Percorrendo la Via Balbia verso est, giunti alla periferia sud di Marsa El Brega, si arriva ad un incrocio stradale. A sinistra c’è un centro commerciale ed una stazione dei Reali Carabinieri, mentre a destra, dalla parte opposta dell’incrocio si vedono, appena effettuata la svolta, un bar tavola calda ed una moschea. Girando dunque a destra a quell’incrocio si imbocca la strada che tira a sud alla volta dei pozzi di Zalatan, uno dei più grandi complessi petroliferi dell’Agip Petroli. Arrivati alla latitudine dei pozzi, circa 180 chilometri a sud della costa, si deve abbandonare la rotabile che a quel punto è diventata una pista di sabbia si e no tracciata sul terreno, e svoltare di nuovo a destra verso nordovest buttandosi in pieno deserto. Il panorama diventa a quel punto ancor di più desolato; un’ infinita distesa giallo ocra di sabbia, rocce e pietre a perdita d’occhio, e là dove si stava seguendo una pista, ci si ritrova adesso lungo un sentiero ancora più stretto e infido, dove i veicoli possono insabbiarsi da un momento all’altro. Se si sopravvive ad una settantina di chilometri di questo infernale tragitto, si giunge ad un certo punto ad una serie di frecce stradali che puntano in varie direzioni appena leggibili in quanto coperte di sabbia ed erose dal vento. Una di queste frecce indica la direzione dove si trovano acquartierati lo squadrone di cavalleria S. Giusto e l’8°Reggimento Bersaglieri; due dei reparti più famosi e decorati del Regio Esercito, entrambi copertisi di gloria nella Grande Guerra del 1946-49 ed entrambi mai separati dalla loro grande e comune madre: la divisione Garibaldi prima, e la brigata Garibaldi adesso. Ed è proprio nei pressi di questi cartelli stradali che la Fiat Campagnola dell’Eroica Intendenza del COMFOP (Comando delle Forze di Proiezione) rallentò avvicinandosi al posto di blocco presidiato da un plotone meccanizzato dell’8° Bersaglieri. Ad entrambi l lati della strada, se strada si poteva chiamare quella abbozzata striscia di sabbia a pietrame, due IFV Marder A1 sporchi ed incrostati di sabbia e olio, montavano la guardia all’accesso all’immenso impianto petrolifero situato 10 chilometri a nord ovest. Un terzo mezzo, probabilmente il carro comando, era schierato più indietro a scafo sotto, su un rilievo roccioso, con la torretta alla massima depressione. All’avvicinarsi della AR-76 con a bordo il sergente Leonardo Vannetti e la sezione armata dell’Intendenza, un elmetto piumato tipo Fritz emerse dalla cupola di uno dei due veicoli da combattimento per la fanteria di fabbricazione germanica, e nello stesso tempo il suo cannone Rheinmentall da 20mm cominciò a brandeggiare in direzione dei nuovi venuti. Né il Sergente Vannetti, colà destinato come rimpiazzo per il plotone RECON dello squadrone S. Giusto, né il comandante della Campagnola si stupirono più di tanto dell’accoglienza poco amichevole ricevuta ad opera dei Bersaglieri. In una settimana si sarebbe celebrato in tutto l’impero il novantesimo giubileo di Sua Eccellenza il Duce Conte Galeazzo Ciano, e tutti erano particolarmente sul chi vive. Si temevano attacchi dimostrativi in occasione della ricorrenza da parte degli insorgenti del TLF (Tuareg Liberation Front) e di altri gruppi di ribelli, che sempre armati ed assistiti dalla CIA e dal KGB, avevano rialzato la testa dopo la grande fallita rivolta del 1941. Il Duce aveva saggiamente proseguito la politica di suo suocero, alla cui morte era succeduto nel 1951, di tenersi ben vicino alla Germania ed alla Francia, allo scopo di opporsi alle potenze periferiche, il cui intento sin dagli anni successivi alla Grande Guerra era quello di smantellare l’ordine costituito dalle potenze imperiali. L’ impresa non era loro riuscita nel 46-49 dato il sanguinoso stallo con cui era terminato il conflitto, ma gli infingardi Sovietici ed Americani avevano continuato e continuavano a perseguirla con ogni possibile mezzo. I rapporti tra le potenze imperiali e la Bilaterale rimanevano dunque tesi. Non si possono peraltro immaginare due società più diverse di quella sovietica ed americana; eppure questi due paesi, per via dei loro obiettivi di politica estera comuni, avevano continuato a perpetrare un’alleanza ridicola e politicamente disgustosa, siglata 54 anni prima col patto Cordell Hull-Molotov nell'agosto del 1939, e conosciuta come Alleanza Bilaterale. In conseguenza dell'ultimo rinnovo della Bilaterale, nel 1992 Sua Eccellenza il Conte Ciano aveva a sua volta rinnovato il protocollo di collaborazione tecnico- militare con la Germania e la Cancelliera Tedesca Marthe Labero aveva accettato il rinnovo per altri 5 anni. Al ritorno in Italia del Ministro degli Esteri, il trattato era stato ratificato presso il quartier generale del IX Stormo CIO (Caccia Intercettori Ognitempo) Fiat-G-98 che Sua Maestà Re d’Italia ed imperatore d'Africa Aimone di Savoia-Aosta comanda con il grado di Tenente Colonnello della Regia Aeronautica in quel di Brindisi. Per la Germania aveva naturalmente ratificato il Bundestag, nonostante la maggioranza progressista che regnava in quel momento nel parlamento germanico. La Triplice Alleanza tra Italia, Francia e Germania teneva, sia pure con qualche difficoltà. Fatemi sapere se l’introduzione vi intriga, nel qual caso proseguo. Un saluto a tutti gli eroici lettori del forum.
Ma che domande sono? Certo che intriga La distopia parte da prima del 39, senza WW2 ma con un conflitto tardivo fondamentalmente tra blocco europeo (ma la GB?) e USA/URSS... dovresti fare un quadro riassuntivo, sempre che la cosa non si dipani durante il racconto ovviamente
Passato il check point dell’8° Bersaglieri, la "gippetta" dell’intendenza si mise a rotolare in direzione Nord, per raggiungere il complesso petrolifero di Al Zalatan. Quel remoto angolo della colonia era affidato appunto alla competenza dell’8°, rinforzato dallo squadrone esplorante di brigata e da una batteria semovente da 155mm dell’8° Reggimento Artiglieria Terrestre Pasubio, che fu il successivo reparto che la il piccolo distaccamento dell’Eroica Intendenza trovò sul suo itinerario. Qui il posto di controllo era presidiato solamente da una gemella AR-76 ancora con mimetica europea mista a sabbia incrostata sulla carrozzeria e da una sezione di fanteria piumata. Mostrati gli ordini ed i lasciapassare anche a questo presidio, il Sergente Vannetti poté osservare sulla destra della pista desertica le piazzole ben delimitate e circondate da sacchi di sabbia, ognuna delle quali ospitava un semovente di artiglieria Palmaria da 155mm. Vannetti contò sei pezzi schierati ad una distanza da Al Zalatan ben inferiore alla massima gittata, ma d’altra parte non c’era certo da temere il fuoco di controbatteria di quattro straccioni ribelli in ciabatte. Tappa successiva, la base del reggimento Bersaglieri. Ma non era nemmeno quella la destinazione finale di Vannetti. Tale destinazione si trovava ancora 10 chilometri più a nord ed era costituita dalla base avanzata “Istrice” presidiata dallo Squadrone S. Giusto che sorgeva proprio accanto al complesso petrolifero di Al Zalatan e ne inglobava la difesa. Il scopo strategico della base Istrice era quello tipico della cavalleria in funzione di presidio: identificare e contenere la minaccia profilantesi contro l’obiettivo da proteggere ed impegnare eventuali aggressori, se possibile da soli, o se no chiamando in rinforzo gli assetti dei livelli ordinativi superiori. Nel caso del S. Giusto questi assetti erano costituiti appunto dall’8° Reggimento Bersaglieri, dalla batteria semovente e da uno squadrone di elicotteri da combattimento che Supercomando aveva messo a disposizione da Roma,alla Brigata Garibaldi. Le brigate coloniali in servizio nei territori imperiali più esposti erano infatti rinforzate con assetti adeguati ad ala rotante. Per ultimo c’era il reparto più importate della brigata: basato a Tripoli, il reggimento logistico era il reparto senza il quale vivere e combattere in quell’ambiente proibitivo sarebbe stato totalmente impossibile. Per quanto riguarda la Regia Aeronautica, essa partecipava alla sicurezza della colonia con una squadriglia di Macchi-210 Ghibli. Questi monoposto da attacco leggero, entrati in servizio solamente da quattro anni erano adattissimi al contesto operativo; operazioni a bassa e media intensità in mancanza di un serio contrasto aereo. Arrivati a circa due chilometri dalla meta si alzò il fastidioso e tipico Ghibli nordafricano che iniziò ad alzare una buona quantità di sabbia a polvere tutto intorno. La visibilità si ridusse presto a 500 metri ed il militare dell’intendenza esposto sulla ralla della Breda 7,62 immediatamente indossò occhialoni fazzoletto e sciarpa; espedienti vecchi ma sempre efficaci e ben conosciuti da gente si rischierava con continuità in colonia in due turni di tre mesi all’anno Al complesso petrolifero mancavano oramai pochi minuti di viaggio ed ancora un po' di disagi desertici si potevano ben sopportare, specialmente al pensiero del rifocillamento, e del pranzo alla base Istrice. Nello stesso momento, il Sergente Maggiore Carlo Varnazzoni, al comando della componente motorizzata del plotone leggero del S. Giusto, stava scrutando con il suo potente binocolo il versante sud del complesso petrolifero, in piedi sulla ralla scudata della possente mitragliera Franchi-Socimi “Spettro” da 15mm che equipaggiava il suo VM-90 “Protetto”, a scafo sotto presso il perimetro di sezioni protettive SALCO che circondavano sia Istrice che l’attiguo complesso. Mentre osservava da ovest verso est, quasi alla fine della passata, si bloccò improvvisamente e d’istinto aprì la bocca per lo stupore e la paura, mentre lo stomaco gli si chiudeva di colpo. Immediatamente mise mano al microfono della radio che penzolava dalla gabbia della ralla. “Attenzione Gazzella! qui è Bambi. Visualizzo personale multiplo appiedato ed armato in dispiegamento su coordinate 95-04, un chilometro a sud del complesso. Probabilmente insorgenti, almeno un centinaio passo.” Attese qualche secondo ascoltando la statica dell’apparato. Poi la voce del Sottotenente Franco Garbato si udì nell’auricolare che nel frattempo Varnazzoni si era preoccupato di portare all’orecchio. “Bambi qui Uno. E’ certo dell’identificazione interrogativo passo.” “Sono straccioni armati di AK-47 e turbante signor tenente. Non credo siano qui per una visita di cortesia. Si sono fermati mentre le parlo e si stanno dispiegando per un attacco su un ampio fronte.” La tonalità della voce di Varnazzoni si alzò di almeno due ottave. “Chiedo il permesso di ingaggiare passo.” Garbato, che i suoi uomini chiamavano Tenente Garby e che era tutto meno che garbato, sapeva che doveva al contempo avvertire il Capitano Crenna e decidere se dare o no il permesso al suo subordinato di ingaggiare i potenziali insorgenti che secondo Varnazzoni stavano tentando qualcosa che molto raramente tentavano: un attacco in piena regola ad una base fortificata coloniale. Fece il pro ed il contro su chi contattare per primo, e poi in accordo con le prescrizioni del manuale tattico del plotone esplorante del Regio Esercito (il comandante prende tutte le iniziative necessarie a soddisfare l’intento operativo del comando sovraordinato ed alla sicurezza del reparto e della missione assegnata), decise! “Bambi: qui è Gazzella. Autorizzato al tiro; ripeto autorizzato al tiro. Contatto immediatamente comando di gruppo squadrone per rinforzi ed eventuale appoggio di fuoco indiretto. Confermi passo.” La voce di Varnazzoni, giunse fredda e determinata, come di solito era in questi casi. “Ricevuto Gazzella, tenetemi informato su assetti; chiudo.” Senza porre tempo in mezzo, il Sottotenente diede l’allarme su per la catena gerarchica; il capitano fece lo stesso e tutti fecero lo stesso sino ad arrivare a Superesercito a Roma. Ma la battaglia, se battaglia ci fosse stata, sarebbe stata per il momento nelle mani dello Squadrone S. Giusto. Il Capitano Crenna, comandante del reparto, meditò brevemente sul da farsi. Se gli straccioni attaccavano a viso aperto voleva dire che erano in tanti. Questa era probabilmente un’azione dimostrativa e propagandistica dove gli insorgenti erano disposti a subire molte perdite. Il loro obiettivo doveva essere quello di conquistare il complesso petrolifero, massacrare lui, i suoi uomini e i tecnici civili che ci lavoravano ed impadronirsi di più materiale bellico possibile. Vi erano state altre occasioni in cui gli insorgenti avevano osato tanto, ma mai erano riusciti completamente nel loro intento. Pensando ai civili dipendenti dell’Agip sotto la sua protezione, il pensiero del Capitano Crenna andò istintivamente all’Ingegner Greta Piccolo, a capo del team di controllo del raffreddamento delle trivelle. Con un groppo alla gola, mise mano alla radio ed diramò i primi ordini. Finché era vivo lui gli straccioni il complesso non l’avrebbero preso. Il Sergente Vannetti tra sobbalzi e bestemmie stava coprendo gli ultimi due chilometri a bordo della Campagnola dell’Intendenza. L’autista si infilò abilmente tra due masse rocciose su per quella che pareva una scarpata, ma invece era solamente un tratto in forte pendenza prima di sbucare sul modesto altopiano su cui sorge il campo petrolifero di Al Zalatan. Non appena la vettura arrivò al culmine della salita poté riprendere un po' di velocità. Finalmente il complesso petrolifero apparve alla vista sull’orizzonte della chiarissima mattinata, con i suoi fuochi ed i suoi fumi neri ben stagliati nel panorama giallo ocra del deserto. Il Ghibli grazie a Dio era quasi cessato. A sinistra l’autista riconobbe la collina di Cipro, chiamata così perché straordinariamente somigliante all’omonima isola, mentre faceva sfilare la Campagnola luccicante sotto il sole africano oramai allo zenit, a velocità elevata alzando un enorme polverone dietro di sé. Il primo ad accorgersi che c’era qualcosa di strano fu il mitragliere in Ralla. Passò qualche frazione di secondo prima che anche l’autista ed il comandante della Jeep si avvedessero che il polverone alzato da loro non era l’unico che in quel momento stesse essendo prodotto. Tutti gli occupanti della vettura aguzzarono gli occhi innanzi al polverone ancor più alto e turbinante che proveniva da un punto a sud del campo petrolifero dritto di fronte a loro. I veicoli che lo stavano alzando, procedevano a velocità sostenuta verso ovest, dove c’erano civili armati in gran numero ed in gran movimento. Il comandante mise mano al binocolo appoggiato sulla plancia della Campagnola e se lo portò agli occhi. I veicoli che stavano correndo incontro agli appiedati erano tre Blindati caccia carri Centauro, la componente pesante dello squadrone S. Giusto. Il Sergente capo equipaggio dell’intendenza non ci mise molto a fare uno più uno, e capì che erano arrivati proprio in un bel momento.
Avuta mano libera per cominciare ad ingaggiare il nemico, il Sergente Maggiore Varnazzoni affidò la Franchi-Socimi al rallista del suo mezzo comando e trascinandosi dietro il suo operatore radio, scese dal veicolo e si diresse rapidamente dai suoi capi subordinati per informarli di quali erano gli ordini e su come avrebbero dovuto comportarsi. Avrebbe naturalmente potuto contattare i suoi sergenti direttamente per radio, ma voleva dare una rapida occhiata alle condizioni del reparto prima che entrasse in combattimento e guardare bene negli occhi i suoi equipaggi prima di tornare al suo blindato per menare le mani. I veicoli in dotazione al plotone leggero esplorante erano i VM-90 “Protetto” in quanto il veicolo era dotato di una modesta corazzatura che poteva resistere alle armi leggere. Il plotone era denominato leggero in quanto aveva in dotazione appunto tali mezzi leggeri per il trasporto della componente di fanteria, tre sezioni esploratori di 6 uomini ciascuna. La speciale blindatura era dovuta al fatto che il plotone esplorante leggero era spesso il primo reparto dell’intera brigata ad entrare in contatto con il nemico. La battaglia che stava per cominciare non faceva eccezione ed i veicoli del plotone l’avrebbero cominciata separati dalla fanteria, ancora schierata sotto il comando diretto del sottotenente nella torre di avvistamento sudovest di Istrice. Mentre Varnazzoni, dopo aver conferito con i suoi gregari si incamminava a ritroso verso il comando, la radio prese a gracchiare ed il Caporale Scanna gli porse subito microfono ed auricolari. Era il Sottotenente Garbato che comunicava l’assegnazione delle missioni di tiro in diretto a favore del plotone leggero. “Attenzione Bambi; ho ottenuto l’appoggio della sezione mortai dal comando. Passi sulla frequenza radio di Arciere e fornisca le coordinate per il fuoco, passo.” “Rivevuto Gazzella. Rimanete in attesa per conferma frequenza passo.” L’ambaradan procedurale prese un minuto o due, e quando il colpo di localizzazione arrivò circa un chilometro a sud delle posizioni ne osservò con soddisfazione il punto di caduta. Fece due rapidi calcoli per il caso in cui il nemico proseguisse il movimento e decise che quella era l’ipotesi più probabile. “Martello qui Bambi” tiro di localizzazione lungo metri cinque zero. Allineamento esatto. Correggete distanza ed iniziate fuoco di batteria!” I serventi dei tre pezzi da 81 dislocati nei meandri nord della base Istrice si misero all’opera immantinente intorno ai loro mortai. Secondo il Sottotente Paglia, comandante del plotone pesante di blindo caccia carri Centauro, gli straccioni erano impazziti. Più o meno l’equivalente di una compagnia scarsa correva a piedi tra il pietrame e la sabbia circa 700 metri di fronte allo schieramento in linea dei suoi mezzi armati di fucili d’assalto, ciabatte e belle speranze. Il sole praticamente a picco oramai sulla scena, cuoceva indistintamente lui che era esposto in torretta come e gli equipaggi all’interno dei mezzi, senza fare distinzioni di grado o di posto di combattimento assegnato. Gli insorgenti si stavano dispiegando in una lunga linea di fronte più o meno a 500 metri dalla cintura perimetrale sud del complesso petrolifero e non si capiva se si preparassero all’assalto o al fuoco. Questo però non modificava i termini del semplice problema tattico che si gli si presentava di fronte: si aggiustò il microfono integrato nel suo casco da combattimento. Aveva i suoi ordini dal comando di squadrone e tutta l’intenzione e la capacità di eseguirli. “Pantere qui è leader. Vedete di levarmi di torno la fanteria stracciona davanti ai colleghi del leggero. Prendiamo di mira il gruppo centrale più avanzato. Fuoco HE a volontà quando inizio a sparare io passo.” Una ad una le Pantere risposero alle direttive del capo e si prepararono ad aprire le danze portando i 105/53 della OTO all’alzo appropriato alla distanza. Abdul Minhar sperava di essere riuscito a cogliere gli Italiani di sorpresa con la sua rapida avanzata. Il comando regionale aveva finalmente disposto un’azione audace nei confronti dei basta*rdi invece che le solite punture di spillo a base di mortai ed RPGche sarebbero state così invise al suo grande idolo: il Generale Heinz Guderian, che pur essendo un maledetto tedesco, era il più grande generale che l’umanità avesse mai avuto insieme a Napoleone. “Mazzate, non colpi di spillo” predicava il generale nei suoi scritti. Delle sue gesta Abdul aveva studiato alla Scuola Sottufficiali di Viterbo, dove gli oppressori erano così sfrontati da formare militarmente i loro soggetti per impiegarli poi nelle truppe coloniali asservite agli invasori. Abdul Minhar non sarebbe mai stato servo degli Italiani. Non appena rientrato in patria per essere inquadrato in una delle compagniedi ascari aveva invece immediatamente disertato ed era passato nelle file degli patrioti libici che combattevano per liberare il paese dalle zecche italiane. Adesso anelava di mettere in pratica gli insegnamenti del grande generale germanico, dimenticando che il suo mentore aveva comandato gruppi corazzati nella difesa della Francia, mentre lui comandava un gruppo male in arnese di sbarbati e disperati con buon morale ma scarso addestramento ed armamento. Per compensare queste manchevolezze, aveva fatto quello che aveva potuto, ed aveva scelto di attaccare il più velocemente possibile non aspettando nemmeno l’appoggio delle due Dushkas in dotazione al suo gruppo di attacco, generosamente fornite dagli consiglieri sovietici. Il tipo di attacco che stavano conducendo era esattamente quello insegnato dagli istruttori russi. Unica differenza; non avevano neanche lontanamente il supporto che la dottrina della battaglia in profondità dei Russi prevedeva che una compagnia di fanteria avesse. Si sperava che l’effetto sorpresa e quello dell’attacco da più lati avrebbe compensato a questa lacuna, ed Abdul in particolare sperava che la coordinazione dell’attacco fosse sufficiente. Senza un serio comando e controllo non si poteva sapere se i vari gruppi d’assalto fossero giunti in tempo ad appoggiare la sua azione. Un sordo tonfo alle sue spalle lo fece girare di scatto. “Mortaaaaai!!” Diradatevi e preparatevi ad approcciare le posizioni del nemico. Accelerate al massimo!! Gli Italiani non ci metteranno molto a centrare le loro salve se manteniamo la stessa velocità.” Mentre seguiva i suoi uomini nel movimento, Abdul si chiese se non fosse stato il caso di fermarsi per aspettare le mitragliatrici pesanti. Scacciò rapidamente il pensiero. Fermarsi in quel terreno aperto e desolato come quello sarebbe equivalso a morte certa.
Più o meno allo stesso momento in cui i lavoratori ed i tecnici civili del complesso petrolifero finivano di mettersi al sicuro nei ricoveri protetti della base, la prima salva degli 81 italiani arrivò devastatrice. I proietti atterrarono con tale precisione che le perdite nel plotone di Abdul, colpito in pieno, furono elevatissime. Parti di corpi volavano da tutte le parti non solo per la frammentazione del munizionamento HE, ma anche a causa del terreno pietroso su cui questo cadeva, amplificando di brutto l’effetto delle schegge. In men che non si disse, Abdul si ritrovò senza i suoi uomini e vista la carneficina intorno a sé, anche vivo per miracolo. Quelli che non erano morti, mutilati o sanguinanti sul posto e non in grado di muoversi, se l'erano data a gambe senza porre tempi in mezzo e prima che Abdul potesse fare nulla per fermarli. Due mesi della sua vita gli era costato addestrare quel suo plotone, ed alla prova del fuoco si era sciolto come nebbia al sole. Ad Abdul non restò che ripiegare a sua volta per cercare di rimettere quello che rimaneva della sua forza in grado di combattere di nuovo. E fu buona ventura che il bombardamento aveva sollevato un polverone inverosimile o le sue forze avrebbero potuto essere totalmente annientate mentre se la battevano vergognosamente. Varnazzoni strappò il microfono dalle mani dal caporale Scanna per la gioia di quello che vedeva di fronte a sé. Il suo reparto stava per ingaggiare con le Franchi il gruppo di insorgenti diritto di fronte a lui. Ma tale gruppo scomparve alla vista maciullato dai mortai del sottotenente Fiore. Diradatosi il fumo Varnazzoni mise mano al binocolo ed osservò solo polvere in quantità industriale sollevata dal macello e gente immobile; morti o gravemente feriti. “Martello qui Bambi”. Cessate fuoco di batteria! Ripeto cessate fuoco di batteria!! Il bersaglio è annichilito. Preparatevi a ricevere nuove coordinate passo.” “Ricevuto Bambi rimaniamo in attesa.” Il Tono di Fiore era fiero e spavaldo. Si vantava che i suoi mortaisti erano i migliori della Brigata, e per Dio pareva davvero che lo fossero. Rapidamente Varnazzoni riorganizzò la sua tabella dei tiri per fornire ai tubi un nuovo bersaglio. La fanteria nemica veniva avanti alla ca*zo ed avrebbe pagato il fio, tanto più che le due ali della marmaglia ribelle alla vista della spazzolata subita dai loro compari al centro ad opera dei mortai, si erano fermate entrambe a fare il pro ed il contro. “Brutto posto per fermarvi, care le mie teste di stracci beduine” pensò mentre metteva mano alle scartoffie delle coordinate di tiro e mentre i suoi veicoli aprivano il fuoco con le Franchi pesanti sul gruppo di insorgenti a sinistra, nuovo bersaglio di opportunità. A 500 metri, inutile dire che il fuoco delle 15 millimetri aprì vuoti preoccupanti delle file del nemico, nonostante questo si buttasse a terra e cercasse riparo tra le rocce ed avvallamenti sparsi nel desolato scenario desertico. Nel frattempo la scena era stata apprezzata anche dal Sottotenente Paglia, che a questo punto della tenzone era indeciso se far parlare i suoi 105 millimetri o se lasciare che gli esploratori leggeri se la vedessero da soli. Optò per questa seconda ipotesi allo scopo di risparmiare munizioni. La sua autonomia di comandante dei corazzieri gli consentiva una certa libertà di decisione. La marmaglia acquattata tra spunzoni rocciosi e anfratti del terreno non pareva a quel punto molto pericolosa e a lui sarebbe piaciuto molto conoscere l’ideatore del brillante piano nemico per stringergli la mano e fargli i suoi complimenti. Attraverso il terreno accidentato e pietroso che portava alla carraia principale del complesso petrolifero, la Campagnola con a bordo Vannetti e la sezione dell’intendenza scapolò dietro ad un plotone di mastodontiche blindo Centauro schierato in linea in terreno aperto, bandierine italiane al vento sulle antenne radio insieme allo stendardo del reparto. A sud esplodevano colpi di mortaio e il frastuono della mitraglia copriva persino il rumore dell’atterraggio delle salve. Il Sergente esploratore pensò che si era andato a cacciare in un guaio peggiore di quello che aveva preventivato quando aveva ricevuto la notizia della sua nuova destinazione di impiego in colonia. Appena arrivato e già nel mezzo di una ca*zo di battaglia campale, senza nemmeno aver avuto il tempo di riprendersi dal viaggio. “Un’esperienza che tutti i reparti di prima linea del Regio Esercito devono fare” gli aveva detto il maresciallo passacarte del COMFOP a Milano, consegnandogli gli ordini di destinazione. Naturalmente il maresciallo in colonia non ci era mai stato e quindi a buon diritto faceva la morale. 70 anni di fascismo non avevano cambiato la natura di alcuni soggetti e neppure la magia per la quale alcuni soggetti avevano ancora un posto di lavoro nelle forze armate o in qualunque altro posto al servizio dello stato se era per quello. La carraia era incustodita ma ne usciva in quel momento un’altra AR-76 in senso opposto di marcia rispetto al loro. Questa si fermò a pochi metri da loro mettendosi di traverso e costringendo l’autista a fermarsi. Dalla Campagnola uscirono due uomini: uno imbracciava un SC-70 in caccia e l’altro era un ufficiale con i gradi di capitano. Doveva essere il comandante dello squadrone. “Chi siete e dove andate” chiese quello con fare frettoloso. Vannetti si sporse fuori dal finestrino, facendo al contempo il prescritto saluto militare dovuto ad un superiore. Questi era un ufficiale alto e prestante nella sua sporchissima mimetica desertica con elmetto piumato. L’ufficiale portava solo una pistola in fondina. “Sergente Vannetti Signore. Assegnato al plotone esploratori. Sono appena arrivato qui accompagnato dall’intendenza.” Il Capitano diede a Vannetti una squadrata sommaria e poi buttò l’occhio all’interno del fuoristrada mezzo malandato da un paio di centinaia di chilometri di deserto. Doveva trattarsi del rimpiazzo del Sergente Malaspina, ammazzato da un cecchino il mese prima. “Bene Sergente, sono contento di fare la sua conoscenza. Come vede siamo nel mezzo del processo del lunedì con gli insorti qui. Poi si rivolse al comandante della Campagnola seduto nel sedile anteriore del passeggero ed all’autista del mezzo. “Sergente seguitemi con il veicolo. Non è escluso che possa fare uso della vostra Breda e dare a voi dell’Eroica un po' di ebrezza del combattimento. Detto questo il Capitano si diresse verso la sua vettura, senza neppure aver aspettato la risposta dei subordinati. Non intendeva offendere il prestigio dell’Eroica Intendenza e solo che lui era fatto così. Parlava esattamente come mangiava: al naturale. Vannetti pensò che era venerdì e non lunedì, ma forse i beduini avevano un calendario diverso.
La pista dell’aeroporto militare di Grazzanise aveva un aspetto particolarmente tranquillo a quell’ora della mattina mentre cominciava la transizione dal ciclo operativo delle missioni notturne a quelle diurne, specialmente da quando la base era stata assegnata al CII Stormo, il reparto della fase due dell’addestramento al volo degli aspiranti piloti della Regia Aeronautica. L’allievo Sottotenente Mauro Mossotti reduce dall’aver superato le selezioni del LXX stormo di Latina per il volo basico ad elica sui Savoia Marchetti SM. 260, aveva adesso di fronte a sé un compito molto, molto più arduo; superare Il corso di volo avanzato a reazione sui Macchi-339 del CII Stormo. Con questa bestia erano possibili tutti i profili di volo e tutte le manovre acrobatiche previste dal programma avanzato. E lui le avrebbe imparate tutte, le avrebbe a poco a poco fatte tutte sue, e le avrebbe infine concatenate le une alle altre in un continuo che era la parte fondamentale del corso di volo avanzato. Insieme all’addestramento al volo notturno ed a quello in formazione, tutto ciò sarebbe stato alla fine messo alla prova in una mega sessione di esami finali, il cui superamento avrebbe dato accesso al vero e proprio corso avanzato di pilotaggio di combattimento sui Fiat-G91 veri e propri animali da guerra che solo recentemente erano state sostituiti nei reparti operativi dai più moderni Macchi-210 Ghibli. E se tutto fosse andato bene, alla fine sarebbe stato dentro: NELLA REGIA AERONAUTICA! L'arma di Sua Maestà Imperiale. Certo avrebbe avuto bisogno di un breve periodo di addestramento supplementare presso l’ RCO di competenza (Reparto di Conversione Operativa) per la familiarizzazione con il velivolo di destinazione finale, e poi finalmente al reparto. Dove sarebbe stato destinato? Tutto si decideva nella fase successiva al vero e proprio addestramento al volo di combattimento. Qui gli aspiranti mostravano fino in fondo le loro attitudini ed il loro temperamento e gli esperti istruttori potevano farsi un’idea del reparto operativo presso cui mandare i novelli brevettati piloti militari. Quelli che ce la facevano naturalmente. La fase tre, pur non essendo decimante come quelle precedenti, aveva nondimeno la sua brava percentuali di bocciati. E quello era il momento più duro per essere bocciati; quando si era praticamente in dirittura di arrivo. Molti dei bocciati erano già degli eccellenti piloti e di solito finivano a lavorare per L’Ala Azzurra, la compagnia aerea civile di stato o per qualche equivalente straniera. Per gli altri, dopo il periodo di acclimatamento al velivolo operativo presso gli RCO, arrivava il coronamento di un sogno ed il frutto degli enormi sacrifici sostenuti negli anni precedenti. C’era chi finiva alla linea caccia andando a pilotare i possenti biposto intercettori ogni tempo Fiat G-98 “Spada” e chi alla linea bombardieri sugli Junkers Ju-99 “Tornado” o sui Macchi-210 Ghibli. Per i più intellettuali e posati c’era la linea trasporti con una pletora di vettori; I leggeri Caproni Ca-116 e i medi Ca-200 per quanto riguarda la linea tattica, ed i Savoia Marchetti SM. 509 e 510 per la linea trasporti speciali, VIP , aerocisterne e piattaforme ALRD (allarme lontano Radiolocalizzazione). C’era infine chi finiva alla linea ad ala rotante e supporto dotata di tutti i tipi di elicotteri Agusta, per i soccorsi e collegamenti. Mossotti aveva sognato sin da ragazzino di volare sui Messerschmitt Me-280, quando la Regia aveva ancora in dotazione i bireattori da caccia tedeschi della precedente generazione. Ma questi erano stati sostituiti sia nella Regia Aeronautica che nella Luftwaffe che aveva anch’essa adottato lo Spada come caccia di prima linea. Solamente il tempo avrebbe detto Se Mossotti sarebbe riuscito a realizzare i suoi sogni. Era sulla buona strada.
Parte Terrestre: Fistful of Lead Bigger Battles di Jaye Wiley Parte Aerea: Air War C21 Max della Wessex Games Parte Navale: Modern Naval Command di Rory Crabb nella vicenda, alcune cose sono riferite alla realtà; ovviamente molte altre no. vedremo se il LI di Istrana sarà parte della storia.
Il Sottotenente Garbato cominciava ad essere davvero impaziente. I suoi VM erano nella parte sud del perimetro a combattere mentre lui con il suo plotone di fanteria esplorante marciva nella stramaledetta torre di osservazione ovest. Il Capitano Crenna gli aveva dato un ordine specifico: gli esploratori leggeri esploravano le provenienze ovest del perimetro; ed alle lagne di Garbato per radio, il capitano che non era certo da meno di lui in quanto a schiettezza, gli aveva risposto di esplorare anche il modo di non rompergli le palle. C’era una battaglia in corso e lui non aveva tempo di accorrere con ciuccio e pannolini per consolarlo. Peraltro, binocolo alla mano, il Sottotenente Garbato a ovest vedeva solo l’inamovibile ed immutabile accesso all’altopiano di Al Zalatan, così come lo aveva visto per mesi, con a sinistra la quota R e a destra la Collina dell’Aquila. Sulla destra c’era la parte desertica dello scenario e sulla sinistra quella pietrosa. Se forze nemiche arrivavano da ovest, da lì dovevano sbucare. Volgendo il binocolo verso l’interno del perimetro, Garbato poté anche osservare che una AR 76 si andava a piazzare alla carraia per sostituire il mezzo squadrone di Corazzieri di Sua Maestà che si erano spostati anche loro, manco a dirlo per andare a combattere. Si trattava in effetti della nostra gippetta dell’Eroica con a bordo Vannetti e l’equipaggio dell’intendenza che avevano ricevuto un contrordine da Crenna. Invece di seguirlo colà dove rombava il cannone, dovevano limitarsi a sorvegliare la carraia, dal che Vannetti ne aveva ricavato un grosso sospiro di sollievo. Non che fosse un codardo; semplicemente l’idea di entrare in combattimento senza un reparto non lo attirava particolarmente. Intanto Crenna con la sua sezione comando di tre uomini più lui, aveva raggiunto al torre di osservazione posta all’estremo sud del perimetro a 500! metri dal nemico, che va bene che era rintronato ma c’era sempre possibilità che si riprendesse. La torre di osservazione sud si trovava circa 200 metri a sud delle posizioni dei mezzi del plotone esplorante leggero e quindi la sezione comando poteva considerarsi il reparto più avanzato della compagnia. Il Sergente Maggiore Varnazzoni lo aveva scongiurato di non salire lassù; era troppo pericoloso e meno riparato che dietro la cintura di sezioni SALCO. Crenna aveva lasciato l’AR ai piedi della torre e si era inerpicato, nonostante gli avvertimenti, con i suoi per vedere meglio la situazione. Purtroppo la visuale sul lato sud del complesso di Al Zalatan era un vero e proprio schifo perché le propaggini meridionali dell’altopiano finivano proprio in quella zona e il perimetro difensivo del complesso raggiungeva una distanza di non più di 400 metri dalle linee di elevazione. Questo faceva sì che un nemico a qualche centinaio di metri dalla cresta potesse vedere giù nella valle, esclusi i 400 metri ciechi, ma rimaneva invece nascosto alla vista dalla valle. All’insaputa di Crenna un’altra compagnia di fanteria degli insorgenti stava arrivando proprio da quella direttrice, rinforzata da 3 tecniche armate di fucili senza rinculo SPG-9. Ma di ciò Crenna e suoi non potevano ancora avvedersi, e vista la momentanea situazione di stallo con il nemico che titubava a sud, il capitano diede ordine a tutti di tenerlo sotto tiro e di osservare la situazione. C’era caso che i beduini cominciassero un qualunque movimento, anche a ritroso; nel qual caso lui li avrebbe spazzati via. Abdul Minhar riuscì dopo vari a sforzi a fermare la ritirata di quello che rimaneva del suo gruppo di fuoco e a dire il vero non rimaneva un gran che: nove uomini più lui degli iniziali 25 fratelli. Ciò non di meno il drappello si lanciò di corsa verso nord dove il resto della sua compagnia era rimasta allo scoperto ed in difficoltà. Abdul decise di utilizzare la copertura delle alture sud dell’altopiano per coprire il suo movimento. Se quello che rimaneva del suo gruppo comando fosse stato sottoposto ad un’altra prova come quella attraverso cui era passato con i mortai italiani, questa volta la ritirata si sarebbe probabilmente fermata in Ciad, la più settentrionale delle colonie tedesche d’Africa. Sparito Minhar dalla scena i rimanenti due plotoni di fanteria a contatto con gli Italiani cominciavano a riaversi solo adesso dall’effetto devastatore dei mortai prima e della mitraglieria dopo, e quindi si provò ad abbozzare una reazione nell’attesa che qualcuno li venisse a tirare fuori da quella scabrosa situazione. L’idea era che uno dei due plotoni superstiti aprisse una specie di fuoco di copertura e l’altro provasse a retrocedere, così come avevano imparato a fare sotto la guida dei consiglieri sovietici. “Merda!” il capocarro di Pantera 3, veicolo facente parte del mezzo squadrone di Centauro (Corazzieri), fu il primo a notare la scia dell’ RPG diretto contro la cinta del perimetro. Qualcuno lo aveva lanciato dalle posizioni beduine a sud del limite del complesso. Proveniva dalle posizioni degli insorgenti alla destra di quelle che i mortai avevano spazzolato pochi minuti prima. Il sergente non perse tempo a fare rapporto, agguantò la Breda in torretta e la brandeggiò più o meno in direzione dell’origine della scia cominciò a spazzare l’area con una generosa somministrazione di proiettili da 7,62 nella zona da cui era partito il razzo nemico. L’area presa di mira scomparve in un turbinio di polvere causato dalla grandinata ed al diradarsi di questo nell’area bersaglio non notò più alcuna attività. L’azione causò un inizio confuso di sparacchiamento lungo tutto quello che rimaneva del fronte dell’attacco nemico che in effetti non era gran che. Gli insorti tiravano con armi leggere che non avevano un grande effetto contro le posizioni protette del S. Giusto ma la sezione comando venne presa sotto il fuoco, il che era tutto sommato inevitabile vista la posizione in cui il Capitano Crenna l’aveva cacciata. I Beretta SC-70 cantarono all’unisono in risposta all’insolenza degli insorgenti ed il gruppo che aveva aperto il fuoco per primo alzò definitivamente i tacchi visto che tra le mitraglie del plotone leggero e gli SC-70 della sezione comando, pareva che anche questo secondo gruppo di guerriglieri ne avesse avuto abbastanza. Il combattimento avveniva a distanze tra i 400 ed i 500 metri e si tirava più meno dove si intuiva che il nemico doveva trovarsi. Quando i resti della squadra comando di Abdul arrivarono alla linea do cresta della pendice sud dell’altopiano, egli mise mano al binocolo. Guardò giù nella valle e sbiancò di colpo. Della sua fiera compagnia d’assalto non rimaneva praticamente nulla, se non buchi a terra fatti dai mortai da 81 e cadaveri sparsi tra le rocce del deserto. Era chiaro che il suo attacco era fallito. Adesso stava alle altre forze fare la volontà di Allah. E la volontà di Allah fu fatta quando la compagnia armi pesanti di Yussef aprì il fuoco dalle alture sulla torre di osservazione che la fanteria italiana aveva portato a sud. Caricati con munizionamento HE, i cannoni senza rinculo SPG-9 di Yussef, montati in maniera improvvisata su fuoristrada Toyota, aprirono il fuoco all’unisono. Qualcuno doveva pur alleggerire la situazione della sua compagnia devastata. Il Capitano Crenna e i suoi uomini non ebbero il tempo di accorgersi di nulla; due dei razzi caricati ad alto esplosivo, mancarono il bersaglio ed andarono ad esplodere al di là della cinta fortificata, ma uno arrivò dritto sulla postazione, penetrando tra due strati di protezione in concertina e assi di legno, esplodendo proprio in mezzo alla squadra comando. Non sopravvisse nessuno. Anche i cosiddetti beduini avevano fatto goal, ma il Capitano Crenna se l’era cercata.
Il Sottotenente Garbato venne a sapere della morte del suo comandante attraverso le agitate comunicazioni radio che seguirono all’evento. Il comando passava automaticamente al Tenente Giacomo Vitale, vicecomandante dello squadrone S. Giusto, che era rimasto dabbasso con la Campagnola della sezione comando e conseguentemente non era stato coinvolto nella tragedia che aveva visto protagonista la sezione stessa. Vitale non aveva l’esperienza di comando del Capitano Crenna, e non aveva più lo staff di comando della compagnia, ma era non di meno un valido ufficiale che non avrebbe avuto difficoltà a guadagnarsi la fiducia dei suoi uomini. Il senso di scoramento di Garbato per la morte del Capitano Crenna, fu accentuato da quello di gratitudine che dovette provare nei suoi confronti quando si accorse che da nordovest arrivava un’altra massa di insorgenti. Se Crenna non gli avesse ordinato nei suoi ultimi momenti di vita di rimanere al sul posto adesso quella massa avrebbe potuto avanzare indisturbata e non vista. La fanteria nemica era a circa un chilometro e qualcosa dalle posizioni del plotone leggero che ne poteva osservare i movimenti con chiarezza nella giornata limpida e afosa. Garbato immediatamente diede comunicazione della novità sulla frequenza di compagnia ed immediatamente dopo cominciò ad captare gli ordini che il tenente Vitale emanava di conseguenza. “Arpione a tutti i reparti veicolari...attenzione regolate i vostri movimenti per riavvicinarvi alle vostre componenti appiedate, ripeto ricompattatevi il più possibile con le vostre componenti appiedate, che non ho né lo staff, né le ap. Accusate ricevuta con ordine passo.” Uno ad uno i plotoni del S. Giusto diedero il ricevuto sulla frequenza di compagnia. I VM Protetti del plotone leggero e quelli non protetti dei mortaisti di Fiore cominciarono a ripiegare dal perimetro sud per riunirsi ai loro reparti. Le loro mitragliatrici sarebbero presto servite nei loro nuovi settori difensivi. Come misura di sicurezza ulteriore Vitale ordinò che i tecnici civili venissero evacuati dai ricoveri all’interno del complesso petrolifero per essere trasferiti nel compound della base del S. Giusto, che era l’ultima ridotta difensiva nel malaugurato caso in cui gli insorgenti fossero riusciti a penetrare nel perimetro. Garbato dalla sua posizione - e ringraziò Dio che il Capitano Crenna gli aveva ordinato di mantenerla prima di cadere in combattimento - poteva vedere tutto quello che accadeva sul versante ovest del complesso e quello che vedeva gli mise addosso un sano e sincero terrore. I due complessi di fanteria nemica convergevano su di lui da due lati diversi, e per fortuna avanzavano su un terreno roccioso e pietroso e questo li rallentava. Il gruppo a sud era giunto a 500 metri dal perimetro ed era quello più pericoloso. Garbato si attaccò nuovamente alla radio per allertare il comando. Gli ordini concitati di Vitale seguirono subito dopo sulla frequenza di compagnia. “Gazzella e Martello...attenzione...informativo: vi ho rispedito indietro tutti i vostri VM. Vi informo che mantengo il plotone corazzieri alla mano per soccorrere chi dovesse averne più bisogno. Avete discrezionalità di impiego sul plotone mortai. COMBATTETE! passo.” Garbato si sentì il sangue raggelare nelle vene. C’erano in arrivo 6 VM di cui solo 3 armati con le Socimi e con un minimo di corazzatura, più i 18 uomini del suo plotone esplorante per difendere tutto il lato ovest e fermare un paio di centinaia di insorgenti caricanti e strillanti. Sarebbe stata una nuova Isandlwana. Cercò comunque con aria baldanzosa di caricare i suoi che se la facevano sotto pure loro. Lui era l’ufficiale in comando e doveva ostentare sicurezza. “I VM sono in arrivo con le HMG. Controllate le armi, preparate i lancia granate e le mitragliatici leggere. Gli diamo una bella spazzolata a sti caz*i di beduini. Spariamo solo a quello che vediamo. Risparmiare le munizioni. Nessuno spara a minch*a, e nessuno spara prima del mio ordine, tutto chiaro? I suoi sergenti annuirono tutti e corsero alle loro posizioni. Non aveva finito di pronunciare il suo pistolotto Garbato, che fuoco di mortai arrivò sulle sue posizioni. Per grazia di Dio, i tiri erano lunghi e la maggior parte delle salve andò a cadere all’esterno del perimetro. Ma questo non impedì alla concitazione di salire tra i suoi soldati. Più passavano i minuti e più in tutti i plotoni ci si rendeva conto che i Beduini non scherzavano per niente. Si erano portati dietro tutto l’armamentario pesante ed erano decisi ad usarlo in un vero e proprio attacco convenzionale. Nella concitazione delle comunicazioni radio si inserì infine una voce pacata. Era il comandante di un plotone meccanizzato dell’8° Beraglieri, mandato sul posto dal comando di brigata; nominativo radio “Biglia”. Anche a Tripoli si erano reso conto che davvero i Beduini facevano sul serio. Il Tenente Vitale reindirizzò immediatamente questo plotone sul versante ovest. I cannoni da 20 dei Marder e l’armamento pesante dei Bersaglieri sarebbero stati sicuramente di grande aiuto.
Il calcio nel deretano del Macchi-339 a potenza militare quando si rilasciano i freni è qualcosa di prodigioso se comparato al Savoia Marchetti da addestramento basico. Alla quinta missione con il Macchi, non mi sono ancora abituato alle sue prestazioni. La fine della pista mi viene incontro a velocità subliminale. Il Maggiore Ambrato, seduto dietro di me a controllare quello che combino, mi invita ad effettuare la rotazione prima che io mi renda conto di avere raggiunto la velocità di decollo. Siamo sul mare. A tutta manetta, il Fiat-778 Grifone, continua ad imprimere all’aereo un’accelerazione corposa. A 25000 piedi livello e stabilizzo la velocità. “Quattrocentocinquanta nodi Signore” informo il mio istruttore. Quota prestabilita per l’inizio del programma acrobatico. “Bene, cominciamo con un tonneau a botte” sentenzia il maggiore con aria indifferente. 450 nodi è la velocità minima di sicurezza per un tonneau a botte per evitare di stallare anche in caso di errore nell’eseguire la manovra. Ora in teoria e nei video la figura l’ho vista decine e decine di volte. L’ho provata al simulatore decine e decine di volte. Adesso è il momento di provarla con l’aereo sotto al sedere. Tre, due, uno, pedaliera a fondo corsa, barra al ventre a sinistra e via. L’aero imbarda man mano che va il volo rovescio do timone per farlo girare sull’asse verticale. Al termine della figura mi ritrovo 250 nodi, prua 60° gradi a dritta rispetto alla posizione di partenza e a 30000 piedi. “Mossotti sono corretti i parametri di uscita?” “Parametri corretti Signore manovra finita” rispondo con un sogghigno sotto la maschera dell’ossigeno. “Allora preparati per la prossima figura”. Non ha detto nulla. Io so che la manovra l’ho eseguita in maniera perfetta, e se il Maggiore non ha fatto commenti vuol dire che lo sa anche lui. Obiettivo alla fine del corso di volo avanzato a reazione: essere ancora il capo corso. Avanti Savoia !!
Alle ore 1030 Il comandante Vitale decideva di spostare quello che era divenuto il suo posto di comando tattico in posizione centrale per avere un maggior controllo sui reparti subordinati, non potendosi avvalere di personale di staff deceduto in azione al completo con il Capitano Crenna. Di conseguenza il veicolo comando con a bordo il tenente e l’equipaggio si portavano alla carraia, dove il Tenente Vitale apprendeva dell’esistenza della AR dell’intendenza con il rimpiazzo per il plotone leggero Sergente Vannetti. Seduta stante ordinava al veicolo di portarsi nella posizione che lui aveva appena abbandonato a sud ed al secondo di montare con lui sulla Jeep comando, che avrebbe provveduto a portarlo presso il reparto di destinazione (plotone leggero). Ciò disposto, Vitale informava il comandante del veicolo dell’Intendenza delle frequenze e dei nominativi radio dello squadrone e dei reparti subordinati, atto con il quale il tenente prendeva formalmente la sezione dell’intendenza sotto il suo comando. Gli eroici diventavano quindi seduta stante un reparto di prima linea. Nel frattempo il plotone Garbato aveva in vista due complessi di fanteria nemica avanzante; uno da sud ovest giunto a 750 metri e l’altro da nord ovest ancora a più di un chilometro di distanza. Entrambi questi complessi nemici avanzavano verso il perimetro e tutto si giocava sul fatto se il plotone avesse ricevuto in tempo i suoi veicoli armati di mitragliatici pesanti. Garbato aveva preso la conscia decisione, come risulta dal rapporto post azione, di mantenere la sua posizione anche se fosse continuato il fuoco dei mortai nemici. Sperava il sottotenente nell’efficacia delle protezioni SALCO e nel sangue freddo dei suoi uomini. Nel contempo tutto faceva per incitarli informandoli che i rinforzi erano in arrivo. Sempre allo scopo di tenere alto il morale, il Sottotenente Garbato autorizzava anche ad aprire il fuoco, se non di arresto almeno di disturbo, sul complesso nemico a sudovest; purtroppo a quella distanza né le Beretta leggere di squadra, ne gli SC-70 individuali e né tanto meno i lanciagranate in dotazione ai granatieri delle sezioni, avevano nessun effetto visibile sull’azione del nemico. Come immediata risposta a questa iniziativa, riprendevano a cadere intorno alle posizioni del plotone colpi di mortaio, questa volta corti. Era chiaro, che sotto l’isservazione della fanteria nemica, i mortai degli insorgenti stavano aggiustando il tiro. Quando il Sergente Vannetti arrivò al plotone leggero, smontato dall’AR del comando, si presentò immediatamente a rapporto al comando del reparto sommariamente sistemato dietro ad un modulo SALCO. Fatte le sue scuse per essersi presentato in un momento poco propizio, ricevette un sommarissimo resoconto della situazione dal Sottotenente Garbato, oltre agli auguri di benvenuto e si avviò alla sua sezione, schierata all’estrema sinistra del plotone. Leggiamo direttamente dalle sue memorie: “Raggiunsi il mio comando nel momento e nelle condizioni meno favorevoli. Dovetti procedere con molta cautela tra i corridoi delle SALCO, in quanto piovevano salve di mortaio a poche decine di metri. La mia sezione era al momento comandata dal Caporale Fergusson, che era anche il granatiere della squadra. La disposizione della sezione mi parve buona con i quattro uomini in linea la Beretta leggera in mezzo ed il caposquadra a supporto con il lanciagranate integrato nel fucile. Unico problema, il nemico era a 300 metri e veniva avanti. Un accidente di battesimo del fuoco direi, ma almeno il comandante mi aveva assicurato che i VM protetti di supporto erano in arrivo.” Le memorie del Sergente Vanentti continuano come segue: “Ordinai a Fergusson di prendere il comando del gruppo di destra e di sparare direttamente sul primo gruppo di appiedati nemici in avvicinamento, io con la sezione Breda e l’altro esploratore mi sarei occupato del secondo gruppo che seguiva. Proprio mentre davo queste ultime disposizioni sul tamburo (non conoscevo naturalmente né gli uomini né il mio vicecomandante), vidi apparire sulla sinistra tre VM armati pesantemente con Franchi-Socimi 15. Si trttava dei veicoli del plotone. Questi si allinearono lungo le protezioni e potei vedere chiaramente i rallisti che preparavano le armi per il tiro ancor prima che i veicoli si arrestassero. Pensai che erano arrivati giusto. All’unisono aprimmo il fuoco insieme a loro.” Il fuoco delle Franchi a 500 metri fu come è facile immaginare, devastante. Il secondo scaglione della fanteria nemica venne polverizzato e trasformato in spezzatino di ossa e sangue di varie dimensioni. Il tuono borbottante delle Franchi rimbombò per tutta la valle e coprì col suo frastuono il tiro del plotone appiedato che non solo fece pochi danni, ma lasciò il reparto anche a corto di munizioni. Poi arrivò la terza salva dei mortai degli insorgenti, questa volta molto vicina alle posizioni del plotone leggero. Le sezioni SALCO erano ben più efficaci contro il fuoco diretto che contro quello indiretto e ci furono in paio di feriti lievi da schegge nonché discreta strizza tra le sezioni di esploratori, specialmente quella centrale che era la più vicina ai punti di caduta e che aveva avuto i feriti. Intervenne Garbato personalmente a tenere gli uomini a posto. Il disordine tra le squadre dovette tosto essere messo da parte a causa del tentativo di infiltrazione di quello che rimaneva della fanteria nemica sul versante ovest del perimetro, che coraggiosamente venivano avanti nonostante la ripassata data ai loro compari delle Socimi. Gli insorgenti cercarono di avvicinarsi alle protezioni SALCO sfruttando ogni anfratto per ripararsi dal fuoco degli Italiani, ed arrivarono fino ad una quarantina di metri dalle difese, sparacchiando a caz*o di cane, da bravi insorgenti. Invece il fuoco di contenimento italiano, nonostante il leggero disordine nella squadra di mezzo, fu ben disciplinato, e i beduini arrivati all’inquietante distanza di trenta metri circa, decisero alla fine di alzare i tacchi per prevenire guai peggiori. Non si poté appurare se avessero subito delle perdite, ma certamente il loro tentativo di attacco fu respinto: un altro piccolo alloro sulla bandiera di guerra del S. Giusto. Dopo questo fallito assalto, sembrò che gli insorgenti rallentassero il ritmo delle operazioni e che i vari gruppi di fanteria sospendessero l’avanzata. Gli Italiani si chiedevano il perché, dato che le forze nemiche intorno al perimetro erano ancora considerevoli. Alcuni gruppi rallentarono l’avanzata, altri si fermarono del tutto. Il sottotenente Garbato fece rapporto di ciò al Tenente Vitale ed entrambi gli ufficiali si grattarono la testa per un po' a cercare di capire che intenzioni avesse il nemico. Poteva anche darsi che mollassero l’osso; dopotutto avevano già subito perdite considerevoli, da stimarsi nell’ordine di qualche decina. A Garbato venne invece in mente che forse aspettano rinforzi. L’ipotesi del sottotenente venne avvalorata dall’allarme dato dai VM dei mortaisti, che piazzatisi a scafo sotto nel settore nord est del perimetro, avvistarono altra fanteria avanzante su quel lato. Forse i beduini volevano provare a coordinare gli attacchi sui vari lati del perimetro in maniera da massimizzarne l’efficacia. Nota: gli insorgenti si sono fermati per dare il tempo alle varie sezioni di armi di accompagnamento di arrivare a distanza di tiro per poter appoggiare i futuri attacchi. Ogni compagnia di insorgenti ha una sezione di HMG che però appiedate sono più lente della fanteria. Esiste poi come ricorderete una compagnia indipendente armi pesanti con mortai e cannoni senza rinculo. Anche questa forza va riorganizzata e massa in condizione di appoggiare l’attacco. Gli insorgenti hanno, tra gli altri, il problema del comando e controllo. Hanno gran difficoltà a coordinare un attacco di queste proporzioni. Quindi ci va tempo per organizzarsi. Non è poi da dimenticare che anche gli Italiani hanno il C3I compromesso dalla perdita della squadra comando, però fino a quando tengono i reparti della stessa unità a 2 esagoni di distanza gli uni dagli altri va bene. Questo limita un po' la capacità di manovra, ma in difesa si sente di meno.
...hemmm, ho provato a individuare su gmaps l'area, senza riuscirci: i campi di Zalatan e Bir Zalatan non sembrano avere quella conformazione geografica, potresti mica rendere note le coordinate?
L'area reale dei pozzi non è quella dove sto conducendo lo scenario, perché volevo comunque una mappa pulita dove piazzare la base ed il compound. Quella reale te la riporto qui sotto.
Eh, appunto, le due aree "reali" si trovano facile, è quella dove hai ambentato gli eventi che non si trova