Guerra, politica, e la continuazione con altri mezzi

Discussione in 'Altre Discussioni' iniziata da generalkleber, 3 Giugno 2016.

  1. generalkleber

    generalkleber

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    E' nota la frase di Clausewitz sul rapporto tra politica e guerra, un rapporto che il tedesco vede univoco: la guerra è la continuazione della politica. Ma è così? O non vale l'inverso, almeno in alcune condizio ni che sono, poi, quelle peggiori?
    Consideriamo gli eventi all'origine della Prima G.M. trascurando i dettagli. Dopo il 25/7 la politica entra in crisi: inerzia, incomprensione...tutti sanno che l'ultimatum austriaco significa la guerra ma non si riesce a scoprire una via per fermare la valanga. A S. Pietroburgo minacciano (inizialmente minacciano solo!) la mobilitazione e da quel momento ttto gira attorno a questa minaccia. A Berlino valutano questa minaccia come un fatto inaccettabile: lo scarto temporale tra la mobilitazione tedesca e quella russa, previsto da Moltke, non può esser ridotto. Così le questioni tecnico-militari si sostituiscono a quelle politiche e la politica finisce non per esser continuata dalla guerra ma per essere preceduta da questa. La politica si limiterà a seguire e giustificare la guerra: la politica diventa la continuazione della guerra con altri mezzi almeno sino al 1919. E forse oltre.
    Potremmo considerare la Guerra Fredda ma saltiamo e arriviamo ai giorni nostri: Medio Oriente allargato.
    Per un certo numero di soggetti minori (milizie varie, somale, libiche, banditi più o meno organizzati...) la guerra è l'unico modo per affermare la propria esistenza: contano nella misura in cui hanno capacità combattive. Per questi è evidente che la politica è subordinata logicamente alla guerra.
    Veniamo ai "medi": ribelli siriani, milizie islamiche di varia denominazione, IS...per questi soggetti non c'è altra politica che la guerra. Nei fatti la linea politica dell'IS è combattere e solo la lotta lo giustifica, legittimandolo, agli occhi di chi può riconoscervisi. Questo vale, in forma solo più mascherata, per tutte le milizie islamiche: pensiamo ai gruppi nella striscia di Gaza o nel Sinai: non c'è altra politica che la guerra a Israele. Ho idea che anche le fazioni effettivamente combattenti dei Curdi siano diventate largamente indipendenti dalle leadership politiche relative: la guerra condiziona le scelte politiche. Questo vale anche per molti dei soggetti maggiori (Arabia Saudita, Russia, Turchia, Iran...): tutti sono impegnati a sostenere direttamente o indirettamente una parte in lotta. Il successo, o anche la semplice sopravvivenza di questa parte, è condizione per poter esercitare una qualche influenza, esercizio che è visto come vitale. Le scelte politiche, inizialmente basilari, si sono pian piano ristrette alla semplice logica della potenza o quantomeno della capacità di sopravvivere. Dai prezzi del petrolio alla gestione dei profughi, dalle vie di comunicazioni aperte/chiuse ai finanziamenti ai governi, sino alla vendita di armi, tutto segue la logica della guerra.
    IL che fa riflettere (almeno: fa riflettere me) su quanto siano complicati i tempi presenti e quanto siano lontani dalle logiche tradizionali di riferimento.
    Tra l'altro: tutto segue la logica imposta dalla guerra, non dalle gerarchie militari le quali, se hanno una cosain comune, è quella di non sapersi raccapezzare nella situazione odierna. Sembra che ai militari manchi ogni comprensione non solo geopolitica, strategica, operazionale e persino tattica di quel che accade. Il che apre, e spiega, un vuoto che nessuno sembra saper colmare.
     
  2. huirttps

    huirttps

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    Per prima cosa ti faccio i complimenti per lo spunto di riflessione.
    Evito la parte sulla Prima Guerra Mondiale e mi focalizzo sulla parte moderna.

    Non sono molto d'accordo con quanto affermi principalmente per la ragione che le varie milizie islamiche, benché abbiano come tu dici solo la guerra come ragione d'essere, sono in effetti una prosecuzione della politica. Una politica esterna che le manovra a piacimento.

    Non credo di affermare nulla di nuovo se dico che molte milizie islamiche seguono i dettami dei Sauditi, dai quali sono sostenuti finanziariamente e logisticamente. Le suddette milizie sono quindi uno strumento politico, secondo me.

    Tu scrivi
    molti dei soggetti maggiori (Arabia Saudita, Russia, Turchia, Iran...): tutti sono impegnati a sostenere direttamente o indirettamente una parte in lotta

    Nella mia visione funziona esattamente al contrario : le parti sono in lotta perché spinte e sostenute dai soggetti maggiori.
    ISIS, primavere arabe, rivolte colorate in Ucraina.. la mano esterna é evidente nel cavalcare ed indirizzare un malcontento preesistente ma che molto probabilmente non sarebbe mai arrivato a sfociare in un conflitto armato senza l'appoggio dei soliti noti.

    Alla stessa maniera giudico i flussi migratori e prezzi del petrolio : strumenti di pressione politica/economica su un avversario, non arriverei a definirli "atti da logica di guerra". In effetti credo che molto dipenda dall'importanza relativa dell'obiettivo da conquistare e cosa si é disposti a fare per ottenerlo.

    Prendo la Turchia come esempio : evidentemente usa i rifugiati e tante altre migliaia di clandestini come strumento di ricatto politico/economico sulla UE, affinché possa ottenere dei vantaggi (ingresso UE? sostegno politico nell'area mediorientale?). Ma la Turchia fino a che punto é disposta a spingersi per ottenere questi obiettivi?

    Al contrario prendiamo l'abbattimento del SU-24 russo, atto di guerra molto piú evidente. La Russia ha subíto un forte avvertimento a non sostenere Assad. Putin avrebbe potuto rispondere con le armi contro la Turchia rischiando un confronto diretto con la NATO. Ma tale rischio era un prezzo davvero troppo elevato per continuare ad aiutare Assad. Pertanto ha mantenuto la calma, continuando peró le operazioni a favore dei lealisti.

    Insomma, le solite proxy wars che peró adesso sono pericolosamente vicine ad essere dirette, se si pensa alla quantitá di aerei e soldati russi da una parte, americani dall'altra, che si trovano a combattere su fronti "paralleli" e geograficamente relativamente vicini.

    Per concludere, credo che in realtá USA e Russia si parlino molto piú di quanto si immagini proprio per evitare problemi. Gli F/A-18 che partono dalla Truman potrebbero fare brutti incontri con gli S-400, ma appunto ritengo che ci sia un canale non ufficiale di comunicazione per evitare qualche spiacevole incidente.
     
  3. huirttps

    huirttps

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    Una postilla :
    Questi poveri militari c'é anche da capirli.. devono combattere e morire contro un nemico che é sostenuto ed armato dal tuo stesso governo.. la confusione mi sembra giustificata :asd:

    Sembra come quando i fanti sul Carso o sul Pindo urlavano che i veri nemici erano a Roma..
     
  4. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Secondo me, come dici tu, anche la politica può essere una continuazione della guerra, senza escludere però casi in cui avvenga l'inverso. Il fatto è che c'è una conflitto insanabile all'interno della storia tra organizzazione e disfacimento, pertanto i casi in cui le contraddizioni di un periodo storico vengono a galla non possono che portare ad una subordinazione della politica alla guerra. E' il caso della guerra in Iraq del 2003, che nonostante la debolezza delle sue giustificazioni è stata dichiarata senza problemi e sorpassando tranquillamente ogni opposizione: questo è appunto il caso in cui la politica viene subordinata alla guerra. E' interessante questo fatto perché smaschera l'idea di pace che tanto dovrebbe essere sottesa alla società democratica, e ne rivela invece il lato oscuro e violento. Non si può neanche parlare di reale necessità strategica o tirar fuori il petrolio, si tratta di un evento che a conti fatti è stato svantaggioso su tutti i fronti e che è stato scatenato non da una logica politica, ma da una logica di guerra.
    Pertanto, per concepire sempre la guerra come continuazione della politica bisogna mettersi nell'ottica positivista di Clausewitz, che vede tutto come organizzazione, ma se si tiene conto dei fattori di disfacimento e non si sopravvalutano le capacità dell'organizzazione non si può non riconoscere che anche la guerra stessa può ricattare la politica.
     
  5. generalkleber

    generalkleber

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    Credo di essermi spiegato male. L'apparato militare, normalmente, è dipendente da quello politico e segue, di norma, le direttive di questo. Possono esserci eccezioni ma sono, appunto, eccezioni. Ad es. Moltke il 29 luglio entra di fatto a condizionare la politica del Reich e ciò accadrà per4 anni. Ma è una condizione che non si ripeterà più nemmeno in Germania, indipendentemtne dalle configurazioni belliche, pensiamo a Hitler. A volte i militari ne hanno la tentazione ma raramente riescono a sostituire totalmente le esigenze politiche con quelle militari. Resta sempre lo spazio e la prospettiva di negoziare. Persino la cancellazione della Polonia era un obiettivo politico e non militare, obiettivo cui sarebbero potuti seguire negoziati con gli Alleati.
    Bene, nell'attuale Medio Oriente allargato questo non è. Quello che intendevo rilevare è che, per molti dei soggetti, al momento non c'è altra possibilità di azione che la guerra. O meglio: la loro unica azione politica è la guerra e non hanno altra politica che continuare la guerra. Se la guerra non fosse, alcuni (non tutti) di questi soggetti, semplicemente, sparirebbero. Altri, compresi alcuni soggetti maggiori, non ppossono, nelle attuali condizioni, che promuovere o continuare una guerra, non disponendo della possibilità di negoziare una pace.
    Se noi accettiamo che la guerra sia la continuazione della politica ocn altri mezzi, allora la guerra assume un carattere temporaneo e transitorio (che è quello che scioglie le contraddizioni relative all'impossibilità della violena assoluta di Clausewitz). Questo carattere provvisorio è sparito. Neanche gli Stati più rilevanti, ora, hanno una seria possibilità di negoziare (e infatti non ci sono negoziati reali). Tutti si tengono sul filo di una guerra limitata (o meglio: di una serie di guerre limitate che si incrociano tra loro) senza poter intravedere uno sbocco diplomatico ma senza nemmeno poter giungere ad una conclusione militare diretta e ultimativa. Chiaramente una guerra totale, che forse chiarirebbe le cose, non è nell'interesse di nessuno dei soggetti maggiori, nondimeno ha il modo di dipanare la matassa che si è intrecciata nell'area. Così si vive su guerre "limitate", che non sono limitate perché si pongono dei limiti politici ma sono limitate perché non possono scalare a livelli più alti. Si badi: molti vorrebbero scalare a livelli più alti, solo non ne hanno la forza. Intendo dire che il timore dell'escalation non è generalizzato.
    Chiaramente alcuni soggetti maggiori, in particolare gli Usa, riescono a tenre u ncontrollo politico, sia pure limitato. Ma ciò li porta a limitare l'impegno (e gli Usa stanno cercando di tirarsi fuori) proprio perché non riescono a imporre una linea politica (o non riescono a trovarla). Altri, (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia...) si lasciano tentare dalla necessità di "fare qualcosa" (non fosse che per contentare le proprie opinioni pubbliche) e dunque di assumere impegni militari più o meno estesi (e camuffati), senza peraltro chiarire l'orizzonte politico di tali impegni.
    Il tuo modo di vedere pone vari soggetti come marionette di altri. Quasi che esistesse una sorta di complotto di alcuni contro altri, che si combattono tramite fantocci. Occorre considerare: 1) che nessuno di questi soggetti maggiori è un monolite, e quindi nessuno ha _una_ volontà e _una chiarezza_ di obiettivi. I governi poggiano, tutti, su compromessi e hanno esigenze ondeggianti. I Talebani amici di ieri sono i nemici di oggi. Le linee di politica estera ed interna si intrecciano e alcuni centri di potere hanno interesse a che la guerra continui il più possibile per legittimarsi all'interno. 2) che, anche in relazione a quanto appena rilevato, i vari soggetti sono fortemente instabili. Ancora 6 anni fa la Siria era una potenza regionale. 15 anni fa lo era anche l'Irak. Lo era la Libia. Soggetti spariti. Non è difficile immaginare che entro qualche anno possa implodere, o esplodere, l'Arabia saudita, che ha già molte difficoltà, anche militari, in casa propria. E si porterebbe Oman, EAU, Kuwait, Bahrein... i primi due sono anch'essi dei soggetti assai attivi, e finanziano un mucchio di gente. Quelli che appaiono a te soggetti forti, che manovrano altri deboli, sono invece dei costrutti fragili assai. La guerra (o le guerre) nascono proprio dall'intrecciarsi di debolezze che non lasciano spazio di manovra a quasi nessuno dei soggetti. Ogni soggetto, grande o piccolo, ha agende proprie che non corrispondono esattamente a nessuna delle altre.
    Astrattamente potremmo dire che la Turchia, che citi, abbia come obiettivi politici la formazione di staterelli satellite curdi in Siria del nord e, forse, in Irak; che miri a costruire una propria influenza (ai danni della Russia) nella zona a SE del Mar Nero sino in Turkmenistan ed oltre. Più in generale a porsi come potenza regionale egemone, polo della rinascita islamica non-araba. Senonché i rapporti con i Curdi sono quelli che sono, con l'Iran idem, con la Russia come sopra. Con i suoi alleati, la Nato, ha rapporti come cani e gatti, con l'Europa nemmeno a parlarne. E tutti i suoi alleati/collaboratori, dalla Nato ai vari gruppi curdi, hanno esigenze diverse, che sono in conflitto con quelle turche. La contraddizione con l'Is l'hai già rilevata tu e non ne parlo. Che scelta ha, in Siria e Irak (ma anche in Palestina, a sostegno di alcuni gruppi palestinesi, in modo da sostituire la sua influenza a quella saudita e iraniana) se non di tenere in piedi una guerra il più possibile? Tirarsi fuori avrebbe, oltre a conseguenze interne enormi, il risultato di lasciare campo a Russia e Iran. E non può. Ma non può nemmeno negoziare. Anche perché: negoziare con chi? Così le resta una sola possibilità: tirare avanti con una guerra limitata, sperando che nessuno la faccia scalare.
     
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  6. huirttps

    huirttps

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    A mio parere non si negozia realmente perché c'é uno scontro economico-politico molto palese alla base.
    Faccio un passo indietro e affermo che la crisi siriana é dovuta alla volontá delle monarchie del Golfo di esportare il loro gas sul mercato europeo ai danni di Gazprom (Russia).

    Il rifiuto siriano ha scatenato la ribellione "democratica".

    Se siamo d'accordo su questo, la proxy war siriana evidentemente é stata valutata come l'unico strumento per rovesciare Assad una volta fallita la via diplomatica.

    Pertanto sono d'accordo con te nel dire che alcuni soggetti non hanno ragione di esistere al di fuori della guerra, soggetti come FSA, ISIS, ribelli moderati etc.

    Ma questi, prima del "no" di Assad, erano dei non soggetti. Sono stati attivati a piacimento dai big players. Come hai giustamente detto, null'altro che marionette nelle mani dei decisori. Spariranno quando non saranno piú necessari ai fini dei loro fondatori/finanziatori.

    Caso a parte i curdi, frammentati tra PKK, YPG e Peshmerga, hanno forse intravisto l'occasione storica di formare entitá giuridiche piú o meno indipendenti. O magari qualche big player gli ha fatto intravedere questa possibilitá...

    Questo giochino, che stava riuscendo ai soliti esportatori di democrazia, é stato sparigliato dall'intervento diretto russo.
    Putin, accortosi che gli USA erano pronti a sganciare democrazia da 2000libbre (le famose armi chimiche e la linea rossa di Obama) ha deciso di metter mano alla questione per difendere gli interessi economici (Gazprom) e strategici (Tartous) russi.

    Chiaro che nessuno ha interesse a far iniziare una WW3, ma tutti hanno interesse a vendere armi e fare in modo che la propria area di influenza sia quanto piú estesa possibile. Per questo vi sono "missioni di pace" senza fine, dalle bombe sulla Serbia ai giorni nostri.

    Chi, senza forza propria, vuole scalare lo scontro verso l'alto, é tenuto a bada dai pesi massimi che ben sanno come questa voglia di scontro sia dettata piú dalla disperazione che da desiderio di dominio.

    Sul fatto che Iraq, Siria o Libia fossero potenze regionali mi permetto di dissentire. Erano nazioni che militarmente avevano arsenali obsoleti e con profonde divisioni sociali interne. La stessa A.Saudita dimostra la sua pochezza militare in Yemen e rischia una rivolta interna per i prezzi del petrolio.

    A me gli Stati arabi sembrano tanti bulletti di periferia che usano una massa di sfigati per provare a farsi rispettare come leader di zona. La Turchia é il perfetto esempio di come una nazione in via di sviluppo sia stata capace di infilarsi in un cul de sac geopolitico dal quale difficilmente uscirá.
    Sulla Turchia : hanno rovinato le relazioni con Israele, con la Siria, con l'Iran, con l'Iraq, con la Russia, con la UE, con ISIS, con i curdi e forse anche con gli USA.

    Ora si ritrova nella non invidiabile situazione di convivere con una guerriglia curda interna armata dai russi, con dei vicini incazzati, con un gruppo terroristico tradito e vendicativo, con degli alleati che non hanno fiducia in Erdogan.

    Fare peggio era davvero difficile.
     
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  7. Alessandro Argeade

    Alessandro Argeade

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    Interessantissima discussione di @generalkleber

    Vorrei portare un nuovo elemento di riflessione. Clausewitz afferma il suo celebre principio in un'ottica estremamente razionale. Le entità politiche che per lui muovono guerra lo fanno a seguito di ragionamenti pratici, con lo scopo di ottenere un preciso risultato materiale, nei confronti di un nemico riconosciuto come parigrado. Non si fa la guerra "tanto per", con motivazioni irrazionali e considerando la distruzione del nemico un fine anziché un mezzo.

    Questo è il punto debole del suo ragionamento, come fu poi notato da molti suoi critici. Se vi è un valore positivo assoluto della guerra che travalica la razionalità, non serve una decisione politica a giustificarla: la guerra è giustificata di per sé. Già i fascismi europei esaltavano la guerra in senso assoluto e la morte gloriosa in essa, fino ad attuarla sul finire della seconda guerra mondiale in resistenze prive di un vero senso politico e militare.

    In Medio Oriente abbiamo soggetti che portano avanti gli stessi principi, in maniera ancora più efficace e totalizzante di quanto poterono fare i fascismi. Se la guerra è vista come jihad, la morte in essa ricompensata col paradiso e il nemico di essa un infedele da distruggere in quanto tale, come può esserci spazio per una guida politica che, per essere razionale in ossequio a Clausewitz, dovrebbe prima di tutto cercare di proteggere vite e mezzi della propria parte e vedere il nemico come un soggetto politico di parigrado?
     
  8. huirttps

    huirttps

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    Ultima modifica: 5 Gennaio 2017

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