La Marna è diventata, in seguito, un simbolo (e una parte fondamentale del mito Schlieffen) ma all’epoca in pochi in Germania pensarono che quella battaglia potesse significare che la guerra era persa. Al contrario dopo l’iniziale abbattimento il morale riprese a tornare alto. Fu evidente anche allora, però, che il Piano era fallito: la Marna segnò la fine della speranza di una rapida vittoria ad ovest. Ciò su cui la Germania aveva giocato tutte le sue carte si era rivelato un fallimento ed ora occorreva ripensare l’intera impostazione del problema senza avere a disposizione nessuna opzione alternativa. Come rilevò Tirpiz, non c’erano risposte da offrire alla nuova situazione di stallo. La Germania era impreparata militarmente ed economicamente ad una guerra d’attrito.
Naturalmente lo scacco della Battaglia della Marna riversò su Moltke un torrente di critiche. Lo si accusò di non aver mai aderito completamente al Piano Schlieffen; di averlo cambiato; di aver puntato sulla flessibilità, cercando la vittoria ove capitava, a sinistra, al centro e sulla destra, laddove il suo predecessore voleva costringere i francesi a combattere dove aveva stabilito lui: Moltke avrebbe accettato di alterare lo schieramento secondo le reazioni francesi accettando anche una battaglia nel sud, ove invece Schlieffen avrebbe accettato anche una profonda avanzata francese. A questi rimproveri tecnici se ne aggiunsero di morali: soprattutto quello di esser crollato psicologicamente.
Difficile, oggi, ricostruire con chiarezza i termini del “Dramma Moltke”. Il 22-23 agosto il Belgio era praticamente tutto occupato, l’avanzata tedesca profonda, con i francesi costretti ad abbandonare di corsa il loro piano e in ritirata dappertutto. D’altra parte l’armata francese non era stata distrutta e andava rafforzandosi proprio là, sull’ala destra tedesca, ove le forze tedesche si indebolivano (per le perdite, per i due corpi inviati ad est, per le truppe inchiodate ad assediare Antwerp). Le divergenze tra i comandi d’armata tedeschi acuivano i problemi e questo obbligava Moltke anche ad un lavoro di coordinamento psicologico dei comandanti che era assai pesante. Agli inizi di settembre, comunque, Parigi era quasi raggiunta e a Moltke la vittoria sembrava imminente. Ordinò così di continuare una rapida avanzata, nonostante la spossatezza delle truppe, per non dare il tempo alle forze dell’Intesa di riorganizzarsi. La bilancia delle forze, però, sul fronte decisivo dell’ala destra tedesca era scivolata a favore dell’Intesa, con 30 divisioni anglo-francesi contro 20 tedesche. L’assenza di comunicazioni dirette tra Kluck (1 armata) e Bulow (2 armata) rese inoltre l’avanzata tedesca scoordinata, cosicché quando l’Intesa contrattaccò, nonostante i tedeschi riuscissero a respingere vittoriosamente gli avversari, si venne ad aprire a seguito dei combattimenti un varco tra la 1 e la 2 armata. Come sappiamo oggi, questo varco fu all’origine della decisione di ritirarsi. Sul piano sostanziale questa ritirata fu causata principalmente dai limiti di comunicazione tra il QG di Moltke e le sue armate (1, 2, 3 e 4) e tra i comandanti di queste tra di loro. Nessuno aveva previsto collegamenti telefonici (una debolezza che va posta a carico degli organizzatori e che fa risaltare i livelli di astrattezza con cui era stato organizzato il Piano) e le trasmissioni senza fili si rivelarono ben presto precarie e disturbate dagli avversari. La possibilità di avvicinare il QG al fronte, che avrebbe in qualche modo consentito di migliorare le comunicazioni, fu scartata, ufficialmente per motivi tecnici ma in effetti per garantire la sicurezza del Kaiser, che non poteva esser condotto troppo vicino alla zona di operazioni. Moltke perse così prestissimo il controllo dei suoi generali e la possibilità di coordinarne efficacemente le armate. Di fatto questo vanificò completamente, quasi da subito, l’unità del comando, quell’unità che invece Joffre seppe sempre mantenere con decisione e che gli consentì di risollevarsi dalle sconfitte iniziali. Nell’esercito tedesco l’autorità dei comandanti di armata era molto maggiore che in quella degli eserciti dell’Intesa, e i generali tendevano ad essere indipendenti. Poiché avevano visioni strategiche differenti tendevano anche a combattere guerre particolari, senza rapporti con ciò che avveniva nelle zone dei loro colleghi, con i quali, a volte, si sentivano anzi in competizione (e questa è la ragione di molti rapporti eccessivamente ottimisti inviati al comando di Moltke). Ciò ha portato anche all’accusa rivolta a Moltke di non essersi saputo imporre nel momento decisivo ai suoi generali; una incapacità fatta risalire a motivi psicologici, siano essi stati la debolezza di carattereo il crollo psicologico di Moltke in quel periodo.
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