SPWW2 AAR Naia in tempo di guerra; c'ero anch'io

Discussione in 'Le vostre esperienze: AAR' iniziata da Luigi Varriale, 31 Ottobre 2019.

  1. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Si era appena fatto in tempo a respirare di sollievo per il mancato avvistamento del CANT n° 1 della 88a squadriglia da parte degli Hurricane inglesi, quando improvvisamente il velivolo segnalò di essere sotto attacco di un secondo gruppo di caccia nemici che gli proveniva questa volta alle spalle. Si perse il contatto con l’idrovolante che era stato presumibilmente abbattuto dalla caccia nemica e quindi si perse il contatto anche con il gruppo PA inglese.

    La notte passò assolutamente tranquilla, ed alle 0533 del 3 dicembre, il convoglio Prosepina cominciava le operazioni di scarico nel porto di Tripoli. La parte più importante della missione italiana era così conclusa. Si trattava adesso di cautelarsi da eventuali azioni aggressive da parte della Royal Navy, eventualmente di impedire il transito del suo convoglio, e di riportare le navi del Prosepina sane e salve in Italia. Per quest’ultima operazione si decise, alla luce della presenza del gruppo portaerei nemico nei pressi della Tunisia, di far ritornare il convoglio per una rotta a levante di Malta, acque nelle quali la ricognizione strategica italiana non aveva ancora individuato nessuna attività nemica. Inoltre l’VIII divisione incrociatori era giunta ad una settantina di miglia a ponente di Palermo e si teneva pronta ad intervenire contro gli elementi britannici provenienti dal Mediterraneo Occidentale.
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    La mattina del 3 dicembre, a causa di un inconveniente tecnico si dovette ritardare fino alle 0649 la preparazione degli aerei da ricognizione dell’alba. Questa cattiva notizia fu compensata dal rientro a Palermo dell’idrovolante CANT 506 dell’88a squadriglia del sgt. Pilota Ariosto, che si era dato precedentemente per perduto a causa della caccia britannica. La cosa fu particolarmente gradita e tolse un gran peso dallo stomaco di tutto il personale di Aeronautica Sicilia. D’altro canto occorreva ed occorre essere ben consci del fatto che non è possibile fare la guerra senza subire perdite. Comechessia, circa alle 0700 del 3 dicembre, tutte le squadriglie da ricognizione dell’aeronautica erano pronte a decollare per il terzo giorno di operazioni. L’ammiraglio Spadari diramò più o meno alla stessa ora nuovi ordini per l’VIII divisione Incrociatori dell’ammiraglio Manenti: assumere linea di pattugliamento tra la Sicilia e la Sardegna, con pendolamento 260 – 70 gradi.

    Alle 0735 un ricognitore CANT partito dall’idroscalo di Palermo, ancora una volta quello del Tenente Molinari, avvistò di nuovo il gruppo portaerei inglese, questa volta con rotta 27 gradi ed a sole 37 miglia ad ovest dell’VIII divisione incrociatori; così vicino che al ricevimento del cifrato dal ricognitore, tutti nel salone comando di Supermarina rivolsero lo sguardo all’ammiraglio Spadari, nella speranza che questi desse l’ordine di attacco alla potente divisione incrociatori italiana.

    Si controllarono rapidamente rotte e distanze e si determinò che l’attuale posizione del gruppo portaerei nemico era nel raggio della caccia italiana; ragion per cui, l’ammiraglio Spadari dopo aver dato un’occhiata circolare ai suoi ufficiali di stato maggiore ed essersi soffermato pensoso sulla grande mappa appoggiata sul gigantesco tavolo di carteggio del salone, improvvisamente rialzò la testa e pronunciò le seguenti parole:

    Lanciamo le forze aeree.

    Nulla disse l’ammiraglio circa un attacco della divisione incrociatori.(estratto diario di guerra Supermarina)

    Immediatamente venne diramato l’ordine alla 54a squadriglie BT di Castelvetrano del maggiore Senigallia ed alla 71a squadriglia caccia del capitano Tenaglia di alzarsi in volo per andare ad attaccare la formazione nemica. Alla VIII divisione incrociatori venne telegrafato di mantenere la rotta di pendolamento in attesa degli esiti dell’incursione. Tale rotta fu accorciata e portata su asse 270 – 90 per consentire alla divisione di rimanere nelle vicinanze del gruppo nemico. Non era stata avvistato alcun ricognitore inglese nelle vicinanze della divisione, e quindi si poteva presumere che la sua presenza e posizione fossero ancora sconosciute al nemico. La battaglia stava per cominciare. La prima battaglia aeronavale della storia.

    Questa volta fu ordinato al ricognitore CANT 506 di prendersi il rischio di rimanere nelle vicinanze del gruppo nemico allo scopo di mantenere il contatto e di guidare con precisione l’incursione dei bombardieri sul bersaglio.
    Il CANT 506 del sgt. pilota Ariosto ammarato all'idroscalo di Palermo, quando era già stato dato per disperso
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    Alle 0757 il gruppo portaerei britannico aveva imperterrito mantenuto la sua rotta per 27 gradi e ridotto la distanza con la VIII divisione incrociatori a sole 30 miglia. Si moltiplicava il rischio che la divisione italiana venisse avvistata, ammesso che non lo fosse già stata, e si imponevano quindi decisioni da parte dell’ammiraglio in Mare Manenti e dell’ammiraglio Spadari a Roma. Gli incrociatori di Manenti si trovavano in quel momento con rotta 272 quasi al limite occidentale della loro linea di pendolamento e preparavano la manovra di contromarcia per 90 gradi, disposti in linea di fila nel seguente ordine: CT Artigliere CF Lombrusco, CT Alpino CF Macrin IP Zara CV Baroni nave ammiraglia con a bordo l’ammiraglio Manenti, IP Pola CV Bianchi Sermona. Chiudevano la formazione in linea di fila il CT Folgore CF Scranna ed il CT Baleno CF Vullo. Alle 0800, l’ammiraglio Manenti dava ordine di rimaneggiare la formazione della divisione disponendo i CT in schermo antiaereo per i due incrociatori, data la vicinanza del gruppo portaerei nemico, in attesa degli ordini di operazione da Supermarina. L’ammiraglio Manenti ordinava anche di iniziativa un cambiamento di rotta mettendo la prua della divisione per nord, in maniera da mantenersi in contatto col nemico ed allo stesso tempo avere la possibilità di schierare tutti i CT sul lato sinistro rivolto alle possibili offese aeree. Questo ordine l’ammiraglio Manenti lo dette senza attendere disposizioni da Supermarina, valendosi delle sue facoltà di comandante in mare e non ritenendo che tale iniziativa tradisse l’intento operativo del comando a Roma.
    Il Cacciatorpediniere Artigliere in una immagine ante guerra
    RN_Artigliere.jpg
    Alle 0810 il gruppo portaerei inglese invertiva la rotta, sempre sotto la sorveglianza del CANT del Ten. Molinari e virava per 162 gradi, dirigendo sul canale di Sicilia. Questa manovra confondeva alquanto i comandi italiani che non sapevano come interpretare il comportamento del gruppo nemico. Forse aveva avvistato l’VIII divisione incrociatori. In ogni caso a quell’ora, l’incursione aerea italiana si trovava a 40 miglia a sud est dalla portaerei inglese e continuava a stringere la distanza.
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    Alle 0813 l’incursione aerea italiana incontrava la caccia britannica della portaerei della forza H ed uno dei caccia della 71a squadriglia “Teste di Morto” veniva abbattuto dagli Hurricanes inglesi, quello del Tenente pilota Sinnino, che riusciva a lanciarsi con il paracadute e veniva successivamente raccolto in mare dal CT Folgore di scorta alla VIII divisione incrociatori. Contemporaneamente alla notizia di questo primo scontro, Aeronautica Libia, per mezzo di uno dei suoi ricognitori segnalava la presenza in mare di un secondo gruppo portaerei nemico, evidentemente quello della Mediterranean Fleet, che veniva individuato dal CANT 506 n°2 della 94a squadriglia per l’osservazione aerea del sgt. Pilota Lamberti con a bordo l’osservatore della marina STV Giuliani. Questo secondo gruppo PA veniva avvistato 150 miglia a sud est della penisola di Pachino(Sicilia), anch'esso composto da una PA, 1 I e due CT. Questo poneva nuovi ed assilanti interrogativi allo stato maggiore di Supermarina circa la missione di questa seconda formazione britannica, solo parzialmente alleviati dal fatto che per il momento nulla si poteva fare per fronteggiare questa nuova minaccia. La formazione nemica procedeva in direzione di Tripoli, forse con l’intento di eseguirvi un attacco aereo o forse era diretta ad appoggiare le operazioni della Forza H nel Mediterraneo occidentale.

    Per quanto riguardava l’VIII divisione incrociatori, quando l’ammiraglio Manenti ricevette ricevette anche lui l’aggiornamento sulla nuova rotta del primo gruppo portaerei britannico, ordinò un’inversione di rotta delle sue navi per 180, in maniera da mantenersi tra il nemico e la Sicilia, e poter rispondere così ad ogni ordine che fosse arrivato da Roma con tempestività.
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  2. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Aeroporto militare di Castelvetrano; Sicilia

    Siamo giunti da non molto alla nostra nuova destinazione di Castelvetrano; una destinazione provvisoria. Il Tenente Colonnello Gioda ha deciso per il trasferimento qui della nostra squadriglia perché a quanto pare c’è in corso una gigantesca operazione navale da parte degli inglesi, e la squadriglia delle cicogne è coinvolta nelle operazioni. Dovrebbero operare i BR 20 del Maggiore Sinigallia nel Mediterraneo Occidentale, dove corre voce sia stato individuata una portaerei nemica con la sua scorta navale. Il Comandante Gioda ha anche detto che da qui a poco dovrebbero arrivare in Sicilia anche gli Sm 79 del Capitano Mussolini, terzogenito del Duce ed operativo con la 242a squadriglia BT, attualmente basata in Puglia. Quando vi dico che questa non è l’Italietta di inizio novecento, mi dovrà credere chi leggerà in futuro questo diario. Il figlio del Duce che combatte come qualunque altro ufficiale della gloriosa Regia Aeronautica. Il capo del fascismo, manda suo figlio a combattere, naturalmente nell'arma fascistissima. Quando vi dico che c’è una differenza…

    Il nostro compito è quello di far da scorta ai bombardieri che si leveranno in volo in questa operazione aeronavale, alla conclusione della quale, il Ten. Col. Gioda dice che ce ne ritorneremo nel nostro aeroporto madre di Gerbini. Per quanto mi riguarda, non mi interessa molto dove siamo basati. La Sicilia è magnifica da qualunque punto cardinale la si guardi ed in qualunque posto si sia di base; anche a dicembre. Ieri sera abbiamo battezzato un bar vicino all'aeroporto. Il battesimo ci è costato un intervento dei Carabinieri su chiamata d’urgenza del proprietario a causa di una rissa scoppiata tra noi ed alcuni locali non molto gentili. Noi le risse siamo abituati ad averle con gli aeroplani inglesi e quindi questi picciotti siciliani non ci impressionano troppo. Comunque il fuggi fuggi generale è stato spettacolare, visto che le grane con i Carabinieri e conseguentemente con il capitano Tenaglia, preferiamo evitarle. Una cosa che mi impressiona di queste località siciliane è la scarsità di ragazze. Ad una certa ora scompaiono dalla circolazione e le serate diventano veramente noiose. Comunque, bellissima la cittadina, piena di monumenti antichi, tra cui un magnifico anfiteatro romano di cui non ricordo il nome.

    Siamo rimasti inattivi per un paio di giorni dopo il nostro arrivo, ma già al terzo giorno siamo in stato di allarme nell’attesa, dice il capitano Tenaglia, che la portaerei nemica metta il naso abbastanza ad est da entrare nel nostro raggio d’azione.
    Ciò puntualmente accade il 3 dicembre, quando giunge improvviso l’ordine di preparazione per noi e per le cicogne con le quali adesso condividiamo l’aeroporto.
    L'aeroporto militare di Castelvetrano, con le cicogne Br 20 ed i Macchi intorno alla pista
    Campo_di_volo,_Castelvetrano,_Italia_-_Aprile_1942.jpg

    La missione in programma è "naturalmente" una scorta ai Br 20 che hanno il compito di attaccare la formazione navale nemica, costituita da un certo numero di navi da guerra inglesi. L’obiettivo "naturalmente" è la portaerei.
    Volo come numero due del comandante di squadriglia, e sono quindi provvisoriamente assegnato alla sezione rossa. Un onore che mi sono guadagnato con l’abbattimento del Gloster su Malta. Non male volare come numero due del capitano Tenaglia alla mia seconda missione.

    Il Pre missione è un vero travaglio, con il capitano che non smette di farci raccomandazioni circa gli avversari che incontreremo. La ricognizione navale ha accertato che la portaerei ha a bordo dei caccia Hurricane che sta probabilmente lanciando su Malta come rinforzo della difesa aerea dell’isola. Non sono aerei imbarcati, ma possono comunque decollare dal ponte di volo di una portaerei per andare ad installarsi poi sugli aeroporti maltesi in maniera da andare a sostituire i vetusti Gladiator che difendono l’isola dalle nostre incursioni.
    Il comandante ci riferisce tutte le informazioni che ha sull' Hurricane. Ha con sé alcuni rapporti compilati dai cacciatori germanici che combattono sulla manica contro questo tipo di aereo. Non per abbassarci il morale, ma solo a titolo di avvertimento, Tenaglia ci informa che l’Hurricane è più veloce dei nostri Macchi di una cinquantina di chilometri orari, vira meglio ed è meglio armato. L’unico vantaggio che abbiamo su di lui, riferisce il capitano, è che saliamo meglio e che siamo più veloci in picchiata. Quindi, se ci troviamo in combattimento, dobbiamo portare lo scontro sul piano verticale. Non provate a manovrare contro quello se ci troviamo in combattimento. Se in posizione vantaggiosa, attaccate, se no cercate di seminarli in cabrata, visto che la quota in programma per la missione è basa. Soprattutto il nostro compito e di difendere le cicogne, non lo dimenticate.

    Mezz’ora dopo, siamo in testa pista pronti al decollo. La quota di missione prevista è di 1500 metri, perché i bombardieri approcceranno il bersaglio circa a quella quota per aumentare la precisione di sgancio, anche a costo di subire più fuoco contraereo. La cosa è buona in quanto siamo a dicembre, e senza la cabina riscaldata volare in quota comincia a diventare un problema. La sezione rossa è nella posizione di sinistra della squadriglia, con me all’estrema destra, il capitano Tenaglia in mezzo e Sinnino sulla sinistra. Facciamo quota e mettiamo la prua ad ovest, dove le cicogne ci attendono volando in cerchio sull’aeroporto. Quando siamo tutti a livello, ci mettiamo in rotta per l’obiettivo che è segnalato dall’aviazione da osservazione al limite della nostra autonomia di combattimento: 100 miglia. Non abbiamo molto tempo sull’obiettivo. Quindi toccata e fuga; distrarre la caccia nemica e poi mettersi velocemente sulla via del ritorno non appena le cicogne hanno completato il loro attacco.

    Ci lasciamo alle spalle Trapani e la costa siciliana; la visibilità è piuttosto schifosa e abbiamo anche un fastidioso vento di coda che disturba la navigazione. Appena in mare comincia pure a piovere, e noi voliamo tra strati di nuvolaglia che non rende la missione più facile. Non aiuta neanche il fatto che nel maledetto abitacolo aperto, cosa che comincio ad odiare nei nostri caccia e cosa che invidio di più agli aerei delle altre nazioni, fa si che sia inzuppato come un pulcino. Comunque tra un’imprecazione e l’altra mi tengo ben incollato all’ala destra del capitano. Con questo tempaccio, se mi allontano lo perdo di sicuro.

    Dopo un buon quarto d’ora di volo, infreddolito ed incazzato come un alce, ed in un momento in cui sto pensando più alle mie miserevoli condizioni che alla missione, avviene l’imponderabile, che poi a pensarci meglio, tanto imponderabile non è: dallo spesso strato di nubi, dritto di fronte a noi sbucano due Hurricane, velocissimi. Abbiamo le cicogne davanti a sinistra e non viaggiamo molto veloci. Gli Inglesi arrivano dritto di prua e si concentrano subito su di noi e non sui bombardieri. Uno dei due apre il fuoco contro l’aereo di Sinnino, che fa appena in tempo a rispondere, quando esplode in una palla di fuoco. Il caccia inglese cabra lasciandosi dietro una scia di fumo nero; deve avere incassato anche lui qualcosa nel motore. Cristo ! Non abbiamo nemmeno iniziato a combattere ed abbiamo già perso un pilota ed un aereo. L’altro Hurricane arriva proprio di fronte al comandante, ma la velocità combinata è così alta che nessuno dei due ha il tempo di sparare. Il secondo Inglese cabra anche lui, passa sopra di noi di un duecento metri e vira secco a destra, forse per mettersi in coda alla cicogna all’estrema destra della formazione. La forza della manovra a quella velocità lo fa sembrare fermo a mezz’aria mentre le sue ali cercano di mordere l’aria per far virare l’aereo. Torco il collo per tenerlo d’occhio durante la sua manovra, nel contempo istintivamente cerco di calcolare quale sia il miglior vettore per abbozzare una manovra che mi porti dietro di lui in futuro. E' la prima volta che vedo un Hurricane dal vero; è un bellissimo aereo, mimetizzazione marrone scuro e verde, con l'ogiva dell'elica rosso fuoco. Intanto le cicogne si disperdono; me ne rimane solo una in vista, quella posta all’estrema destra della formazione. Il capitano è qualche centinaio di metri sotto di me sulla mia sinistra e continua a volare verso ovest come se nulla fosse. Viro dolce a sinistra per non perdere di vista l’Inglese e cercare di proteggere al contempo il bombardiere che ancora riesco a vedere ed il mio capo. Si preannuncia un combattimento con i fiocchi.
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    Mediteraneo Occidentale

    Alle 0819 la 54a squadriglia da bombardamento del maggiore Sinigallia, segnalava di essere in vista della formazione navale nemica che confermava essere costituita da una nave grande e tre più piccole. Veniva dato ordine al CANT 506 del Tenente Molinari di rientrare alla base. La formazione dei bombardieri si disponeva quindi in colonna d’attacco ad una quota di 1000 metri per cercare di aumentare al massimo la precisione del bombardamento. La formazione dei Br 20 si presentava al traverso sinistro del gruppo navale nemico, nel quale la portaerei spiccava chiaramente. Della pattuglia difensiva aerea che la proteggeva, un caccia veniva danneggiato dal Tenente sinnino prima che questi fosse abbattuto; pare che i due aerei si sparassero addosso reciprocamente andando uno incontro all’altro, e che il pilota italiano avesse la peggio e fosse abbattuto, mentre l’atro veniva ingaggiato in combattimento dai rimanenti aerei italiani della scorta.

    Nel frattempo l’VIII divisione incrociatori era giunta a 28 miglia sulla dal gruppo portaerei nemico, ma comunque l’ammiraglio Spadari non diede l’ordine di attacco agli incrociatori di Manenti. Questa fu una decisione molto criticata, ma il capo di stato maggiore ritenne, come ebbe a dire nei suoi commenti successivi, di lasciare all’aviazione il compito di battere le navi nemiche; anzi ordinò alla formazione navale dell' amm Manenti di prendere rotta di allontanamento dal gruppo inglese, facendo rotta per la punta occidentale della Sicilia alla massima velocità per paura che avvistata, fosse fatta oggetto di attacco aerosilurante. L’ammiraglio Manenti, conseguentemente si mise per rotta 109 ed alterò di nuovo la formazione della sua divisione, mettendosi in linea di fila con i CT in coda per fornire l’eventuale copertura antiaerea. Con i bombardieri in rotta di rientro dopo l'attacco al gruppo nemico alle ore 0826 si perse il contatto con la formazione nemica. La 54a squadriglia dichiarò di avere messo un colpo a segno sulla portaerei, risultato che non venne confermato nelle ricognizioni successive.

    Solamente pochi minuti più tardi si manifestava invece un problema ben più importante del successo o meno del nostro bonbardamento, che faceva temere il peggio: Marina Tripoli segnalava improvvisamente un attacco di aerei inglesi sul porto di Tripoli. Il pensiero degli ammiragli in servizio nel salone di controllo di Supermarina, andò immediatamente al convoglio che aveva ancora in corso le operazioni di scarico dei materiali che aveva trasportato fino a lì, passando indenne attraverso la pericolosa rotta di ponente. Proprio quando pareva che la parte fondamentale della missione fosse assolta, questo avvenimento rimetteva in discussione l’intero esito della giornata. E non c’era nulla da fare, se non sperare nelle difese contraeree del porto, essendo tutti gli aerei da caccia italiani in Africa concentrati sul fronte terrestre al confine con l’Egitto. L’attacco non poteva manifestarsi in un momento peggiore: durante le operazioni di scarico.
    Operazioni di scarico su una banchina del porto di Tripoli da un piroscafo in arrivo dall'Italia
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    Ultima modifica: 1 Dicembre 2019
  3. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Sul cielo immediatamente ad est del gruppo portaerei britannico

    Sia io che Tenaglia viriamo a sinistra il leggera cabrata per guadagnare la differenza di quota con l’Hurricane che manovra per portarsi in coda alla cicogna. L’Inglese inclina a sinistra e poi a destra con manovre violente e mi pare voli un po’ da ubriaco. Forse si tratta di un pilota inesperto; se è così meglio per noi. Sia il capitano che l’Inglese hanno un leggero vantaggio di velocità rispetto a me; li vedo entrambi per il momento divenire più piccoli sull’orizzonte. Comunque rovescio la rollata a destra per allinearmi sul nemico.

    Improvvisamente Tenaglia vira secco nella mia direzione ed in quella dell’Inglese davanti a me. Cabra per inquadrarlo, ma il suo angolo d’attacco è troppo largo. Apre il fuoco egualmente, mancando il bersaglio. I traccianti delle sue mitragliatrici passano tra me e L'Inglese. L’Hurricane comunque si spaventa e scarta a destra, il che complica la mia manovra di allineamento, perché me lo ritrovo più all’interno del campo di tiro di quanto pensassi. Stringo una virata di brutto a destra per tenerlo nel collimatore, e nel contempo picchio leggermente per non sopravanzarlo. Quello non pare avermi scorto soddisfatto che la manovra del capitano lo abbia portato a mettere una buona distanza di sicurezza tra i due. Continua quindi la sua manovra di allineamento con la cicogna, che sta più o meno 600 metri davanti a noi. Devo manovrare un po’ pazzamente per portarmi in coda al tizio, inclusa una cabrata a cacchio che mi permetta di non passargli davanti. Per un attimo appare chiaro e limpido nel collimatore.
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    Breve raffica delle mie 2 SAFAT. Lo manco, ma quello non si accorge di essere sotto il fuoco e continua nella sua rotta; o è cretino o è veramente inesperto. Comunque guadagna velocemente su di me, visto che ho dovuto precedentemente alzare il muso per tenerlo inquadrato.

    Con mio stragrande scorno, ho mancato il tiro e adesso quello mi sfugge, dirigendosi come un proiettile verso la cicogna. Forse non è così inesperto come credevo. Sa di essere più veloce; in ogni caso si è preso un bel rischio. Solo la mia inettitudine l’ha salvato. Adesso devo arrancare per tenergli dietro, ma il Macchi non ce la fa, e l’Inglese continua a guadagnare e a portarsi verso la cicogna. Questo è il momento in cui maledico il Fiat A 74 che non tira l’apparecchio abbastanza forte. La mia ultima speranza è che l’Inglese debba rallentare per concentrare il tiro sul bombardiere davanti a noi. Se è furbo, farà un passaggio veloce senza attardarsi a persistere nel tiro, se invece è scemo farà il contrario.

    La fortuna mi bacia in fronte; i l’Inglese è scemo, o forse solo incredibilmente coraggioso. Quando inizia apre il fuoco sul bombardiere, vedo le sue ali fiammeggiare e pezzi di cicogna volare da tutte le parti. L’Hurricane imbarda a destra e a sinistra e ondeggia un paio di volte sul piano verticale. Ciò mi consente di accorciare la distanza. Non appena arrivo a distanza massima di tiro faccio partire un’altra raffica. Questa volta lo becco in pieno; impennaggi che saltano, gli salta pure il tettuccio. Immediatamente si scansa. Ho solamente il tempo di dare una fugace occhiata al Br 20; è messo male. Il mitragliere dorsale sembra morto, comunque è accasciato. L’aereo ha più buchi che anima ed il motore destro fuma. Ciò nonostante continua a volare. L’Inglese fa per rovesciarsi a sinistra. Non può picchiare perché siamo già piuttosto bassi. Di Tenaglia non c’è traccia. Una rapida occhiata dietro. Pare tutto libero. Esalo rapidamente e viro secco per seguire il nemico. A 35 gradi a sinistra, allineo il collimatore per sparargli dritto davanti. 30 gradi di correzione ed apro il fuoco di nuovo. La parte posteriore si sfascia in mille rottami; la parte anteriore continua a volare iniziando un’autorotazione. Intravvedo delle navi davanti a noi e piccole piccole, le altre cicogne che hanno mi pare iniziato ad attaccare. La contraerea degli Inglesi è pesante, ma io sono ancora ben fuori tiro. Completo la virata di 180 gradi rotta ad est e con la coda dell’occhio vedo aprirsi un paracadute. Il dannato inglese si è salvato e verrà probabilmente recuperato dalla sua maledetta portaerei. Maledetto lui e tutta la sua razza animale. Altri Inglesi non ne vedo. Comunque: seconda missione, secondo abbattimento; questa volta di un famigerato Hurricane, il cui pilota però tutta sta bravura non l’ha dimostrata. E’ stato quasi facile, anche se ho avuto il tempo di rendermi conto della superiorità di quell’aereo dal punto di vista delle prestazioni velocistiche. Se davvero equipaggiano Malta con quegli apparecchi e ci mettono magari sopra anche qualche pilota serio, ci sarà da piangere. Aveva ragione il capitano Tenaglia circa l’Hurricane. Lo ritrovo per altro alla base il capitano. Atterro bagnato ed esausto, che i motoristi devono tirarmi fuori di peso dall’abitacolo. Comunico a Tenaglia dell’esito dalla missione. Mi fa mille complimenti e mi comunica che Sinnino è stato recuperato in mare da nostre navi che erano nelle vicinanze. Mi dice anche che quando è sfilato davanti all'Inglese mancandolo non a poi più avuto speranze di raggiungerci, lanciati come eravamo verso ovest a tutto motore, mentre lui aveva il muso ad est. Ha provato a virare ma era troppo tardi. spero non noti la mia espressione scettica, infatti il mio pensiero e che il nostro asso capitano abbia fatto un'enorme boiata in combattimento, che lo ha tagliato fuori dallo scontro. Adesso non ci resta che aspettare il ritorno dei bombardieri e che ci dicano l’asito della missione. Noi la nostra parte l'abbiamo fatta e la nostra vittoria l'abbiamo avuta. Comunico a Tenaglia che unno dei bombardieri è stato pesantemente danneggiato dal caccia inglese che ho abbattuto. Se ne duole. Mi ordina di andarmi a riposare. Non si può mai sapere; magari dovremmo decollare di nuovo; presto.
    Una "Saetta" viene rifornita ed armata prima di una missione
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  4. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    I bombardieri nemici lanciati sul porto di Tripoli per puro miracolo non colpirono nessuna nave quasi ognuna delle quali si trovò circondata dagli spruzzi alzati dall’impatto delle bombe con l’acqua all’interno della rada. Gli aerei nemici, forse disturbati dal fuoco contraereo proveniente dalle banchine e da quello dei CT di scorta che pur fermi potevano utilizzare l’armamento di bordo, mancarono tutti il bersaglio. Si appurò che l’incursione consistette di tre velivoli Swordfish, provenienti da Malta o forse dal secondo gruppo portaerei individuato nel Mediterraneo Centrale, quello appartenente alla Mediterranean Fleet.

    Alle 0844 il convoglio avvistava una nuova incursione aerea, ma pochi minuti dopo perdeva il contatto con gli aerei avvistati. Alle 0848 era confermato che una seconda ondata di apparecchi nemici attaccava le navi alla fonda. Questo secondo attacco era formato da 4 velivoli, anche questi del tipo Swordfish, più due Sea Skua. Dal momento che non risultava a Malta la presenza di alcun apparecchio del secondo tipo, si ebbe a questo punto la certezza che la nave PA nemica partecipasse anch’essa alle incursioni sul porto africano. Un aereo nemico veniva abbattuto in fase di avvicinamento e si schiantava in mare, senza che nessuno dell’equipaggio potesse salvarsi. Anche in questo secondo attacco, nessuna delle navi veniva colpita; si registravano parecchi danni da schegge, ma nulla di più. Un Sunderland continuò però a volare nei pressi della zona portuale, probabilmente per riferire sui danni provocati dai bombardamenti, ma si teneva fuori dal tiro delle batterie contraeree.

    Intorno alle 0924 circa si perdeva il contatto con uno dei CANT 506 della 97a squadriglia per l’osservazione aerea di Tripoli, forse abbattuto dalla caccia della portaerei nemica nel Mediterraneo Centrale.

    Una settantina di miglia ad ovest della costa occidentale sicula, il primo gruppo portaerei inglese, pareva voler davvero entrare nel canale di Sicilia, informazione che era lanciata via radio da uno dei CANT 506 della 88a squadriglia per l’osservazione aerea che coraggiosamente continuava a rimanere nell’area per seguirne i movimenti a continuo rischio di farsi abbattere. L’ammiraglio Spadari, dopo l’ultimo aggiornamento da parte di questo velivolo sulla posizione della PA nemica, ordinava che tale velivolo fosse senz’altro fatto rientrare. L’ordine si rivelò tardivo, e si perse il contatto anche con questo aereo.

    Alle 1009 l’ammiraglio Spadari ordinò alla VIII divisione incrociatori di costeggiare la Sicilia occidentale con l’idea di mantenere la vigilanza nei confronti del gruppo PA della forza H, che come abbiamo visto accennava a voler forzare il Canale di Sicilia.

    Ore 1129 tutti gli aeroplani da ricognizione erano riforniti e pronti per l’ultimo turno di missioni della mattinata. Di particolare necessità erano gli aggiornamenti sulle posizioni dei due gruppi di portaerei nemiche. Partite le relative missioni delle squadriglie di osservazione aerea di Tripoli, Palermo e Gioia del colle, il primo avvistamento alle ore 1159 da parte del CANT n°1 della 88a squadriglia da osservazione aerea di Aeronautica Sicilia, fece sobbalzare gli ammiragli sulle loro poltrone nel confortevole salone comando di Supermarina: l’apparecchio del Ten. Buccini, coadiuvato dal suo osservatore TV Marchionne, diffondeva via radio l’avvistamento di un nuovo gruppo nemico in mare: gruppo di incrociatori leggeri in numero di tre, 40 miglia a sud di Trapani, quindi vicinissimo alla costa occidentale della Sicilia, ed a sole 25 miglia per 195 gradi dalla VIII divisione incrociatori dell’ammiraglio Manenti, che nel frattempo aveva continuato a navigare in direzione sud lungo tale costa per rimanere a portata di intervento contro il gruppo PA della forza H di Gibilterra. Il nuovo gruppo nemico, classificato come formato da due incrociatori leggeri della classe Leander ed uno pesante della classe Kent, metteva l’ammiraglio Spadari di fronte alla difficile decisione se impegnare o meno la VIII divisione in combattimento. Il gruppo incrociatori nemico era segnalato con velocità 24 nodi e rotta 297, quindi in uscita verso ponente dal canale di Sicilia.

    Come prima misura, veniva senz’altro ordinata un’incursione dei Br. 20 di Castelvetrano su questo nuovo obiettivo, sempre nell’ottica di risparmiare le navi di superficie nella fase pre tattica, dove la dottrina della Regia Marina prevedeva di indebolire i complessi nemici con l’aviazione e poi di finirli con l’attacco di superficie. Veniva quindi ordinato alla 54a squadriglia BT di decollare immediatamente. Si riuscì a farne alzare solo cinque, in quanto uno era stato danneggiato pesantemente nella precedente missione contro la portaerei, da un caccia della pattuglia difensiva. Insieme ai Br 20 venenro fatti alzare in volo anche tre Macchi della 71a squadriglia come scorta ravvicinata.

    Alle 1204 si materializzava malauguratamente un nuovo attacco al porto di Tripoli da parte di quattro Swordfish di incerta provenienza. Nonostante il solito vivace fuoco contraereo, la motonave Crispi riceveva in pieno una bomba che le apriva lo scafo a mezzanave, allagando quattro locali caldaie di centro nave e parte dei ponti inferiori che le collegavano con la prua. Le squadre di controllo dei danni entravano immediatamente in azione, ma la nave imbarcava subito tonnellate e tonnellate d’acqua ed il suo salvataggio appariva problematico. Gli Inglesi dal canto loro, pagavano con l’abbattimento di uno dei loro bombardieri, che veniva centrato dal fuoco concentrato dei CT, che si erano intanto portati come schermo antiaereo subito all’esterno del porto dopo la prima incursione. Anche in questo caso, non si osservava nessun membro dell’equipaggio inglese salvarsi.

    Alle 1206 uno dei CANT della 88a veniva richiamato a Palermo in quanto fu il velivolo del sgt. Pilota Ariosto ad incaricarsi di mantenere il gruppo incrociatori nemico sotto sorveglianza.

    Alle 1213, solo nove minuti dopo essere stata colpita, la motonave Crispi si adagiava sul fondo del porto di Tripoli. Il sinistro provocava nove morti ed una ventina di feriti, tutti causati dalla detonazione della bomba sganciata dall’aereo nemico. Tutti gli altri marinai venivano invece salvati, così come le truppe trasportate, ma molto del materiale non ancora scaricato al momento dell’affondamento andò perduto, in particolare le derrate alimentari.
    Il Crispi adagiato sul fondo della rada di Tripoli, colpito in pieno da una bomba
    002.jpg

    Alla stessa ora, arrivavano a bordo dello Zara, ammiraglia della VIII divisione, nuove disposizioni, vale a dire di mettersi su rotta parallela al gruppo incrociatori nemici, tenendosi sopravento a nord di questi, e di mantenere la distanza sulle 20-25 miglia in maniera da poter intervenire in caso gli Inglesi prendessero qualche strana rotta con cattive intenzioni. Di fronte al malcelato disappunto degli ammiragli in servizio in sala, l’ammiraglio Spadari, giustificava spazientito queste sue prudenti disposizioni con le direttive strategiche che aveva ricevuto dal comando supremo: non si era interessati allo scontro fine a sé stesso con la flotta inglese a meno che non si potesse impegnare combattimento in condizioni di superiorità. In più si doveva dare la precedenza agli attacchi aerei, cosa che pareva peraltro logica fino a quando il nemico ci avesse fatto il favore di navigare nella copertura aerea del territorio nazionale. Alle ore 1240 si materializzava l’attacco dei Br 20 della 54a squadriglia di Castevetrano al gruppo nemico, sempre tallonato dal CANT del sgt. Ariosto, che aveva perfetta visuale sulla scena dell’attacco in quota dei bombardieri. Gli incrociatori nemici venivano identificati come l’incrociatore pesante Kent, mentre i due leggeri erano l’Orion e l’Ajax. Il bombardamento, questa volta osservato dal CANT, era piuttosto preciso. Alcune bombe cadevano vicinissime all’Ajax, ma non poté essere osservato nessun colpo diretto a bordo. Tutti gli apparecchi, scorta inclusa ritornavano alla base senza nessuna perdita.

    Ad inizio pomeriggio a 40 miglia dalla costa occidentale, erano gli Inglesi a forzare la mano nei confronti della VIII divisione incrociatori dell’ammiraglio Manenti. Infatti alle 1317, l’incrociatore Zara batteva al telemetro fumi ed alberatura di una nave con rilevamento 242 a 23000 metri. Si trattava con tutta probabilità del gruppo Kent precedentemente avvistato dall’aviazione. La nave nemica veniva con una rotta approssimativa di 58 gradi, dritta sulla formazione italiana. A questo punto Manenti di iniziativa ordinava l’apertura del fuoco, praticamente allo stesso tempo in cui le salve inglesi cominciavano a cadere intorno ai due incrociatori italiani. Il tiro inglese si rivelava subito precisissimo, tanto e vero che alle 1318 lo Zara incassava un colpo, forse da 152 che penetrava a tribordo a prua ed allagava due compartimenti della nave. Alle 1320 ancora un colpo sullo Zara, questa volta da 203 danneggiava due compartimenti della sala motori. Manenti preoccupato dava ordine di accostare per 343 gradi ed aumentare la velocità a 27 nodi, in maniera da allontanarsi dal tiro micidiale degli Inglesi che a 21000 metri avevano già messo due colpi a segno su uno degli incrociatori nostri. Sia il Pola che lo Zara concentravano il fuoco contro l’incrociatore inglese Kent, che era quello più pericoloso nella confermata formazione Kent-Orion-Ajax.

    Alle 1321, ancora un colpo a segno sullo Zara, su cui evidentemente era concentrato il fuoco nemico, danneggiava due ulteriori compartimenti della sala macchine, facendo scendere la velocità della nave a 23 nodi. La situazione cominciava a farsi pesanti e Manenti ordinava che i caccia iniziassero a stendere cortine fumogene. Più o meno alla stessa ora anche il Kent incassava una bordata proprio dallo Zara e si osservava la velocità dell’incrociatore nemico calare a sua volta. La nave pareva anche leggermente sbandata sulla dritta.

    Alle 1322 il cacciatorpediniere Alpino riceveva un colpo a bordo, probabilmente da un incrociatore leggero, avendone danni alla sala macchine di destra ed al relativo asse dell’elica.

    Alle 1327 parve che il Kent fosse colpito di nuovo dallo Zara, ma non si notarono apprezzabili effetti sull’Incrociatore inglese. Lo Zara navigava oramai a 13 nodi e si cominciava a considerare la possibilità di staccare l’ammiraglia dalla formazione con la protezione di uno o due caccia.

    Alle 1333. i nostri incrociatori combattevano in rotta divergente con il nemico, cercando di aumentare la distanza per uscire almeno dal tiro utili del calibro 152 inglese. Si stimò che il Kent avesse ricevuto a bordo ben otto colpi dello Zara, ma non si vedevano peggiorare le prestazioni della nave britannica più di tanto. Alle 1338, a contraddire questa impressione, il Kent aveva ridotto la velocità a 11 nodi ed era abbastanza sbandato a tribordo.

    Ma anche lo Zara era costretto addirittura ad arrestarsi con entrambi gli assi dell’elica danneggiati. Si correva contro il tempo per rimettere l’incrociatore almeno in grado di camminare a bassa velocità, e nel frattempo i CT Folgore e Baleno erano lanciati all’attacco col siluro per provare a distrarre l’attenzione del nemico dallo Zara avariato, che veniva coperto con cortine fumogene dalle altre navi della divisione, mentre in vista della formazione italiana rimaneva solamente il Kent.

    Alle 1348, improvvisamente e senza alcun preavviso, l’incrociatore inglese Kent affondava evidentemente sopraffatto dai danni accumulati, ma nemmeno gli Italiani potevano dire di star bene, con lo Zara immobilizzato e con poche speranze di essere recuperato. Fermo in mezzo al mare sarebbe stato alla mercé di qualunque nucleo da battaglia nemico. Per altro, con entrambi i magazzini munizioni allagati, lo Zara non poteva nemmeno più sparare. Comunque a bordo si esultava egualmente per la scomparsa del Kent; persino i numerosi feriti a bordo ricevevano sollievo dalla notizia.

    A questo punto per Supermarina si imponevano decisioni radicali per poter provare a risolvere la battaglia a favore della Regia Marina. Dal punto di vista strategico, gli Inglesi si erano spinti con una formazione nel cuore del canale di Sicilia, e da lì non dovevano uscirne. Pertanto l’ammiraglio Spadari disponeva che la V divisione incrociatori leggeri uscisse a tutta forza da Palermo per andare a dar man forte alla VIII divisione, che la 242a squadriglia BT si trasferisse dalla Puglia a Castevetrano per proteggere con incursioni aeree su qualunque nemico fosse apparso la stessa VIII divisione e per ultimo ordinò a Manenti, che oramai era in ballo, di attaccare a fondo le superstiti forze nemiche del gruppo Kent, i cui incrociatori leggeri dovevano essere anche loro pesantemente danneggiati. Occorreva in altre parole essere pronti a portare questa battaglia fino alle estreme conseguenze approfittando al massimo della vicinanza delle basi aeronavali nazionali.

    Pertanto l’ammiraglio Manenti ordinò ai due CT già lanciati all’attacco col siluro dei due rimanenti incrociatori nemici, di pressare l’attacco e faceva manovrare il Pola per 270° mantenendo il fuoco su uno di essi. E qui opportuno precisare come anche il Pola a questo punto avesse ricevuto un paio di colpi a bordo; due sale motori erano distrutte, l’albero di trasmissione dell’elica sinistra, si stava cercando di riparlarlo, ed infine una della caldaie era divelta dalla sua sede ed inutilizzabile. Inoltre un colpo da 152 aveva danneggiato uno degli impianti lanciasiluri di dritta. Complessivamente l’incrociatore era ridotto a 13 nodi di velocità, ma secondo gli ordini di Supermarina, continuava il combattimento.

    Alle 1350 entrambi i CT dello Zara, il Folgore ed il Baleno lanciavano 6 siluri a testa sull’Orion, da una distanza tra i 3000 ed i 4000 metri, e da due angoli diversi, in maniera da rendere difficili le manovre evasive dell’incrociatore nemico. Poi, con tutta la velocità che rimaneva loro dai danni subiti, volgevano le terga al nemico per levarsi di mezzo. Un minuto dopo, due di questi siluri colpivano in pieno l’Orion a prua ed a mezza nave, provocandone l’immediato sbandamento sulla dritta. Poi uno dei siluri lanciati dal Folgore, colpiva anche l’Ajax.

    Alle 1401 si alzava un grido di giubilo dal Folgore, quando l’incrociatore inglese Orion, colpito evidentemente a morte dai due siluri, scompariva sotto la superficie del mare, senza che nulla si potesse fare per salvarlo. L’Ajax continuò invece imperterrito a martellare i due caccia italiani in fuga e quindi Manenti prese una decisione radicale, ordinando all’Alpino di lanciarsi anch’esso all’attacco col siluro per finire l’ultima unità britannica. Non faceva altro che applicare le direttive di Spadari. A quel punto si era in ballo ed occorreva ballare.

    Intanto era in corso la lotta disperata contro il tempo e l’imbarco di acqua, per salvare lo Zara, tutt’ora immobilizzato e con la gallegiabilità appesa ad un filo. Il momento era grave, ma la Regia Marina, combattendo a fondo, aveva già dimostrato che gli Inglesi erano tutt’altro che imbattibili.

    Alle 1403 si apprezzava un violento aumento della velocità da parte dell’Ajax, che assumeva rotta 90 evidentemente per continuare il combattimento, segno tangibile che aveva assorbito bene il siluro incassato e che era ancora efficiente; al che Manenti decideva di distaccare anche l’Artigliere all’attacco silurante. Tutti si chiedevano come facesse l’Ajax a filare a 30 nodi con un siluro in corpo.

    Dopo altri 15 minuti di combattimento, l’Artigliere e l’Alpino erano rispettivamente a 6000 e 10000 metri dall’Ajax che continuava a sparare ma lo si osserva dall’Artigliere, sbandato di circa 8 gradi a sinistra. I due caccia cercavano di avvicinarsi sotto la pioggia di granate da 152 per mettere a segno i solo siluri. Nel frattempo sparavano con i cannoni di prua, stimando l’artigliere di avere messo a segno 4 colpi sul nemico oramai vicino e l’Alpino uno. L’Artigliere ad un certo punto accostò deciso a 270 al contempo per rovinare il tiro dell’incrociatore nemico e per chiudere drasticamente il beta per il lancio delle torpedini, ben conscio che calando la distanza drasticamente sarebbe pure aumentato il rischio di essere demolito dal fuoco inglese, tuttora vivace. Sfortunatamente nessuno dei siluri lanciati dai due caccia colpirono, ma comunque l’Ajax rallentò fino a 11 nodi, segno che cominciava anche lui a soffrire per i danni subiti.

    Alle 1426 il Pola manovrava per togliersi davanti al campo di tiro i suoi stessi CT che ne ostacolavano la linea di fuoco, in maniera da poter riprendere a martellare l’incrociatore nemico.

    Alle 1434 il Pola riprese il tiro sull’Ajax con le torri di prua, nell’attesa di guadagnare in velocità e riuscire a mettere in campo anche le torri poppiere. Dal momento che l’incrociatore faceva ancora 20 nodi contro gli 11 del nemico, la cosa pareva sicuramente possibile.

    Alle 1455 lo Zara riusciva a rimettere in moto a 7 nodi, ed insieme ai caccia della sua divisione si avviava a lento moto in direzione di Napoli. Sarebbe stata una lunga traversata dalla Sicilia Occidentale, ma forse ce la si sarebbe fatta. Rimaneva sulla scena il Pola che aveva l’incarico di finire il nemico. Inoltre la V divisione incrociatori leggeri dell’ammiraglio Bevilacqua stava per doppiare la punta occidentale dell’isola per calare in zona a 29 nodi. L’inseguimento ed il tiro del Pola continuavano fino alle 1520, quando il comandante dell’incrociatore CV Bianchi Sermona, avvertì l’ammiraglio Manenti, tutt’ora a bordo dello Zara, di essere quasi senza munizioni; al che fu autorizzato ad invertire la rotta, ed in allontanamento piazzò ancora una serie di colpi sull’Ajax, che era oramai un tizzone navigante a 5 nodi, nel momento in cui il Pola metteva per zero gradi per riunirsi con l’ammiraglia, che a sua volta arrancava verso Napoli a 10 nodi con un quarto della sua potenza motrice ancora disponibile.

    Quest’azione concludeva la fase della battaglia.
    Bell'immagine di un incrociatore britannico della classe Leander, quella dell'Orion e dell'Ajax
    003.jpg
     
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  5. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Alle 1538 l’Ajax scadeva alla vista della VIII divisione incrociatori, avendo anche il Pola perso il contatto visivo con l’incrociatore inglese. Nel frattempo Supermarina aveva dato ordine alla 54a squadriglia bombardieri di portarsi nell’area eventualmente per attaccare la nave britannica, mentre a 29 nodi in zona si dirigeva anche la V divisione incrociatori leggeri.

    10 minuti dopo si verificava un nuovo avvistamento da parte della 94a squadriglia OA. In particolare, nel volo di rientro, completato il ventaglio da ricognizione in direzione di Pachino, il CANT 506 n°4 del sgt. Pilota Manicucci, coadiuvato dal suo osservatore della marina STV Branca, avvistava un gruppo navale nemico un centinaio di miglia al largo della Calabria, composto a dire dell’aereo da due corazzate scortate da tre cacciatorpediniere. Gli ammiragli al comando centrale si morsero le mani, in quanto avevano appena ordinato alla squadriglia di Sm 79 del capitano Mussolini di trasferirsi in Sicilia. Tale reparto aereo aveva appena decollato disarmato dall’aeroporto di Gioia del Colle. Comunque prima di ordinare qualunque contromisura circa questo nuovo avvistamento, l’ammiraglio Spadari mantenne calma e ordinò invece che il nuovo gruppo nemico fosse semplicemente tenuto sotto osservazione per cercare di capire che intenzioni avesse.

    Alle 1609 la 54a squadriglia in volo ad occidente della Sicilia, riprese contatto con l’Ajax che zoppicava a 7 nodi verso il Mediterraneo Orientale. Immediatamente i velivoli iniziarono l’attacco, da nord est verso sud ovest, ma esso non sortiva alcun esito decisivo. In compenso alle 1618 la distanza tra l’Ajax e la V divisione incrociatori leggeri era ridotta ad una quarantina di miglia.

    Tra questo tempo e le 1645 la divisione perse il contatto con l’Ajax quando l’aviazione era in fase di allontanamento verso Palermo, e poi lo riprese, quando i caccia in avanscoperta, Nullo e Battisti individuarono a vista il danneggiato incrociatore nemico, il quale viaggiava come detto a 7 nodi con rotta136°. Ricevuto l’ordine da Supermarina di impegnare il nemico, l’ammiraglio Bevilacqua ebbe il compito di decidere come condurre l’azione. Scelse la semplicità, ordinando ai due incrociatori della divisione, Montecuccoli e Attendolo, di brandeggiare per dritta ed aprire il fuoco senza aòcuna variazione di rotta. Il Montecuccoli iniziò il tiro alle 1648, l’Attendolo due minuti dopo. I cacciatorpediniere non avevano ancora abbastanza gittata utile per aprire il fuoco. Secondo le norme di combattimento della Regia Marina quando in decisa superiorità numerica, le forze italiane manovrarono per stringere le distanze il più presto possibile. Alle 1655 apriva il fuoco anche il cacciatorpediniere Nullo alla distanza di 19000 metri. A quel punto il Montecuccoli aveva già messo a segno cinque granate da 152 sull’incrociatore britannico che si appruava nuovamente sbandando a sinistra. Dopo un prolungato combattimento che vedeva le quattro navi italiane della V divisione colpire più volte il malconcio incrociatore nemico, questo affondava non senza aver tentato di difendersi. I cacciatorpediniere Nullo e Battisti raccoglievano circa 200 superstiti dell’unità britannica.

    Conclusasi questa battaglia, che venne chiamata battaglia di Trapani, si persero le tracce con gli altri gruppi britannici, che non vennero più avvistati. Il servizio di informazioni segnalò il giorno 5 dicembre l’arrivo di un convoglio inglese a Malta che non era stato avvistato né dalla ricognizione aerea, né dai gruppi navali in mare.

    Il giorno dopo, con attacco aerosilurante, gli Inglesi si presero una mezza rivincita, affondando il piroscafo Lauro, del convoglio italiano che aveva portato rifornimenti a Tripoli e che era a quel punto di ritorno in Italia sempre lungo la rotta di ponente rispetto a Malta. La segnalazione di due giorni prima circa un gruppo portaerei inglese ed anche delle corazzate di Cunnigham nelle acque a levante dell’isola, aveva consigliato quella rotta di ritorno. Ciò nonostante, gli Inglesi ottennero comunque un successo con i loro fastidiosissimi aerosiluranti: avevano affondato due mercantili su cinque del convoglio italiano, anche essendo riuscite queste navi a scaricare i loro materiali e uomini a destinazione.

    Quando nei giorni successivi, Supermarina mise insieme gli avvenimenti dei 4 giorni passati, arrivò alle seguenti conclusioni:

    Entrambi gli schieramenti avevano ottenuto il loro obiettivo strategico; gli Inglesi avevano rafforzato Malta, che era lo scopo della loro operazione denominata “Sunburn”, mentre gli Italiani avevano raggiunto il loro, che era quello di alimentare le esauste forze della 10a armata in Africa Settentrionale. Dal punto di vista tattico invece la vittoria era sicuramente dalla parte della Regia Marina. Gli Inglesi avevano pagato il loro successo strategico con tre incrociatori affondati; un discreto prezzo da pagare per far passare un convoglio. Inoltre il nemico aveva avuto 3 Swordfish sicuramente abbattuti dalla contraerea italiana ed uno dei loro nuovi Hurricane abbattuto dalla caccia italiana. La ricognizione aerea italiana stabilì nei giorni successivi all’azione che gli Inglesi avevano lasciato a Malta un incrociatore leggero della classe Arethusa (l’Aurora) ed un cacciatorpediniere Kimberley, senza dubbio allo scopo di disturbare i futuri convogli che gli Italiani avessero messo in mare.

    Dal punto di vista delle operazioni, Supermarina poté trarre le seguenti lezioni tattiche: lo scontro tra incrociatori, pur avendo visto gli Italiani vittoriosi, aveva dimostrato che il fuoco degli Inglesi era migliore di quello italiano, come precisione e frequenza dei colpi a segno. Lo stava a dimostrare il fatto che nel duello a distanza, sia il Kent che i leggeri Leander, avevano gravemente danneggiato lo Zara, che ne avrebbe avuto per 2 scenari di riparazioni ed anche il Pola aveva subito qualche danno. La VIII divisione era stata salvata solamente dal pronto e coraggioso intervento dei cacciatorpediniere della divisione, che non avevano esitato a mettere in pericolo loro stessi per attaccare col siluro le unità nemiche. Solamente il Kent era affondato sotto i colpi dei due incrociatori maggiori italiani, ma la cosa era avvenuta così subitaneamente che dovette essere per forza causata da un colpo fortunato. Dall’attacco silurante, il Folgore ne era uscito mezzo demolito dai 152 del Orion e dell’Ajax, avendone per 4 scenari di riparazioni. Il Baleno ne avrebbe avuto per due, così come l’Artigliere, mentre l’alpino aveva danni riparabili in uno scenario.

    Di fronte a questa superiorità nel tiro del nemico, l’ammiraglio Manenti aveva giustamente optato per una tattica audace e spregiudicata di attacco a fondo nei confronti della formazione nemica per serrare al massimo le distanze ed attaccare col siluro. Tattica rischiosa senza dubbio, ma che andava ripetuta se si voleva sperare di raggiungere qualche risultato contro gli Inglesi. Ciò dimostra anche l’insufficienza delle tattiche reali impiegate storicamente dalla Regia Marina, che mai volle impegnarsi decisamente contro le forze navali inglesi e non mise durante tutta la guerra un solo colpo a segno di calibro superiore al 152. Da ultimo, la battaglia di Trapani aveva dimostrato come l’aviazione italiana da bombardamento, doveva fare ancora molta strada per aumentare la precisione della sua azione in quota contro bersagli navali in movimento. Non poteva ancora essere considerata un’arma affidabile in questo senso.

    Comunque le forze italiane in sei mesi di operazioni aveva affondato cinque navi nemiche perdendone zero, anche se molte unità italiane erano state danneggiate più o meno gravemente; e di questo certo gli Inglesi avrebbero dovuto cominciare a preoccuparsi. Erano andati vicinissimi ad affondare lo Zara, ma gli Italiani erano stati fortunati ed anche bravi con le squadre di controllo danni a salvare la grande nave ed a riportarla, se pur gravemente danneggiata a Napoli. Adesso occorreva per gli Italiani, confermare le loro vittorie sul fronte terrestre, dove gli Inglesi per il momento, al confine con la Libia, rimanevano in pieno controllo della situazione.
     
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  6. StarUGO

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    ...e qui io porrei molta attenzione nella scelta di armamenti AT.

    Almeno un plotone motorizzato di questi per i Matilda e/o Valentine
    CC pesante.jpg


    E un paio di plotoni motorizzati di questi per i Cruiser
    CC.jpg
    Questi ultimi,essendo size 0,possono essere mortali contro i carri meno corazzati e rimanere mimetizzati per qualche turno.
     
  7. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Dicembre 1940 confine libico egiziano, Zona di Sollum

    Con l’approssimarsi della fine del 1940, la Divisione di Fanteria Lucca dislocata come sappiamo in Africa Settentrionale, aveva praticamente completato il processo di ricostituzione che era conseguito alla disfatta subita in Egitto durante la controffensiva britannica. Il nemico, mezzo spossato pure lui da un’offensiva che era cominciata come puntata di disturbo e si era poi tramutata in un vero e proprio attacco generale, si era momentaneamente arrestato sulle posizioni di confine. La motivazione per la quale l’andamento delle operazioni non aveva seguito le sue linee storiche, va ricercata nel fatto che gli Italiani, se pur a prezzo di enormi sacrifici in uomini e materiali erano riusciti a provocare perdite piuttosto severe anche al nemico, in proporzione significativamente superiore a quelle della vera operazione “Compass”; ragion per cui anche gli Inglesi avevano dovuto accettare una battuta d’arresto per riorganizzarsi, prima di proseguire con le operazioni offensive.

    L’arrivo con successo del convoglio Prosepina aveva consentito la ricostituzione dei decimati reparti della divisione, secondo un nuovo ordinamento tattico che era stato studiato in conseguenza di quello che si era osservato e sperimentato durante la controffensiva britannica. A tal proposito non erano mancati giovani ed ardimentosi ufficiali come il Capitano Ugo Star, ufficiale di stato maggiore del IX battaglione della Lucca ed esperto di armamenti pesanti, che avevano proposto la dotazione a livello reggimento dei moderni cannoni da 75 dell’Ansaldo possibilmente da sperimentare in funzione anticarro; ma di questi pezzi ce n’erano troppo pochi e comunque ci voleva tempo per farli giungere in teatro. Il suggerimento, senza dubbio sensato, arrivò comunque alle orecchie del Ten.Col. Ciccoletti che ritenne senz’altro opportuno mandarlo ai piani superiori del comando divisionale. Per il momento però ci si dovette accontentare di misure intermedie. In particolare i battaglioni di fanteria furono rinforzati da un plotone anticarro dotati di fuciloni AT da 20mm e fu aggregato ad ognuno di essi anche un plotone di genieri armati con cariche esplosive e lanciafiamme, tratti dai battaglioni guastatori divisionali, per aumentare le capacità di combattimento contro i mezzi corazzati delle compagnie arma base. Fu invece abolito il plotone motocorazzato esplorante, che durante le precedenti operazioni si era rivelato del tutto inadeguato ai compiti da assolvere, nei confronti della tipologia di truppe nemiche che la 10a armata si era trovata a fronteggiare. Rimaneva così aperto il problema di dotare la divisione di un’efficiente componente da ricognizione, compito che al momento era espletato dalle sezione di osservazione per l’artiglieria. Confermata fu naturalmente l’assegnazione del battaglione AT da 47 a ciascuna divisione di fanteria che poi distaccava le singole mezze batterie alle compagnie, distribuendo le armi lungo la linea del fronte sul quale operare.

    Il IX battaglione era schierato in posizione d’attesa nei dintorni di Sollum Alta, con la 17a compagnia che era stata completamente ripristinata all’organico tabellare, unica delle tre ad aver ricevuto tale trattamento di favore. Il lavoro di riordino della compagnia era stato lungo e travagliato, come del resto era stato per l’intera divisione, che alla fine della battaglia di Nibewa, era ridotta a meno di un terzo della forza assegnata.

    Il reparto poteva contare quindi sul plotone comando, sempre guidato dal Maggiore Vicari, e dal Capitano Star comandante in seconda. Il plotone comando era sempre strutturato su due squadre fanteria leggera ed una sezione mitraglieri che era stata fornita ex novo ed era al comando di un caporale perché i sergenti scarseggiavano. Il primo ed il secondo plotone erano stati completamente ricostituiti, ed i sergenti di squadra Marinello e Ricci erano stati promossi sul campo a sottotenenti e messi al comando delle due unità. Le squadre di questi due plotoni erano state completamente ricostituite ed erano quindi formate da personale inesperto. Il terzo plotone invece, pur avendo perso il comandante, il leggendario tenente Angeli, aveva ancora le squadre del Sgt Galline e del Sgt Allegretti, ed al suo comando era stato promosso col grado di sottotenente, l’ex Sergente Lapina, che adesso comandava il plotone. La prima squadra era invece totalmente nuova e comandata anch’essa da un caporale; tale Farinella di Bari. Naturalmente il 3° plotone costituiva, in quanto unico plotone veterano intorno al quale la compagnia era stata ricostituita, la punta di diamante di tutto il complesso. Una nuova sezione anticarro da 47 era stata aggiunta alla compagnia, ed era in corso di aggregazione anche la nuova sezione di fuciloni AT, comandata dal Sgt. Rossi. Infine dal battaglione, proveniva il plotone genio guastatori per la missione assegnata alla 17a. Come detto precedentemente, ai battaglioni di fanteria vennero assegnati vari plotoni del genio tratti dal battaglione divisionale. Il plotone assegnato al IX, venne aggregato alla 17a compagnia in quanto era quella operativa per la missione a venire. Tale plotone genio era comandata da un giovane e capace ufficiale, il S.Ten Carlino, che già si era presentato a rapporto rispettivamente da Ciccoletti e da Vicari.

    Come detto la divisione Lucca difendeva la fascia di confine libico egiziano in corrispondenza della scarpata di Sollum. Il IX battaglione, denomincato d’assalto per la sua esperienza di guerra era piazzato in prima linea con la 17a compagnia, tanto per cambiare era quella in allarme per eventuali operazioni. Il comando divisionale che aveva ricevuto l’ordine dall’armata di esercitare una certa vigilanza sull’attività nemica tra Sollum Alta e Sollum Bassa, incaricò il IX di una puntata esplorativa verso il mare. Il compito ricadde sulla 17a che era l’unica compagnia totalmente ricostituita.

    Il Maggiore Vicari, nell’apprendere il tipo di missione che gli era stata assegnata, si prodigò presso il comando perché gli venissero assegnati degli autocarri con cui motorizzare almeno un plotone. Come poteva il comando pretendere una puntata esplorativa a piedi in un terreno come quello. In subordine richiese che gli venissero almeno assegnati dei mezzi di trasporto per la sezione anticarro, che al momento trainata dai trattorini Fiat, si trascinava ancor più lentamente della fanteria. Il comando non volle e non poté sentire ragioni; autocarri non ce n’erano ed il movimento della sezione anticarro Vicari se lo doveva studiare proporzionandolo alle possibilità di quello che aveva a disposizione. Non c’era dubbio pensò il maggiore, che il Regio Esercito era messo piuttosto male. Da quando si era aperto il fronte in Grecia poi, rifornimenti ed equipaggiamenti erano giunti in Africa con il contagocce. Quale tremendo errore strategico!

    Come che fosse, la compagnia doveva prepararsi ad una limitata avanzata verso Sollum Bassa, tanto per cambiare senza un minimo di notizie sul nemico, senza appoggio dell’aviazione impegnatissima in Grecia e nel Mediterraneo, e sopratutto senza truppe motorizzate dalle quali davvero come aveva dimostrato il disastro di Nibewa, non si poteva più fare a meno.

    La caratteristica dominante del terreno dell’operazione assegnata era la porzione di Via Balbia che interessava il collegamento tra l’Halfaya e la cittadina di Sollum Bassa, dove si credeva che il nemico fosse attestato. Compito della 17a compagnia era quello di ripulire la zona dalle truppe inglesi che si presumevano essere presenti in zona. Essenzialmente occorreva prendere il controllo della strada subito ad est del’oasi di Bir Enda che altro non era che un grosso palmeto tra il passo e la città. Le due principali sezioni della cittadina andavano pure esplorate ed eventualmente ripulite dalla presenza nemica, in maniera da assicurare alla divisione dei buoni appigli per l’eventuale ripresa di operazioni offensive dell’armata; pio desiderio, ma pur sempre possibile

    Al Maggiore Vicari ed a tutti i comandanti di plotone venne fornita una carta topografica dell’area di operazioni, il che era già un progresso rispetto al passato, quando solamente il comandante di compagnia ne aveva una. Quindi la sera del 16 tutti gli ufficiali si ritrovarono al posto comando di compagnia per elaborare un piano di azione.
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    Essenzialmente, mancando l’appoggio dell’artiglieria divisionale, che ancora era in fase di riordinamento, la compagnia avrebbe avuto a disposizione solo il fuoco indiretto della propria batteria organica di mortai da 81. Questo fece nascere la necessità di un movimento il più possibile occultato ed indiretto verso gli obiettivi assegnati, sfruttando al massimo le caratteristiche del terreno.

    Il 3° plotone venne senz’altro assegnato a cavaliere della Via Balbia con il compito di avanzare fino all’oasi, utilizzarla come copertura, per poi sboccare ad est di questa ed occupare il primo obiettivo che era posto proprio al margine del palmeto. Vicari previde anche un movimento di appoggio attraverso la depressione di Fukra, per sostenere il movimento del 3° plotone. Il piano prevedeva di lasciare sguarnito il settore sud della zona di azione della compagnia, allo scopo di concentrare tutte le risorse nei pressi dell’osasi e della strada. La periferia sud di Sollum Bassa sarebbe stata occupata solamente se la prima parte dell’operazione fosse andata a buon fine, con la presa della parte nord dall’abitato ed il controllo dell’oasi. Se per qualche ragione non si fosse riusciti a conseguire questi obiettivi, sembrava del tutto inutile a Vicari disperdere le forze allargando eccessivamente il fronte a sud. Le forze erano poche e come abbiamo visto non eccezionalmente equipaggiate, ed occorreva quindi almeno tenerle il più raccolte possibile.

    Le armi d’appoggio, vale a dire genieri ed unità anticarro, sarebbero state mantenute in riserva di pronto intervento per convergere là dove sarebbero eventualmente servite. Infine, il plotone comando avrebbe appoggiato direttamente il 3° plotone.

    Quando si approssimò l’ora di inizio dell’operazione, il 3° plotone lasciò la zona di acquartieramento, per andarsi a disporre in colonna di marcia lungo la Balbia, subito ad est della pendice superiore del passo dell’Halfaya. Al 1° plotone del S.Ten Marinello venne affidato il compito di appoggio a partire dalla depressione di Fukra, e veniva quindi convenientemente schierato sul suo margine ovest in formazione di movimento per il contatto con una squadra in avanscoperta e le altre in appoggio a cuneo, con la squadra comando al centro. I mortai del Tenente Morelli, vennero piazzati dietro alla pendice nord del passo di Halfaya, in posizione ovviamente defilata a qualunque fuoco diretto del nemico. Il 2° plotone del S.Tan Ricci appoggiava direttamente il fianco destro del 1°; aveva il compito di avanzare direttamente sull’oasi, di attraversarla e poi di concorrere direttamente alla presa di Sollum Bassa. Il plotone genieri era pure assegnato allo sforzo principale e posto a tergo sulla destra del plotone del S.Ten Lapina. Dietro al 3° plotone, sulla Balbia venivano poste tutte le forze anticarro, vale a dire la sezione da 47 e le due squadre di cacciacarri armate con i 20mm per la fanteria. Ancora dietro, il comando di compagnia e la squadra di collegamento con il battaglione.

    Con questo schieramento la compagnia si preparava a muovere all’alba del 16.
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  8. StarUGO

    StarUGO

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    :woot::woot: :fumo1::fumo1: :pompous::pompous:

    Attualmente,fermo restando la carenza di approvvigionamenti,questa ritengo sia la soluzione migliore.
    Discretamente veloce,protetto dal fuoco delle armi leggere,puo' portare un team esplorante e la penetrazione=4 in teoria buca anche i Cruiser.
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  9. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Al turno 6 il 3° plotone avanzante lungo la via Balbia incontrò subito dlle difficoltà da parte di una squadra inglese di fanteria piazzata allo scoperto proprio a nord della strada all’altezza dell’oasi. Le squadre del nuovo arrivato Caprl. Farinella e quella del Sgt. Gallina vennero entrambe prese di mira e persero due uomini a testa, ad opera del fuoco di fucileria diabolicamente preciso ad una distanza letale di cento metri. Farinella ritirò i suoi uomini al riparo di un edificio, mentre Gallina lanciava candelotti fumogeni, visto che i suoi uomini si erano piantati in mezzo alla strada sotto il fuoco e non c’era verso di farli muovere. Della presenza di questo elemento nemico si avvide anche il 1° plotone, la cui squadra del Cprl. Loizzo, piazzò a terra le Breda per dare un minimo di fuoco di copertura al 3° plotone. Inoltre venne dato ordine immediato di far serrare sotto la squadra per l’osservazione dell’artiglleiria, in maniera da cominciare ad indirizzare il fuoco dei mortai sul centro di resistenza. Il primo plotone aprì un fuoco fiancheggiante con le MG del Cprl. Loizzo e portò in avanti anche la squadra del Sgt. Simonetti per rinforzare il fuoco odi soppressione.

    Al turno 7 dopo ulteriore fuoco di scalzamento da parte del 1° plotone, la squadra di fanteria britannica ne ebbe abbastanza e dopo aver perso tre uomini in due turni alzò i tacchi senza dare ultriori noie in direzione di Sollum Bassa. Adesso il problema era individuare le rimanenti difese nemiche. Tanto per cominciare il Caprl Farinella occupò il piccolo panificio alla periferia Ovest della città dietro il quale si era precedentemente ritirata, ma oltre alla squadra nemica in ripiegamento, non scorgeva null’altro e nessun altro. Guadagnata questa posizione, il Cprl. Farinella fece cenno alla super veterana squadra del sgt. Allegretti di portarsi avanti lungo la rotabile, cosa che il sergente si accinse a fare immantinente, solo per finire sotto il fuoco di una seconda squadra inglese, appostata alle prime case di Sollum. A questo punto Farinella, aprì fuoco istintivo sulle vampe del tiro nemico, secondo lui causandogli almeno due perdite, mentre Allegretti si defilava al riparo del marfine nord dell’oasi. Poi la squadra di Farinella fu raggiunta dal Tenente Aiello che chiese c’a sta succedenn accà, e quando Farinella, un caporale di Bergamo, riuscì a tradurre la domanda dell’ufficiale, gli comunicò che vi era resistenza al margine ovest della cittadina. Immediatamente Aiello si mise ad armeggiare con la radio per mettersi in contatto con i mortai, e Farinella apprese che il Tenente conosceva anche l’Italiano.

    Al turno 10 dei 30 previsti, il Maggiore Vicari, informato della situazione del 3° plotone sulla rotabile e del 1° in movimento finacheggiante nella depressione, ordinò di non affrettare i tempi al centro e di lasciar fare ai mortai ed intanto chiese ai mitraglieri del plotone comando di entrare nel panificio a far gruppo con la sezione del Ten. Aiello. Il 3° plotone si raccolse dunque ai margini dell’oasi ad attendere il fuoco di preparazione della batteria dei mortai. A sud invece, all’interno dell’oasi, continuava il movimento per il contatto il 2° plotone del S.Ten. Ricci, senza incontrare nessuna resistenza. Tutti i supporti ed i rincalzi, vale a dire genieri ed anticarro, coadiuvati dal plotone comando serrarono dietro al 3° plotone.

    All’inizio del turno 11, si poté notare come il martellamento della batteria mortai aveva provocato la ritirata della seconda sezione di fanteria britannica individuata, che ripiegava lungo la rotabile che attraversava Sollum Bassa. Da qualche parte arrivava anche fuoco, probabilmente di mortai leggeri inglesi, che cadeva però a nord della città, nessuno capì mai per quale motivo. Il 3° plotone ricevette ordine di prepararsi a riprendere l’avanzata.
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    Per il momento questa missione pare troppo facile; mi chiedo cosa abbiano in serbo gli Inglesi
     
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  10. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Inizio del turno 11
    la veteranissima squadra del Sgt. Allegretti, 3° plotone, venne scelta per continuare l’avanzata lungo la via Balbia sul margine nord dell’oasi di Bir Enda. Non appena essa lasciò la copertura delle palme individuò immediatamente entrambe le squadre inglesi in ritirata lungo la strada ed un carro armato leggero nemico di un tipo non identificato, al margine nord della città. Con ampi gesti, il sergente avvisò dell’avvistamento la sezione del Ten. Aiello, il quale con la radio avvertì il comando di compagnia di mandare avanti la batteria anticarro. Alla radio raccolse il messaggio il Capt. Star, la cui squadra comando si trovava ancora arretrata al margine ovest dell’oasi. La batteria del Sgt. Rossetti, che si trovava a pochi passi da lui, fu immediatamente invitata a deviare all’interno dell’oasi per portarsi sul fianco sinistro del carro nemico individuato, che probabilmente non era da solo, mentre rapidamente, ancora una volta, la squadra di Allegretti si toglieva dalla strada per non fare da bersaglio al tiro nemico. Vicari era stato molto chiaro: evitare il più possibile le perdite; la compagnia ne aveva subite fin troppe durante la battaglia di Nibewa. Quanto alla fanteria nemica in ritirata, ci avrebbero pensato i mortai, oramai azzerati sul bersaglio, dobbiamo dire dall’abile guida di Aiello, che non stava facendo per niente rimpiangere il Ten. Garibaldi. Occorreva poi non dimenticare il 1° plotone del S.Ten. Marinello, che accorreva da nord rinforzato dalla sezione AT da 20mm, con i quali si sperava, una volta ben piazzati, di poter ingaggiare con successo il carro od i carri leggeri inglesi. Nel frattempo, le due squadre mitraglieri di tale plotone, vale a dire quella del Caprl Loizzo e quella del Sgt. Simonetti prendevano di mira un’altra squadra inglese che era apparsa proprio davanti al carro leggero e la costringevano a togliere le tende con fuoco concentrato di tutte le armi di accompagnamento.

    A sud, il 2° plotone incontrava improvvisa resistenza ad opera di un altro nucleo di fanteria nemica che prendeva di mira la squadra comando all’interno dell’oasi facendola gettare a terra. La squadra comando emise fumo e si arrestò chiamando a raccolta le squadre mitraglieri d’appoggio. Per concludere il turno in bellezza, la batteria mortai fece una strage di Inglesi allo scoperto in ritirata lungo l’abitato.

    Nei turni 13 e 14 le cose continuarono a svilupparsi positivamente per gli Italiani, anzi venne determinata la posizione di un secondo carro leggero di quella che doveva essere una sezione di cavalleria leggera britannica, dotata di mezzi Mk Vic che vennero alla fine identificati come tali. La continua e proficua osservazione del Ten. Aiello, che si stava rivelando un freddo professionista, portò il comando di compagnia a determinare che il reparto si trovava di fronte a fanteria leggera britannica scarsamente dotata di armi pesanti e di conseguenza rinforzata con una sezione blindata.

    Ma a partire dal turno 15, il nemico improvvisamente si risvegliò dal suo torpore e cominciò a combattere sul serio. Innanzi tutto fu preso di mira ed arrestato ancor prima che arrivasse la margine est dell’oasi il 2° plotone, il quale fu investito da un fine ma preciso tiro di arresto da parte della fanteria nemica. In secondo luogo, si profilò un preciso fuoco di mortai leggeri nemici sull’avanzante 1° plotone attraverso la depressione di Fukra non appena questo negoziò la scarpata che la delimitava verso sud est. Ed in terzo luogo, gli Inglesi imbastirono un contrattacco con le loro scarne forze corazzate leggere, che mise in netto imbarazzo il 3° plotone del S.Ten. Lapina ed in particolare la squadra di Allegretti, che investita in pieno dal contrattacco, era costretta a ripiegare con severe perdite, nell’ordine del 50%. I pezzi controcarro da 47 persero l’orientamento nella vastità della vegetazione dell’oasi ed in un primo tempo vagarono nelle retrovie del 2° e 3° plotone, ed in un secondo tempo finirono per arrestarsi tra i due reparti orientandosi sul rumore dei mezzi nemici avanzanti. A seguito della notizia della minaccia portata dai corazzati nemici, il panico si diffuse nel comando di compagnia, al punto che il Maggiore Visconti gridando alla radio raccomandò di togliere dalla linea la squadra di Allegretti di cui non ci si poteva permettere la perdita, ed ordinò al rimanente del 3° plotone di organizzare delle imboscate ai mezzi nemici, mentre lui cercava di mandare in rinforzo una o due squadre di genieri. Si tornava così inevitabilmente alla tattica del tritacarne a massa contro i carri nemici che aveva caratterizzato la battaglia di Nibewa, anche perché, la sezione AT da 20mm, prima di essere mezza dispersa dal fuoco dei mortai nemici, avendo provato ad ingaggiare sul fianco i mezzi corazzati inglesi, aveva dovuto constatare che i fuciloni anticarro in dotazione erano inefficaci, sia pure alla ragguardevole distanza di 500 metri.

    Gli Inglesi, visti i risultati degli ultimi due turni, tendevano a ringalluzzirsi ed a osare sempre di più, mentre al comando della 17a compagnia il Capitano Star perdeva la pazienza incurante della presenza del superiore e si metteva a sbraitare che così non si poteva andare avanti. Non si poteva fare la guerra contro manovrieri reparti blindati nemici, armati di moschetto e bomba a mano. Aveva proposto l’assegnazione alla divisione di fanteria di un battaglione da ricognizione o di almeno una compagnia dotata di moderne autoblindo dotate di cannone da 20mmm per contrastare la manovra delle unità celeri nemiche; mezzi che pure erano disponibili, se pur in piccolo numero in Italia. E dove meglio impiegare tali mezzi se non nel teatro Africano. Ma la divisione di fanteria continuava per il momento ad usare il sistema della squadra designata per plotone per la ricognizione avanzata, mentre quella di compagnia era assicurata dalla sezione di osservazione dell’artiglieria. Un triste quadro che metteva in evidenza tutte le manchevolezze burocratiche ed organizzative del Regio Esercito, che in Africa Settentrionale stavano dimostrandosi palesi e stavano limitando la capacità operativa della forza armata, in contrapposizione netta con i successi colti dalla Regia Marina e dalla fascistissima Aeronautica.

    Per il momento occorreva arrangiarsi a manovrare con la fanteria a piedi, sul piatto terreno desertico, contro formazioni nemiche, che anche quando più leggere e meno numerose delle nostre, erano in grado di dettare il tempo ed il modo delle operazioni.
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    Ultima modifica: 6 Dicembre 2019
  11. StarUGO

    StarUGO

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    :eek: 50% ????

    :contro: peccato per lo sbarramento di mortai nemici. I fuciloni sono size0 e si potevano portare,lentamente e non individuati,vicini ai carri nemici

    :rage::rage:

    :meh:

    Non sara' un bel vedere ma quel valore di penetrazione 6 rende anche questa autoblindo interessante nel ruolo di ricognitore in appoggio ai blindati.
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  12. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Nel turno 17 fu la squadra del Cprl. Farinella che prese in mano la situazione quando sia quella di Allegretti che quella di Gallina, presunti e vantati veterani, non ebbero il coraggio di affrontare il primo dei due carri nemici che si portava verso le loro posizioni. Forse fu la fortuna del principiante o forse l’incoscienza dello stesso che prevalse nell’azione della 1a squadra. Comechessia Farinella invece prese di petto il mezzo nemico, ed incurante del pericolo, dopo aver ben incitato i suoi uomini, lo mise fuori uso con un assalto con bombe a mano, una delle quali si riuscì a piazzare dentro la torretta.

    Forse questo tipo di combattimento alla disperata, in presenza di due soli carri nemici individuati, poteva questa volta bastare.

    Nel settore del 1° plotone poi, la squadra del Sgt. Giannini riuscì a portarsi fino al primo edificio di Sollum Bassa. Quivi venne presa di mira da fanteria inglese appostata nell’ultimo edificio a sud, ma vinse la battaglia per la supremazia di fuoco, che diventò poi completo dominio quando al fuoco della fucileria si unì il tonfo secco dei mortai a bersaglio, che finirono di disperdere la squadra inglese. Per altro Giannini individuò nelle vicinanze anche la famigerata postazione di mortai inglesi che si trovava nelle vicinanze e prese sotto il fuoco pure questa.

    Nel turno 18 il 3° plotone tentò di occuparsi anche del secondo carro armato inglese. A tale scopo accorrevano le squadre di Gallina e quella comando del S.Ten. Lapina. quest’ultima riusciva ad immobilizzare il mezzo ma quando Farinella ordinò ai suoi di dare il colpo di grazia al cingolato inglese in difficoltà, gli uomini prima esitarono e poi se la diedero a gambe. Forse il caporale aveva chiesto troppo alle sue forze.

    Nei Turni 19 e 20, finalmente la 17a riuscì a riprendere in mano la situazione coordinando movimento e fuoco dei suoi tre plotoni. Il 1° occupò definitivamente Sollum Bassa, mentre il 3° riuscì a mettere in fuga e successivamente ad annientare l’equipaggio del carro inglese superstite, che venne catturato quasi intatto per essere inviato allo studio dei reparti tecnici dell’intendenza. Il 2° plotone invece uscì caricando fuori dalla parte meridionale dell’oasi, mettendo in fuga l’ultima delle squadre inglesi che opponevano resistenza. Sfortunatamente, quando il S.Ten. Lapina attraversò la rotabile per raggiungere gli obiettivi a sud della città, una nuova squadra nemica si palesò con il fuoco, sparando dalla depressione in cui era attestata, tra Sollum che dominava tale depressione, e gli obiettivi che erano posti nella depressione stessa. Questo impose una nuova battuta di arresto alle operazioni per decidere come vedersela con questo nuovo e presumibilmente ultimo nemico, ma si poteva oramai dire che la situazione fosse sotto controllo. Adesso l’unico problema era che mancavano dieci turni alla fine ed occorreva occupare almeno il secondo gruppo di obiettivi, se non fosse stato possibile occupare il terzo.
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  13. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Aggiunta al post precedente, dall'opera del Maggiore Vicari "La mia gioventù per la Patria"

    Una staffetta corse fino al mio comando per informarmi che si pronunciava un contrattacco deciso da sud da parte di un intero plotone inglese rinforzato. Non esitai un secondo e decisi di portare attraverso l'oasi entrambe le mie squadre comando e mi trascinai dietro i mitraglieri del caporale Giglio. La staffetta riferì che il secondo plotone aveva fatto fronte a sud, interrotto l'avanzata verso i suoi obiettivi e schierato tutte le armi a difesa del fianco destro della compagnia. Nonostante ciò, il Sottotenente Ricci disperava di poter controllare la situazione. Richiedeva l'immediato appoggio dei mortai.
    Pensai che sarebbe occorso tempo per riorientare il fuoco indiretto e quindi decisi senz'altro di intervenire personalmente. Il fante inviato da Ricci mi fece uno schema approssimativo della situazione laggiù, e sulla base di queste informazioni decisi di contrattaccare il nemico sul suo fianco sinistro, coordinando fuoco d'arresto del 2°plotone e mio movimento di contrassalto. Diedi gli ordini relativi e ci avviammo a passo veloce all'interno dell'oasi. Il mio fidato comandante in seconda, il Capitano Star mi suggerì di far intervenire anche il plotone dei genieri, ma non me la sentii di impegnare in battaglia la mia ultima riserva. Per cui lo lasciai a supervisionare la zona centrale del fronte con il compito di prendere il mio posto qualora io fossi divenuto inabile al comando. Quello non fu daccordo e si mise a sbattere i piedi in terra per venire con me. Confermai i miei ordini e mi avviai con il resto del plotone comando e con i mitraglieri.
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    Ultima modifica: 7 Dicembre 2019
  14. StarUGO

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  15. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Alla fine del turno 23 il 2° plotone del S.Ten. Ricci venne a trovarsi in posizione quasi insostenibile, inquantoché la squadra comando, che era rimasta inchiodata al terreno in posizione esposta, venne presa sotto il fuoco dell’intero plotone britannico posizionato a sud. Si trattava evidentemente delle forze nemiche che presidiavano l’ultima fascia di obiettivi a sud e che adesso tentava di avanzare verso nord per riconquistare quelli presi dagli Italiani. Del 2° plotone di Ricci, la squadra mitraglieri del cprl. Zampini ripiegava all’interno dell’oasi, mentre quella comando andava addirittura in fuga disordinata sotto il preciso fuoco nemico che ne aveva provocato il dimezzamento, più durante la rotta che durante il primo confronto a fuoco.

    Messo a conoscenza di tali ambasce, il Maggiore Vicari ordinava che anche la batteria anticarro si muovesse con rotta generica verso sud per sbucare al margine meridionale dell’oasi per battere le truppe inglesi, mentre lui continuava il suo movimento per cadere sulla sinistra del nemico all’altezza della “moschea”. Oltre a ciò, inviava una staffetta di corsa (come al tempo della battaglia di Maratona) per ordinare al 3° plotone di convergere pure a sud per rinforzare quel fronte. Il S.Ten. Lapina rispediva indietro la staffetta avvertendo che poteva intervenire con metà solamente delle sue forze in quanto un paio di squadre erano in corso di riordinamento, dopo i precedenti scontri col nemico.

    Il successo invece si profilava netto a Sollum Bassa, dove il 1° plotone del S.Ten. Marinello, completava l’occupazione della città e metteva in fuga i resti del plotone inglese che la difendeva, provocandogli serie perdite. Il nemico si dava alla fuga ed era speranza di Marinello di riuscire ancora ad agganciarlo e distruggerlo.

    Infine arrivava via radio la comunicazione da parte del Ten. Morelli, che gli rimanevano una ventina di granate per ognuno dei suoi quattro mortai da 81 e che presto non sarebbe stato più in condizioni di continuare ad appoggiare l’azione della compagnia. A stretto giro di radio, Vicari gli rispose di concentrare il rimanente fuoco su delle coordinate generiche situate sull’ubicazione del plotone nemico a sud, che con la distruzione di questo, la battaglia sarebbe presumibilmente terminata, a meno neturalmente di sorprese.
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    Il nemico s sud non avanzava, si limitava a smontare pezzo per pezzo il plotone del S.Ten. Ricci con il fuoco. Ma i rinforzi erano in arrivo, il fuoco dei mortai, pur non osservato, era in arrivo e si sperava quindi di riuscire a porre rimedio alla situazione, nonostante le dolorose perdite subite dal 2° plotone. Non pareva il nemico avrebbe avuto l’energia o le forze per rovesciare la situazione.

    Al turno 26 si poté affermare che l’attacco britannico a sud era spezzato in primo luogo dalla sagace disposizione delle aliquote del 3° e del 1° plotone che vennero ben schierate a giro d’orizzonte intorno al saliente nemico in maniera da acquisire una certa superiorità di fuoco su di lui, ed in secondo luogo dall’intervento totalitario della batteria mortai, che aggiunse morte e distruzione alla confusione già in atto tra le fila inglesi in conseguenza del nutrito fuoco di fucileria e di mitragliatrici. La maggioranza delle squadre inglesi che avevano preso parte alla puntata da sud, si ritirarono abbatanza precipitosamente rotte dalla sommatoria dei fattori che abbiamo descritto sopra, e adesso tutte le speranze di Vicari per portare a totale compimento la missione risiedevano nella possibilità in quattro turni di occupare anche l’ultima fascia di obiettivi dietro la moschea.
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  16. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Lo scenario si concluse puntualmente al turno 30, senza alcun ritardo e con vittoria decisiva degli Italiani, che riuscirono non solo ad occupare Sollum Bassa e dintorni, ma anche a pendere degli obiettivi a sud della moschea. questo successo contribuì a ritardare la ripresa delle operazioni offensive da parte dell' 8a armata britannica, dal momento che sulla scorta del successo della missione del IX battaglione, gli Inglesi non avavano più il pieno controllo della Via Balbia a nord ed a est: un bastone tra le ruote, rispetto alla campagna storica, dove gli Italiani non riuscirono più a riprendere il controllo della situazione fino ad El Agheila nel 1941.

    Conlusa questa prima parte dell'operazione Compass, mi accingo a trasportare la campagna d'Africa su un diverso Steel Panther che giocavo quando ero giovanotto: Steel Panthers III Brigade commander, dove le singole unità erano plotoni invece che squadre, e dove gli aspetti del comando e controllo erano più curati e realistici . La cosa ci permetterà di simulare le operazioni di un intero reggimento invece che quelle di una singola compagnia. Aumenterà quindi la scala (250 metri per esagono invece di 50) ed esalterà gli aspetti pluriarma e delle operazioni ad armi conbinate, molto di più di quanto non permetta di fare Steel Panthers base.
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  17. StarUGO

    StarUGO

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    Capitano Ugo Star presente,con fornitura originale. :fumo1:
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  18. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Gran bellezza SP III; manca un po' delle chicche e della varietà dei rifacimenti di SP, ma rimane sempre un gran classico.
    Sto mettendo a punto l'intero 47° reggimento di Fanteria della Lucca per una campagna di 10 battaglie dal gennaio 41 al gennaio 43.
    Il IX battaglione del Ten.Col. Ciccoletti l'ho incorporato nel Reggimento, e la 17a compagnia di Vicari l'ho regolarmente inserita nel IX battaglione.
    Vediamo cosa riesco a far venir fuori da questa campagna. Avversari: Inghilterra, ANZAC e India.

    A voi cari lettori: vi presento il 47° Reggimento di Fanteria "Autotrasportabile" Verona, Divisione di Fanteria Lucca, al momento a pieno organico, al comando del Colonnello De Nicola. Notare in alto il IX battaglione, e con i numeri in giallo, la 17a compagnia del Maggiore Vicari, protagonista fino adesso della nostra ricostruzione storica. D'ora in poi, pur rimanendo protagonista, sarà solo una delle 15 compagnie che compongono il reggimento.
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  19. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Confine Libico Egiziano, gennaio 1941

    Nonostante il recente successo degli Italiani nel rompere la punta all’offensiva britannica sul confine tra Egitto e Libia, gli Inglesi non si erano perduti d’animo ed avevano preparato una seconda potente offensiva, da scatenarsi all’inizio del nuovo anno. Avevano radunato le loro forze corazzate, e si preparavano ad irrompere in Libia, con l’intento di rimettere in moto la ritirata, da trasformare possibilmente in rotta delle forze italiane.

    Dal canto suo, la 10a armata italiana era stata rabberciata alla meglio dopo le mazzate subite a Nibewa ed anzi, alcuni suoi reparti erano stati portati ai pieni organici. Tra questi, la 17a compagnia del IX battaglione divisione Lucca. Questa divisione di fanteria sbarrava il passo degli Inglesi nel settore Halfaya-Sollum e costituiva il cardine della difesa di confine della 10a armata. La 17a compagnia era stata posta in riserva, insieme al resto del IX battaglione. Nello schieramento reggimentale del 47° Verona infatti, per una volta il IX battaglione era stato posto in posizione di rincalzo dietro ai due battaglioni di prima schiera; il X ed il XII battaglione di fanteria.

    Nello schizzo allegato sotto, si può osservare lo schieramento difensivo tipico di un battaglione di fanteria italiano organizzato a caposaldo, secondo la dottrina dell’epoca. Nello schizzo è rappresentata la difesa del fianco sinistro dello schieramento reggimentale, tenuto dal X battaglione di fanteria, che è quello rappresentato nella figura.

    Possiamo vedere quindi due compagnie schierate a caposaldo a difesa dell’area assegnata, la 30a e la 35a. Il rincalzo di battaglione, rappresentato dalla 37a compagnia, à schierato per poter intevenire indistintamente a favore dell’una o dell’altra unità disposte sulla linea di difesa. All’interno del quadrato, notiamo il nucleo anticarro di battaglione, anch’esso non ancora impegnato e tenuto alla mano per poter tempestivamente farsi vedere là dove un’eventuale minaccia corazzata dovesse profilarsi. Il nucleo è costituito da una compagnia cannoni anticarro da 47mm (4) e da due plotoni cacciatori di carri armati con fuciloni Solothurn da 20mm (2). All’interno del quadrato si può notare il plotone autotrasporti (3) che traina i 47mm ed il veicolo comando di battaglione (1).

    Le compagnie arma base, sia in rincalzo che in prima linea, sono spiegate secondo i criteri della difesa in vigore negli anni 40, molti dei quali sono in vigore anche adesso, nella dottrina operativa della fanteria NATO: i due plotoni mitraglieri (27) ai lati dello schieramento per generare fuoco pesante incrociato, un plotone fucilieri nel mezzo (33), il plotone comando (44) ed un plotone fucilieri (33) a rincalzo del caposaldo di compagnia. Notare tra la il fulcro della prima linea e la riserva di compagnia, il plotone mitraglieri pesanti con le Breda da 8 (4) che raccorda i vari centri di fuoco menzionati sopra. Come si può vedere la 35a compagnia è schierata in modo simile, così come la 37a in secondo scaglione, che pur avendo compiti spiccatamente dinamici e di reazione, mantiene la una fisionomia di schieramento assai simile a quella delle compagnie in linea.

    Per finire, tra la 30a compagnia ed il comando di battaglione, notate la batteria da 65, con il numero 4 in giallo e la batteria mortai da 81mm (4) in dotazione al battaglione, anch'esso a ridosso della curva di livello. Queste armi, o almeno i mortai, che hanno gittata 13 esagoni, dovrebbero essere in odi intervenire col fuoco sull’intero fronte difensivo del battaglione. Dietro la cresta numeri (3) e (3), ci sono i camion che trasportano queste armi pesanti.
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    Porzione nord dello schieramento italiano
    Il XII battaglione devo ancora schierarlo sul fianco sud dello schieramento reggimentale, mentre il nostro vecchio IX battaglione del Tem.Col. Ciccoletti costituirà il rincalzo di reggimento. Anche il IX devo ancora schierarlo.

    Voglio farvi notare che a questa scala di 250m per esagono, tutto diventa assai più complicato per quanto riguarda la gestione ed il piazzamento delle armi. La mappa e lunga 100 esagoni ed è larga 80, e la mia unità con gittata maggiore (il battaglione obici divisionale da 100mm ha una gittata di 48 esagoni. La batteria obici reggimentale ha una gittata di 40 esagoni, mentre i mortai assegnati ai battaglioni hanno un tiro utile di 13 esagoni!

    Come si può subito intuire la gestione ed il piazzamento delle unità a questa scala diventa molto più impegnativo che nel normale Steel Panthers dove un pezzo di artiglieria anche di calibro modesto spazia indifferentemente su tutta la mappa.

    Le cose diventano anche più complicate se prendiamo in esame le armi a tiro diretto: il fucile per fanteria ha 3 esagoni di gittata, la mitragliatrice leggera Breda 6,5mm pure, mentre la Breda pesante da 8mm arriva a 5 esagoni. Il cannone da 65mm per fanteria assegnato ai battaglioni italiani ha una gittata di 6 esagoni, mentre quello anticarro da 47 ha un tiro utile di 7 esagoni. I Solothurn da 20 tirano anche loro a 5 esagoni. Si capisce immediatamente che ogni singolo movimento ed ogni singolo piazzamento diventano importanti. In difea c’è il concreto rischio di avere zone senza copertura di fuoco se non si sta attenti a quello che si fa. Oltre a ciò c’è anche il discorso del comando e controllo, che in Steel Panthers III è molto più curato che nelle versioni a scala più bassa. Mi pare che questo sistema di C3I sia stato copiato nella versione Matrix Games "Steel Pantheres World at War", ma non nelle versioni Sharpnel Games e SP Camo. Ed invece avrebbero fatto bene a copiarlo pure loro, perché aggiunge una massiccia dose di realismo alla simulazione. Se non si mantiene il contatto visivo o radio è impossibile muovere le formazioni come un tutt’uno, ed alle volte non si riesce a muovere le unità isolate affatto; il che implica per la fanteria italiana che ha la radio solo fino al livello di compagnia, di tenere i plotoni a distanza attaccati uno all’altro. Nella foto sopra non è così in quanto sono schierati in difesa e con meno necessità di muovere. Ma se dovessero muovere occorrerà serrare le fila se si vuole evitare il caos. Oltre a ciò i vari ufficiali hanno un numero limitato di ordini a seconda del loro stato morale, nazionalità e livello di addestramento della particolare unità: insomma un sistema molto valido ed elegante. Per finire la scala a 250m per esagono fa risaltare ancora di più le differenze di mobilità tra i vari eserciti. I nostri appiedati in mezzo al deseerto, con i veicoli giusti giusti per muovere le armi intrasportabili a braccia, avranno molto più da soffrire la mobilità dell'avversario a questa scala.
     
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    Ultima modifica: 8 Dicembre 2019
  20. StarUGO

    StarUGO

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    Io il CC l'ho sempre disabilitato,sicuramente piu' realistico ma mi innervosiva,troppo limitativo.
     

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