SPWW2 AAR Naia in tempo di guerra; c'ero anch'io

Discussione in 'Le vostre esperienze: AAR' iniziata da Luigi Varriale, 31 Ottobre 2019.

  1. billo

    billo

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    Vogliamo vedere il nastrino delle operazioni in Francia, quello da mettere sull'uniforme :happy:
     
  2. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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  3. Prostetnico

    Prostetnico

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    hmmmm non lo so, quella scatoletta di latta cingolata... non è che che nei paraggi gironzola il Postuma? :whistle:
     
  4. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Il Postuma è in Africa, ma all'epoca prestava servizio nella brigata Babini, come comandante di una compagnia di carri M 11. Magari in questa campagna lo incontreremo.

    02/07/40 alle ore 05 25 20 il convoglio “Ulsina” che rappresentava il primo importante sforzo per rifornire la Libia di truppe e carburante, si trovava 60 chilometri ad est di Messina, da poco uscito dallo stretto. Facevano parte di questa formazione il capo scorta Quintino Sella, torpediniera agli ordini del CF Mangani Frera, la torpediniera della classe Sauro Cesare Battisti, agli ordini del TV Donati, e altre due torpediniere della classe Sella (Nicotera e Ricasoli), comandate rispettivamente dai TV Greco e Sciacca. Questa forza scortava due motonavi trasporto truppe, la Marea e l’Ulsina ed una cisterna; la Dakar. Le motonavi avevano caricato a Napoli il 47°reggimento di fanteria, primo scaglione della divisione Lucca, destinata al fronte africano, mentre la Dakar era piena di carburante da scaricarsi nel porto di Bengasi a beneficio dell’intendenza dell’armata di Graziani.

    all’uscita dallo stretto di Messina, il comandante Mangani aveva richiesto a Supermarina la rotta da tenere, suggerimento che avrebbe dovuto essere determinato dagli esiti delle ricognizioni aeree mattutine. Purtroppo le ricognizioni dell’alba non avevano fornito alcuna notizia circa un’eventuale dislocazione di forze di superficie britanniche nel Mar Ionio, e quindi Supermarina si attenne ad una rotta standard che passasse ben a levante di Malta, vicina al Peloponneso, per poi tagliare deciso verso la costa cirenaica. Giunto a questo punto, il convoglio avrebbe dovuto seguire il contorno della costa africana, rimanendo il più possibile occultato alla ricognizione aerea di Malta ed alla conseguente offesa nemica. Il servizio informazioni dava due cacciatorpediniere britannici presenti a Malta, e reparti aerei da bombardamento, siluramento e ricognizione, onde per cui il CF Mangani ricevette appunto la direttiva di portarsi sulla costa del Peloponneso, per poi tagliare deciso a sud verso la Cirenaica. Giunto sulla costa, il convoglio l’avrebbe seguita a ritroso per entrare infine nel Golfo della Sirte e giungere a destinazione. Si conosceva per certa la presenza sulla piazzaforte di Malta di una squadriglia da ricognizione strategica equipaggiata con gli ottimi aerei da osservazione Sunderland. Era pure data per certa una squadriglia di siluranti Swordfish, il che era una pessima notizia per il comando navale italiano.

    A quel tempo le forze di contrasto navale di superficie basate a Malta non erano ancora molto forti e consistevano essenzialmente nella forza J, costituita da due cacciatorpediniere di squadra. Completavano il corredo, i 4 sommergibili basati nell’isola: l’Upholder, l’Utmost, l’Unicorn e l’Uranus. Di queste forze, il comando navale italiano aveva informazione certa solamente per quanto riguardava i due cacciatorpediniere, che gli spioni italiani sull’isola avevano identificato nell’Hasty e nell’Ilex, due moderne unità sottili che si stimavano in grado di dare filo da torcere a qualunque silurante italiana e forse pure a qualche incrociatore leggero. Pertanto si era deciso di mettere in mare il convoglio con una convincente superiorità navale, il che aveva suggerito di scortarlo con tre unità, invece che con una. Se non che, tale superiorità era più apparente che reale in quanto gli Italiani disponevano di 9 cannoni da 100 e 4 da 120, mentre gli Inglesi da 8 cannoni da 120, Netta era invece la superiorità italiana in materia di cannoni antiaerei di cui gli Inglesi non disponevano affatto sulle unità della classe H e G. Supermarina aveva opportunamente disposto due zone di pattuglia di sommergibili immediatamente a levante di Malta per sorvegliare ed eventualmente contrastare i movimenti nemici da quella basa. Erano in zona i sommergibili Ambra ed Acciaio, in agguato ad est della piazzaforte inglese.

    Il comandante Mangani aveva disposto in testa al convoglio la torpediniera Ricasoli, seguita dalle motonavi Mare ed Ulsina, fiancheggiate dal Battisti a dritta e dalla Nicotera a sinistra. Dietro a questo complesso navigava il capo scorta, la torpediniera Quintino Sella. Chiudeva la formazione la cisterna Dakar. Nella mattinata del 2 luglio il convoglio navigava dunque per 115 gradi alla volta della punta sud della penisola greca.
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    Alle 0900 venne fatto decollare da Castelvetrano il secondo turno di ricognizioni aeree. Due CANT 506 decollarono dall’aeroporto siciliano per esplorare la zona di mare ad est della fortezza di Malta, nel tentativo di scoprire qualunque movimento della forza J britannica. Alle 13 gli idrovolanti rientrarono alla base senza aver avvistato nulla. Riforniti gli aerei, alle 1330 un seconda missione di ricognizione decollava di nuovo, questa volta con 4 velivoli per ampliare l’area di ricerca. L'aumento del numero degli apparacchi dava i suoi frutti alle 1452, quando il CANT più a levante dell’area di esplorazione batteva alla radio un contatto composto da due cacciatorpediniere inglesi naviganti 140 chilometri ad est della penisola di Pachino (Sicilia) con velocità approssimativa di 30 nodi e rotta 92. La posizione segnalata dava la forza nemica a circa 200 chilometri dietro al convoglio.
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    Naturalmente non era dato di sapere se gli Inglesi avessero scoperto il convoglio o meno. Mancavano due ore alla virata per sud e Supermarina ordinò che venisse mantenuto il programma originario senza variazioni. Alle 1730, dopo aver tenuto il nemico sotto osservazione per 5 ore l’idro italiano era costretto a rientrare per rifornire. Si sperava di poter lanciare un’altra missione di osservazione prima del tramonto. Intanto il convoglio virava per sud come da programma più o meno alla stessa ora. Adesso aveva 14 ore di navigazione fino alla costa africana. Durante la notte ovviamente si perdeva qualunque notizia della forza nemica.

    All’alba del 3 ci si preparò a lanciare nuove missioni di osservazione, con il convoglio a due ore dalla costa africana. Se la forza J si trovava nei pressi del convoglio italiano sarebbe stato impossibile individuarla, in quanto non esistevano ancora reparti da osservazione italiani in Africa, ma si decise di lanciare lo stesso dalla Sicilia gli aerei in maniera di vedere almeno se gli Inglesi si trovavano ancora ad una latitudine tra Malta e la Grecia. Alle 1000 del 3 luglio iniziava la parte pericolosa di navigazione diurna del convoglio lungo la costa della cirenaica. Non avendo rilevato nulla, alle 1230 si predisponeva una nuova missione di osservazione aerea. A Roma si cominciava a sperare che il convoglio fosse oramai passato sotto il naso degli Inglesi. Mentre l'ultima missione dei CANT 506 era in corso, anzi gli apparecchi erano in fase di rientro dopo aver virato a sud di Malta, la doccia fredda arrivava invece dall’osservazione locale di Bengasi: un trasporto aereo postale aveva individuato i due cacciatorpediniere nemici 70 chilometri ad ovest della città con rotta 51, a 24 nodi, risalenti a loro volta lungo la costa in senso opposto al convoglio.
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    Immediatamente a Supermarina si entrò in uno stato di profonda apprensione. Non era detto che il nemico avesse scoperto la posizione del convoglio e per tanto era ventilabile l’ipotesi di farlo tornare indietro ripercorrendo a ritroso la rotta fatta per arrivare fino a lì. L’altra soluzione era quella di aprirsi la strada combattendo, ordinando al CF Mangani Frera di distaccare le sue unità da guerra per impegnare il nemico mentre le navi da trasporto sgusciavano in fino alla loro destinazione. La decisione da prendere era grave e gli ammiragli in servizio nel salone di Supermarina dovettero pensarci un po’ su, valutando pro e contro.
     
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  5. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ad aggravare la situazione del convoglio, un’avaria alle macchine della cisterna Dakar ritardava di qualche ora la navigazione dello stesso, che poteva riprendere solamente alle 1600. Nel frattempo la forza britannica continuava a navigare lungo la costa della Cirenaica, superava Bengasi e dirigeva dritta verso il convoglio italiano come se fosse perfettamente informata della sua posizione. Alle 1641, il nemico si trovava solo più a 120 chilometri dal complesso di navi italiane ed a questo punto il ventaglio di scelte per Supermarina si restringeva di molto. Se il nemico era davvero a conoscenza della posizione del convoglio Ulsina, la fuga era oramai fuori discussione; i caccia nemici erano naturalmente ben più veloci delle navi da trasporto italiane e quindi avrebbero potuto raggiungerle con facilità. A questo punto si sarebbe acceso un combattimento tra la scorta italiana e gli attaccanti inglesi a breve distanza dalle navi da trasporto. Onde per cui Supermarina si risolse a dare ordine al CF Mangani di distaccare le navi da combattimento che avesse ritenuto necessarie per affrontare il nemico, e di lanciarle in avanti a tutta velocità per incontrare le navi inglesi il più possibile lontano dal convoglio, mentre questo avrebbe cercato naturalmente di approfittare della diversione creata dalle torpediniere italiane per passare.

    A questo punto il comandante Mangani aveva una decisione critica da prendere: la prima soluzione era quella di lanciare tutta la sua scorta contro le navi inglesi, lasciando il convoglio senza difese in caso di attacco aereo nemico da Malta. La cosa gli parve assai rischiosa; avere il convoglio affondato dall’offesa aerea non sarebbe certo stato compensato da un eventuale successo contro le navi da guerra britanniche, inquantché la sua missione era quella di portare al sicuro le navi da trasporto a Bengasi e non di farsele affondare. Il suo primo pensiero fu quindi quello di lasciare almeno una delle sue navi scorta con il convoglio, e di affrontare il nemico con sole tre navi, tra cui sicuramente il cacciatorpeniere Battisti armato con i 120. Mentre Mangani si arrovellava su queste alternative, il suo primo ufficiale TV Mauri gli fece notare sulla carta che secondo lui la posizione del convoglio era al di là del raggio di operazione degli aerosiluranti inglesi basati Malta, i quali erano accreditati di non più di 240 miglia di raggio d’azione quando erano a pieno armamento. Secondo Mauri ci si poteva arrischiare a lasciare il convoglio sprovvisto di scorta, mentre l’intera forza italiana affrontava la squadra di superficie britannica. Rimaneva il pericolo dei sommergibili; ma era alquanto improbabile che gli Inglesi avessero spinto qualcuno dei loro battelli, di cui peraltro non era neppure certa l’esistenza, tanto a sud ed in acque costiere.

    Dopo vari cogitamenti tra il comandante ed il suo più stretto collaboratore, si decideva di distaccare l’intera forza italiana contro i cacciatorpediniere nemici in rapido avvicinamento. L’osservazione costiera dava il nemico infatti come navigante a 24 nodi, ben sicuro quindi di riuscire ad intercettare il convoglio italiano.
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  6. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ci si appresta alla battaglia che deciderà quanti punti acquisto la 17a compagnia di Vicari avrà nella parte iniziale della campagna africana di Steel Panthers. Mettetevi comodi e fate ampia scorta di popcorn.
     
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  7. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Le quattro siluranti italiane venivano quindi distaccate in avanscoperta e mettevano tutte alla massima velocità di 34 nodi per farsi incontro al nemico ed intercettarlo in una posizione ben a levante del convoglio, al quale veniva ordinato di defilarsi sotto costa continuando a navigare a 12 nodi.

    Alle 1727 si perdeva il contatto con la formazione nemica che si occultava alla vista da terra. A questo momento dell’operazione, il convoglio si trovava 30 chilometri a levante della formazione delle siluranti italiane, la quale alla notizia della perdita di contatto con il nemico dall’osservazione delle stazioni poste a terra, ricevette la disposizione da parte del comandante Mangani di disporrsi a rastrello di ricerca, con le unità distanziate di circa 1000 metri l’una dall’altra per massimizzare il settore di ricerca e nel contempo permettere alla formazione di presentarsi comunque unita di fronte al nemico.

    Il contatto con le navi nemiche veniva ristabilito tre minuti dopo, quando queste si portavano decisamente sotto costa all’altezza di Capo Tocra e venivano avvistate dalle vedette del Cesare Battisti. Si trattava effettivamente di due cacciatorpediniere battenti la bandiera dell’Union Jack naviganti in linea di fila ad una velocità stimata di 24 nodi con rotta 51. Era improbabile che fino a quel momento avessero avvistato le navi italiane o fossero a conoscenza dell’esatta posizione del convoglio. Infatti, apprezzò il comandante Mangani Frera, se avessero conosciuto la posizione e la composizione della forza italiana e la presenza di navi da guerra in zona, non si sarebbero portate in una posizione tattica che Mangani giudicava per loro sfavorevole, strette com’erano a questo punto tra la costa e le quattro siluranti italiane. Si trattava adesso per Mangani Frera di decidere come condurre la fase tattica dello scontro.

    Per prima cosa ordinò al convoglio di portarsi nel Golfo di Quasr Libya e là di arrestare le macchine e rimanere in attesa. Mangani giudicò troppo rischioso per le navi da trasporto tentare di passare al largo di capo Tocra, cercando di trafilare verso Bengasi mentre il combattimento era in corso. La decisione del comandante fu quindi quella di fermare il convoglio almeno fino a quando la situazione tattica non si fosse stabilita sperabilmente in favore degli Italiani; e solamente dopo decidere come e se far proseguire il convoglio per la sua destinazione, a seconda dell’esito dell’ormai sicuro scontro. Al momento del contatto visivo tra le due formazioni di siluranti contrapposte, la torpediniera Ricasoli era rimasta leggermente attardata nella formazione a rastrello per via dell’imprecisa manovra con la quale era stata condotta, ma sostanzialmente la squadriglia di siluranti italiane si presentava ben compatta allo sconttro con il nemico. La prma battaglia navale tra Inglesi ed Italiani della storia, alla quale il Capitano di Fregata Mangani aveva l'onore di partecipare.
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    Ultima modifica: 23 Novembre 2019
  8. StarUGO

    StarUGO

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    :leggo::leggo::paura::paura::fame1::fame1: Siamo avidi di notizie
     
  9. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Alle ore 1730 i primi colpi sparati dalle unità britanniche, cominciavano a cadere intorno al Battisti ed al Nicotera. Un minuto dopo le due unità italiane risposero al fuoco con i cannoni prodieri sulla nave di coda della formazione britannica, mentre le torpediniere Sella e Ricasoli cominciarono il tiro contro la nave di testa. La distanza iniziale era di circa 12,600 metri. Quasi subito tutte le navi italiane tranne il Battisti cessavano il tiro, in quanto il nemico si occultava dietro il promontorio di capo Tocra e rendeva difficile il puntamento dei pezzi. Fu in questo momento che una delle due navi nemiche venne identificata visivamente ed ufficialmente come cacciatorpediniere della classe “Hardy”

    Alle 1732 il caccia inglese classe H procedeva pericolosamente a 26 nodi incontro alla terraferma con rotta 100 Gradi. Il sospetto venne imperioso al comandante Mangani a bordo del Sella, che il nemico fosse stato sorpreso dall’apparizione delle quattro unità da guerra italiane. Le navi inglesi avevano anch’esse cessato il tiro momentaneamente; per altro la seconda nave inglese era scomparsa alla vista, ma Mangani era sicuro la si sarebbe avvistata di nuovo, una volta doppiato il capo. In ogni caso lo scontro si preannunciava assai difficile vista la presenza a tale breve distanza della costa.

    Alle 1733 le vedette delle siluranti italiane perdevano il contatto visivo anche con il Cacciatorpediniere inglese della classe Hardy. Una leggera foschia e la vicinanza della terra, contribuirono sicuramente a questa circostanza.

    Alle 1734 il contatto con una delle due navi inglesi era ristabilito. Mangani diede ordine di trattenere il fuoco allo scopo di risparmiare le munizioni e di avvicinarsi a gittata veramente utile per i 100 millimetri delle torpediniere. Del resto la distanza calava molto rapidamente in quanto le due formazioni dirigevano l’una verso l’altra alla velocità combinata di quasi 60 nodi. Mangani dava l’ordine a tutte e quattro le navi italiane di aprire il fuoco sulla singola nave nemica in vista, alla distanza media di soli 6,000 metri. L’obiettivo era di annichilire una nave nemica per volta con un fuoco concentrato.
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    Il caccia inglese iniziava dunque il tiro di risposta alle 1735 ed inquadrava subito per bene il capo scorta Quintino Sella che si ritrova circondato dagli spruzzi di colpi vicinissimi. Il Caccia britannico virava per mettere in batteria tutto quello di cui poteva disporre, ma faceva l'errore di virare verso terra.
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    Alle 1736, il secondo cacciatorpediniere britannico riappariva, praticamente quasi incagliato dietro un’insenatura. Mangani diede espresso ordine di ignorarlo per il momento; voleva prima rendersi conto se era ancora efficiente o meno. Il tiro rimaneva concentrato sulla prima unità nemica, già sotto il fuoco di tutte le navi italiane anche se solo con i cannoni prodieri.
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    1737 Il Nicotera dava improvvisamente l’allarme siluri. Il lancio da quella posizione da parte del nemico era segno tangibile di disperazione. Il nemico lanciava verso la prua delle nostre navi e le probabilità di colpire sarebbero state minime. Ciò nonostante Mangani dava l’allerta a tutte le vedette ed ordinava alla squadriglia di tenersi pronti a manovrare. Improvvisamente e con sgomento, le vedette del Nicotera si accorgevano che i siluri in arrivo erano tre. Solo uno pareva essere ben diretto contro il Ricasoli, che fu prontamente avvertito dal capo squadriglia Sella. Nel contempo si osservò che una delle navi inglesi era andata ad incagliare contro costa e per il momento non sparava. Mangani confermò l’ordine di concentrare tutto il fuoco sull’altra nave nemica. Quella incagliata fu identificata certamente col suo nome a scafo: ILEX.
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    Alle 1738 anche la seconda unità inglese andava ad incagliare contro la terraferma. La nave era identificata con precisione come cacciatorpediniere HASTY. La squadriglia italiana era oramai a 1200 metri dal nemico e cominciò a mettere a segno dei colpi. Nessuna delle unità italiane era stata invece ancora colpita, fino a quando proprio il Sella, unità capo squadriglia incassava una bordata a sinistra che penetrava lo scafo e entrava in sala macchine con allagamento e danni alla sala motori 5 ed all’albero dell’elica di sinistra ed all’elica stessa. Le squadre di emergenza si mettevano subito al lavoro.

    1742 Tutte le navi italiane stringevano oramai da vicino i cacciatorpediniere britannici, uno dei quali sparava ancora ancorché incagliato. A fare le spese di questo fuoco fu soprattutto il Sella, inquadrato dalle salve dell’Ilex, che riportava danni considerevoli alla parte di sinistra dello scafo, ma non cessava mai il tiro. Il CF Mangani, invitato ad allontanarsi dall’area dello scontro pe riparare i danni, mentre le altre navi continuavano il combattimento, rifiutava sdegnosamente ed ordinava a tutte le sue unità di intensificare il fuoco. Viene tentato un lancio di siluri contro l’Ilex, ma si rivelava inutile su una nave incagliata. Entrambe le navi nemiche erano a questo punto in fiamme.
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    Alle 1744 la situazione del Quintino Sella si faceva preoccupante. La torpediniera aveva imbarcato quasi 600 tonnellate d’acqua e inclinava oramai paurosamente sulla sinistra, tanto che occorse contro allagare interi compartimenti di dritta per evitare che la nave si rovesciasse e affondasse repentinamente. Quando la sua torre poppiera venne messa fuori uso da uno dei pochi proietti che l’Ilex riusciva ancora a sparare, Mangani decise che era ora di alzare i tacchi ad evitare guai peggiori ed andare al largo a riparare le falle, o addirittura riparare su Bengasi. Nominava caposquadriglia il caccia Battisti, al comando del CC Donati e virava a dritta per allontanarsi dalla zona dello scontro.
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    1756 L’Ilex Affondava, seguito dopo un minuto dall’Hasty che veniva affondato dopo che pochi superstiti britannici erano stati tratti in salvo dal volenteroso equipaggio del Nicotera. L’Ilex andava a fondo con i cannoni di poppa che sparavano ancora è rifiutò nella maniera più categorica di arrendersi. Marinai ed ufficiali italiani non impegnati nelle operazioni di soccorso, rimasero ritti sui ponti irrigiditi nell’ultimo saluto militare agli avversari che si erano immolati rifiutando la resa. Stesso trattamento fu riservato ai devastati inglesi che vennero accolti sui ponti delle navi italiani vincitrici: onori militari al valore degli sconfitti. Alle 1802 il comandante di squadriglia CC Donati dava l’ordine al convoglio di riprendere la navigazione verso Bengasi, dove tutte le navi italiane, incluso il menomato Sella, giungevano dodici ore più tardi.
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    Terminava così la prima battaglia della storia tra Royal Navy e Regia Marina. Uno scontro vinto esclusivamente dalla maggior sagacia tattica della squadrliglia si siluranti italiane e dal devastante effetto sopresa che erano riuscite ad assacurarsi sul nemico. Lo sontro passò alla storia come battaglia di Capo Tocra e fu annunciato dal bollettino di guerra in Mediterraneo n°1 della Regia Marina, molto sobrio in stile britannico, datato 4 luglio 1940:

    "Nel pomeriggio di ieri, in uno scontro navale presso le coste della Cirenaica, una nostra squadra navale che proteggeva un convoglio di truppe dirette a Bengasi ha incontrto e distrutto due cacciatorpediniere nemici, L'Hasty e l'Ilex. Nello scontro una nostra torpediniera è stata danneggiata. I superstiti della battaglia sono stati raccolti dalle nostre navi da guerra e da una motonave che faceva parte del convoglio."

    I danni reali riportati dal Sella necessitarono di un mese di riparazioni (fuori combattimento per quattro scenari) e lievissimi danni ad un albero dell'elica di sinistra del Ricasoli che fu riparato velocemente in porto a Bengasi. Il Sella invece dovette zoppicare fino a Messina in un viaggio di ritorno insieme alle navi del convoglio vuote.
     
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  10. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Alla fine del mese di settembre il IX battaglione si trovava in linea ad est di una località chiamata Nibewa; un punto morto nel bel mezzo del deserto egiziano, costituito da quattro casupole bianche con una pista mal tracciata che attraversava l’area da sud ovest a nord est. Nella posizione in cui la 17a compagnia del Maggiore Vicari si trovava, la pista era già scomparsa sotto la costante azione del Ghibli ed era praticamente invisibile.

    Il 47° Reggimento di fanteria Lucca era dislocato in prima schiera sul fronte divisionale. La divisione era stata posta in linea in appoggio alle difese tenute dalla divisione Catanzaro; difese, secondo il comando di corpo d’armata, che avevano carattere temporaneo in attesa di riprendere l’avanzata di tutta la 10a armata in territorio Egiziano.

    Attualmente l’armata era spiegata ad arco difensivo intorno alla località di Sidi el Barrani, che costituiva per il momento il limite est dell’avanzata italiana in Egitto. La temporanea posizione difensiva era da tenere in attesa che arrivasse l’ordine di sbalzo successivo in direzione di Marsa Matruh, anche se Il servizio informazioni aveva reso noto che vi era anche la possibilità di una controffensiva nemica proprio nel settore tenuto dalla Catanzaro. Questo era il motivo per cui alla fine, la divisione Lucca era stata schierata in quell’area. Era vitale che la posizione fosse tenuta, pena la possibilità di aggiramento da sud dell’intera armata.

    Il IX battaglione si trovava sulla linea avanzata, con la 17a e la 19a compagnia in prima schiera e la 22a in riserva. La 17a del Maggiore Vicari si trovava fronte ad est, mentre la 19a presidiava l’angolo meridionale dello schieramento divisionale fronte a sud est.

    Il terreno che la compagnia si trovava a presidiare era di una natura che per gli uomini della Lucca, nuovi al teatro operativo aveva aspetti sconcertanti. La compagnia difendeva un vasto altopiano, liscio, brullo, con visuale a perdita d'occhio nella cui vastità ci si perdeva. Non un cespuglio, non un albero, non un modesto rilievo caratterizzavano la conformazione dell'area di operazioni. Le uniche variazioni di altezza erano delle minuscole depressioni sparse qua e là che avrebbero inghiottito eventuali truppe poste in esse facendole scomparire alla vista rendendo quindi impossibile il tiro da una parte e dall'altra. La superficie del terreno era costituita da vaste pietraie, parzialmente sminuzzate in elementi più piccoli, e sabbia desertica a perdita d'occhio. L'azione incessante del vento provocava il sollevamento di detta polvere, la quale in elementi microscopici penetrava dappertutto, rendendo difficile sia la vita fisica nel luogo che il mantenimento in efficienza delle armi, che andavano pulite più volte al giorno limitando al massimo l'uso di lubrificante, il quale presto si trasformava in una poltiglia abrasiva mista di olio e sabbia, condita proprio di quella onnipresente polvere fine. La temperatura, anche alla fine di settembre era intollerabile di giorno; solamente la notte si poteva avere un po' di respiro e di refrigerio. Praticamente la vita della compagnia si svolgeva di notte, essendo di giorno ogni minimo movimento una fatica di Ercole sotto il sole che tutto cuoceva e tutto ustionava. Correva notizia che con l'inizio dell'autunno le notti desertiche sarebbero addirittura divenute molto fredde, ma a questo nessuno poteva credere. Quello che disorientava di più gli uomini era la vastità e la piattezza del campo di battaglia. Nelle postazioni uno degli argomenti di discussione era quale compito immane avrebbe avuto un attaccante su quel terreno: non un riparo, non una ondulazione, a parte le citate depressioni, che consentisse un avvicinamento defilato al nemico. Era credenza diffusa che se gli Inglesi avessero osato attaccare su un tale tavolo da biliardo, sarebbero stati massacrati dalle armi automatiche della comapgnia, dal fuoco dei mortai, i cui osservatori avanzati avevano tra l'altro uno sconfinato campo visivo, e dagli obici da 100 divisionali assegnati al IX battaglione. Ultimo ma non certo minore problema erano gli insetti. Dalle mosche alle zanzare, fino ad arrivare agli scorpioni ed a ogni altro genere di volatile o strisciante genere di insetto, molti dei quali mai visti prima dagli uomini non avvezzi agli impieghi oltremare. Un caporale giurava di aver visto due gigantesche zanzare tentare di rubare uno dei trattori della sezione anticarro e desistere solo per la reazione armata dei serventi con le armi individuali.

    Per quanto riguardava lo schieramento di compagnia, Il Maggiore Vicari aveva deciso di mantenere il 3° plotone del Ten. Galliano in riserva, pronto a rafforzare, in caso di attacco inglese, qualunque punto dello schieramento avesse manifestato difficoltà. Parimenti in posizione arretrata era posto il nuovo plotone motocorazzato del S.Ten. Ferri, così come pure la sezione anticarro che era stata assegnata all compagnia prima di partire dall'talia. Tutte queste forze, insieme con il plotone comando, costituivano la riserva di compagnia. Il plotone di Angeli gravitava sulla destra dello schieramento di compagnia, mentre il plotone comando e quello motocorazzato sulla sinistra. Naturalmente, ammesso che gli Inglesi avessero davvero attaccato, non vi era nessuna informazione circa la direttrice o le direttrici che avrebbero utilizzato.

    La linea vera e propria era tenuta dal 1° e dal 2° plotone, che presidiavano rispettivamente la destra e la sinistra del fronte affidato alla compagnia. Entrambi i plotoni erano schierati secondo le norme del combattimento difensivo in vigore nel regio esercito: le squadre mitraglieri ai lati dei rispettivi settori di competenza, una squadra assaltatori al centro e l’altra in riserva. Tutte le posizioni erano costituite in buche scavate speditivamente dal personale della compagnia, inquantoché non vi era stato il tempo per organizzare vere e proprie posizioni difensive da parte del battaglione del genio divisionale. Peraltro il carattere difensivo delle operazioni era da considerarsi tale solo temporaneamente, in attesa come detto della ripresa dell’offensiva italiana. Non si era dunque ravvisata la necessità di erigere opere difensive campali o fasce minate per una difesa più statica.

    Con tale schieramento in posto, la compagnia attendeva fiduciosa l’ordine di avanzata che radio scarpa considerava imminente o, con un certo grado di apprensione, il manifestarsi dell’annunciata come possibile puntata offensiva nemica. I reparti erano schierati e pronti ad entrambe le evenienze.
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  11. StarUGO

    StarUGO

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    Dare copertura(tasto c) a tutte le unita'(quelle che possono usufruirne,solo fanteria credo) ogni turno e portare il fuoco di reazione a 1,in modo da non svelare le posizioni difensive con troppo anticipo ma ,eventualmente,solo nel proprio turno.
    Quando le percentuali di danneggiare il nemico cominciano ad essere alte,brevi raffiche,massimo una o due per non farsi avvistare,poi tasto C e di nuovo in copertura.
    Non fare comunque avvicinare il nemico a breve distanza prima di aprire il fuoco .
    Se presente,spostare il FO in posizione con massima visibilita' sulle probabili direttrici di attacco del nemico.
    Scenario piccolo pare,visibilita'??
     
  12. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Nel corso della mattinata del 30, cominciò a circolare la voce che il battaglione si preparava a muovere in avanti e che la 22a compagnia in riserva stesse per lasciare le sue posizioni per serrare sotto alle posizioni della 17a, che sarebbe stata rilevata nei suoi compiti di sorveglianza e si sarebbe preparata ad uno sbalzo in avanti di una ventina di chilometri.

    “Ebbi un veloce colloquio a voce con il signor maggiore, che mi ordinò di tenere pronto il plotone a muovere. Sembrava che fossero arrivate direttive da parte del battaglione circa un movimento in avanti dalla compagnia per correggere talune posizioni avanzate, affiancandosi e prendendo collegamento con reparti della Catanzaro” (Diario di guerra del Tenente Angeli).

    Se non che proprio all’ora di pranzo, mentre si cominciavano i preparativi per il movimento, si manifestò un violento ed improvviso fuoco di artiglieria nemica sulle posizioni della compagnia. Tutti gli uomini che stavano per prepararsi a mettere il reparto in stato di marcia, si ributtarono nelle loro buche improvvisate e cercarono di rendersi conto di quanto stava succedendo.

    “Il fuoco dell’artiglieria nemica, probabilmente 88 millimetri, cominciò a cadere fitto soprattutto dietro alle posizioni del 1° e del 2° plotone. Le salve cadevano tra la linea vera e propria ed le squadre di rincalzo. Era evidente che il fuoco non era mirato ed assumeva carattere di fuoco di preparazione, cosa che evincemmo dalla densità del tiro assai elevata” (Diario di guerra della 17a compagnia).

    Il tiro andò avanti per una ventina buona di minuti, e non fece particolari danni, visto che cadeva in zone vuote di deserto. Quando finalmente cessò tutti si sporsero fuori dalle buche per vedere a cosa era dovuta tanta cura nei confronti della compagnia. Alcune squadre avanzate erano rimaste abbastanza scosse dalla violenza del tiro, ed i loro ufficiali e sottufficiali dovettero adoperarsi per calmare gli uomini. Nessuno era abituato ad un tale volume di fuoco, non avendo sperimentato mai nella campagna precedente in Francia, nulla di simile. I reparti retrostanti la linea difensiva non poterono vedere nulla in quanto il fumo provocato dall’impatto delle salve nemiche sul terreno occludeva per buona parte la visuale davanti alle loro posizioni, ma un primo accorato allarme venne dalla sezione per il collegamento con l’artiglieria divisionale del S.Ten. Garibaldi che segnalava una compagnia corazzata nemica in avvicinamento nel settore centrale, proprio nel punto di saldatura tra il 1° ed il 2° plotone. In più una staffetta trafelata ed impolverata giunse di corsa dal plotone di Visconti al posto comando di compagnia e riferì che un plotone di carri leggeri nemici era in avanzata nel settore meridionale, oramai a non più di 600 metri dalle posizioni avanzate.

    Il Maggiore Vicari, per prima cosa si attaccò alla radio sulle frequenze del IX battaglione e del 47° reggimento, informando i comandi superiori che il nemico si pronunciava in un massiccio attacco corazzato alle posizione avanzate della divisione Lucca, con lpevidente intento di travolgerne le difese avanzate (la sua compagnia)

    Per seconda cosa, spedì il Capitano Ugo Star, nuovo vicecomandante di compagnia, a fare un giro veloce dei comandi di plotone per raccomandare a tutti di non sparare a lunga distanza per non rivelare le posizioni della compagnia, che evidentemente il nemico non aveva ancora scoperto, in secondo luogo a raccomadare la copertura ed il mascheramento della fanteria. Da a controllare di persona la posizione del S.Ten. Garibaldi e della sua sezione di osservazione del tiro, per assicurarsi che la sua ubicazione fosse quella ottimale. Svolti questi delicati compiti, Star se ne tornava a gambe levate al posto comando a far rapporto al Magg. Vicari. Quest’ultimo ricevuto il rapporto, apprezzò che gli Inglesi avevano invero dato inizio alla loro controffensiva, precedendo quella italiana ed ottenendo così un notevole effetto sorpresa; e che sviluppavano un movimento fiancheggiante da sud, con sforzo principale al centro. Immediatamente, impartì gli ordini del caso: mise in stato di allarme la sezione contro carro, che contava di schierare ai margini del modesto rilievo dietro al 1° plotone, fronte a nord est, in maniera da poter prendere eventualmente sul fianco la compagnia corazzata nemica che avanzava al centro. In secondo luogo ordinava al plotone esplorante di prepararsi a muovere a sud in rinforzo allo stesso 1° plotone per respingere la puntata dei carri leggeri. La riserva principale della compagnia era pure allertata (Plotone Angeli) per il possibile impiego là dove se ne fosse presentata necessità più impellente. La battaglia di Nibewa era cominciata.
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  13. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    A dare una dimostrazione di come fanteria appiedata doveva comportarsi contro carri armati, ci pensò di iniziativa il Sgt. Pardi del 1° plotone di Visconti, quando un carro leggero MK IV britannico si appropinquò alla sua posizione in buca.

    “L’attacco nemico in qualche modo andava pur fermato. Per cui feci animo ad i miei uomini e preparammo tutte le bombe a mano che potemmo. Poi ci slanciammo fuori dalle buche incontro alla prima di quelle scatolette di ferro che venivano avanti cigolando verso di noi. Quelli evidentemente non si accorsero del nostro movimento, forse anche per via del fumo che stazionava sul campo di battaglia. Mi arrampicai personalmente sul primo carro, e ficcai una bomba a mano nella feritoia del grosso cilindro che faceva da torretta, poi balzai per terra. Il carro esplose ed eruttò fuoco e fiamme; probabilmente era andata al diavolo la riserva di munizioni del mezzo. Sfortuna volle che dietro al primo carro ne sopraggiungesse un altro che individuò la mia squadra in movimento e ci prese sotto il fuoco delle sue mitragliatrici. Perdetti quattro uomini ed il resto se la diede a gambe.” (Diario di guerra del Sgt. Pardi, 1° plotone, 17a compagnia IX battaglione di fanteria).

    Nonostante le perdite subite, l’esempio della squadra di Pardi venne seguito dalla terza squadra del Sgt. Curcio: quando un secondo carro leggero oltrepassò la loro posizione senza avvedersi della presenza della fanteria italiana. Anche questo mezzo fu attaccato ed immobilizzato. Poi la fanteria si dette a bersagliare il mezzo con la fucileria e tiri concentrati di bombe a mano. Il Sgt. Marinello attaccò un terzo carro tentando di prenderlo alle spalle, ma sfortunatamente un membro dell’equipaggio avvistò la squadra italiana in avvicinamento e compì un veloce movimento rotatorio sui cingoli. Poi uccise un soldato italiano con le mitragliatrici.

    Intanto continuava lo spostamento del plotone motocorazzato che aveva come obiettivo proprio quel plotone leggero inglese; motociclisti in testa, seguiti dal carro comando L3, questa forza celere si preparava ad intervenire a sud ed eventualmente a convergere in secondo tempo al centro per prendere sul fianco la compagnia corazzata nemica sul fianco destro.

    Ci si accorse infine che il movimento dei cannoni anticarro, trainati dai loro trattorini campali era troppo lento e ci sarebbe voluto del tempo prima che questi pezzi potessero essere messi in batteria sul fianco sinistro della grossa compagnia corazzata inglese. Il tipo dei carri nemici non era ancora stato identificato, ma si trattava di carri più grossi di quelli contro i quali il 1° plotone stava combattendo. In più il conto di questi era arrivato a 12, più due autoblinde che si tenevano a rispettosa distanza nel terreno rotto al margine del campo di battaglia ed osservavano l’azione. Il Magg. Vicari cominciò ad essere seriamente preso dal dubbio di non avere abbastanza effettivi per fermare il poderoso attacco nemico. Dal comando di battaglione, tardiva ed inutile, gli pervenne la comunicazione che contro la Lucca si stava muovendo la 7a divisione corazzata britannica, con il 22° reggimento carri in testa, che puntava dritto contro il IX battaglione fanteria. Occorreva fermarlo.

    Vicari si mise in contatto con il S.Ten. Garibaldi.

    “Quanto ancora per l’appoggio dell’artiglieria”.

    “Un turno, comandante, nel prossimo turno cominciano a cadere le prime salve; poi continueranno nel turno successivo. La mia difficoltà è di centrare un bersaglio in movimento così veloce; nessuna garanzia signore, ma farò del mio meglio.”

    Il primo carro armato medio sbucò dal fumo alla fine del turno 3. Fu preso sotto il fuoco caparbio e continuo della sezione di mitragliatrici Fiat M14 del Sgt. Braccio. Non che il fuoco causasse danni al bestione corazzato, ma si ebbe l’impressione che almeno rallentasse la sua marca disorientato dal fuoco ed incapace di scoprirne la sorgente. Alla fine del turno 4 emergeva dal fumo un secondo carro inglese, e l’intera compagnia si presumeva seguisse questi due. Oramai il nemico era sul punto di giunzione tra il 1° ed il 2° plotone e si imponevano misure radicali. Proseguendo nella sua direzione di marcia, la compagnia carri nemica sarebbe penetrata nelle posizioni del plotone di rincalzo del Ten. Angeli, e la speranza di Vicari era che a quel punto i cannoni anticarro sarebbero stati in posizione sul fianco sinistro del nemico. Il Maggiore si ritrovò stranamente calmo, nonostante le circostanze stessero volgendo a sfavore della sua compagnia. La consegna era fermare l’attacco di rottura inglese; l’avrebbe fermato o sarebbe morto. Di tornare al comando reggimentale o di battaglione a riferire di un insuccesso, non aveva nessuna intenzione.
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  14. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    La posizione del plotone del Ten. Visconti si presentava sempre più disperata man mano che il tempo passava. La squadra del Sgt. Marinello era decimata mentre cercava di ritirarsi dal raggio d’azione dei superstiti carri leggeri inglesi, di cui ne rimaneva pienamente efficiente uno solo, ma quell’uno imperversava libero tra le truppe italiane in ripiegamento. Vista la situazione critica della massa del suo plotone, il Ten. Visconti abbandonava di sua iniziativa la posizione difensiva con la sua squadra comando, conscio anche del fatto che aveva perso i collegamenti con la compagnia e non riceveva più ordini. Prese quindi ad avanzare verso sud nel tentativo di ricollegarsi a quello che rimaneva del suo devastato plotone. Non aveva fatto 200 metri tra sabbia a fumo che si trovò di fronte uno dei carri grossi inglesi che aveva fatto irruzione nella posizione difensiva. Tutti lanciarono prontamente bombe a mano, una delle quali distrusse la cingolatura del carro. Un membro dell’equipaggio aprì il portello incautamente, per vedere cosa era successo. Fu ammazzato immediatamente con una sventagliata di Breda sparata tenendo l’arma al fianco da uno dei serventi ed in più un’ulteriore nugolo di bombe a mano lanciate dal resto della squadra determinò la distruzione del carro, quando una di queste penetrò all’interno dalla botola aperta e fece saltare le munizioni stivate all’interno. Tutti si gettarono a terra per evitare i rottami che schizzavano in ogni direzione.

    “Nel rialzarmi, vidi zigzagante da ovest una motocicletta che avanzava tra il terreno pietroso a forse 600 metri da noi. Capii che il plotone meccanizzato stava arrivando e che forse l’attacco degli Inglesi a sud l’avremmo fermato. In più non capivo come mai mi ritrovai di fronte ad un carro grosso inglese, quando i miei mi avevano riferito che l’attacco contro di noi era stato portato da carri leggeri.” (Visconti era all’oscuro del fatto che un’aliquota di carri medi aveva deviato verso sud, probabilmente allertato da una richiesta di soccorso del plotone leggero preso di petto dalla fanteria italiana).

    A nord la situazione non si presentava migliore, col grosso della compagnia corazzata britannica che convergeva verso nord ovest per svellare completamente le posizioni del plotone di Galliano. Questo sforzo era pure appoggiato da un plotone di fanteria inglese che era apparso all’improvviso appunto nel settore nord del fronte. La 3a squadra aveva individuato almeno due gruppi di fanteria inglese in avanzata di fronte a sé. Galliano avrebbe partecipato volentieri al fuoco d’arresto nei confronti di questa fanteria nemica sopraggiungente alla sua sinistra, senonché aveva una decina di carri medi inglesi che gli arrivavano addosso da sud, e nulla con cui fermarli. D’iniziativa la sezione mitraglieri tentò di ingaggiare questa fanteria, ma venne subito ridotta a miti consigli dal fuoco dei carri che come detto provenivano da sud.

    Oramai era chiaro che se qualcuno poteva provare a rallentare l’avanzata nemica, questi era la sezione anticarro, che arrancava sul basso ciglione trainata dai suoi ridicoli trattori alla misera velocità di 10 chilometri orari; sarebbe occorso ancora qualche turno perché i pezzi fossero in posizione, e quantunque c’era da sperare che sparando sul fianco e sulle terga della compagnia carri nemica, potesse impensierirla. In mancanza di successo in questo senso, non si vedeva come arrestare la massa di carri nemici. Attacchi isolati di fanteria contro carri isolati, avevano fino a questo punto registrato qualche successo; ben altra cosa era assaltare con fanti armati di bombe a mano una formazione nemica compatta e ben organizzata.

    Tra l’altro la conversione a nord della compagnia carri inglese frustrava la direttiva data al plotone di Angeli di rimanere nelle buche ed attendere i carri nemici su posto, ora che tali carri non si dirigevano più contro di lui. Il rischio era naturalmente che i corazzati nemici distruggessero le posizioni della fanteria italiana una alla volta, profittando della loro scarsa mobilità.

    La sezione di osservazione dell’artiglieria del S.Ten. Garibaldi, che non aveva osato muoversi o rivelarsi al nemico assisteva adesso alla parata dei carri inglesi che le sfilava dritta di fronte, convergendo appunto come in parata a destra per plotone. Garibaldi non poté fare altro che chiamare una nuova missione di artiglieria su quei mezzi, visto che la prima era andata nettamente fuori bersaglio a causa della velocità di questi. Garibaldi sperava che se i carri si fossero atttardati ad impegnare le singole posizioni del plotone di Galliano, avrebbero rallentato abbastanza per essere ben inquadrati dal battaglione di artiglieria. Quanto poi alla capacità del fuoco indiretto da 75 mm di danneggiare un carro medio nemico, questo era tutto un altro discorso.

    Il Magg. Vicari, informato in tempo reale proprio dal S.Ten. Garibaldi circa gli sviluppi della situazione cominciò a pensare che la sola speranza per la 17a compagnia fosse di avanzare tutta la riserva sul fianco sinistro della carraglia nemica mentre questa era ancora fronte a nord, col duplice scopo di sorprenderla e di agire a massa con tutte le sue forze in un unico scontro decisivo. Stare fermo sul posto, avrebbe significato soltanto farsi smontare i plotoni uno alla volta dai corazzati nemici, e perso per perso, preferiva perdere attaccando, tanto più che si era già dimostrato che in circostanze fortunate, una squadra poteva mettere un carro armato fuori combattimento. Si apprestò quindi a inviare staffetta al plotone di Angeli ed a muovere il suo stesso plotone comando all’attacco disperato.
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  15. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    I carri medi che ho di fronte son A13 Mk I: tutto sommato carri piuttosto mediocri, ma ababstanza efficienti contro moschetti, mitragliatrici e bombe a mano. Speriamo di riuscire a mettere in batteria i 47 presto.
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  16. StarUGO

    StarUGO

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    :fumo1::fumo1: Promosso sul campo dal gen.Varriale. :fumo1::fumo1:
     
  17. StarUGO

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    Arrivare con i trattori in posizioni allo scoperto e vicino ai carri nemici mi pare MOLTO rischioso.
    Se c'e' linea di tiro conviene mettere i pezzi in posizione dove si trovano ed attendere che il nemico tenti di impossessarsi dei V-hexes della zona sud-ovest.
     
  18. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ed infatti mi sono affrettato a sganciarli non appena in vista del nemico.

    La battaglia si andava oramai concentrando nel settore centrale. Qui accorreva il Magg. Vicari in persona con il suo plotone comando riunito ed affluiva pure la 1a squadra del 3° plotone del Ten. Angeli. Obiettivo di questa aliquota di forze era spuntare l’offensiva dei carri, attaccando il primo che si presentò sull’altopiano, che per altro non costituiva ostacolo anticarro in ragione della sua modestissima elevazione.

    L’intero plotone comando e la squadra del 3° provarono ad assaltare il carro nemico utilizzando principalmente bombe a mano, ma non ci fu verso; anzi alcune squadre intimorite dalla massa e dalla mole del carro nemico si scansarono all'ultimo momento invece di attaccare. Non possiamo biasimarle più di tanto; ci vuole un coraggio a tutta prova per assaltare un carro armato a mani nude. Gli Inglesi per nulla impressionati dallo sforzo della fanteria italiana, si limitarono ad aprire il fuoco con le loro mitragliere di bordo, ferendo gravemente uno degli uomini del plotone comando, il che aumentò la soppressione di tutte le altre squadre coinvolte nell'azione. A valle un altro intero plotone di cruiser britannici attendeva di iniziare la salita.

    Più a est, il 2° plotone del S.Ten. Galliano cominciava ad essere anch’esso seriamente impegnato da sud, dove la squadra comando era a sua volta investita da corazzati nemici, e da est dove la 3a squadra del neo arrivato Sgt. Calderone era attaccata da un plotone di fanteria leggera inglese (quello individuato in precedenza). Rimanevano ancora dotate della loro mobilità tattica la 2a squadra, all’estremo nord dello schieramento di compagnia, ed il rincalzo di plotone, costituito dalla 1a squadra del Sgt. Ricci. La posizione del plotone era critica; mezzo tagliato fuori dall’attacco corazzato e fissato da est dalla fanteria britannica, che però sembrava aver subito una battuta d’arresto a causa del fuoco sia della fucileria del plotone che di quello dalla sezione mitraglieri di compagnia del Sgt. Braccio. A proposito di questa preziosa sezione armi pesanti, se ne cominciava a valutare il ripiegamento sulle posizioni della riserva del plotone di Galliano, in quanto aveva oramai carri nemici a 100 metri a sud delle sue buche. Unica preoccupazione; che venisse fatta segno di fuoco durante il movimento.

    A sud la condizione rimaneva preoccupante, con il 1° plotone oramai sfasciato ed in rotta disordinata verso est. E’ vero che stava accorrendo il plotone meccanizzato esplorante, anche se oramai tanto meccanizzato non era, che entrambe le pattuglie esploratori avevano dovuto essere appiedate, inquantoché i tricicli Guzzi che le trasportavano si erano irrimediabilmente impantanati tra le dune. Rimanevano motorizzate la sezione motociclisti, che però aveva un ferito grave su tre uomini a seguito del tiro a lunga distanza di una mitragliatrice di un carro armato nemico ed il comando del plotone sempre montato sull’unico carro L3 in dotazione al IX battaglione di fanteria. L’idea del S.Ten. Ferri, comandante del plotone, era quella di portare il suo mezzo sul fianco sinistro degli Inglesi e prenderli d’infilata con la mitragliera del carro, mentre gli esploratori appiedati avrebbero tentato di arrestare definitivamente i restanti carri leggeri britannici. Il piano pareva pure buono sulla carta, se non fosse stato per il fatto che, in lontananza da est erano visibili in afflusso un gruppo di autoblinde britanniche accompagnate da un ulteriore carro medio, forze più che sufficienti a mettere in crisi il plotone motocorazzato italiano.

    L’unica buona notizia era che i trattori che trainavano i pezzi da 47 erano riusciti ad arrivare indisturbati in un punto sull’altopiano dal quale potevano prendere di mira i carri inglesi che avessero fatto capolino al culmine della salita; anzi il carro che già era salito sull’altopiano, era chiaramente in vista. Tosto, si provvide a sganciare i due pezzi anticarro ed a metterli in batteria per il turno successivo. Avrebbero anche in verità potuto iniziare il tiro immediatamente ma con un 8% di possibilità di colpire, vi sarebbe solamente stato il rischio di rivelare prematuramente la propria posizione e farsi distruggere sul posto. Il Sgt. Tonti che comandava la sezione, non se la sentì di correre questo rischio, e giustamente aggiungeremo noi.

    Insieme a questa buona notizia, vi era pure da considerare il fatto che, il maglio corazzato inglese concentrato a valle dell’altopiano aveva, come era stato nelle previsioni del S.Ten. Garibaldi, rallentato la velocità di marcia, anche per cautelarsi contro la fanteria italiana, specialmente del 2° plotone presente in zona. Questo avrebbe forse permesso di inquadrare quei carri in un tiro di interdizione da parte del battaglione di artiglieria da 75 nelle retrovie. Per di più si era scorta nella zona di tali carri anche una squadra di fanteria inglese, che si presunse avesse viaggiato a cavallo dei carri stessi; non se ne spiegava altrimenti l’improvvisa apparizione in una zona così avanzata del campo di battaglia. Almeno a questa e alle altre eventuali squadre inglesi presenti in quell’area, l’artiglieria italiana avrebbe fatto male.
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  19. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Alla fine del turno 11 sui 38 previsti, la situazione della compagnia cominciava ad essere grave. Si poteva dire che di efficiente rimaneva solamente il 3° plotone del Tenente Angeli e la sezione anticarro, che già aveva distrutto un cruiser nemico e ne aveva immobilizzato un secondo. Il problema era che scaglione dopo scaglione, continuavano ad affluire truppe britanniche lungo tutta l’ampiezza del campo di battaglia, e la compagnia stava rapidamente raggiungendo il punto di saturazione difensiva.

    A nord, il plotone di Galliano faticava oramai a trattenere la massa della fanteria nemica, valutata ad almeno una compagnia di fucilieri, ed anzi la squadra comando di Galliano si era liquefatta e l'ufficiale era disperso. Delle squadre rimanenti, la 2a era in ripiegamento all’estremo nord sotto la pressione di un plotone nemico che l’aveva sloggiata col fuoco dalle sue postazioni;la 3a resisteva ancora alla pressione di un secondo plotone di fanteria inglese che la incalzava da vicino, mentre la 1a che rappresentava la riserva del plotone, era bloccata in posizione arretrata dal fuoco dei carri inglesi che avevano fatto irruzione nel settore centrale. Nelle posizioni di quest’ultima squadra aveva trovato rifugio anche la sezione mitraglieri di compagnia, che avevano ripiegato sotto la pressione insostenibile dei corazzati nemici. Si poteva dire che l’efficienza bellica del plotone fosse oramai prossima allo zero.

    Il plotone di Angeli aveva contrattaccato ed anche con un certo successo, la penetrazione dei carri armati inglesi che si riversavano al centro del fronte. Secondo il Magg. Vicari almeno un reggimento corazzato inglese stava essendo impiegato per sfondare le linee italiane, in maggioranza al centro ed a sud. Il Ten. Angeli aveva personalmente immobilizzato un carro nemico con una bomba a mano esplosa sul cingolo destro del mezzo nemico, che era poi stato distrutto dal tiro di un cannone anticarro. Così facendo Angeli aveva dimostrato che in un certo qual modo era possibile combattere contro i carri armati inglesi che non erano inarrestabili.

    “Provai un certo disgusto nel vedere che altre squadre di fanteria che non nominerò, davanti ai corazzati nemici che tentavano di risalire il pendio dell’altopiano, se la dessero a gambe senza nemmeno provare a combattere”. (Diario di guerra del Ten. Angeli)

    La squadra che il Ten. Angeli non volle nominare era segnatamente una delle tre squadre del Magg. Vicari, che volse in fuga davanti ad un cruiser inglese avanzante, il quale alla fine fu messo fuori combattimento dal Vicari stesso. Delle tre striminzite squadre che componevano il plotone comando, solamente quella del maggiore riuscì a distinguersi in quella particolare fase del combattimento, come detto distruggendo un carro nemico assaltando con le consuete bombe a mano.

    Dal punto di vista strategico, e nonostante questi parziali successi del plotone del Ten. Angeli e di quello del comandante della compagnia, la situazione andava deteriorandosi rapidamente anche per queste forze, dal momento che a sud si stava verificando un’infiltrazione di altre forze corazzate nemiche, nella misura di un plotone carri, accompagnati da almeno una autoblindo. Queste forze minacciavano da vicino il fianco sinistro di Angeli e di Vicari. E questa non era che la punta dell’iceberg, inquantoché un’ulteriore compagnia di fanteria inglese o forse australiana era in marcia anch'essa direttamente a sud delle posizioni del plotone di Angeli. Si erano pure avvistati un paio di enormi carri armati, ancor più grossi di quelli medi con cui la compagnia stava avendo a che fare.

    all’estremo sud del fronte, il plotone motocorazzato, che doveva sorprendere il nemico sul fianco sinistro ed arrestarlo, era invece stato sorpreso lui da forze nemiche preponderanti, consistenti in un ulteriore plotone corazzato ed uno esplorante su autoblindo leggere.

    La preponderanza numerica del nemico era quindi schiacciante; secondo le valutazioni di Vicari almeno di 4 a 1 o forse anche di 5 a 1. Non ci fu modo né tempo di calcolare esattamente i rapporti di forza. Per quanto riguarda invece le differenze qualitative, non c’era neppure da parlarne; non che la qualità dell’armamento italiano fosse scadente, come poi fu propagandato dalla storiografia ufficiale, semplicemente le nostre forze non avevano le armi adatte ad affrontare il tipo di mezzi messi in campo dall’avversario.

    Comunque c’erano 27 turni ancora da affrontare e poche e disorganizzate forze con cui farlo.
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  20. StarUGO

    StarUGO

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    Mi sa che stavolta l'IA si e' scolata un buon numero di punti in piu' nel rifornirsi di unita',anche perche' mi sembra uno scenario Attacco-difesa.
    Non era un'assalto? Niente possibilita' di mine e bunker AT?
    La vedo male.
     

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