Ciao spero che la discussione vada bene anche in questa sezione.Passo alla domanda: che ne pensate del corporativismo come dottrina economica e sociale?soprattutto secondo voi sortì gli effetti voluti? Grazie
si può? avrei qualcosa da dire ma non sono sicuro che la discussione sia IT. Prima di andare avanti aspetto che il moderatore dia l'OK.
La domanda mi sembra un po' vaga. Potresti essere un po' specifico? Intendi nell'industria di guerra o altro? :humm::humm: Personalmente non ritengo il sistema corporativo una buona idea, limita le liberta' del lavoratore come limita l'espansione economica.
Penso che sarebbe interessante analizzare per prima cosa in che modo si realizzasse il corporativismo:la sua dottrina,i suoi organi,le funzioni e i risultati che si prefiggeva e che poi in realtà raggiunse. Sarebbe anche interessante approfondire le sue realizzazioni in tempo di pace e se riusci a supportare l'economia di guerra. Secondo voi poteva davvero essere l'alternativa a comunismo e capitalismo? Scusate la poca chiarezza di prima
assolutamente si.le corporazioni furono fatte se non mi sbaglio con l'inserimento della carta del lavoro che a sua volta fu fatta a causa di un improvviso lecenziamento di mi pare 1000 operai della FIAT,così cito il Duce poco prima della carta del lavoro “Bisogna che, con le buone o le cattive, (il senatore Agnelli) si tolga dalla testa l’idea che la rivoluzione fascista sia stata fatta per consentire ai magnati dell’industria, come lui, di fare strame dei lavoratori. Voi non lasciatevi intimidire. Avrete tutto il mio appoggio.(riferendosi alle delegazioni operaie)" c'è da dire che la carta del lavoro comportò certi vantaggi,impedi gli scioperi ad oltranza e impedi a sua volta della Serrate,ambe due erano dannosi per l'industria e per la nazione stessa.
"Assolutamente si"? Attenzione alle frasi lapidarie. E soprattutto se dobbiamo discutere del tema che avvenga con metodo. Una citazione come quella proposta è non testimonia nulla limitandosi ad esser poco più che uno slogan o una dichiarazione di intenti. Se dobbiamo citare citiamo studiosi e non attori del momento. Sarebbe come se, tra 100 anni, per chiarire la situazione italiana di ora uno prendesse citazioni di questo o quel politico. Il C. inoltre prima di essere dottrina ufficiale (e mai applicata) del fascismo ha una storia alle spalle. Tuttavia ancora, prima di iniziare, credo sia il caso che il moderatore ci dia il via libera
Forse dovreste anche considerare la situazione nelle altre Nazioni Europee... non è detto che mentre l'Italia conosceva un sistema corporativo manifesto, dall'altro lato non ci fossero dei limiti alla mobilità del lavoro in Inghilterra, Francia o altre Nazioni. Indubbiamente poi, dovrebbe essere inserito il sistema corportaivo nella idea di fondo del Governo di quel periodo, che era una base socialista... Spero di aver dato spunti per la discussione
mi sembra che driant il via libera l'abbia già dato... in ogni caso ve lo confermo io... d'altro canto pur non trattandosi di un aspetto prettamente militare l'organizzazione socio-economica del mercato del lavoro italiano ha avuto forti ripercussioni sull'apparato militare del paese, sia in tempo di pace che in tempo di guerra...
Non dovete preoccuparvi se aprite o partecipate ad una discussione il cui collocamento all'interno dei nostri forum è incerto. Male che vi vada vi vedrete arrivare in piena notte il corpo moderatori di NWI che vi prenderà di peso, vi schiafferà in un auto a fari spenti che a folle corsa vi porterà verso l'ESMA Battute di dubbio gusto a parte, davvero, mica siamo a questi livelli di ferrea disciplina La cavolatina si fa invece se ad esempio si apre una discussione su HOI2 nel forum wargame, o se si apre una discussione su Silent Hunter 3 nell'area strategici, etc etc. Nel dubbio però postate dove ritenete opportuno, poi tanto al moderatore bastano 2 click per spostare in blocco l'intera discussione.
iniziamo Il corporativismo rpende, ovviamente, il nome dalle corporazioni medievali, ovvero da istituti economico-socaili spazzati via dalla rivoluzione industriale. A fronte di questa modernizzazione radicale alcuni istituti e gruppi di pressione (la Chiesa ad esempio: in molti paesi il corporativismo fu la visione se non ufficiale almeno suggerita dalla Chiesa sino agli anni '30) si sforzarono di proporre delle alternative. Il capitalismo, infatti, aveva avuto esiti sociali devastanti per molti settori e, soprattutto, esiti peggiori prospettava. D'altra parte il rimedio proposto dal socialismo appariva peggiore del male: in particolare la lotta di classe sembrava essere una specie di autogol quando sembrava necessario unire tutte le energie nazionali a fronte di concorrenze spietate. Proprio la concorrenza sembrava essere il punto dolente della modernizzazione capitalista: il ridurre a concorrenza (e quindi a competizione) i rapporti sociali era inconciliabile con i codici morali più diffusi e, ufficialmente, riconosciuti. Il problema vero è, naturalmente, che la modernità porta la struttura sociale ad esser basata su conflitti permanenti tra vari istituti, gruppi, interessi (non riducibili nè alla lotta di classe nè alla competizione). Questa conflittualità, ovviamente, spaventa sia per gli esiti in fondo possibili (il crollo della struttura) sia per le conseguenze morali: la solidarietà sociale ridotta a slogan. Bene, queste acquisizioni della sociaologia erano ben note a molti intellettuali e politici che proposero via alternative al capitalismo industriale. In realtà ciò avvenne solo nei luoghi ove il capitalismo non si era completamente affermato (non avvenne, quindi, in Usa, in GB, in Francia) oppure ove per vari motivi (ad es. le istituzioni, come la monarchia), potevano rallentare lo sviluppo capitalista (belgio). Qui sorsero delle correnti corporativiste. Il senso era quello di limitare la conflittualità nel lavoro e sviluppare la socialità del lavoro stesso. Imprenditori e lavoratori erano considerati parte dello stesso processo e, quindi, aventi gli stessi interessi. La supervizione politica (lo Stato) garantiva (avrebbe dovuto garantire) l'equità dei trattamenti e rapporti. Chiaramente i conservatori (alcuni conservatori: in effetti soprattutto, e nemmeno tutti, quelli della galassia fascista) vedevano nel corporativismo un elemento d'ordine e un nodo per garatire la limitatezza degli eccessi di sfruttamento capitalista. In realtà il corporativismo restò nei fatti uno slogan. Dottrina ufficiale in Italia, Germania, Spagna (dopo la guerra civile) ebbe in effetti applicazioni superficiali. La sinistra fascista, ad esempio, si lamentò sempre a riguardo dei limiti di realizzazione del corporativismo e solo con la Rsi potè, ufficialmente, avviare una politica di corporativizzazione dell'economia (avviare: mai concludere: a comandare non era certo la sinistra fascista!). In Germania le cose addirittura furono peggiori. Dichiarato come realizzato non fu mai più nemmeno citato. Era assai più semplice allo Stato intervenire, verso lavoratori ma anche verso imprenditori, utilizzando altre e più dirette leve. Cosicché tutte le realizzazioni "corporativiste" furono in effetti realizzazioni che hanno saltato il corporativismo, vestendone solo superficialmente i panni. E' noto che il convegno, a suo tempo assai sbandierato, del fascismo sul corporativismo (che attrasse anche gente come Mounier, il fondatore de L'Esprit", finì come finì, con uno dei principali ideologi, Ugo Spirito, "promosso" alla prestigiosa cattedra di filosofia teoretica per toglierlo da quella di Economia Politica. Le sue interpretazioni del corporativismo, assai radicali (voleva metterlo in pratica!) piacquerò poco al Duce.
Molto interessante,ma in che modo si sarebbe articolata una ipotetica società corporativista?ovvero,quali organi sarebbero esistiti,come si sarebbe svolta l'economia,i rapporti sindacali cioè tutta la vita economica e sociale.Grazie!
be durante il ventennio fu applicata,non sono un esperto di economia,ma a quanto pare dette i suoi frutti,per il resto rispondo brevemente generalkleber,la collaborazione dello stato nell'industria era fondamentale,così si evitarono inutili battibecchi,io operaio faccio uno sciopero di 7 giorni,e tu imprenditore fai una serrata a tempo indeterminato,in questo modo lo Stato,l'operaio e l'imprenditore perdono soldi,quando invece mettendosi tutti ad un tavolo a discutere(operaio stato imprenditore)si può trovare benissimo un accordo.come dici tu durante l'operaio e l'imprenditore venivano messi sullo stato grande piano,che serviva a migliorare l'Italia.
ipotesi Su come sarebbe stata articolata un'ipotetica società corporativista possiamo, appunto, fare solo ipotesi. Nessuna organizzazione statale si è mai organizzata secondo il modello corporativo. Forse un peccato ma tant'è. Cosicchè il rischio è di scambiare le posizioni ideologiche (o peggio: quello che ciascuno, compreso me, pensa del corporativismo) per un fatto reale. Ci sono tuttavia alcune posizioni su cui esiste un accordo di massima. Provo a riassumerle. Il principale strumento mediante cui l'uomo entra in società e stabilisce rapporti con gli altri è il lavoro. Quindi il lavoro ha una dimensione sociale, costruisce la società e non è solo il momento della realizzazione individuale. Cittadino è il lavoratore. La società non può costutirsi sulle contrapposizioni ma solo sulla partecipazione e la principale forma di partecipazione è il lavoro. Poiché i partiti sono espressione dei particolarismi (di classe, di interessi particolari, di singoli gruppi...) non sono i partiti a poter rappresentare i cittadini. La rappresentanza deve dunque essere delle categorie (culturali, produttive...). Su questa linea si colloca la proposta di alcuni (nel 43) di chiamare la Camera dei Fasci e delle Corporazioni solo Camera delle Corporazioni, abolendo il ruolo del partito unico. Se non spetta più ai partiti, la rappresentanza delle diversità (il pluralismo) spetterà dunque alle articolazioni del lavoro. Rappresentanza non degli interessi di settore bensì delle competenze. Queste articolazioni di diverse competenze sono subordinate all'interesse comune costituito dallo Stato. Questo evita la contrapposizione degli interessi, evita che lo Stato sia mediatore tra gli interessi contrapposti: lo Stato è il coordinatore delle azioni, coordina la produzione con la distribuzione, garantisce la qualità e stabilità del lavoro e dei redditi. E' dunque un organizzatore che, abbandonata la mistica del mercato autoregolatore cara ai liberali (almeno: cara a parole) si trasforma in ciò che realizza la volontà nazionale. La rappresentanza politica delle competenze infatti è libera dalle contingenze, ceh sono invece il sale della logica dei partiti, e può programmare a tempi lunghi, oltre le contingenze. Certo non è più lo Stato burocratico, bensì uno Stato che unifichi i diversi elementi: lavoro, capitale, tecnica... ispirandosi al criterio della convenienza nazionale e collettiva, oltre gli interessi particolaristici. Il capitale acquista un valore meramente strumentale mentre il soggetto è il lavoratore. Il vero capitale è il conoscere, il saper fare (un capitale soggetto anche questo a obsolescenza). In pratica abbiamo la pariteticità tra sindacati dei lavoratori e degli imprenditori; la socializzazione dei mezzi di produzione (presenza paritetica del capitale e del alvoro nella gestione dell'impresa e, eventualmente, co-gestione); la partecipazione organica nell'impresa delle varie competenze. Le corporazioni, che raccolgono le rappresentanze delle competenze, consentono di indirizzare al centro le diverse esigenze, richieste,... e sono insieme anche organi che attualizzano, applicano, le istruzioni del centro. Niente compromessi accidentali e contingenti, pertanto, ma organica concertazione della ripartizione dei redditi tra consumi, investimenti, ... secondo criteri di programmazione democratica. Tutto questo è molto fumoso e poco chiaro? Certo: parliamo di pure idee, che non hanno mai avuto attuazione giuridica effettiva. Dal punto di vista meno benevolo si tratta di slogan. Dal punto di vista più benevolo di una grossa occasione persa.
accordi durante il Fascismo? Applicata? Fu dichiarata, non applicata. Quelle che furono le riforme del lavoro del Fascismo furono in effetti delle decisioni prese dal vertice, fuori da ogni concertazione corporativa (e da ogni programmazione seria). Gli effetti ci furono perché il partito aveva un potere che era in grado di usare, verso i lavoratori (soprattutto) e verso gli imprenditori (meno ma anche verso loro). Gli "accordi" erano il risultato di mediazioni all'interno dei gruppi di potere (gruppi su cui esercitavano la loro influenza i circoli più vari) oppure di decisioni arbitrarie e indiscutibili del Duce. Non erano accordi, era potere. Che poi abbia avuto degli aspetti positivi non si discute. Ma non erano accordi. In generale non si può dire che imprenditori e lavoratori erano messi sullo stesso piano: il Fascismo era sensibile all'opinione pubblica, non si discute ma questo non equivale a dire che era sensibile al lavoro. Che poi alcuni settori del Fascismo abbiano lavorato in questo senso è altro discorso. Ma lo stesso sindacalismo rivoluzionario, la "base", era in effetti un gruppo di potere. Non mi risulta, infine, che sia mai avvenuto uno sciopero di 7 giorni (rinunciando a 1/4 di salario) perché non si aveva voglia di mettersi seduti attorno a un tavolo o per desiderio di battibbeccare. I soldi sono una cosa seria e4 nessuno rinuncia ai soldi per battibbeccare. Simili ipersemplificazioni cancellano la complessità della contrapposizione tra settori. E proprio nell'interesse di chi questa conflittualità vuole, eventualmente, togliere, conviene avere le idee chiare.