando l'avesse rubata a sua volta a un tedesco morto, gli spararono e lo gettarono nel fosso.
    Una volta che i tedeschi se ne andarono, poco dopo arrivarono gli americani.
    Ai bambini piccoli qualcuno dava il cioccolato, ed era una meraviglia perchè dalle nostre parti non se ne vedeva dal '40 e anche prima era un bene che si consumava solo poche volte l'anno.
    Molti dei nostri uomini iniziarono a commerciare cioccolato e scatolette di carne con questi americani, in cambio di sigarette o alcolici.
    Le sigarette le facevamo in casa, raccoglievamo i mozziconi nei campi dei tedeschi e tiravamo fuori quel poco di tabacco rimasto, che in gran numero ci consentiva di farne molte, perchè i tedeschi fumavano e bevevano tantissimo.
     
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  12. Caronte

    Caronte

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    Racconto di mia nonna (bassa reggiana).
    Durante la ritirata dei tedeschi, molti soldati chiedevano indicazioni su come guadare il fiume (a causa dei ponti distrutti e delle imbarcazioni mitragliate dagli alleati) o tentavano di attraversarlo a nuoto. Mi ha detto che ne sono morti parecchi (tanto che ogni tanto si trovano ancora fibbie, nastri per mitragliatrici o equipaggiamenti sepolti nelle sabbie del fiume Po), sia perché non sapevano nuotare in un fiume, ma anche perché spesso cercavano di trasportare troppa roba.

    Ha rischiato di rimanerci secca perche' dei soldati italiani (in ritirata anche loro) hanno cercato prima di aggredirla. Visto che mia nonna, all'epoca nemmeno trentenne, correva molto svelta; hanno pensato bene di spararle: si e' salvata nascondendosi in un pozzo. O meglio lanciandosici dentro e facendosi recuperare dopo.
     
  13. andy

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    I miei bisnonni fecero la Grande Guerra nell'esercito austroungarico (essendo trentini). Il primo combatté praticamente tutta la guerra dal 1914 al 1918 sul fronte orientale (non sappiamo se fu mai ferito o catturato e poi tornato al fronte), fatto sta che tre giorni prima della fine della guerra si sparò al piede perché non ne poteva più, tuttavia con la fine della guerra non venne processato. Purtroppo di lui sappiamo molto poco perché morì in un tragico incidente in montagna nel 1944 e mia nonna all'epoca aveva solo 15 anni.
    L'altro invece combatté dal 1914 al 1916 in Galizia venendo poi ferito (4 giugno secondo le Verlustlisten austroungariche) e di lì a poco catturato nell'offensiva Brusilov. Si fece un anno di prigionia in un campo tra Ucraina e Russia Occidentale, vide la rivoluzione russa (presumo quella d'Ottobre) e ricordava i ritratti degli zar tolti dai muri; venne poi spedito in Transiberiana fino alla Manciuria (dove con la guerra civile cinese tra i vari signori della guerra ricordava di vedere impiccati ad ogni albero), da lì attraverso la Corea, in nave fino alle Hawaii (dove incontrò un arrotino trentino emigrato là) e poi a San Francisco. Attraversati tutti gli USA in treno, arrivò a Genova da New York dove lavorò come carpentiere fino a pagarsi il viaggio a casa dove arrivò nel 1919 (con la moglie rimasta sola 6 anni con un figlio poliomelitico).
    Tra l'altro durante la seconda guerra mondiale rischiò prima di essere fucilato in quanto nella valle circolavano i partigiani provenienti dal vicentino ma venne salvato dal parroco che parlava tedesco e poi fu spedito in Germania a lavorare, anche se ne ebbe ricordi positivi dicendo che lo trattarono bene e gli davano molto da mangiare (forse perché parlava tedesco e perché, essendo stato il Trentino annesso al Reich, era cittadino tedesco pure lui?). Un prozio (non so di quale lato famigliare) fu fucilato dai tedeschi perché aveva rubato una patata (forse in quanto IMI o lavoratore deportato). Mio nonno (classe 1927, scomparso alcuni anni fa) venne inquadrato a forza nella Flak sopra Trento ma si salvò senza un graffio (anche se non amò particolarmente i tedeschi dopo quell'esperienza).
    Infine, dopo tutto quello che aveva passato, quel bisnonno si spense nel 1982 a 95 anni, peccato non averlo potuto conoscere.
     

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