MILANO, IL COMUNE DIVENTATO REGNO LIBRO I: Il Comune, 1117-1195 PARTE I: Gli esordi del Comune PARTE II: Espansione e apogeo
LIBRO I: IL Comune, 1117-1195 PARTE I: Gli esordi del Comune PROLOGO: Nascita del Comune La Marca Obertenga, nata nel X° secolo dell'era cristiana nell'ambito del Regno d'Italia, era stata affidata ad Oberto I, capostipite della omonima famiglia (da cui nasceranno poi gli Este, i Pallavicino, i Cavalcabò, i Malaspina ... ) dal re Berengario II d'Ivrea il quale, riorganizzando i suoi possedimenti (estesi da Ventimiglia a Bormio e da Luni sino all'imbocco della Valle d'Aosta) li divise in quattro marche più piccole, affidate a uomini a lui fedeli. Gli Arduinici ottennero i territori dell'attuale Piemonte e Liguria occidentale, gli Aleramici si videro assegnare una striscia compresa tra Vercelli e Savona (comprendendo quindi i territori che diventeranno il marchesato di Monferrato) e gli Obertenghi, appunto, il resto. Berengario conservò per se solo la zona di Ivrea e gli immediati dintorni. Per quasi tre quarti di secolo (dal 951 al 1117) Oberto e i suoi discendenti controllarono quel vasto territorio senza riscontrare particolari problemi coi vassalli minori (conti e vescovi) che governavano i loro vece. Il più importante di questi vassalli, l'arcivescovo di Milano, era il prelato designato per le incoronazioni a re d'Italia degli Imperatori di Germania. Nel 1117 tuttavia, indebolitosi notevolmente il potere centrale del marchese (che nel frattempo avevano dato origine, tramite matrimoni e discendenze cadette, alle famiglie nobili succitate), cominciarono a sgretolarsi gli equilibri e, una dopo l'altra, le grandi città fino a quel momento sottoposte all'autorità del marchese, sciolsero i propri vincoli di vassallaggio e si dichiararono indipendenti. Molte, se non tutte, scelsero di governarsi come Comuni, eleggendo quale autorità suprema un console (che di solito aveva già servito in passato il marchese o uno dei suoi vassalli come magister militum o come membro del governo). E così la grande Marca Obertenga scomparve, sostituita da una miriade di comuni più o meno grandi, in genere ostili gli uni altri altri e uniti soltanto da un obbiettivo comune: ottenere il predominio sui rivali. CAPITOLO I Il consolato di Francesco Torriani, 1117-1124 L'elezione Il 16 maggio 1117, dopo giorni di tensioni tra i membri più illustri delle famiglie milanesi deputati ad eleggere il primo console del neonato Comune, viene trovato l'accordo e all'unanimità è eletto Francesco della Torre, appartenente alla fazione nobiliare (i Torriani sostengono di discendere, tramite il ceppo borgognone dei De la Tour, addirittura con la famiglia imperiale di Carlo Magno) ed erede del conte di Valsassina sotto il governo dell'ultimo marchese di Milano Folco I d'Este. Nato nel 1083 da Emanuele della Torre e da una donna di cui si ignora il nome, il nuovo console aveva 34 anni e dal 1108 è sposato con Berta Carcano. All'atto costitutivo del Comune - risalente all'aprile del 1117 - è stato deciso che il Console eletto governi, coadiuvato da un consiglio composto da altri 7 esponenti delle consorterie cittadine, fino alla morte ma Francesco, come primo atto del proprio governo, stabilisce che il mandato debba durare solo 7 anni, per evitare derive autoritarie che finirebbero con l'indebolire la struttura stessa del Comune. Tuttavia, cedendo alle pressioni dei membri "nobili" del consiglio, viene accettato il principio di un secondo mandato in caso di scadenza del primo in un periodo di crisi (guerra o pestilenza). Il 20 maggio il Console giura solennemente alla presenza dell'Arcivescovo e viene dallo stesso investito dei poteri civili. Il Comune di Milano nel 1117 La situazione politica del Mondo La situazione religiosa La politica estera Rendendosi conto che un Comune, per quanto forte, non può pensare di condurre una politica espansionista (giurando Francesco ha promesso di fare di Milano la città egemone della Lombardia) senza alleanze. E Francesco, nobile al servizio di una repubblica, comincia a lavorare per assicurare a Milano una fitta e stabile rete di alleanze. Il primo vicino a cui si rivolgere è il conte di Savoia, che ha il vantaggio di essere sufficientemente forte e di non avere mire sui territori confinanti col milanese. Dopo mesi di trattative, condotte in maniera riservata (gli unici informati sono i 7 membri del Consiglio), il 17 aprile 1118 Amedeo III di Savoia e Francesco Torriani siglano un trattato di alleanza che, nei loro intenti, porterà vantaggi ad entrambi. Poco dopo, il 1 maggio, un altro trattato è siglato col potente principe-vescovo di Coira, Wido, (in questo caso il lavoro di mediazione è stato condotto dall'arcivescovo di Milano Giordano da Clivio), che si impegna ad aiutare il Comune di Milano sia che questi sia aggredito dai suoi vicini sia che sia lui ad aggredire, e a non compiere conquiste a sud delle Alpi (Bormio o la Valtellina) senza previo consenso del Console. Non contento di avere i confini ad ovest e a nord coperti, Francesco lavora per ampliare la propria rete di alleanze, e vi fa entrare anche il vescovo di Trento Gebardo (settembre) e il Comune di Parma (ottobre). Il primo dicembre 1118, inoltre, per cementare ulteriormente l'alleanza con il conte di Savoia, Francesco fa fidanzare il primo primogenito Rodolfo, di 7 anni, con l'ultima figlia del conte Amedeo, Agnese. L'inizio dell'espansione: la guerra contro Cremona Creata la rete di alleanze, il Console inizia i preparativi per ampliare i possedimenti del Comune. La vittima designata è il confinante Comune di Cremona, vivacemente filo-papale (mentre Milano, o meglio, i Torriani, sono ferocemente legati all'Impero), che sin dal 1118 ha dato inizio ad una vera e propria escalation lungo il confine dell'Adda. E' la dimostrazione che tutti i Comuni della Lombardia ambiscono ad assurgere al rango di prima potenza della regione. Francesco Torriani, che rappresenta Milano, non ha nessuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa dai rivali, per giunta ostili all'Impero, e nell'estate del 1119, dopo l'ennesima provocazione dei bergamaschi (formalmente vassalli di Cremona) reagisce e dichiara guerra. Immediatamente la Lega creata dai Torriani si mette in marcia. Accanto a Cremona si schierano i comuni di Como, Mantova e Reggio, oltre alla Comunità dei comuni del Frignano. Le forze in campo Gli schieramenti Postosi al comando della milizia cittadina, Francesco Torriani marcia subito su Bergamo che prende, dopo un breve assedio, il 29 agosto; il 25 settembre cade anche Lovere e il 21 ottobre il Console entra a Crema. Ma intanto i cremonesi e i loro alleati, finalmente riunitisi, si portano sotto le mura di Bergamo e Francesco, che non può permettere al nemico di riprendere la città, si porta in vista delle linee nemiche deciso a dare battaglia, nonostante l'inferiorità numerica. Il 4 dicembre, nei pressi di Orio, sul Serio, i milanesi sono sconfitti e costretti a ripassare l'Adda. Fortunatamente Bergamo resiste all'assalto dei cremonesi e per i successivi 4 mesi le operazioni belliche si limitano a incursioni e raid volti soprattutto a sfiancare le truppe e a saccheggiare le campagne. Rimessa in sesto la milizia, il Console riprende l'iniziativa e, unendo le sue truppe ad un contingente sabaudo, marcia su Brescia che si era data ai milanesi a gennaio e assediata da un piccolo reparto di comaschi. Francesco, stavolta in netta superiorità numerica, li affronta a Castegnato e li sbaraglia completamente (10 maggio 1120). Il 3 giugno la stessa sorte capita ad un distaccamento di cremonesi accampato nei pressi di Malcantone. Proprio mentre i milanesi si apprestano a mettere sotto assedio Cremona ecco però giungere in soccorso della città un esercito di 10.000 uomini (mantovani, friniati e reggiani) comandato da Gaetano Piccoli, il vincitore della battaglia di Orio al Serio. Anche questa volta, benché le forze siano quasi pari, i milanesi sono sconfitti, perdendo il doppio degli uomini dell'avversario). Francesco ripiega nuovamente verso Milano. Cremona viene comunque assediata e presa dai sabaudi, appoggiati da truppe inviate dai vescovi di Coira e Trento (12 agosto) e il 7 settembre, sotto le mura della città, l'esercito riunito della Lega Torriana sconfigge duramente i friniati e li respinge oltre il Po. Subito dopo i coalizzati si portano sotto le mura di Casalmaggiore e lo pone sotto assedio. Il blocco si protrae per tutto l'autunno e l'inverno fino a che, rimasta senza viveri, la guarnigione cremonese si arrende il 1 aprile 1121. La guerra, che ormai si protrae da quasi due anni, volge lentamente in favore della Lega Torriana, che sconfigge a Sospiro i comaschi il 18 maggio, i friniati a Castenedolo il 24 giugno e i reggini, il 17 agosto, appena fuori Como. Mantova, assediata dai trentini sin dal mese di luglio, si arrende ai primi del 1122 e il comune firma la pace ad Asola il 13 marzo. E' il primo dei confederati ad uscire dal conflitto, che ormai è prossimo a concludersi con la vittoria dei milanesi. Como apre le porte agli assedianti torriani il 15 luglio, dopo 11 mesi, e il 10 settembre anche i friniati firmano la pace. Il comune di Reggio li imita il 1 ottobre. Il 4 viene firmata la pace con Como: il comune lariano è costretto a liberare le città di Lugano, Bellinzona e Locarno (che si uniscono a formare una "mini-lega" di tre comuni, chiamati Oltremontani) e a rompere ogni legame diplomatico con Cremona e Lodi, comune rimasto neutrale ma sostanzialmente schierato contro Milano. Due giorni dopo, il 6 ottobre 1122, viene firmata la pace con Cremona. Il comune cede Bergamo, Lovere, Cremona e Crema a Milano (e il governo comunale ripiega su Sabbioneta), libera come comuni indipendenti Bergamo (con capoluogo a Breno) e Brescia e paga la somma di 3.100 pezzi d'oro come rimborso per le spese di guerra affrontate da Milano. Il 10 ottobre Francesco Torriani rientra in città accolto come un condottiero, viene celebrato un vero e proprio trionfo all'antica e, come segno di ringraziamento, il padre del console, Emanuele e il fratello minore Galeazzo, sono ammessi al consiglio. Gli ultimi anni Il 3 settembre 1123 Francesco Torriani, che si avvia a chiudere il suo settennato col vento in poppa, conclude il primo di due accordi diplomatici, volti ad assicurare a Milano ancora più sicurezza e, sostanzialmente, influenza. Sentendosi poco sicuri (Como ha perso la guerra ma non ha disarmato ed è deciso di vendicarsi) i tre Comuni Oltremontani firmano un trattato di alleanza con Milano, che si impegna a proteggerli dalle mire comasche (e di tutti gli stati vicini, Novara soprattutto), in cambio di appoggio militare. L'anno dopo, a novembre, alla Lega Torriana si unisce anche il marchese di Verona, che controlla una buona parte del Veneto e tutte e due le sponde del lago di Garda. Con Verona la Lega è così composta: 2 monarchie-Contea di Savoia e Marchesato di Verona 3 repubbliche- Comuni di Milano, Parma e Bellinzona (capoluogo dei comuni Oltremontani) 2 teocrazie-Vescovati di Coira e Trento Tutti i membri della Lega inviano a Milano un proprio delegato, nelle funzioni di "ambasciatore" che dovrà tenere i contatti tra Milano e i rispettivi signori, in modo da poter tenere viva l'alleanza e allertare, in caso di necessità, i membri aderenti, nella maniera più rapida possibile. Il 18 novembre Francesco della Torre termina il suo mandato e, rifiutando l'offerta di un secondo mandato propostagli dagli altri 5 membri (suo padre e suo fratello si astengono), si ritira a vita privata. Morirà, come conte di Valsassina, nel 1139, all'età di 56 anni.
Bell'esordio, complimenti! Per ora mi sembra che i primi passi, sia diplomatici che militari, siano andati molto bene. Che obiettivi a medio-lungo termine ti sei posto? Una piccola nota: quando clicco sulle immagini invece di ingrandirsi mi mandano al sito dove immagino siano presenti, è corretto? Mi piacerebbe vedere qualche dettaglio in più.
Bè ... l'obbiettivo a breve termine è ottenere il predominio sulla Lombardia, quello a medio termine diventare ducato e quello a lungo, molto lungo, creare l'Italia. Guarda, io uso postimage ... di solito le ingrandiva ... non so stavolta cosa sia successo.
Intanto far scendere la Republican Tradition a meno di 40 punti. Poi attivare l'opzione "Switch Italian Monarchy" .. ma credo il titolo di partenza si Marchese. Duca credo si diventi solo dopo aver riunificato tutta la Lombardy Region.
CAPITOLO II Il Consolato di Emanuele Torriani, 1124-1132 L'elezione Al termine del mandato consolare di Francesco Torriani, i membri del Consiglio si riuniscono per eleggerne il successore, in un clima tutt'altro che sereno e disteso. Si scontrano due "partiti", due diverse concezioni di potere, due ideologie in effetti. Da una parte il partito "monarchico", sostenitore dell'impero e fautore di un governo non solo vitalizio ma anche ereditario, da affidare alle mani dei membri delle due sole famiglie filo-imperiali, Torriani e Visconti; dall'altra il partito "comunale" o "repubblicano", fortemente orientato in senso anti-imperiale e fautore di governi con scadenza stabilita e senza possibilità di rielezione. Torriani e Visconti, uniti solo dalla stessa politica ghibellina, sono però divisi e, spesso, ferocemente ostili gli altri altri, mentre dall'altra parte gli esponenti repubblicani hanno più facilità a trovare accordi comuni, nonostante siano anch'essi spesso divisi tra estremisti radicali e moderati. Il 19 novembre Ottone Visconti, capo della famiglia, tenta di farsi eleggere console ma trova un netto rifiuto da parte di tutti e 4 i membri repubblicani e di Emanuele Torriani (solo il figlio minore di questi, Galeazzo, appoggia la candidatura del Visconti). Il 21 novembre ci prova Ludovico Lamberti, esponente moderato dei repubblicani, ma anche il suo tentativo viene respinto dai membri del suo stesso partito e dai Visconti. Infine, il 23, ormai stanchi di "guerreggiare" tra di loro, Visconti e Torriani, appoggiati da Lamberti, propongono congiuntamente la candidatura di Emanuele Torriani e hanno partita vinta. Il nuovo console, che ha 59 anni essendo nato nel 1065, ha dalla sua il fatto di essere il padre di Francesco, e tanto basta. Del resto è vecchio e sono intimamente convinti tutti che non terminerà il suo mandato. Dovrebbe, insomma, essere una sorta di candidato di transizione, eletto solo per guadagnare tempo e consentire alle due parti di trovare un accordo, magari su un membro esterno, neutrale e gradito a tutti. La situazione politica nel 1125 La situazione religiosa La Lega Torriana Le due guerre: accanto a Verona e contro Pavia Se Francesco si è messo personalmente alla testa della milizia milanese (ma la sua età lo consentiva), suo padre Emanuele non ha nessuna intenzione (e la forza) per affrontare la vita tra i militari. E, personalmente, è una persona amante della pace. Non ha approvato la guerra scatenata dal figlio anche se ha finito per accettarla e felicitarsi per il buon esito di quella. Tuttavia, visti i tempi correnti, lasciare la milizia senza un condottiero sarebbe un errore madornale, imperdonabile. E il Console, dopo aver passato al setaccio i pochi candidati validi, il 22 febbraio 1125 nomina generale Achille Ruga, membro di una famiglia milanese relativamente poco nota ma di buone sostanze e, soprattutto, filo-imperiale. Ruga, giovane, in forze e provvisto di buon senso, addestra la milizia, studia strategie, si reca personalmente sui luoghi delle battaglie combattute contro Cremona e i suoi alleati, per conoscere e approfondire i vantaggi e svantaggi dei vari terreni. Tuttavia per oltre un anno non vi è ragione per mettere in pratica l'addestramento. Ogni sei mesi il Console si consulta con gli ambasciatori alleati, risolve le piccole beghe e controversie che, specialmente tra stati confinanti, possono sorgere, e invita tutti quanti alla moderazione e alla diplomazia. Cerca, in ogni modo, di evitare che scoppino conflitti armati tra i vari membri dell'alleanza (alleati con Milano ma, tranne alcuni casi, non tra di loro) per non doversi ergersi ad arbitro della contesa e piacere così a qualcuno e dispiacere ad altri. E' un pacifista convinto ma è anche un realista. Sa bene che, presto o tardi, scoppierà una guerra e che il suo intervento, meglio se armato, sarà richiesto. Spera vivamente che non accada ma non dubita che accadrà. E infatti. Alla fine dell'estate del 1126, dopo mesi di continue incursioni e razzie da parte del comune di Treviso, il marchese di Verona perde la pazienza (e del resto, chi non l'avrebbe persa nelle sue condizioni) e mobilita l'esercito. Il Console propone la sua mediazione ma, mentre il marchese sarebbe anche disposto ad accettarla, il Capitano del Popolo trevigiano rifiuta decisamente: non sarebbe, quello di Emanuele, un giudizio neutrale, essendo egli alleato col marchese. E il marchese, ottenuto l'appoggio di Milano (anche se il Console ha ceduto solo a malincuore), dichiara guerra al comune vicino. E' il 19 settembre 1126. Le forze in campo Gli schieramenti Da un punto di vista numerico la guerra è praticamente già vinta dal marchese di Verona, alleato, oltre che con Milano, anche col Papa e con Parma, mentre il comune di Treviso può contare solo sull'appoggio del comune di Este. La milizia milanese, 6.000 uomini, entrata nel territorio trevigiano, espugna Castelfranco il 17 novembre. Nel corso del mese di dicembre altri 2.000 uomini, mercenari svizzeri arruolati appositamente e messi al comando di Achille Ghislieri, si portano sotto le mura di Este iniziandone il blocco mentre la milizia assedia Treviso. Il 18 marzo 1127 Este apre le porte ai milanesi. Treviso resiste accanitamente a vari assalti e solo in estate, ormai allo stremo e con la popolazione falcidiata dalle malattie e dalla fame, si arrende (22 agosto) e viene ceduta subito all'inviato del marchese di Verona. Il primo ottobre cade anche Feltre e undici giorni dopo il comune di Treviso, rimasto privo di truppe, deve cedere e firmare una durissima pace: Verona si annette Castelfranco, Bassano, Ceneda, Mestre e Oderzo, mentre Belluno e Feltre, liberate, si uniscono a formare un nuovo comune, che il marchese di Verona pone sotto la propria protezione. Soddisfatto per aver mantenuto fede all'impegno di mutua assistenza ad un prezzo umano più che accettabile, il Console pensa di dedicare gli ultimi anni del suo mandato ad una riforma amministrativa che renda più omogeneo e gestibile il potere. Il Comune, dopo la guerra con Cremona, si è esteso territorialmente e subito dopo la vittoria Francesco Torriani ha provveduto a inviare nelle quattro città annesse suoi rappresentanti, nelle vesti di podestà. Emanuele, nella primavera del 1128, fa passare la sua riforma amministrativa. L'intero territorio del Comune è diviso in 9 podesterie (Varese, Milano, Binasco, Crema, Cremona, Bergamo, Treviglio, Lecco e Lovere) ciascuna affidata ad un podestà che, almeno teoricamente, dovrebbe essere eletto ogni anno (ma il principio sarà ben presto vanificato e non applicato), il quale podestà deve "giustificare" il suo mandato al Console un mese prima della sua scadenza. Meno fortuna ha il progetto, elaborato dall'opposizione repubblicana, di una sistemazione delle diocesi. Interpellato, il Papa, prende tempo e passeranno molti anni prima che si torni a parlare dell'argomento. Nel mese di luglio del 1129, passando da Pavia durante una missione diplomatica, il figlio più giovane del Console, Galeazzo, viene aggredito da una banda di pavesi, senza alcun apparente motivo. Galeazzo se la cava con qualche ferita non grave e molto spavento e, tornato a Milano un mese più tardi, riferisce al padre e al consiglio l'esito della missione e chiede ufficialmente che il Comune di Pavia sconfessi e punisca gli autori dell'aggressione subita. Naturalmente il Console fa sua la richiesta del figlio e, ottenuto l'appoggio di tutti i consiglieri, manda a Pavia un ultimatum dai toni piuttosto forti (soprattutto per un pacifista come Emanuele Torriani) con cui si ingiunge al Comune di ottemperare alle richieste, tutto sommato moderate, presentate. Da Pavia, passata una settimana, arriva la risposta: Milano restituisca entro fine mese le città indebitamente sottratte a Cremona e il Comune di Pavia punirà gli autori dell'aggressione al figlio del Console. L'11 agosto il Comune di Milano dichiara guerra a Pavia. Le forze in campo Gli schieramenti Il conflitto si prospetta brutale e le forze in campo sono piuttosto equilibrate (anche se la Lega Torriana è più forte). L'assedio di Pavia, iniziato il 15 agosto, si conclude con la sua resa un mese dopo e a partire dal primo ottobre i milanesi, rinforzati dai contingenti alleati, bloccano Vigevano, la principale fortezza del Comune pavese. Per tutto l'inverno pavesi e monferrini, alleati, saccheggiano il Piemonte sabaudo, occupando Lanzo e le sue valli e, dopo un lungo assedio, anche Torino. Vercelli, alleata con Pavia, si è data ai milanesi dopo il tradimento di alcuni influenti cittadini e il potente vescovo è stato costretto a ritirarsi a Biella. Al tempo stesso i veronesi assediano Piacenza. Caduta la città il 20 luglio il Comune firma la pace pagando a Milano la somma di 10 chili d'oro. Vigevano, ben difesa e rifornita, resiste accanitamente ai vani tentativi di assalto e cade solo il 7 dicembre 1130, cavandosela con un modesto saccheggio. Il 24 aprile 1131 è il turno di Casale Monferrato. A maggio, sotto la minaccia di un assedio e di un saccheggio ben più grave di quello subito da Vigevano, l'abate di Bobbio firma la pace e paga una modesta quantità di denaro a Milano che, in cambio, promette di garantire l'indipendenza dell'abbazia e del suo territorio. Il 29 maggio anche il Marchese di Monferrato esce dal conflitto, pagando con 30 chili d'oro e giurando di rompere i legami di alleanza con i Delfini di Vienne. A luglio, liberi dalla minaccia dei monferrini, i sabaudi assediano e prendono Alessandria, da poco fondata in funzione anti-imperiale (e quindi anti-milanese). Il 1 settembre anche il vescovo di Vercelli, assediato in Biella, firma la pace, consegnando a Milano 7 chili d'oro e giurando di rompere i legami di alleanza col Marchese di Monferrato e col Comune di Novara, neutrale nel conflitto ma appartenente alla lega anti-milanese che è sorta dopo le prime espansioni del Comune ambrosiano. Il 5 settembre, infine, il Comune di Pavia, sconfitto, si arrende e viene totalmente distrutto. Pavia, Vigevano e Broni sono annessi al Comune di Milano, Alessandria e Tortona sono liberati e posti sotto la protezione dello stesso Comune. La morte Questa volta la guerra è stata più lunga ed è costata molte vite, ma il Console è comunque soddisfatto: ha vendicato l'aggressione subita da Galeazzo e, allo stesso tempo, ha esteso il Comune, togliendo di mezzo un rivale potenzialmente molto pericoloso. Gli ultimi mesi di mandato, e di vita, di Emanuele Torriani non vedono accadere eventi di particolare nota. Il console muore, serenamente, nel suo letto il 10 febbraio 1132 all'età di 67 anni.
CAPITOLO III Il Consolato di Ludovico Lamberti L'elezione La morte, prevista ma non così presto, di Emanuele Torriani, coglie impreparati i membri del Consiglio. Celebrati i funerali solenni il 15 febbraio, il giorno dopo si iniziano i lavori per eleggerne il successore. Galeazzo Torriani, l'unico membro della sua famiglia rimasto nel consiglio, tenta di farsi eleggere pronunciando un discorso sul valore della continuità politica e della prosecuzione dei progetti avviati da suo padre e dal fratello maggiore, ma nonostante l'efficacia oratoria (e la correttezza delle motivazioni) sia i Visconti, per la fazione "monarchica", sia i membri della fazione "repubblicana" gli negano il loro appoggio. Galeazzo allora decide di offrire il suo voto al vecchio Ottone Visconti ma questi si tira indietro, adducendo a motivo l'età avanzata e gli acciacchi. Dopo 3 giorni di inutili schermaglie verbali si è ottenuto, come unico risultato concreto, l'ingresso nel consiglio (al posto del defunto console), del giovane Marcello Caetani (esponente di un ramo cadetto della omonima famiglia romana, venuto a Milano in cerca di fortuna). Il 21 febbraio, undici giorni dopo la morte di Emanuele Torriani, il seggio consolare è ancora vuoto e la situazione inizia a pesare. E' così che i membri del partito repubblicano, che godono del vantaggio (sono 5, contro i tre "monarchici") trovano un accordo nella persona di Ludovico Lamberti e lo eleggono terzo Console il 22 febbraio 1132. La guerra contro Como: al fianco del Vescovo di Coira Il nuovo console è insediato da meno di un mese (ha giurato solennemente il 25 febbraio) e già deve decidere se mantenere l'alleanza col Vescovo di Coira o se rigettarla. Il prelato infatti, da tempo in contrasto con i monaci di San Romedio di Poschiavo che controllano e governano il territorio compreso tra il Passo Bernina e Tirano, ha dichiarato loro guerra con l'intento di sottometterli alla propria autorità. Il Vescovo e il Comune di Como, alleati coi frati, hanno ovviamente dichiarato guerra al Vescovo di Coira e questi ha a sua volta richiesto l'appoggio del Comune di Milano. Lamberti è tentato di rifiutare, preferendo consolidare le recenti conquiste a sud, ma gli altri membri del consiglio, tutti nessuno escluso, sono invece favorevoli a patto, ovviamente, che il Vescovo di Coira si limiti ad annettersi Poschiavo. Il Console vorrebbe trattare le condizioni per la partecipazione di Milano col Vescovo alleato ma non c'è tempo e, del resto, non vi sono certezze che il prelato accetti condizioni. Il Console dunque cede alle pressioni dei colleghi del Consiglio e dichiara guerra a Como e ai frati di Poschiavo. E' il 21 marzo 1132. Data la sproporzione di forze in campo la guerra è tecnicamente vinta ancora prima di iniziare per il Vescovo e i suoi alleati, ma i comaschi, soprattutto, non si danno per vinti tanto in fretta anzi, Como resiste all'assedio milanese per più di sei mesi e apre le sue porte agli assedianti solo il 12 ottobre, quando le truppe del Vescovo di Coira e quelle del Vescovo di Trento hanno già occupato da mesi sia Bormio che Sondrio. La guerra può dirsi conclusa, anche se i frati resistono nel loro ridotto alpino, e l'inviato del Console fa sapere all'alleato che, come compenso per l'aiuto prestato, il Comune sarebbe molto interessato ad annettersi Como e il territorio circostante. Il Vescovo risponde che se ne parlerà durante le trattative di pace, senza però promettere nulla. Non è un bel segnale e il Console, venuto a conoscenza della risposta, sente odore di inganno e di tradimento. E infatti. L'8 novembre il Comune di Como e il Vescovo di Coira, senza coinvolgere l'inviato milanese, firmano la pace a Tirano con la quale Como cede al Vescovo la media Valtellina con Sondrio e si impegna a pagargli per dieci anni una indennità di guerra. La notizia arriva a Milano il 10 e poco manchi che scoppi una insurrezione popolare. Il partito monarchico, per quanto debole, invoca la rottura delle relazioni col Vescovo traditore e la sua espulsione dalla Lega. Visconti chiede che gli si dichiari guerra ma nessuno, per quanto l'atmosfera sia incandescente, ha interesse a scatenare una guerra con un Vescovo, anche se traditore. Ci si limita ad una protesta ufficiale a cui il Vescovo non si degna nemmeno di rispondere. Ad ogni modo, Poschiavo si arrende solo nel giugno del 1133 e i frati devono sottomettersi al Vescovo che ora, grazie al possesso del Bernina e di mezza Valtellina ha il controllo di una delle importanti vie commerciali di terra tra Milano e il Nord Europa. Le forze in campo L'annessione di Lodi Alla fine di ottobre del 1134, quando i rapporti con Coira sono tornati più o meno cordiali dopo mesi di gelo, l'attenzione del Console si volge verso il piccolo Comune di Lodi, il cui territorio è incuneato entro i confini milanesi e che potrebbe essere usato come "trampolino" dai potenziali nemici che Milano ha nella regione. Nel mese di ottobre di quell'anno Lodi e il suo territorio sono in pieno fermento. Il popolo, in rivolta contro l'elite al potere, semina distruzione e confusione saccheggiando le proprietà dei nobili e dei notabili. Il Console, preoccupato che i disordini possano allargarsi anche ai milanese, offre ai nobili lodigiani l'appoggio della milizia milanese per sedere i tumulti e quelli, nonostante la prospettiva di finire "mangiati" dal troppo potente vicino, accettano l'aiuto e chiamano in soccorso i 6.000 uomini di Achille Ruga. Il 29 ottobre le milizie milanesi affrontano un'accozzaglia di contadini e di artigiani lodigiani, in numero di 3.000 circa, appena fuori le mura di Lodi, sbaragliandole. Il 12 novembre scoppia l'ennesima insurrezione e ancora una volta i milanesi, che sono nel frattempo tornati a Milano, calano nuovamente su Lodi, affrontano i ribelli e li sconfiggono (4 dicembre). A questo punto è ormai chiaro che il Comune di Lodi non è in grado di difendersi da solo e che il governo cittadino è del tutto squalificato e impopolare. Il 10 dicembre Lamberti fa sapere al suo "collega" lodigiano che la sua "difesa" ha un prezzo e che, considerando come stanno le cose, sarebbe molto sensata come cosa sottomettersi alla sua autorità, in modo da rendere più semplice la faccenda. Il 12 il Consiglio consolare di Lodi si dimette e il giorno dopo un rappresentante del Comune di Milano annuncia alla cittadinanza il nuovo stato delle cose. L'uomo, Bonifacio Carafa, è nominato podestà di Lodi mentre i vessilli milanesi vengono issati sul palazzo del Popolo. La conquista della città è costata a Milano appena qualche centinaio di caduti durante gli scontri con i contadini in rivolta. La nuova podesteria di Lodi La morte Il 6 maggio 1140 Achille Ruga viene assassinato a Milano (i motivi restano ignoti anche se, la voce del popolo, parla della vendetta di qualche nobile lodigiano o, più prosaicamente, semplicemente del gesto di un marito tradito). Il suo posto viene preso dal suo secondo, Achille Ghislieri (voci, più avanti, diranno che l'omicidio di Ruga ha per mandante proprio Ghislieri, desideroso di prenderne il posto, ma resteranno solo voci non confermate). Durante l'estate la salute di Ludovico Lamberti, che già negli anni precedenti aveva dato segni di debolezza, peggiora rapidamente e, nonostante il Console abbia appena 41 anni, è chiaro che non vivrà ancora a lungo. Ai primi del 1141, quando le sue condizioni sono ormai irreversibilmente gravi, gli altri membri del Consiglio si riuniscono e trovano un accordo di massima sul successore, così da non lasciare Milano senza un capo troppo a lungo. Infine, il 17 aprile 1141, Ludovico Lamberti muore nel suo letto, a 42 anni e un mese, dopo 9 anni di governo.
CAPITOLO IV Il consolato di Bonifacio Carafa, 1141-1146 L'elezione A differenza di quanto accaduto con le precedenti due elezioni, questa volta il Consiglio non perde tempo in inutili schermaglie e già il 21 aprile, il giorno dopo le esequie di Ludovico Lamberti, Bonifacio Carafa viene eletto, con sei voti su sette, nuovo Console. E' relativamente giovane essendo nato nel 1096 e gode dell'appoggio tanto della fazione repubblicana quanto di parte di quella monarchica (la sorella di Bonifacio, infatti, è sposata con un Visconti) e si pensa che eleggendo lui il Comune avrà un periodo abbastanza lungo di stabilità. La grande Lega contro Milano Le previsioni dei Consiglieri si rivelano, per Milano, troppo ottimistiche. La pace e la stabilità, infatti, non durano nemmeno 2 anni. All'inizio del 1143 il Marchese di Savona (che controlla una buona parte del Piemonte meridionale e mezza Liguria), nel pieno della sua espansione, trova la sua strada sbarrata dal Comune di Alessandria che si rifiuta di sottomettersi alla sua autorità. Il Marchese non può tollerare l'insolenza di quei borghesi e minaccia di radere al suolo la città se non si sottometteranno. Da Alessandria partono richieste urgenti di aiuto, rivolte a Milano, che sin dai tempi della liberazione dopo la guerra con Pavia, ha preso Alessandria sotto la sua protezione; ai Savoia, che temono l'espansionismo del Marchese; e a tutti quelli che possono essere interessati a frenare le mire savonesi. Intanto il 22 febbraio 1143 il Marchese dichiara guerra al Comune di Alessandria e si prepara ad invaderlo, spalleggiato dalla Repubblica di Genova, dal potente Comune di Asti e dai Marchesi di Massa e Pontremoli. A Milano si discute: aiutare Alessandria significherebbe mettersi contro forse nettamente superiori e con possibilità di vittoria scarse o nulle. Ma non aiutarlo lederebbe l'immagine del Comune e rischierebbe di guastare i rapporti con i vicini e con gli alleati. Alla fine, ai primi di marzo, viene deciso di appoggiare Alessandria. Prima di far parlare le armi, tuttavia, il Console propone di inviare al Marchese un ambasciatore per proporre una mediazione che salvi Alessandria e la sua indipendenza e al tempo stesso soddisfi in qualche modo le richieste del Savonese. Il tentativo fallisce ancora prima di iniziare: l'ambasciatore, in barba a tutte le consuetudini, viene incarcerato ad Asti. L'affronto è imperdonabile e il Comune di Milano, nonostante tutti i rischi, dichiara guerra a sua volta a Savona e ai suoi alleati. Le forze in campo favoriscono nettamente gli avversari e il Console lo sa, tuttavia confida nel fatto che, agendo in modo non coordinato, i suoi nemici dividano le loro forze rendendole più vulnerabili. Le forze in campo Gli schieramenti L'esordio delle operazioni smentisce subito le sue speranze: il 20 marzo un esercito confederato forte di 24.000 uomini si porta sotto Alessandria e ne inizia il blocco. Ghislieri, alla testa dei 6.000 milanesi, si trova a Valenza (10 miglia a nord) e da lì potrebbe piombare alle spalle degli assedianti e dare battaglia approfittando dell'elemento a sorpresa. A lui dovrebbero riunirsi anche i 4.000 vercellesi (alleati con Alessandria) ma questi ultimi non hanno nessuna intenzione di buttarsi in una mischia dall'esito tanto incerto e non si sono mossi. Il 26 marzo Ghislieri decide di tentare la sorte comunque e in tarda mattinata lancia l'assalto all'accampamento degli astigiani, situato a nord di Alessandria. Nonostante l'effetto sorpresa (che permette ai milanesi di infliggere perdite consistenti agli astigiani) la sproporzione di forse è tale che dopo appena due ore Ghislieri, attaccato sui fianchi dai genovesi e dai savonesi, deve ripiegare dopo aver lasciato oltre 2.000 morti. Alessandria resiste all'assedio per altre tre mesi ma, ormai allo stremo, apre le porte agli assedianti a fine giugno, lasciandoli quindi liberi di invadere il territorio di Milano. Il 1 agosto Ghislieri, il cui compito ora è di respingere gli invasori, attacca appena fuori Pavia un contingente di Massesi e lo sconfigge, costringendoli alla ritirata. Ma l'assedio a Pavia non viene tolto e il 24 agosto la città deve arrendersi. Un mese dopo, il 27 settembre, Ghislieri annienta quel che resta dei Massesi, accampanti poco fuori Broni. In un colpo solo il nemico perde 2.500 uomini al prezzo di appena un centinaio di milanesi. Subito dopo l'esercito milanese si porta sotto Alessandria con l'obbiettivo di riprenderla e ostacolare le vie di rifornimento nemico. La minaccia è, in effetti, tale da spingere le truppe confederate a portarsi in forze nella città e il 26 ottobre Ghislieri si trova praticamente assediato da forze soverchianti. Ci sono solo due soluzioni: arrendersi (e perdere in un colpo solo tutto l'esercito e la guerra) oppure tentare di aprirsi una via di fuga combattendo. Il generale da battaglia e, pur perdendo 1.500 uomini (più o meno come gli avversari), riesce a sfuggire al blocco e a tornare a Milano. E' un autunno mesto quello che segue: Gli astigiani occupano Vigevano e la Lomellina, i genovesi prendono Broni. A gennaio 1144 occupano anche Binasco mentre i massesi entrano a Lodi e gli astigiani saccheggiano e occupano Varese. Milano nel frattempo è assediata dai savonesi e Ghislieri, a Bergamo con l'esercito, non sa che pesci pigliare. I nemici sono troppi e troppo numerosi, attaccarne uno significa portarsi contro gli altri contingenti. A febbraio comunque, confortato dalla resistenza tenace di Milano, si porta sotto Cremona, assediata dai massesi, e li sconfigge. Replica ad aprile, appoggiato finalmente dai vercellesi, senza però mettere fuori gioco l'avversario che ripiega in ordine. In giugno Ghislieri si porta sotto Pavia, che egli riprende dopo un breve assedio il giorno 5. Potrebbe sembrare l'inizio della riscossa ma a Milano sono consapevoli che la situazione è gravissima e che la guerra, ormai, può dirsi persa. Ad ogni modo Ghislieri, dopo aver mandato 500 uomini in appoggio della rivolta ad Alessandria (che si libera il 15 giugno) tenta di liberare Milano dall'assedio e il 19 luglio attacca le posizioni nemiche a sud della città. Ne esce sconfitto (anche se le perdite sono più o meno uguali tra attaccanti e difensori) e l'assedio di Milano può continuare. Tre giorni dopo gli astigiani, guidati di Ovidio Rivani, fanno il colpaccio: sbaragliano e annientano quel che resta dell'esercito milanese, che si era ritirato a Pavia. Ghislieri scampa per un soffio alla cattura e si rifugia in territorio bresciano, dove cerca di arruolare mercenari con cui continuare la guerra. L'esercito milanese annientato Il 20 agosto Milano si arrende e apre le porte ai savonesi, che su ordine del Marchese, non saccheggiano nulla e si limitano a distruggere le mura. Il Console, che prima dell'assedio si era rifugiato a Bergamo, inizia le trattative per la pace. Intanto però i confederati, ormai liberi di scorrazzare senza rischi per tutto il territorio milanese, riprendono Broni, Alessandria, Pavia, la Lomellina e il lodigiano, senza trovare opposizione o quasi. Nel frattempo Ghislieri è stato "licenziato" e il suo posto viene assegnato a Carlo de Leiva, a capo di una banda di 9.000 mercenari castigliani, che il Comune ha assoldato (con enorme spesa) nel tentativo di impedire ai confederati di minacciare anche Bergamo, Cremona e i pochi certi fortificati ancora liberi. Il 19 febbraio 1145 i mercenari sbaragliano nuovamente un grosso contingente massese che tentava di prendere Cremona e una nuova sconfitta, relativamente inutile comunque, infligge ai massesi il Ghislieri, che è riuscito a farsi riassegnare il comando delle milizie mercenarie dopo il ferimento del de Leiva (23 maggio) sempre sotto Cremona. Il 15 giugno i massesi sono ancora una volta sbaragliati nei pressi di Treviglio dal redivivo de Leiva che il 9 luglio si prende anche il lusso di infliggere una sconfitta ad un contingente genovese sotto Bergamo. Sono punture di spillo, che fanno poco o alcun danno agli sconfitti ma che contribuiscono a tenere alto il morale dei milanesi, sempre più provati da una guerra che nemmeno le trattative in corso sembrano in grado di fermare. Infine, il 1 agosto 1145, la situazione si sblocca. La pace viene firmata nel castello di Pavia ed è, per i milanesi, molto meno dura di quello che si temeva sarebbe stata: Alessandria è abbandonata al Marchese di Savona, Milano deve pagargli anche le spese di guerra (265.000 fiorini d'oro) e il Comune milanese deve interrompere, per dieci anni, ogni legame diplomatico col Ducato di Savoia (fatta eccezione per i matrimoni "dinastici"). E' una rinuncia grave, quest'ultimo punto, ma il Duca è stato avvisato che le relazioni sono interrotte solo pro tempore e che, comunque, nessuno impedirà all'ambasciatore sabaudo di restare a Milano per le solite consultazioni. Il Duca ha dato il suo consenso e si riserva di intervenire in favore di Milano in caso di nuove aggressioni esterne, anche senza essere interpellato in merito. La riscossa e la morte Passano pochi mesi, il tempo di riassestare le finanze e riparare il grosso dei danni causati dall'invasione nemica, e il Console, che pure non ha fatto un gran figura durante la guerra ma che non ha perso l'appoggio della popolazione, decide di riscattarsi dallo smacco (previsto) intervenendo nella diatriba in corso tra il Comune e il Vescovo di Como riguardo ai diritti sulla città di Bellinzona (che si è data al Vescovo comasco - in odio al predominio esercitato da Lugano) e che il Comune di Como rivendica. Il Console Carafa, ovviamente, è schierato col Vescovo, ma in realtà il suo obbiettivo è annettersi Como e restituire Bellinzona agli alleati ticinesi. E così, iniziate le ostilità, Milano allerta i suoi alleati e interviene in armi contro l'odiata Como, al cui fianco si schierano Novara e i monaci dell'abbazia svizzera di Disentis. E' il 22 aprile 1146. Le forze in campo Gli schieramenti Ghislieri, tornato in auge, sbaraglia il 1 maggio i comaschi nella battaglia di Grandate e comincia subito dopo l'assedio della città, mentre le truppe alleate muovono su Bellinzona e Bormio, Novara. Il 16 novembre, mentre assedia Pallanza, muore il de Leiva. Otto giorni dopo il Console, che sta ispezionando le operazioni ossidionali, viene colpito da un colpo di balestra partito dagli spalti e muore sul colpo a soli 50 anni e dopo 5 anni appena di governo.
PARTE II: Espansione e apogeo CAPITOLO V Il Consolato di Galeazzo Torriani, 1146-1152 L'elezione e la fine della guerra con Como La guerra in corso, per quanto già sostanzialmente vinta, impone una elezione rapida di una personalità di spicco. Il candidato più autorevole, nonché il più anziano, è senz'altro Galeazzo Torriani, il fratello minore di Francesco (è nato nel 1090), ed è proprio su di lui che, sin dal primo giorno di elezioni, convergono le preferenze di tutti gli altri membri del Consiglio. Viene infatti eletto il 28 novembre al primo colpo ed è il terzo membro della sua famiglia ad assumere il potere in Milano in meno di trent'anni. Il suo primo compito da Console è terminare vittoriosamente la guerra iniziata dal suo predecessore. Il giorno dopo la sua elezione Como, assediata da oltre sette mesi, apre finalmente le porte ai milanesi e il Vescovo, che ha fornito agli assedianti un centinaio dei suoi uomini armati, è ufficialmente insediato in città mentre il Consiglio dei 5, che governava il Comune viene deposto. Tuttavia la strada per la pace è ancora lunga, sebbene anche Bormio, ultimo baluardo comunale, venga occupata dalle truppe del Vescovo di Coira. Solo nel febbraio del 1147 si inizia a parlare di pace. I primi a cedere sono i monaci di Disentis, cui il Comune impone la consegna di 7 chili d'oro (mutuabili in 700 zecchini di nuovo conio) in cambio della fine dell'occupazione del loro territorio. Prosegue intanto la campagna contro Novara: Pallanza, divenuta nuova "capitale" dopo la conquista di Novara, si arrende all'assedio congiunto di veronesi e parmensi e il 27 settembre 1147 apre le porte. In ottobre cadono anche Alagna e la Valsesia e il 26, sotto le mura di Domo d'Ossola, le milizie novaresi superstiti sono sbaragliate dall'esercito alleato (composto da veronesi, milanesi e parmensi) comandato dal Console in persona. Il giorno dopo viene firmata la pace: la città di Novara passa sotto il dominio di Milano mentre il Comune, insediatosi a Domo, si impegna ad interrompere le relazioni diplomatiche con il Comune di Asti e con quello di Cremona, inoltre paga la somma di 1.600 zecchini d'oro. Il 28 è la volta di Como. Il Comune viene ufficialmente cancellato dalle mappe: Como passa a Milano, Bellinzona torna sotto il controllo dei ticinesi e Bormio viene lasciata al Vescovo di Coira che, in cambio, si impegna a cedere Chiavenna a Milano quando il Comune ne farà richiesta. La riforma elettorale Nel 1149 il partito repubblicano che fa capo alle famiglie Borri e Serbelloni (sentiremo parlare molto di loro, più avanti), preoccupato per una certa deriva autoritaria che la famiglia Torriani sta cercando di portare avanti (il Console infatti, consigliato dai suoi, convoca sempre più di rado il Consiglio e tende a prendere le decisioni importanti ancora prima di esporre i problemi ai consiglieri) propone di modificare la legge elettorale attuale con un "decreto" che consenta, in caso di gravi violazioni o abusi commessi dal Console, di indire nuove elezioni. La proposta viene discussa per settimane e, naturalmente, il partito che fa capo ai Torriani cerca di sabotarla e bocciarla in ogni modo, senza però riuscirci. Infatti anche i Visconti, che fanno parte del partito monarchico ma sono rivali dei Torriani, si dichiarano d'accordo e alla fine, il 22 maggio 1149, la riforma viene approvata. Galeazzo è sconfitto ma non tenta di opporsi e finisce per adeguarsi al nuovo modus operandi che gli viene "imposto": riunioni settimanali del Consiglio, minore autonomia gestionale e, soprattutto, divieto di inserire figli o parenti nel Consiglio. Ogni famiglia avrà diritto ad un solo membro votante nel consiglio e il consiglio dovrà essere rinnovato, possibilmente, alla fine di ogni consolato. La situazione politica nel 1150 La situazione religiosa nel 1150 La malattia e la morte A partire dal 1150 la salute del Console, che ha compiuto 60 anni, inizia a deteriorarsi e, sempre più spesso, è costretto a nominare un suo delegato (chiamato vicario o viceconsole) per presiedere le riunioni del Consiglio. E' comunque un periodo di calma, interna ed esterna, e dunque la malattia del Console non crea grossi problemi al Comune. Nel 1151 il secondo figlio di Galeazzo, Camillo, viene cooptato nel consiglio (venendo tecnicamente meno ad una delle clausole della riforma elettorale, ma considerando che il Console ormai non partecipa più alle riunioni l'ingresso del figlio è considerato legittimo) e presto diventa il "reggente" del Comune nelle vesti di viceconsole. E sarà proprio Camillo, il 28 aprile 1152, a comunicare al Consiglio la notizia della morte del padre, avvenuta la sera prima. Il Console aveva 62 anni.
CAPITOLO VI Consolato di Marcello Caetani, 1152-1156 L'elezione Camillo Torriani, valendosi del suo ruolo di "reggente" del Comune ad interim, tenta di guadagnarsi l'appoggio dei Consiglieri per succedere al padre e, per la prima volta nella storia del Comune, girano mazzette e favori in cambio di voti e sostegno. Purtroppo per lui, però, Marcello Caetani (nato nel 1102) dispone di più denaro e di maggiore influenza nella fazione mercantile e non fatica a farsi eleggere già 4 giorni dopo la morte di Galeazzo Torriani e diventare il sesto Console del Comune di Milano. La crociata e la rivolta dei nobili La fortuna di Caetani è quella di governare Milano in un periodo di relativa pace, almeno in Italia, e può dunque dedicarsi senza ansie all'amministrazione dello Stato, alle riforme (soprattutto quella del fisco) e al miglioramento delle relazioni con le potenze estere, in particolare con la casa imperiale Salica, con gli Svevi Hohenstaufen e in generale con le città ghibelline. Forse proprio per questa spiccata predilezione verso l'Impero (e infatti, in questo periodo, i rapporti col Papato si raffreddano molto) il Comune di Milano non risponde alla chiamata del Duca di Puglia e del Papa quando l'Altavilla da inizio alla crociata contro il Sultano di Tunisi il 1 agosto 1152. Caetani si limita ad inviare una discreta somma di denaro e a garantire che non farà la guerra alle nazioni impegnate nella crociata (la Repubblica di Genova, il Marchese di Savona, i Comuni guelfi del nord Italia). Nel frattempo, mentre la crociata stenta a decollare - e le sconfitte per i cristiani son più numerose e gravi rispetto alle poche subite dai tunisini e dai loro alleati - il Console, sobillato dai suoi sodali del partito mercantile, avvia una serie di riforme che, se approvate, finirebbero per privare i nobili e il partito nobiliare del loro potere, consegnando, di fatto, Milano ai borghesi. E' un tentativo, ben studiato ma piuttosto sfacciato, di colpo di stato borghese e naturalmente i nobili subodorano immediatamente il pericolo. Le consorterie nobiliari (Visconti, Torriani, Serbelloni, Borri, solo per citare le più potenti) decidono di mettere da parte le loro rivalità interne e unirsi in una lega, per impedire ai borghesi e ai mercanti di assumere il controllo totale su Milano. Nel dicembre 1153, quando si diffonde la notizia che il Consiglio consolare si prepara a bandire la nobiltà, esiliando o arrestando i più facoltosi esponenti del partito nobiliare, i Torriani e i loro alleati decidono di reagire. Armano le loro milizie e, il 24 dicembre, occupano Cremona dichiarando deposto il Console. A capo delle milizie nobiliari, su proposta di Matteo Visconti, viene messo Luchino Medici di Marignano. L'occupazione di Cremona coglie di sorpresa il governo e solo a metà gennaio la milizia consolare, con Caetani alla testa, si mette in marcia per riprendere la città ribelle e punire i sediziosi. Lo scontro, in verità impari, si svolge il 17 gennaio nei pressi di Castelleone e bastano 2 ore alla milizia comunale per sbaragliare i nobili (4.000 uomini in tutto) e costringerli a ripiegare su Cremona. Il 2 febbraio la città si arrende al Console che impedisce il saccheggio e si limita a prendere prigioniero il Medici di Marignano che viene rinchiuso nelle segrete del Castello di Porta Giovia. Gli ultimi anni Il 1 settembre 1155 il Console, che dopo la rivolta nobiliare fallita, si è reso conto del pericolo cui stava andando incontro e ha bloccato le riforme anti-nobiliari, sottoscrive col rappresentante del Duca di Savoia, un nuovo trattato di alleanza tra Milano e la Savoia. Il Duca rientra così a pieno titolo nella Lega Torriana. Camillo Torriani, nonostante la sua complicità nella rivolta del 1153, non ha perso la sua autorità nel consiglio e, approfittando dell'occasione, propone al Console di dichiarare guerra al Comune di Asti (che non è impegnato nella crociata) e vendicarsi così, almeno in parte, dello smacco patito dieci anni prima nella guerra contro Savona, Genova e Asti. Il Console sarebbe anche propenso ad approvare l'idea ma il partito borghese, per senso di "fratellanza" con i mercanti e i borghesi che reggono Asti, respingono la proposta e, anzi, spingono perché ci si allei con Asti contro il Duca di Savoia. Ne sorgono discussioni infinite che non portano a nulla se non a logoranti sessioni e sfibranti tensioni tra i due partiti. Approfittando di queste tensioni crescenti molti dei nobili che erano riusciti a scampare all'arresto dopo la rivolta dl '53, pensando di riuscire questa volta ad avere la meglio sul diviso e debole governo centrale, iniziano a trattare con le potenze straniere (in particolare col Duca di Savoia e col Marchese di Verona) per avere appoggi finanziari e militari. Il piano è semplice: scatenare la rivolta contemporanea di tutte le famiglie nobili (dai Borromeo ai Torriani, passando per i Serbelloni, i Borri e i Visconti) in modo da paralizzare la milizia comunale e permettere alle truppe ribelli di prendere il controllo di Milano, deporre il governo e instaurare un regime monarchico (o meglio, una dittatura nobiliare). A novembre del 1155 però le trattative segrete sono scoperte (si parla di spie e di delatori) e i nobili coinvolti (un Serbelloni, un Borri e Matteo Visconti) sono imprigionati e i loro beni sequestrati. Sembra insomma che il governo dei mercanti goda di ottima salute per continuare a controllare il Comune e Caetani stesso, ripreso coraggio, si avvia a riprendere le sue riforme contro la nobiltà ormai abbastanza sicuro di poterle far passare senza ulteriori problemi. Ma non ha fatto i conti con lo spirito vendicativo dei nobili e con la loro smania di potere. Il 25 aprile 1156, mentre si sta recando con i Consiglieri alle celebrazioni per la festa di San Marco, viene aggredito da tre uomini mascherati che, al grido di "morte al tiranno" lo pugnalano a morte e feriscono seriamente anche due esponenti del suo partito. Marcello Caetani muore il giorno dopo, 26 aprile, all'età di 54 anni, dopo aver governato per soli 4 anni su Milano. La sua morte, improvvisa ma certo non imprevista, segna l'inizio del declino della borghesia milanese e, anche se nessuno ancora lo sa, del Comune stesso.
CAPITOLO VII Consolato di Camillo Torriani, 1156-1164 L'elezione Ancora una volta, come quattro anni prima, Camillo Torriani si candida a succedere al padre e, questa volta, ha l'appoggio del partito nobiliare e gode della benevola "neutralità" di una buona parte del partito borghese, cosa che automaticamente gli assicura, se non l'elezione immediata, la vittoria sul lungo termine. Il partito borghese infatti è spaccato: la parte più intransigente e popolare non ha dimenticato la rivolta nobiliare sedata nel sangue e nemmeno ha intenzione di mettere a rischio il Comune consentendo ai nobili di spadroneggiare nel Consiglio. D'altra parte la fazione dei ricchi mercanti, che spesso ormai si legano alle famiglie nobili tramite matrimoni prestigiosi, si sente più vicina ai nobili stessi e tenda a solidarizzare con loro, sapendo che, in ogni caso, la loro ricchezza e prestigio non verrebbero meno anche se il Comune si mutasse in una Signoria di stampo monarchico. Sfruttando appieno queste divisioni Camillo Torriani non deve fare troppa fatica per guadagnare alla sua causa i ricchi mercanti e i borghesi moderati e battere agevolmente, alle elezioni, il candidato proposto dalla fazione "estremista" popolare Ottaviano Alessandri. La guerra del Monferrato Appena eletto, il 31enne Console ripropone al Consiglio l'idea di dichiarare guerra al Comune di Asti e vendicare quindi l'umiliazione subita da Milano dieci anni prima, potendo contare sull'appoggio sicuro di tutti gli alleati della Lega. E stavolta, nonostante la ferma opposizione della parte estremista del partito borghese, il Consiglio approva e incarica il Console di guidare l'esercito. Sono passati appena dieci giorni dall'insediamento e già Camillo Torriani è al campo di Mede, dove sono riuniti anche i rappresentanti dei membri della Lega. Il piano è semplice: le truppe sabaude e aostane devono tenere impegnate le forze del Marchese di Savona, unico alleato di Asti, mentre la milizia milanese si incarica di invadere il territorio del Comune di Asti appoggiato dei contingenti alleati. La guerra si prospetta abbastanza breve e la sproporzione di forze, questa volta, è ampiamente in favore di Milano. La guerra ha dunque inizio e subito le cose si mettono male per Asti. Vercelli viene espugnata a fine giugno, Alessandria cade il primo agosto, Casale Monferrato il 30 ottobre e intanto i sabaudi e gli altri alleati, dopo aver sbaragliato il 3 agosto, presso Ceva, l'esercito del Marchese, hanno preso uno dopo l'altro tutti i principali borghi e castelli nemici (Alba, Carmagnola, Cherasco, Vinadio, Saluzzo, Cuneo e Badalucco). Asti, assediata dai primi di settembre, si arrende con tutta la corposa guarnigione, il 24 febbraio 1157 mentre l'8 agosto cade anche Savona, la capitale marchionale, assediata dal settembre precedente. A questo punto è ormai chiaro che la guerra è vinta e i milanesi, che non hanno affrontato i battaglia i nemici, piangono meno di 100 morti (e gli alleati, pur avendo combattuto, hanno subito perdite esigue). Il Console manda proposte di pace tanto ad Asti quanto al Marchese, chiedendo loro la cessione di Alessandria (che dovrà cedere il Marchese) e Vercelli (che sarà Asti a dover abbandonare), sempre Asti dovrà restituire l'indipendenza al Monferrato. Inoltre Asti e il Marchese dovranno cedere le piazzeforti di Poirino e Carmagnola al Duca di Savoia. Infine il Marchese dovrà restituire l'indipendenza ad Alba, che subito diventa un Comune e si pone sotto la protezione congiunta di Milano e Savoia. Sono condizioni dure (le clausole economiche riguardano solo Asti, che dovrà sborsare la somma di 22.000 fiorini d'oro a Milano) ma del resto la vittoria della Lega è totale e, anche volendo, gli sconfitti non potrebbero opporvisi. L'11 agosto 1157 è quindi firmata la pace a Torino. Le forze in campo Gli schieramenti La "Guerra degli Abati": al fianco del Vescovo di Coira Nei quattro anni trascorsi dopo la pace di Torino, il Console si è dato da fare per rafforzare il proprio potere, e conseguentemente quello del suo partito e della famiglia (il cugino Rodolfo, figlio di Francesco, è podestà di Bergamo e Carlo, il fratello maggiore di Camillo è podestà a Como), manovrando accortamente in modo da non scatenare le ire degli oltranzisti borghesi e porre le basi per una vera e propria dittatura dei Torriani. Nel 1160, proprio mentre si prepara a promulgare una legge che, sostanzialmente, impedisce ai borghesi di diventare podestà, il rappresentante a Milano del Vescovo di Coira comunica al Consiglio consolare che il prelato è in procinto di attaccare gli abati dei monasteri di Disentis che, violando le disposizioni papali recentemente promulgate, non hanno inviato al Capitolo di Coira un loro rappresentate. Il Console, di per sé, ritiene che questa guerra sia stupida e inutile ma siccome al fianco degli abati, in quanto alleato, si schiera il Comune di Novara (che sarebbe meglio chiamare Comunità della Valdossola e del Lago d'Orta) si prospetta, in caso di partecipazione milanese, qualche compenso nella zona del Mottarone o del Lago di Pallanza. Tanto basta per convincere il Consiglio a schierarsi accanto al Vescovo e ad entrare in guerra all'inizio del 1161. Le forze in campo Gli schieramenti Milano concentra le sue forze contro il Comune di Domodossola (il capoluogo delle Comunità) e contro il Comune di Casale, naturalmente nella speranza di ottenere lauti compensi, mentre il Vescovo di Coira e i suoi alleati (il Vescovo di Trento e l'Abate di San Gallo, soprattutto) invadono il territorio di Disentis e la grande contea di Bregenz-Voralberg. Quest'ultima depone le armi già in agosto cedendo 4 baliati al Vescovo di Coira e pagandogli 135.000 fiorini come spese di guerra. Il 28 agosto Casale viene occupata dai milanesi che il mese dopo entrano anche a Canelli e il 20 ottobre il Comune di Casale firma la pace a condizioni più che ragionevoli. Milano, che non ha potuto rivendicare nulla, attacca ora la Valdossola occupando Arona il 1 novembre, Disentis, nel frattempo, viene occupata dai "grigioni" (le truppe del Vescovo di Coira) e il 25 gennaio 1162 viene firmata la pace: gli abati perdono la loro indipendenza e il loro territorio è annesso a quello del vescovado curiacense mentre la Comunità della Valdossola, che pure sta ancora combattendo contro i milanesi, è costretta a cedere il contado di Arona al Comune di Milano, che però si impegna a non dichiarare guerra agli Ossolani a meno che questi non provochino un casus belli evidente. La grande rivolta dei contadini e la morte Ottenuta una vittoria con poca spesa (sono morti 350 uomini durante l'assedio di Casale e 200 dopo) e avendo esteso il territorio del Comune sino al Lago d'Orta, il governo milanese può riprendere in mano con ragionevole sicurezza, i decreti miranti ad indebolire la classe mercantile e borghese (molto forte in provincia) e rafforzare il potere della nobiltà e del clero (sebbene il Console non si possa definire un bigotto e meno che mai un fanatico religioso). Se nelle città, data soprattutto la ricchezza e il benessere dei mercanti, le riforme contro i borghesi non suscitino grandi opposizioni, nelle campagne e nei centri minori invece la tensione si fa presto altissima e nella primavera del 1163, sobillati dai caporioni della fazione estremista dei mercanti, i contadini del contado milanese insorgono ed in breve tempo mettono assieme un'armata di 6.000 uomini. Armati con forconi, bastoni, qualche lancia e poco altro non possono essere considerati un pericolo serio per la milizia che però, essendo trincerata attorno a Novara, viene colta impreparata. Levato il campo in tutta fretta, Galeazzo Gonzaga (alla testa dell'esercito milanese) si precipita verso Milano e sbaraglia gli insorti il 21 maggio nelle campagne attorno a Bresso. Passano pochi mesi e, nel contado di Cremona, scoppia una nuova insurrezione di contadini, appoggiati e finanziati ancora una volta dai capi della fazione ormai definita "nera" del partito borghese. 4.000 uomini, piuttosto male in arnese, tentano l'assalto al castello di Spinadesco ma sono respinti dalla guarnigione prima e poi sbaragliati, il 7 novembre, dalla milizia regolare. 3 settimane dopo un'altra rivolta nel Cremonese viene egualmente sedata nel sangue. L'area della Grande rivolta contadina del 1163-64 E' l'inizio della grande rivolta contadina: nel 1164 insorgono (e sono puntualmente ripresi) i borghi di Rozzano (14 gennaio), Galliate (21 gennaio), Malnate, Ballabio, Pasturo e Besozzo ( 2 aprile), Arese e Saronno in giugno. E proprio mentre gli ultimi focolai di rivolta sono spenti in un fiume di sangue Camillo Torriani muore, il 14 giugno, ad appena 39 anni. Vista la sua salute e il suo fisico gagliardo un decesso tanto improvviso e rapido suscita subito sospetti. Si parla di veleno, altri parlano di una pugnalata al cuore infertagli da uno dei capi della fazione "nera" del partito borghese, altri ancora invece, più prosaicamente, parlano di giudizio di Dio. Ad ogni modo Camillo viene tumulato, dopo esequie in segreto per timore di tumulti popolari, nella cappella gentilizia della famiglia.