Converrebbe all'Italia uscire dall'euro ?

Discussione in 'Off Topic' iniziata da Lord Attilio, 1 Gennaio 2013.

  1. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Rob.bragg, dato che mi sembra tu ti intenda di economia, e mi sembra che tu abbia anche opinioni che vanno oltre le banalità dell'economista di turno a Ballarò o su Sky, ti chiedo: uscire dall'euro e tornare alla lira avrebbe veramente effetti devastanti, oppure sarebbe la scelta più conveniente? E se avesse effetti devastanti, li avrebbe solo nel breve o anche nel lungo periodo? Ti chiedo perchè tra le opposte demagogie (quelle degli europeisti e montiani pro-euro e quelle dei vari Berlusconi, Grillo ecc.) non ci capisco più niente.

    P.S. Se la domanda è Off Topic create una nuova discussione
     
  2. rob.bragg

    rob.bragg

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    Ti posso dare solo un mio modesto parere, anche se la tua è la classica domanda da un milione ... di euro :)

    Una premessa è necessaria : adottare una moneta unica in un contesto di nazioni non politicamente intregrate è stato un enorme azzardo; all'Italia ha comunque portato, per i primi anni, buoni benefici, in termini di bassa inflazione e bassi tassi di interesse (con la lira eravamo abituati alla doppia cifra, per entrambi) ed, in contropartita, una graduale perdita di competitività (che negli anni '70/'90 fu a lungo garantita dalla svalutazione continua della nostra moneta).

    L'immenso errore (politico) di quei primi anni è stato quello di non avere capitalizzato i vantaggi immediati, con grandi riforme (e qualche sacrificio) e riduzione del debito : un vero, stupidissimo e criminale, suicidio, per pura sete di (immediato) potere.

    Di per sè l'Euro porterebbe - IMHO - più benefici (in termini di stabilità) che problemi, se l' UE (meglio area-euro o meglio ancora UE senza i paesi che non hanno scelto l'euro, come la GB; se uscisse dalla UE ci farebbe solo un gran favore) avesse concepito, insieme alla nuova moneta, sostanziali politiche di compensazione / sostegno / solidarietà / integrazione.

    Negli USA convivono 50 stati con la stessa moneta. Le condizioni sono differenti da stato a stato, ma popolazione, investimenti e sistema economico 'si muovono' continuamente (da duecento anni), alla ricerca dell'equilibrio dei fattori. E lo stato federale, quando necessario, interviene (anche se poco - ma è nella loro logica ultra-liberista).

    Quando le due Germanie di sono riunite, l'est ha immediatamente condiviso il fortissimo DM occidentale, ma lo stato federale è intervenuto in modo veramente significativo, per fare da volano, nei limiti del possibile, alle gravi differenze sociali e agli squilibri creati, dall'unificazione politica e monetaria, nella debole economia della ex-DDR.

    Tutto questo in Europa è mancato, a causa del fatto che l'Unione Monetaria ha anticipato quella politica e che gli stati nazionali hanno pochissima voglia di sostenersi reciprocamente, con politiche economiche di 'perequazione'. La Germania e la Francia hanno tratto enormi benefici dall'Euro, ma non hanno molta voglia di intervenire per ri-equilibrare la situazione : e, nota bene, non sto parlando di accollarsi una parte del debito dei paesi deboli (l'idea sbagliata che vorrebbero 'venderci' - per poi poter gestire totalmente le ns scelte), ma di operare azioni di politica economica che compensino l' 'artificiale' iper-competitività (tedesca) o l' iper-capacità francese di investimento distruttivo / dumping (leggi : aziende italiane comprate a centinaia, ed in parte 'distrutte')

    E ora la domanda : uscire dall' Euro ?

    Nel breve termine sarebbe molto probabilmente catastrofico, per la debolezza intrinseca dell'economia italiana in questo momento. La nuova/vecchia lira si deprezzerebbe immediatamente di ... parecchio (impossibile dirlo; probabilmente più di un 20%, forse molto molto di più, considerando anche la speculazione al ribasso che si scatenerebbe); la svalutazione si trasformerebbe quasi instantaneamente in iper-inflazione, con una riduzione immediata e proporzionale dei redditi reali, un enorme aumento dei tassi di interesse (altro che spread a 500) : sistema economico in tilt, impossibilità dello Stato a reggere e ... default.

    Il passaggio Euro-Lira dovrebbe essere 'programmato' con un certo anticipo, consentendo enormi fughe di capitali (a meno di legislazioni particolarmente restrittive; ma si sa che i grandi capitali non conoscono restrizioni); e ci sarebbero enormi problemi formali e giuridici (e di contenzioso legale) sulla ridenominazione in lire dei debiti / crediti in Euro, incluso in primis il debito pubblico.

    Gli effetti 'benefici' della svalutazione (maggiore competitività, più esportazioni, nuovi investimenti) si avrebbero in un lasso di tempo più lungo, ma nel frattempo saremmo probabilmente falliti, vanificando il tutto.

    Il problema vero è che per uscire dall'Euro sarebbe necessaria un economia sana, poco indebitata, con molte risorse marginali disponibili, per affrontare l'onda d'urto della speculazine / svalutazione.

    Il paradosso è che se fossimo in quelle condizioni non avremmo necessità di discutere una uscita dall'Euro ...

    Chi ha fatto le scelte che hanno portato l'Europa a questo percorso (non penso che non conoscessero le conseguenze; basta aver studiato un pò di economia politica e giocato con i sistemi econometrici all'Università), senza alcuna vera consultazione popolare (ed in fondo senza alcun tipo di informazione non demagogica), ha deciso, scientemente, un sentiero quasi-obbligato per le generazioni future ... e, come conseguenza perlomeno indiretta, una sostanziale delegittimazione della volontà popolare.

    il tutto rigorosamente IMHO

    ciao
     
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  3. Amadeus

    Amadeus

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    Sugli ipotetici scenari di un'uscita dall'euro (o di una doppia circolazione) c'è stato un recente convegno a Pescara.
    Qui si possono trovare i video di alcuni interventi.
     
  4. cohimbra

    cohimbra Guest

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    Articolo integrale qui:
    http://www.redacon.it/2012/05/14/uscire-dalleuro-possibilita-conseguenze-o-unalternativa/


    Innanzi tutto occorre valutare i limiti normativi dei Trattati Europei. I trattati, infatti,
    non contengono clausole che disciplinano la possibilità da parte di uno Stato di abbandonare
    volontariamente oppure di essere espulso all’Unione Monetaria Europea.
    Il solo modo per “disciplinare” in modo “ordinato” l’uscita di uno Stato è quello di negoziare un
    emendamento del trattato che crei una clausola di uscita di un Paese dall’Unione Monetaria: la
    clausola deve però essere negoziata con tutta l’Unione europea (i Trattati sono dell’Europa a 27
    paesi ) e non solo con i Paesi dall’area euro (sono 17 i Paesi dell’eurozona). In sintesi, l’uscita
    “ordinata” di un Paese dall’Europa dei trattati non è procedura semplice e tantomeno “veloce”.
    Studi di istituzioni finanziarie di rilievo internazionale mostrano che esistono cinque principali
    costi potenziali derivanti dall’uscita dell’Unione Monetariae dall’adozione di una valuta nazionale.
    Riporto di seguito i contenuti dello studio di “UBS Investment Research" del 6 settembre 2011,
    Euro break-up – the consequences”.

    CASO I: Default del Debito Pubblico
    Se un Paese decide di abbandonare la valuta comune, si troverebbe di fronte a due scelte per
    quanto riguarda il debito pubblico:

    • Lasciare il debito denominato in Euro: poiché a causa dell’uscita dall’Euro il Paese vedrebbedistrutto il proprio commercio estero; non riuscendo ad ottenere valuta estera (in questo caso Euro), non sarebbe in grado di finanziare il debito:di qui il default.
    • Convertire il debito nella valuta nazionale: questo potrebbe essere interpretato dagli investitori come un segno di difficoltà nel ripagare i propri debiti. In tale situazione il tasso d’interesse sui debiti tenderebbe ad aumentare a livelli tali da decretare il default. Tuttavia, questo secondo scenario è indipendente dall’appartenenza o meno all’Euro (vedi gli avvenimenti della Grecia): il costo aggiuntivo che l’uscita dall’Euro avrebbe per lo Stato sarebbe invece il default del settore “Corporate”, le obbligazioni emesse dalle società. Le aziende avrebbero difficoltà a ripagare i propri debiti in valuta estera a causa del forte deprezzamento del cambio successivo all’uscita del paese dall’Euro (se il cambio si deprezza significa che sono necessarie più unità di valuta nazionale per acquistare una unità di valuta estera).
    CASO II: Collasso del sistema bancario interno
    L’incertezza derivante dalla nuova valuta genererebbe una corsa agli sportelli poiché,
    coloro che hanno depositi in Euro, ritirerebbero i loro soldi prima dell’avvenuta conversione.
    Nel caso di assenza di restrizione ai movimenti di capitale e persone imposti dal Governo si
    genererebbe un deflusso di capitali verso l’estero e un collasso del sistema bancario.
    Bisognerebbe realizzare la conversione valutaria all’improvviso, così da sorprendere e anticipare
    le mosse degli investitori. Questa soluzione è tuttavia irrealistica dati i tempi necessari di
    transizione da una valuta all’altra e la facilità di circolazione delle informazioni.

    CASO III: Uscita dall’Unione Europea
    L’intero processo di conversione dell’Euro in valuta nazionale sarebbe contrario ai numerosi
    trattati europei e comporterebbe una rottura unilaterale del Trattato di Maastricht, Trattato di
    Lisbona e Trattato di Roma. Inoltre l’introduzione di controlli al movimento di persone e capitale,
    molto probabili, decreterebbero la rottura di vari trattati europei. È quindi improbabile che un
    governo possa lasciare l’Euro e rimanere Stato membro dell’Unione Europea.

    CASO IV: Perdita di benessere sociale derivante dall’attuazione di politiche protezionistiche
    L’uscita di un Paese debole dall’Euro determinerebbe nel breve periodo un vantaggio competitivo
    in termini di svalutazione della propria valuta nazionale: tendenzialmente esporterebbe di più.
    Tuttavia i Paesi membri dell’Eurozona adotterebbero misure protezionistiche per difendersi
    commercialmente da questo Paese. Se ci fosse anche l’uscita dall’UE si verificherebbe il danneggiamento,
    se non l’interruzione, dei rapporti commerciali tra questo Paese e l’Unione.

    CASO V: Disordini civili
    All’interno del Paese si verrebbero a creare divisioni tra coloro che ritengono opportuno
    rimanere nell’Euro e chi no, tra chi ne ha tratto o ne trarrebbe un grave danno economico
    e chi no. Tali fratture interne potrebbero sfociare in disordini, addirittura guerre civili o,
    nei casi peggiori, sistemi dittatoriali al fine di reprimere i disordini sociali. Questo è quanto
    è successo storicamente.
    Aggiungiamo che l’uscita di un Paese dall’Unione determinerebbe poi attacchi speculativi a
    quel Paese e agli Stati deboli dell’Unione (es. Italia, Spagna): ci sarebbe un contagio, con
    un enorme aggravio di costi economici e finanziari, basti pensare agli effetti sugli investimenti
    delle famiglie. La dissoluzione dell’Unione a questo punto sarebbe probabile e comporterebbe
    la perdita del peso internazionale dell’Europa.

    Conclusioni
    In ogni caso i costi sono altissimi: UBS prova a stimare concretamente il costo monetario
    pro-capite per il primo anno derivante dall’uscita di un Paese debole dall’Euro. È una cifra
    compresa tra 9.500 e 11.500 Euro a persona! Quindi, alla luce degli attuali avvenimenti,
    affinché sia vantaggioso per gli Stati membri rimanere nell’Unione Monetaria ed evitare
    d’incorrere nei costi sopra descritti, è fondamentale il raggiungimento di una completa
    integrazione delle politiche economiche.
     
  5. Carlos V

    Carlos V

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    Parlando da inesperto di economia: vi ricordate che non appena l'Italia adotto l'Euro, nel 2002, molti commercianti ricorsero alla "furbata" di aumentare i prezzi? In pratica si giocava secondo un fattore psicologico che tendeva ad associare 1 euro = 1000 lire, quando invece ne valeva il doppio (1936,27 per la precisione). In pratica una cosa che prima costava 20.000 lire con il passaggio all'euro è diventata da 20 euro, che sono la bellezza di circa 40.000 delle vecchie lire (il doppio dei prezzi del 2001!). Questo ha fatto calare ovviamente il potere d'acquisto delle famiglie.
    Se fossero raddoppiati anche gli stipendi (quindi escludendo tutti i lavoratori autonomi) per sostenere questo "giochetto", allora sarebbe stato un altro discorso e la cosa si sarebbe riequilibrata, ma così non è stato.
    Questo il mio modestissimo parere.
     
  6. TheDOC

    TheDOC

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    C'era una legge, se non ricordo male. La "Scala Mobile", secondo cui all'aumentare del costo della vita anche gli stipendi dovevano aumentare in proporzione. Chissà perchè, è stata tolta dai SINDACATI. Ora mi chiedo, quale sindacalista toglierebbe questa legge? Semplicemente uno corrotto che ci ha guadagnato un bel po' di soldi. Questo fa vedere che i sindacati alla fine fanno il gioco dei politici.
     
  7. rob.bragg

    rob.bragg

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    La 'tua' realtà è estremamente superficiale e banalizzata. I fatti e la storia sono molto più complessi ...
     
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  8. Prostetnico

    Prostetnico

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    I Sindacati... Da quando in qua i sindacati hanno potere legislativo? Poi scritta così, come se tutti i sindacati e i sindacalisti fossero uguali... le semplificazioni e riduzioni funzionano solo in matematica. La storia è un'altra cosa, un po' più sfumata, contorta se si vuole, nello speciifico un riassunto bignamesco potrebbe essere: la "Scala mobile" fu tagliata prima dal governo Craxi con l'appoggio di CISL UIL e Confindustria, poi definitivamente abolita da un successivo governo Amato. Nel mezzo ci fu un referendum abrogativo promosso dal PCI con l'appoggio di CGIL per eliminare il "taglio Craxi", referendum che però fallì. I sindacati...
     
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  9. TheDOC

    TheDOC

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    Scusate mi sono espresso male. E' ovvio che un sindacato non può togliere le leggi, ma adesso ditemi quale sindacato si oppone a una legge (o meglio, è favorevole a togliere una legge) che TUTELA i lavoratori. E' un controsenso.
     
  10. kaiser85

    kaiser85

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    Il discorso scala mobile è molto più complesso di come l'ha descritto The DoC.
    La scala mobile fu abolita sulla scia delle riforme neoliberiste degli anni 70-80; si tratta di riforme che sfuggono alla volontà di singoli, ma si inseriscono in contesti di riforma dell'economia globale e regionale come il processo di integrazione economica dell'Europa e l'adozione ancora di politiche liberiste.
    per quanto riguarda l'uscita dall'Euro, il discorso è molto complicato.
    L'Euro ha sostanzialmente fallito, per colpe, a posteriori, LOGICHE. Non si può integrare economicamente un continente caratterizzato da sempre, da sistemi produttivi, culturali diversissimi da un capo all'altro del continente.
    L'idea ad esempio che le politiche sulla pesca possano essere le stesse in Danimarca, Sicilia, sulle coste atlantiche francesi e quelle mediterranee spagnole è aberrante.
    O politiche agricole che impongono di rispettare requisiti comuni, quando invece in Francia si produce secondo certi sistemi, rispettando certe quantità e lo stesso lo si fa nella pianura padana o in Germania e in Spagna.
    Queste politiche fisse, non flessibili, combinate ad una moneta unica anch'essa con un tasso di cambio fisso, senza possibilità di svalutazione come si faceva con e monete nazionali, ha portato alcuni stati europei più arretrati come l'Estonia, l'Irlanda a dei boom economici (per l'ampio margine di miglioramento che hanno), altri come la Germania ad assumere il controllo politico ed economico dell'Ue e infine gli stati di mezzo, deboli, come l'Italia, la Spagna, la Grecia a perdere costantemente terreno.
    50 anni di politiche comuni, stanno portando gli stati europei al fallimento, chi prima chi dopo e la conseguenza naturale sarà o l'espulsione di alcuni paesi o più probabilmente nuovi trattati che metteranno definitivamente fine, nel lunghissimo periodo, agli stati nazionali.

    L'uscita dall'Euro è assolutamente impensabile oggi, anche se auspicabile, per un motivo.
    L'euro non è altro che una garanzia, una enorme fidejussione grande quanto l'economia dei paesi dell'Euro, per l'altissimo debito degli stati. In sostanza è come se avessimo un cappio al collo che però ci garantisce la sopravvivenza e ci consente di mantenere i nostri standard di vita; non appena si esce dall'Euro, la garanzia finisce e il cappio si stringe a causa dell'impossibilità di finanziare ancora il debito (a causa della mancata garanzia e quindi dell'acquisto dei titoli di stato).
    Inoltre, siccome l'economia, sia regionale che mondiale, è sempre un economia chiusa dove gira e rigira quando qualcuno ci guadagna c'è sempre qualcuno che ci perde (l'economia globale non è un sistema a somma 0), tale garanzia non è data dalla moneta euro in quanto tale, ma dalla presenza dentro il sistema economico europeo della Germania. In sostanza è la Germania, grazie alla sua economia, che fa da garante per tutte le altre economie europee e i loro debiti e si spinge gli investitori privati e pubblici a finanziare i debiti nazionali europei. Da qui il potere contrattuale del governo tedesco sul contenimento della spesa pubblica negli altri stati che ci sta portando alla miseria.
    Probabilmente è solo questione di tempo; siccome nel lungo periodo neanche la Germania potrà fare da garante ai debiti pubblici nazionali, il risultato sarà o il collasso totale o una qualche genere di riforma.
     
  11. Invernomuto

    Invernomuto -

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    La scala mobile fu abolita perché è un meccanismo che crea inflazione. Giusto o sbagliato che sia, le recenti politiche economiche sono state improntate alla lotta all'inflazione.
    Semplificando moltissimo, se il costo di una risorsa aumenta perché diviene più scarsa, non ha molto senso tradurre quell'aumento di costo sui salari, perché non risolvi il problema della scarsità della stessa.

    Ciao.
     
  12. Silvan

    Silvan

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    Quando è nata la l'unione monetaria sono stati creati fondi specifici destinati alle aree più deboli proprio per livellare le disparità esistenti. Questi fondi sono stati alimentati in gran parte con soldi versati da Germania e Francia. Se la classe dirigente Italiana non è stata capace di metterli a frutto è solo un nostro demerito.

    Gli altissimi costi paventati da opinionisti o istituti finanziari per la fuoriuscita dall'euro sono una gran bella montatura per dare un supporto alle politiche di rigore imposte da governi non proprio popolari. E' vero che c'è un costo ma i paesi che detengono parte del debito pubblico Italiano, o le cui banche hanno emesso ed emettono CDS a iosa, pagherebbero un costo ben più alto.

    L'Italia è un paese manufatturiero ed agricolo avere una moneta svalutata aiuterebbe moltissimo la nostra economia, ma affinche l'uscita dall'Euro sia proficua bisogna mettere in conto anche un fallimento ed un radicale rinnovo dalla classe Dirigente.

    IMHO
     
  13. rob.bragg

    rob.bragg

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    Il problema dell'Euro deriva dal fatto che è stata anticipata l'unione monetaria a quella politica e che le istituzioni di presidio di tale unione monetaria sono state rese sovrannazionali, al di fuori del controllo degli elettorati. In pratica è stata creata una sovrastruttura dirigista, protetta da ogni feed-back elettorale (= popolare, democratico). Questo tipo di percorso, come ho sottolineato all'inizio, è stato, IMHO, cercato e voluto; non è casuale.

    Per questo motivo il suo obiettivo di fondo non può essere quello (suicida) del fallimento dell'Europa, ma quello di una integrazione economica forzata, e secondo un modello deciso ex-ante (indipendentemente dalle volontà popolari), che può piacere o meno e può essere condiviso o meno, ma così è.

    La genesi politica del progetto ECU non è del tutto chiara. In Germania negli anni passati ci sono state molte polemiche relative ad alcuni documenti desecretati del periodo 1989-90, che proverebbero (ma non è certo) che fu la Francia di Mitterand ad imporre a Kohl l'accettazione di una unificazione monetaria (in termini inizialmente molto favorevoli alla Francia stessa - e così fu) in cambio del placet alla riunificazione tedesca.

    Era abbastanza ovvio che una Germania unita sarebbe divenuta in assoluto la nazione leader di qualsiasi aggregazione europea e forse, inizialmente, l'unione monetaria fu vista da alcuni come una contropartita necessaria. Ma in ogni caso, le scelte successive non fecero che premiare la nazione dominante, cioè la Germania, in cambio di una presunta maggiore stabilità e della possibilità (molto teorica) di godere pacificamente e solidarmente di tale leadership.

    Di per sè la moneta unica non sarebbe necessariamente dannosa, se esistesse un unione politica. Ho fatto l'esempio degli USA : anche tra i 50 stati esistono differenze economiche, sociali ed anche culturali enormi; e gigantesche sperequazioni. Nessuno incolpa il dollaro, ma semmai le amministrazioni politiche, che sono costrette, ogni tanto, a mediare e ad intervenire : il mercato poi favorisce un parziale riequilibrio, con una gigantesca mobilità interna, alla quale l'Europa immagino dovrà abituarsi ...

    Qui l'euro è invece, al momento, una entità sovrannazionale ed indipendente. Questo è uno degli errori (voluti) di maggior portata.

    Il fallimento dell'euro rappresenterebbe comunque un gravissimo danno per la Germania, che attraverso il meccanismo monetario sta attuando un processo di ridistribuzione e razionalizzazione dell'intero sistema economico europeo (come avvenne, nel ventennio prima della nascita del Reich, nel 1871, con la 'Zollverein' ed il 'Verainstaler'; penso che siano stati la fonte di ispirazione, da parte tedesca, dei due progetti CEE e poi ECU); quindi difficilmente verrà fatto fallire.

    L'attuale problema del debito è reale, ma in parte anche strumentale alla razionalizzazone, integrazione e alla revisione dei modelli di wellfare, incompatibili con i nuovi disegni neo-liberisti.

    La sua strumentalizzazione ha già prodotto, in quell'ottica, risultati molto importanti : il 'Fiscal Compact' (con, di fatto, la riduzione della sovranità nazionale anche in ambito fiscale, dopo aver ceduto totalmente quella monetaria), la destrutturazione dei mercati del lavoro e la revisione generalizzata dei sistemi di wellfare ; per questi ultimi è stata pianificata una parziale 'smobilitazione', per il convergere di teorie neo-liberiste e di semplici considerazioni demografiche : ma il neo-liberismo non fa parte della cultura tedesca; semmai è stato introdotto nell'equazione dalla finanza internazionale (che gestisce gli immensi flussi e deflussi di denaro e può spostare equilibri con pochi clic e due righe di comunicati-stampa) ed accettato per necessità.

    Rimane il problema della definizione del futuro economico delle aree (parlare di nazioni a questo punto è quasi un formalismo) limitrofe al centro mitteleuropeo (come l'Italia, la Spagna e forse la stessa Francia), che in questo progetto hanno solo due possibilità : diventare a tutti gli effetti regioni integrate e sussidiarie (come lo sono già Olanda, Cechia e Polonia, anche se quest'ultime non ancora nell'euro, perchè colte dalla crisi in mezzo al guado) e/o ridefinirsi un ruolo industriale (marginale) nel sistema europeo complessivo.

    Il processo neo-liberista in atto porterà comunque, nel medio termine, ad una naturale ridefinizione (molto dolorosa) della competitività relativa, attraverso una parziale de-industrializzazione ed una riduzione del reddito reale pro-capite delle aree marginali : cioè alla trasformazione dell'Italia e della Spagna nell'equivalente del Mississipi e della Luisiana.

    Come ho detto precedentemente, il paradosso è che per uscire da questo percorso semi-obbligato (in un certo senso è uno di quei grandi 'movimenti' storico/economici, dai quali difficilmente si può uscire) sarebbe necessario avere un sistema economico forte, non indebitato e con una ampia riserva di risorse (di capitale, di know how, ecc.ecc.), per superare l'impatto traumatico della svalutazione e della speculazione. Ma se fossimo in quelle condizioni non avremmo la necessità di uscire dal 'programma', perchè saremmo a pieno titolo nell'area trainante.

    Non riesco proprio ad immaginare la reversibilità del progetto, a meno di cataclismi, guerre o altri fattori esogeni di enorme portata; e mi sembra che tutti coloro che invocano default e uscita dall'Euro non si siano resi conto (con buone dosi di demagogia) della portata di quello che sta avvenendo; e non solo in Europa, ma nel mondo, con la globalizzazione e la crescita esponenziale dell'importanza relativa dell'Asia nell'economia mondiale.

    Il compito di ogni classe politica seria, nei prossimi vent'anni, dovrebbe essere quello di prendere atto (ma lo sanno già perfettamente, Monti e Prodi in primis) di questa situazione, spiegarla in modo intelleggibile ed onesto alla gente (senza demagogie, senza falsi scopi, senza mitizzazioni e demonizzazioni) e fare in modo che l'Italia non diventi la Luisiana, ma almeno uno stato del mid-west.

    IMHO
     
  14. gianandrea doria

    gianandrea doria

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    Rimanere nell'euro per noi è come volere allungare la vita ad un malato.L'Italia è un paese fallito al di fuori della zona euro deve dichiarare default, non è che la situazione sia irreparabile, ma per tornare a livelli pre-crisi 10 anni non ce li toglie nessuno.In 10 anni però il paese sarà diventato così povero, senza industrie e con una disoccupazione a livelli ben più alti della spagna attuale, naturalmente questo è ciò che succederà all'Italia rimanendo nell'euro.
    Uscendo dall'euro però ci sono possibilità migliori.L'italia come tutte le economie occidentali è un economia che si sta deindustrializzando, ma al tempo stesso si sta impoverendo, perchè la classe politica non ha accompagnato questa fase con le adeguate riforme, uscendo dall'euro la nostra moneta si svaluterebbe, l'export crescerebbe e se supportato da adeguate politiche economiche e monetarie, il processo di deindustrializzazione si invertirebbe tornando un polo industriale, non dimentichiamoci che un tempo eravamo il secondo polo industriale d'europa.Naturalmente ciò non accadrebbe senza sacrifici.Dobbiamo vedere il default come un opportunità si riparte da capo e si evitano certi errori.Con l'Italia guidata da una nuova classe politica con una finalmente vera seconda repubblica(un pò utopia), perchè con queste politiche di austerità rischiamo di precludere il futuro a molte generazioni di giovani.
    Per me l'euro è stato il peggior errore italiano è una moneta tedesca non europea.Se la Germania uscisse dall'euro avrebbe un marco più forte dell'attuale euro.Il che si traduce nel fatto che al momento i tedeschi utilizzano una moneta svalutata per loro all'interno della zona euro e ne beneficiano in export.Mentre noi soffriamo per le conseguenze di avere una moneta sopravalutata.
    P.S
    Aggiungendo l'euro è una bella idea ma senza un unione politica sotto è inutile e svantaggiosa l'unione europea in principio doveva arginare il nascente strapotere economico e industriale asiatico,ma non lo ha fatto preferendo un mero guadagno nel preve termine 2000-2007
     
  15. MrBrightside

    MrBrightside

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    Per quanto mi riguarda, il compito di ogni classe politica seria, da qui all'eternità, dovrebbe essere quello di occuparsi di due o tre cose leggermente più urgenti, oltre che peraltro strettamente collegate alla eventuale e non augurabile dipartita dell'euro e più in generale alla politica economica non solo dell'Italia, ma mondiale. "Cataclismi, guerre o altri fattori esogeni di enorme portata" IMHO non sono particolarmente improbabili nel medio termine (50 anni? 100 a voler essere superottimista). Per allora, io personalmente spero con tutto il cuore di avere già tirato le cuoia.
     
  16. rob.bragg

    rob.bragg

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    A parte le considerazioni sull'impatto immediato e successivo del default e dell'uscita dall'euro, vorrei ricordare una cosa che molti dei fautori di un simile progetto dimenticano : la globalizzazione ha 'spiazzato' l'industria italiana molto di più di quanto non abbia fatto l'euro stesso.

    Gran parte dei mercati che furono tipici dell'industria italiana nel periodo d'oro ('50/'70), dal tessile all'abbigliamento, dalla siderurgia all'auto (fascia bassa), alla cantieristica generalista (ecc.ecc.), sono e saranno sempre più dominati da Cina, India, Corea, ecc. L'unica speranza di sopravvivenza per l'industria europea (come per quella giapponese) è nel posizionamento (dinamico, cioè a know how crescente) nelle fasce alte dei mercati pregiati : meccanica di precisione, robotica, auto ad alto valore aggiunto, aerospaziale, chimica e farmaceutica avanzata, l'high-tech in generale, ecc.ecc. Perfino il settore agro-alimentare è a rischio.

    Ma nei settori industriali avanzati il fattore prezzo non è fondamentale, perchè il vantaggio competitivo è sul know-how e sulla qualità (elementi dei quali la Germania ha fatto la propria caratteristica vincente). Inoltre quei settori industriali sono 'capital-intensive' e non 'labour-intensive' e quindi è necessario un quadro di riferimnto completamente differente dal passato, per risolvere il problema della disoccupazione.

    Un ritorno ad una lira debole non avvantaggerebbe più l'industria italiana come fu nel periodo del boom economico, perchè Cina e India hanno tali riserve di manodopera (e tali margini di manovra sulle valute nazionali) che saranno sempre più competitive, nei settori 'tradizionali', e sposteranno man mano il tiro anche su quelli più avanzati (da qui la necessità di R&D massiccia e continua).

    La lira e la svalutazione non sono più una soluzione. Il mondo è definivamente cambiato e non si torna indietro, che piaccia o no.

    Bisognerebbe chiedersi perchè l'industria italiana non riesca a seguire l'indirizzo tedesco : è un problema molto complesso, ma esula da cause e conseguenze dell'euro (dimensioni aziendali, accesso al capitale, R&D, supporto territoriale ed infrastrutture, ecc.ecc.).

    Per capire che l'Astronave Terra è a corto di risorse e a rischio di soppravvivenza bisognerebbe aver superato molte altre fasi intellettuali e culturali ...

    Finchè vige la regola aurea del profitto marginale, la rotta è tracciata ...

    Sono convinti che non esistano alternative alla crescita illimitata ed al consumo materiale, nel perseguimento del benessere ... e del resto il PIL registra solo questi eventi, e non altri ... non è un caso ... :)

    Per cambiare quest'indirizzo serve realmente un fatto traumatico o una rivoluzione ...
     
  17. Carlos V

    Carlos V

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    rob.bragg, personalmente ti ritengo molto competente in materia economica e volevo chiederti: la valorizzazione del patrimonio culturale italiano potrebbe aiutare l'economia nazionale?
    L'Italia possiede circa il 60% del patrimonio culturale del mondo (opere d'arte, musei, aree archeologiche) e qualcuno sostiene che potrebbe diventare una voce molto importante nell'economia, se venisse valorizzata a dovere. Ma sappiamo che la nostra classe politica non è per nulla interessata alla cultura: Pompei viene fatta cadere a pezzi e gli archeologi e gli altri operatori culturali non godono nemmeno di riconoscimento professionale.
    In un futuro, come tu stesso sostieni, dominato dalle industrie asiatiche nei settori "tradizionali", l'Italia potrebbe cogliere l'occasione di valorizzare il suo patrimonio artistico unico al mondo e universalmente riconosciuto? Ho letto vari articoli che le nazioni emergenti dell'Asia guardano all'Italia come al Paese del "bello" per eccellenza e sono attratte dalla sua storia e dalle sue espressioni artistiche; l'aumento della qualità della vita in queste nazioni potrebbe portare un afflusso di turisti non indifferente nel nostro Paese e, in secondo luogo, anche all'organizzazione di mostre ed eventi nei loro Paesi.
    In un futuro fatto di industrie estremamente settoriali (hi-tech, automobili di lusso, ecc...) e di de-industrializzazione, credo che sarebbe il caso di mettere a frutto una risorsa, prodotta in secoli di storia, che solo noi possediamo in grande percentuale al mondo.
    Ti ringrazio per l'attenzione.
     
  18. rob.bragg

    rob.bragg

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    Assolutamente si.

    Oggi l'industria del turismo italiana è al quinto posto nel mondo (Francia, USA, Cina, Spagna, Italia per visitatori; USA, Spagna, Francia, Cina, Italia per flussi di reddito, considerando solo quelli dall'estero), produce reddito per circa il 10% del PIL, occupando circa il 10% della popolazione attiva (considerando turismo internazionale + interno).

    Sicuramente le potenzialità italiane sono molto maggiori : è abbastanza ridicolo pensare che Francia e Spagna ci sopravanzino. Il potenziale è 'culturale' immenso e il tipo di industria è 'labour-intensive', quindi l'ideale per risolvere in parte i problemi della disoccupazione giovanile.

    Ma :

    a) serve una 'politica culturale' strutturale e di lungo periodo, che al momento mi sembra totalmente assente ;

    b) servono investimenti, anche cospicui; lo Stato al momento non ha fondi e per liberarne dovrebbe prima ridurre il carico del debito e degli oneri finanziari ; i privati potrebbero investire maggiormente nel settore, ma dovrebbero essere incentivati (quindi, ancora, soldi ...) e comunque la parte 'pregiata' (quella culturale) non è privatizzabile (spero ...)

    Secondo il UNWTO, gli USA hanno incassato dal turismo internazionale circa 100 $ Bn (2010), la Spagna 52, la Francia 47, l'Italia 39 ... e la Germania 35 (!). Già la differenza Spagna - Italia (13 $ Bn) sarebbe pari ad un +0,7% del PIL (più tutto l'indotto); in tempi di vacche magre, non male ...

    MA, non possiamo pensare di trasformare l'Italia in un museo all'aperto / villaggio vacanze, anche perchè il turismo è un'industria molto volatile. L'obiettivo / limite potrebbe essere in un raddoppio della quota, a medio termine. Sarebbe un grandissimo risultato.
     
  19. huirttps

    huirttps

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    Siamo sicuri?? Per ora la vicenda Della Valle - Colosseo è stata un'avvisaglia, ma un domani?
    Spesso si parla di dismissione di beni pubblici : si parla di palazzi e caserme in giro per l'Italia, ma seriamente si pensa di abbattere il debito (s)vendendo ai soliti palazzinari amici del politico di turno? Senza considerare l'effetto che avrebbe l'immissione in blocco di immobili ad uso residenziale sul mercato già morente (vedere dati Agenzia del Territorio, il livello delle compravendite è tornato al livello degli anni 80!!)
    Per me , temo, i tempi sono maturi per la vendita di Pompei, Colosseo... e personalmente, da amante della Storia (si, con la S maiuscola) di questo Paese preferirei un Colosseo di proprietà di un privato tedesco che lo restauri come si deve, piuttosto che vederlo ancora italiano ma cadere a pezzi
     
  20. rob.bragg

    rob.bragg

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    Dai, non scherzare. Un conto sono le sponsorizzazioni e un conto ... la vendita del Colosseo e di Pompei.
    Piuttosto è molto meglio vendere la Cavour e il suo contorno di F-35; vendere la ns storia è come vendere la ns anima ... :)

    E non penso che i tedeschi comprerebbero ... forse gli americani si.
     

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