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SPWW2 AAR Naia in tempo di guerra; c'ero anch'io

Discussione in 'Le vostre esperienze: AAR' iniziata da Luigi Varriale, 31 Ottobre 2019.

  1. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Il problema che ha assillato e che assilla il proficuo impiego dei cannoni anticarro da 47 è la loro scarsa mobilità con qualunque mezzo di traino vengano impiegati. I carri nemici sono più veloci e più manovrieri di quanto possano esserlo bocche da fuoco trainate.
    Di conseguenza, la tua affermazione che il posizionamento iniziale va rivisto è assolutamente corretta. In scenari difensivi questo è possibile, specie se la difesa è statica. Più difficile ottenere questo in battaglie di incontro, dove occorre muovere i pezzi per metterli in posizione là dove sono di volta in volta richiesti.

    In questo scenario per esempio (La battaglia di Bengasi), la fanteria italiana e le sue armi di accompagnamento sono state travolte quasi sempre prima di aver raggiunto posizioni efficaci. Alcuni cannoni hanno sparacchiato qualche granata prima di essere subissati dal fuoco di ritorsione, dal momento che come hai detto tu si erano piazzati già sotto l'osservazione del nemico.

    Il secondo fattore che ho notato è che in SP III mi pare che i livelli di penetrazione del cannone da 47 italiano siano più realistici che in SPWW2. Il Valore di penetrazione è 5 contro un valore di 8 del 2 libbre inglese. Per entrambe le bocche da fuoco la massima distanza utile è 7 esagoni, vale a dire 1750 metri. Ma nella realtà un 47 italiano non ha mai perforato nulla a tale distanza, ed infatti non perfora nulla neanche nel gioco. Nella corrrente battaglia di Bengasi, come vedrai riportato nel prossimo post, uno dei carri del Postuma ha sfasciato un A 13 alla mirabolante distanza di 1500 metri perché gli ha sparato nel deretano.

    Poi c'è la questione dell'addestramento del personale: non vi è dubbio che in SP III questo aspetto sia di gran lunga più curato e realistico che in SPWW2. In quest'ultimo tutte le unità tendono ad essere livellate verso un valore medio, mentre in SP III, così come era nell'originale SP della SSI, gli Italiani hanno valori di partenza più consoni alle condizioni storiche.
    Storicamente, gli Italiani cominciarono ad essere decenti in Africa a partire dal 1942, dal punto di vista dell'addestramento, quando inevitabilmente il personale con due anni di permanenza in colonia o era morto o era all'altezza della situazione.

    Infine, e questo è l'aspetto più realistico d SP III, nonstante come affermasti tu sia anche il più noioso, c'è la questione del comando e controllo, plaga storica che nel deserto limitò e limita anche nel gioco le prestazioni delle unità italiane, ed in minor misura anche quelle inglesi. Nel deserto gli unici che davvero avevano un eccellente C3I erano i Tedeschi, e si vede molto bene anche nella simulazione. Sono due turni che tento di riunire l' 8a bersaglieri per una conversione ad un tempo a sinistra per andare ad installarla sugli obiettivi intermedi, ed ancora non ci sono riuscito, con conseguenti storiche bestemmie ed improperi. La cosa mi ha fatto venire in mente quando anche già nel 42, l'intera divisione Trieste (o la Trento) non ricordo, si perse nel deserto e ci vollero due giorni per recuperarla all'azione del CAM. O anche nel 41, durante Crusader, quando non ci fu verso di far compiere i movimenti previsti all'Ariete, per soccorrere la 21a in difficoltà contro l'attacco inglese. Comado e controllo, comando e controllo ed ancora comando e controllo!

    La fanteria italiana se presa di petto, (specie quella del 40-41) diventa in non molto tempo una massa ingovernabile di soggetti spaventati e senza radio che vaga disperata per il deserto, a seconda della direzione dalla quale riceve fuoco. Tra l'altro questo aspetto mi fa venire in mente un altro elemento che in SPWW2 è peggiorato: le forze in rotta si ritirano sempre dalla stessa parte indipendentemente dalla direzione dalla quale il nemico le pressi; e cioè dal lato della mappa dal quale hanno iniziato lo scenario. In SP III invece, si ritrano dalla parte opposta a quella da cui ricevono l'attacco, e se magari finiscono in bocca ad un altro reparto nemico, c'è caso che si arrendano. Ciò è molto più corrispondente alla realtà rispetto a truppe che vengono attaccate da destra, provenivano da destra, e si ritirano nell'esagono dell'unità nemica che le ha attaccate, come avviene in SPWW2 ed in SPMBT (assurdo!).

    Le forze tedesche presenti nella battaglia di Bengasi (che ancora non sono apparse nel resoconto in quanto non in contatto con il comando di Ciccoletti) vedremo presto a quale livello di efficienza stanno operando, sia come addestramento che come comando e controllo. Un abisso da quelle italiane del tempo ed è un piacere condurle in azione.

    Tanto per fare un esperimento Ho provato offline a mettere in campo degli italiani selezionando uno scenario desertico nel 42, ed ho notato come i livelli di addestramento di partenza siano decisamente migliori che nel 40-41.
    Tutto quanto esposto sopra, tende a spiegaare come mai nel primo scenario, quello giocato con SPWW2, i cannoni ATG italiani abbiano performato molto meglio di quanto stiano facendo quelli impiegati in SP III. Ribadisco comunque la giustezza della tua affermazione circa l'impiego ed il posizionamento iniziale dei pezzi.
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    Ultima modifica: 15 Dicembre 2019
  2. StarUGO

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    Non ho la visione completa dello scenario,pero' da quanto osservo dalla porzione della mappa,la Pavia poteva essere posizionata piu' arretrata,a copertura ravvicinata del gruppo di VH piu' occidentali,magari con gli ATG nascosti nel palmeto appena piu' a sud,per intervenire sul fianco dei carri inglesi diretti all'assalto,invece di trovarsi in posizione avanzata verso il gruppo di VH orientali.
    Si tratta di sfruttare l'atteggiamento arrembante ed avanzante dell'IA e giocare in difesa fino a quando,eventualmente,si rende possibile un contrattacco con annessa avanzata verso est.
    In effetti i miei ragionamenti si basano sull'esperienza,molto piu' recente, di Spww2 che non su SP III che non tocco da almeno 15 anni e che ,come tu giustamente fai notare,si basa su parametri piu' realistici.
    Senza contare,appunto,la rogna enorme del comando e controllo,che io non ho mai voluto grattarmi. :D
     
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  3. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    I turni 9 e 10 vedevano l’Ariete cercare di serrare le distanze con le terga dei carri nemici in maniera da poterli proficuamente colpire. La cosa riusciva ad uno dei plotoni che avanzando cautamente sfasciava un carro inglese. Purtroppo il tiro nemico di risposta riusciva a raggiungere uno degli M 13 ed a distruggerlo a sua volta, nonostante il carro italiano ricevesse il colpo frontalmente ed alla considerevole distanza di 1200 metri. Il Postuma bestemmiava in barese stretto e si dibatteva tra gli scoppi ed i sibili dei proiettili anticarro che gli volavano accanto, sfiorando più volte il suo carro comando e quello del suo comandante in seconda tenente Messina. Poi si mise di lena a prendere a calci e strilli il suo puntatore perché inquadrasse il prossimo carro nemico. Con la bandana sporca di olio e di sudore tenuta ferma dagli occhialoni da deserto alzati sulla fronte, il Postuma aveva gli occhi scoperti per potervi poggiare il cannocchiale. Fece per mettere a fuoco un plotone di carri inglesi in allontanamento rispetto alla sua posizione che correvano verso sud...

    ...“Spaaaar, chi te mmmuuu!!!!” gridò al cannoniere del suo carro e immediatamente la granata perforante del pezzo da 47 del suo carro lasciò la volata. L’intero plotone di carri nemici che aveva preso di mira saltò in aria facendo volare pezzi da tutte le parti.

    “Madonn d l’incuroneeet e Padre Piiiio...ce cazz sta succedeeeennn??!!!” si chiese il Postuma ad alta voce pensando che il cannone del suo carro fosse stato miracolato dalle suddette eccellenze celesti.

    Invece era solamente la 200a batteria antiaerea tedesca che faceva il suo ingresso in battaglia con fragore davvero ultraterreno del fuoco all’unisono dei suoi undici pezzi contemporaneamente.

    Il Postuma girò il binocolo nella direzione di provenienza del rumore e vide più o meno a due chilometri a nord ovest le tozze ed alte forme di almeno una batteria da 88 tedesca con le canne fiammeggianti e sfumeggianti. Si rigirò verso i carri inglesi, che tra l’altro continuavano ad essere distrutti in rapida successione in un numero che stimò ascendere a 9 unità, calcolò mentalmente la distanza dalla quale i Tedeschi dovevano star sparando e la giudicò essere superiore a 3000 metri.

    “Madoonnn du carmnn benedettttt” fu il commento che uscì spontaneo dalla bocca impastata di polvere e sabbia del nostro comandante carrista.

    Non si sa bene da dove o per ordine di chi, ma la 200a batteria AA/AT germanica entra in battaglia

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    Nel mentre ciò accadeva, il Maggiore Vicari era alle prese con la sua compagnia di fanti motorizzati convertiti in bersaglieri. Si trattava di attraversare il passo di Homs es andare a dar manforte al plotone esplorante dell’Ariete che se la stava vedendo a distanza di rispetto con una compagnia di fanteria britannica che teneva gli obiettivi intermedi. La scena era apocalittica. L’artiglieria inglese imperversava su tutta la zona, ed una squadriglia di aerei bimotori nemici svolazzava da nord a sud sganciando bombe a destra e a manca. Un paio di aerei sganciavano bombe ben a nord ovest della sua posizione e Vicari non capiva quali truppe dell’Asse gli Inglesi stessero bombardando. Cosa diavolo poteva esserci così a nord. Nell’immane casino, il maggiore aveva perso il contatto con almeno due dei suoi plotoni, e nonostante le rimostranze di Ciccoletti che lo invitava ad avanzare velocemente verso gli obiettivi assegnati, la compagnia segnava il passo. Si sa che nel deserto, allo scoperto in mezzo alla sabbia ed alle pietre, chi si ferma è perduto, ed infatti poco dopo sulla compagnia si avventò uno dei bimotori britannici che l’aveva individuata nel fumo e nella polvere. A subirne le conseguenze fu il plotone mitraglieri, sul cui veicolo si avventò l’aereo nemico che sganciò tutto il suo carico sul malcapitato plotone. Non si sa per quale miracolo divino, il mezzo, che era a non più di 200 metri dietro alla carovana dei mezzi del plotone comando, venne fuori rombando e sbuffando dal macello di fuoco ed esplosioni che sconvolse l’intera zona. Il Sottotenente Lunardi, scese dal mezzo giunto fino al comando completamente coperto di sabbia a di detriti, e sventolando un cartello con un’enorme scritta “suppression 1” sorrise a Vicari.

    “Ghe poi digon che la fanteria italiana l’è molle!” senteziò con orgoglio l’ufficiale originario di Mestre.
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  4. StarUGO

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  5. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Se c’era una cosa che fino adesso aveva completamente sorpreso il Postuma era la velocità e la subitainetà con la quale i carri inglesi manovravano. Non aveva fatto in tempo a spiegare la sua compagnia per attaccare sul retro i corazzati inglesi, che non solo quelli avevano già fatto dietrofront ma erano pure già a 500 metri dalla sua posizione; una posizione a questo punto svantaggiosa, in quanto si trovava in marcata inferiorità numerica. Ma dietro di lui si era piazzata, a circa 1000 metri a nord la 200a germanica, come l’Ariete, l’aveva già battezzata, la quale aveva cambiato posizione ed con naturalezza si era posta nella migliore delle quali, per appoggiare la sua azione, che a questo punto era un’azione di contenimento del ritorno nemico. I tedeschi, con tiro celere distrussero altri quattro o cinque carri inglesi, la compagnia del Postuma ne distrusse solo due, dato che a 500 metri erano ancora molti i colpi da 47 che rimbalzavano sulle corazze frontali dei cruisers nemici. Bestemmiando come un turco barese, Postuma riuscì a dirigere il tiro del suo carro ottenendo una delle vittorie della compagnia; l’altra fu al plotone del S.Ten. Moreno.

    Nelle posizioni retrostanti l’Hauptmann Oertzer, cominciava a preoccuparsi del livello delle munizioni; la sua 200 aveva ancora da 6 a 8 fuochi per sezione e poi si sarebbero dovute levare le tende di brutto. Si mise in contatto con il Maggiore Zidendorf, della compagnia panzer per chiedergli quando sarebbe potuto arrivare.

    “Ho appena finito di ripulire la fanteria Jerry dagli obiettivi a nord e ne ho preso possesso. Mi precipito da voi”, fu l’immediata risposta di quello.

    “Herr Major prego si avvicini dal lato est; ci sono due buoni ciglioni dai quali si può dominare il nemico e sono defilati al tiro. Gli Inglesi sparano bene, hanno già spacciato due dei carri maccaroni.”

    “Ricevuto Oertzer, eseguirò secondo sue direttive”

    Con ben minore efficienza nelle comunicazioni, dopo un’ora e mezzo di tentativi, il Ten. Grimaldi del plotone era riuscito a mettersi in contatto con l’artiglieria. Dopo aver deciso che i suoi piccoli 20mm ci avrebbero messo una vita a sloggiare gli Inglesi, riuscì ad ordinare una serie di missioni di fuoco dei 100mm e dei 105 che stavano a Bengasi. La fanteria inglese rintanata sugli obiettivi intermedi, tra un po’ se la sarebbe vista bruttina anzichenò.

    Nel frattempo la 200a decideva di cambiare posizione, ed andava ad appostarsi sul ciglione alla destra dell’asse di avanzata dei carri inglesi. Se non che, diabolica l’artiglieria nemica prima bersagliava le posizioni che la batteria aveva testé abbandonato, e poi (secondo me barando di brutto), metteva a segno tre o quattro colpi precisissimi sulle nuove posizioni della 200a, provocando cinque morti ed elevati livelli di soppressione. Il Capitano Oertzer si riattaccava immediatamente alla radio del suo veicolo comando, mettendosi in contatto con il comandante del Kampgruppe, Maggiore Shurz:

    “Herr Major, non ha ancora trovato l’artiglieria inglese?”

    “Ja Herr Hauptmann, ho già annichilito almeno una decina di cannoni ingelsi”

    “Per l’amore di Cristo, Herr Major, mi trovi gli altri e me li distrugga, ci stanno mangiando vivi qua”

    “Jawhol Herr Hauptmann, ne ho già uno in vista. Adesso li carichiamo e ve li leviamo di torno”

    Notare quindi lo stile di combattimento della Wehrmacht: una batteria antiaerea, si collega con il comandante del Kampfgruppe, che si trova decine di chilometri dietro le linee nemiche dove dispone alla mano del raggruppamento di armi adatte; fanteria meccanizzata armata con ogni ben di Dio, inclusi semicingolati con cannoni indipendenti montati a bordo da 75 e da 20, per attaccare e distruggere obiettivi “soft” nelle retrovie. Ok, siamo nel deserto e tutto e possibile, si naviga con la bussola come in mare, ma comunque! Bisogna avere anche le armi e le dottrine per il corretto impiego in battaglia.

    Nel mezzo del campo di battaglia, la lotta tra i cruiser e i carri dell’Ariete stava cominciando a volgere a favore degli Inglesi, se pur rallentati dal fuoco micidiale degli 88. I carri nemici erano semplicemente troppi ed avevano buon gioco con il loro munizionamento speciale APCR, nei confronti degli Italiani che non ne disponevano. Il Postuma perse altri due carri e un altro chilo di sudore consumato in bestemmie ed improperi. Tra l’altro durante l’ultima bestemmia, un perforante inglese spacciava il carro del Tenente Messina, che bruciava nel mezzo insieme a tutto l’equipaggio. Gli M 13 continuavano quindi ad arretrare gradatamente, continuando a sparare ed a vedere i loro proietti rimbalzare sulle corazze frontali, pur modeste, degli A13 nemici. La 200a batteria, esauriti i perforanti apriva il fuoco con i proiettili ad alto esplosivo, i quali pur non offrendo i risultati eclatanti degli AP, comunque qualche altro carro inglese lo abbrustolivano. La distanza però oramai calava e i mezzi inglesi cominciavano a rispondere con le mitragliatrici per sopprimere i Tedeschi, che avevano un altro paio di morti e si ritiravano dietro al ciglione. Disperatamente il capitano Oertzer sollecitava i Panzer ad accorrere al più presto da nord. I carri tedeschi della 15a compagnia correvano a perdifiato nel deserto per andare a risolvere la situazione.

    Intanto sugli obiettivi intermedi arrivava la massa dell’artiglieria italiana che non impressionava né per precisione di fuoco e né per raccoglimento delle salve. Causava perdite e demoralizzava la fanteria nemica arroccata sulla posizione, è vero, ma il risultato non fu certo quello che ci si aspettava dal concentramento di un intero gruppo di artiglieria media su una singola posizione.

    Tutto considerato, la battaglia era in bilico, con l’8a bersaglieri che giungeva solo ora a piazzare la batteria AT sul ciglione, ma ancora distante dai carri nemici e che aveva comunque perso per la strada un paio di plotoni che non si trovavano più. La Savona avanzava cautamente da ovest, anch’essa con la batteria anticarro, unica unità che poteva forse qualcosa contro i corazzati inglesi, se li avesse presi dalla giusta angolazione.

    Al turno 15 dei 26 previsti, gli sforzi dell’Ariete, combinati con quelli della 200a cominciavano a far vacillare l’attacco inglese. Non vi era dubbio che la battaglia era al culmine. Le truppe dell’Asse avevano buone prospettive, giacché stavano accorrendo i Panzer proprio nel momento in cui l’attacco corazzato britannico perdeva di vigore. A 250 metri dall’Ariete, ridotti ad un pugno, i carri Inglesi esitavano, mentre la compagnia autoblindo volgeva decisamente le terga ai carri italiani per ritirarsi in buon ordine verso sud. La vallata tra i due ciglioni era un vero e proprio cimitero di mezzi corazzati inglesi ed in minor misura italiani, che avevano avuto distrutti cinque M 13. L’esito di questa battaglia sarebbe dipeso dai prossimi ed immediati turni, e difficilmente sarebbe durata tutti i turni previsti.
    La zona focale della battaglia di Bengasi. Carri Inglesi schizzano in tutte le direzioni sotto il fuoco dell'Ariete, della 200a e delle aliquote anticarro dell'8a bersaglieri. Assolutamente deludentte la prestazione dei cannoni anticarro italiani. Devo ddi re che sono sorpreso da ciò. Nel giocare lo scenario "Beda Fomm" di default in SP III i carri M13 si sono comportati assai meglio di quanto stiano facendo in questo scenario. Se non era per la 200a, sarebbero già stati spazzati tutti via, Postuma o non Postuma.
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  6. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    considerazioni dopo la conclusione dell'offensiva inglese a Bengasi

    Lo scenario terminava con una vittoria decisiva dell’Asse, avendo gli Inglesi rinunciato alla continuazione del combattimento e a tenere gli obiettivi prossimi a Bengasi che aveva temporaneamente occupato.

    Si era dunque riusciti a stroncare l’iniziativa di offensiva inglese verso la Tripolitania con l’arresto delle forze corazzate del generale O’Connor. Non ci si poteva nascondere che era stata una mossa azzeccatissima quella di aver accettato l’intervento nel teatro nordafricano del contingente tedesco che era stato battezzato dopo questa battaglia “Corpo Tedesco d’Africa”. Il Maggiore Shurz, comandante del Kampfgruppe di pronto intervento del CTA poteva essere ben fiero delle prestazioni delle sue truppe all’esordio operativo sul terreno africano.

    La battaglia di Bengasi si era conclusa con la ritirata degli Inglesi e la rioccupazione da parte di un plotone della compagnia Ariete degli obiettivi immediatamente a nord della città, che i due reggimenti carri britannici avevano, come abbiamo visto, temporaneamente occupato. Il Maggiore Shurz, con un atto di cortesia verso gli alleati italiani aveva arrestato la progressione della 200a batteria antiaerea “Donner” per permettere ad un plotone corazzato italiano di giungere per primo alla occupazione di tali obiettivi.

    Complessivamente le truppe dell’asse avevano preso circa 200 prigionieri e distrutto una ottantina di veicoli nemici, di cui 60 carri armati contro la perdita di cinque carri (tutti italiani) e una mezza dozzina di autocarri. La compagnia Pavia era stata quasi completamente distrutta dal primo attacco carrista britannico ed andava ricostituita; gli altri reparti se l’erano cavata con meno perdite.

    Complessivamente le forze italiane, anche rivedute e potenziate dopo il disastro della battaglia di confine, avevano dato una ben scarsa prova di sé stesse. Il Tenente Colonnello Ciccoletti, comandante del raggruppamento del contingente di manovra dell’armata africana stese un onesto e spassionato rapporto al comando superiore, facendosi coadiuvare dal comandante della compagnia corazzata Ariete, Maggiore Federico Postuma. In questo rapporto si trattava dell’inferiorità del munizionamento perforante italiano, che aveva avuto difficoltà a sconfiggere frontalmente la corazza dei cruiser inglesi anche a 500 metri, delle difficoltà di comando e controllo manifestatesi in taluni reparti, come l’8a compagnia bersaglieri, che metteva a rischio la credibilità dei reparti mobili italiani come davvero tali. Veniva inoltre ribadita la pochezza bellica delle compagnie appiedate di fanteria italiana, praticamente inutili nel teatro desertico, nonostante il potenziamento in armamento.

    La battaglia, abbiamo detto, era stata vinta grazie ai Tedeschi e la cosa era innegabile. Il Kampfgruppe Shurtz, partito dalla periferia nord di Bengasi aveva girato attorno agli Inglesi avanzanti in una manovra a triplice gancio sinistro: la Compagnia esplorane aveva ingaggiato ed annientato la fanteria inglese sugli obiettivi più a nord, coadiuvata in u primo tempo dalla 15a compagnia panzer. La compagnia di panzergrenadieren era invece penetrata ancor più in profondità andando addirittura a devastare le posizioni di artiglieria nel profondo delle retrovie nemiche. Poi quando la situazione per gli Italiani si era fatta difficile, la cosa era stata notata dal comandante della compagnia esplorante, tenuta in posizione centrale, che per prima cosa senza nemmeno chiedere il permesso al Maggiore Shurz, aveva impegnato all’estremo nord con i panzergrenadieren, indirizzando la 200a batteria Donner a vedersela con i carri inglesi che imperversavano sul campi di battaglia con i risultati che abbiamo visto. L’artiglieria inglese che stava cominciando a dare gli incubi ad Italiani e Tedeschi era stata quindi “sistemata” dalla fanteria, i carri nemici dagli 88, ed infine la fanteria inglese dai Panzer. Quale dimostrazioni dell’impiego ad armi combinate di un gruppo da battaglia. Gli Italiani dovevano farne di strada...
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  7. StarUGO

    StarUGO

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    Mi auguro che ora Ciccoletti aggiorni un'attimo il suo modo di porsi rispetto alla collaborazione con i tedeschi. :D
     
  8. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Aprile 1941, Sicilia

    A Castelvetrano si fa un gran parlare dell’entrata in linea del nuovo Macchi 202. questo è il primo caccia veramente moderno che sarà in dotazione all’aeronautica. Il 2° stormo dovrebbe essere il primo reparto a ricevere tale velivolo, seguito subito dopo da noi.

    Nel frattempo il Comandante Tenaglia, che ha appena ricevuto la promozione a Maggiore mi chiama nel suo ufficio. C’è da fare una scorta ad un gruppo di quattro cicogne che vanno a bombardare il porto di La Valletta dove l’osservazione aerea ha individuato un certo numero di sommergibili alla fonda, ed il comando Aeronautica Sicilia, ha dato tanto per cambiare la patata bollente a noi. Sfortuna vuole che al momento solamente due Macchi 200 siano pronti al decollo, essendo gli altri quattro impegnati in lavori di manutenzione. Il comando del gruppo bombardieri la missione vuole farla nonostante il Capitano abbia fatto ben presente che potremo scortarla solamente con due caccia. Si tratta di una decisione grave; il servizio informazioni dice che gli Inglesi hanno ricevuto un’intera squadriglia di Hurricane lanciati da una portaerei nel Mediterraneo Occidentale che la Marina non è riuscita a fermare*.

    Nel conciliabolo tra il Magg. Tenaglia ed il Magg. Senigallia, comandante delle Cicogne, viene alla fine presa la decisione di compiere la missione anche solo con due Macchi di scorta. Del resto anche Senigallia può mettere in campo solo 4 dei suoi Br 20, visto che agli altri due stanno ancora riparando i buchi rimediati nelle sortite precedenti.

    L’obiettivo della missione è l’ancoraggio degli stramaledetti sommergibili inglesi basati a Malta, che infestano le acque del Mediterraneo Centrale e contribuiscono alla lotta al traffico nostro convogliato. Per il momento non hanno ancora affondato niente, ma secondo la Marina sono stati determinanti nel segnalare presenza e rotte delle nostre navi.

    Il Maggiore decide che degli unici due Macchi disponibili, uno sarà pilotato personalmente da lui e l’altro da me, che gli volerò a fianco come gregario. Voleremo in formazione di scorta semi indiretta, a buona distanza dai bombardieri, distaccati alla loro sinistra, leggermente sopra.

    Questa sera quindi niente baldoria al circolo ufficiali. Si va a letto presto perché la missione è all’alba e ci si prepara tutto la sera prima, in modo da poter decollare di tutto punto al sorgere del sole. Si tratta della mia quarta missione in questa guerra con la speranza e di riuscire ad abbattere qualcosa, visto che nell’ultima missione sono rimasto a bocca asciutta.

    La mattina colazione veloce a base di latte e panini al prosciutto e poi via a preparare i nostri terribili caccia. Quando giungo al mio 17, i motoristi sono già pronti, e l’assistente a terra mi aspetta sull’ala con paracadute, caschetto e tutto. Mentre mi affretto verso l’aereo, i suddetti motoristi stanno già manovrando per metterlo in moto. Bello il mio Macchi verde con il musone radiale giallo, che non mi stanco mai di ammirare, sperando comunque di passare presto al 202.

    Il decollo si svolge senza particolari inconvenienti; facciamo quota io e Tenaglia, l’uno attaccato all’altro in un perfetto decollo in formazione. Il Maggiore a questo punto è il miglior asso italiano con 5 abbattimenti di cui uno in questa guerra e quattro in quella di Spagna.

    Raggiungiamo ben presto le cicogne che ci attendono volando lentamente verso sud quando non abbiamo ancora abbandonato il territorio siciliano. Poi improvvisamente il mare. Ci lasciamo la costa alle spalle, volando a 4000 metri, quota alla quale è previsto il bombardamento. Inoltre a questa quota, in caso di incontro con i porci, possiamo sfruttare il vantaggio dell’arrampicata, che è l’unico punto dove il Macchi è superiore all’Hurricane.

    Ci trasciniamo quindi a 300 allora su di una rotta che ci porta verso Malta, e quando giungiamo a 8 miglia circa dall’obiettivo cominicamo a sperare che gli Inglesi stiano dormendo. La speranza viene subito frustrata dall’apparire all’orizzonte di un certo numero di puntini neri direttamente di fronte a noi. Tenaglia batte le ali ed accelera immediatamente per portarsi all’andatura militare di combattimento La velocità con la quale i puntini si trasformano in lineette e poi in velivoli veri e propri ancora non smette di stupirmi; del resto il nemico ci viene incontro ad una velocità combinata prossima ai mille chilometri orari.

    Si tratta di una impeccabile formazione di 5 Hurricane, che devono averci sicuramente avvistato, sia noi che i bombardieri, perché quando giungono in prossimità, cominciano un’impeccabile virata all’unisono in direzione delle cicogne, proprio davanti al nostro naso, mantenendo peraltro una perfetta e compatta formazione. Cinque contro due; c’è poco da stare allegri, ma lo si doveva prevedere. Avevo sperato che anche il nemico avesse problemi a far decollare tutto l’armamentario, ma la mia speranza si è rivelata vana.

    Questa gente sa bene quello che fa; non si tratta certo di piloti inesperti. Virano tutti quanti a sinistra per presentare una massa di fuoco unita e compatta alla nostra scarna formazione di cicogne. Per di più lo stramaledetto Hurricane in virata dolce, non perde nemmeno troppa velocità; con noi che siamo ancora in fase di accelerazione, guadagniamo a stento qualche lunghezza su di loro. Comunque la loro scelta tattica è chiara: ci ignorano per buttarsi interamente contro i bombardieri; non sono sicuro di condividere questa scelta. Naturalmente la condivido in pieno dal nostro punto di vista. Tutti e cinque i caccia nemici ci presentano la coda. C’è pure la possibilità che non ci abbiano visti, e che abbiano individuato solamente le cicogne di Senigallia.

    Comechessia, ci lanciamo all’inseguimento. Abbiamo un qualche ritardo su di loro. Tenaglia mette a tutto motore; gli Inglesi inizialmente hanno anche un leggero vantaggio di quota. Compatti terminano la virata e si portano in coda ai bombardieri. Il Maggiore, al quale mi perito bene di stare incollato, non si sa mai se qualche altro caccia nemico può apparire improvvisamente, riesce forzando il motore oltre misura ad avvicinarsi alla distanza utile per aprire il fuoco. Una breve raffica, brevissima; e capisco perché lui è un asso ed io no. Centra l’aereo nemico in pieno abitacolo. Quello si rovescia e cade in vite senza nemmeno aver incassato troppi colpi. Finito col primo, attacca il secondo, che comincia a perdere pezzi ma continua a volare. Io mi avvicino a fatica allo stesso aereo a cui ha sparato il maggiore ed apro il fuoco a mia volta non appena giudico di averlo bene nel collimatore. Naturalmente lo manco e quello si avventa a sua volta sull’ultima delle cicogne, che incassa ed inizia a fumare. Sono frustratissimo. Tutto si svolge al rallentatore. Per quanto gli Hurricane debbano manovrare per portarsi bene in coda ai bombardieri, non riusciamo a guadagnare terreno abbastanza velocemente per prenderli di mira. La formazione nemica è stata separata in due tronconi dal loro manovrare, con due Hurricane più avanzati che aprono il fuoco sulle cicogne ed i tre più arretrati che non sono ancora a distanza utile per aprire il fuoco e che nel contempo proteggono i loro colleghi avanzati da noi.

    Nel breve volgere di non più di un minuto, il Maggiore Tenaglia butta giù altri due Hurricane, supplendo alla scarsezza dell’armamento del Macchi con una precisione di tiro diabolica. Io riesco a danneggiare uno di quelli, prima che il maggiore lo faccia cadere, ma nulla di più. In pratica ho un bell’imprecare che il Macchi sia male armato, ma se tiro da asino certo non aiuta. Per un asso del calibro di Tenaglia, la scarsezza dell’armamento non è un problema.

    I due Hurricane davanti, che beccano qualche colpo dalle valorose cicogne ma che non li lasciano scoraggiare, riescono a fare strage dei bombardieri prima che noi due si riesca a raggiungerli. Delle quattro cicogne, una salta in aria senza possibilità di salvezza per l’equipaggio, mentre dalle altre tre vedo uscire dei paracadute una volta che si verifica l’abbattimento. C’è da sperare che il servizio di recupero nel Canale di Sicilia ne ripeschi il più possibile di questi disgraziati. Per noi rimane l’onta di non essere riusciti a salvarli.

    I piumini inglesi si buttano codardamente in picchiata dopo aver finito il lavoro con le cicogne, rifiutando il combattimento. Ci proviamo ad inseguirli, ma quelli in picchiata secca guadagnano su di noi. Arrivati a mille metri, avendo io calcolato male la richiamata, non ho altra scelta che lasciare andare il mio bersaglio prima di schiantarmi al suolo; già così ho le ali mezze sverniciate e posso accendere un cero per essermene uscito tutto d’un pezzo. Il maggiore, più smaliziato, che di riprendere gli Inglesi non se ne parlava l’aveva già capito da un pezzo. Non ci resta che far rotta sulla Sicilia. Ci sono delle imbarcazioni nei paraggi; c’è da sperare che siano nostre. Di Inglesi, lanciarsene non ne ho visti. Tenaglia deve averli ammazzati tutti e tre; il primo di sicuro. Piccola soddisfazione nella giornata nera. La prossima volta, prima di decollare solo in due per una missione di scorta, dobbiamo pensare meglio sull’opportunità di lanciare la missione di bombardamento.
    002.jpg

    *l’affermazione di Velletri qui è un po’ pretestuosa, in quando il compito di interdire le missioni navali inglesi nel Mediterraneo è un compito tanto in capo all’Aeronautica, quanto lo è alla Marina.
     
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  9. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Aprile 1941 L’Operazione Baionetta

    Mentre erano ancora in corso le operazioni dell’Asse contro la Grecia, il comando sud germanico cominciò a fare pressioni su Supermarina perché organizzasse qualche cosa contro i numerosi convogli che salpando da Alessandria e dalla Palestina, andavano a rifornire le forze anglo greche operanti sul fronte balcanico. Di conseguenza all’inizio di aprile ci fu un abboccamento tra il comandante supremo sud tedesco, il Maresciallo Albert Kesserling, coadiuvato dall’ufficiale navale distaccato a tale comando, Contrammiraglio Rudolf Kreeking, ed i vertici di Supermarina, nella persona del suo capo di stato maggiore Ammiraglio di Flotta Alvise Spadari, coadiuvato dal comandante della squadra navale, Ammiraglio di Squadra Giorgio Persei.

    La parte germanica insisteva per un deciso intervento a massa della squadra navale italiana nell’Egeo, ma l’Ammiraglio Persei fece notare come un tale intervento avrebbe potuto risolversi in un disastro in ragione del fatto che la flotta avrebbe dovuto operare in acque completamente controllate dalle forze di superficie nemiche, dotate di navi portaerei e di un consistente appoggio dell’aviazione basata in Grecia. L’addetto navale tedesco ricordò allora che era in corso di trasferimento nelle basi del sud Italia del X corpo aereo tedesco, che avrebbe contribuito all’appoggio dall’aria di una tale operazione, ma gli Italiani furono irremovibili sul fatto che tale appoggio, anche considerata la potenza e l’efficienza delle unità aeree germaniche avrebbe comunque dovuto operare a centinaia di miglia dalle basi in una posizione di una certa precarietà.

    Alla fine di arrivò ad un compromesso che prevedeva una crociera veloce di una settimana di un reparto “Corsaro” costituito da un incrociatore velocissimo della classe Da Giussano, scortato da un cacciatorpediniere, per l’appoggio antiaereo e antisom.

    L’operazione da portare in profondità nelle acque dell’Egeo si sarebbe chiamata “Baionetta” ed avrebbe coinvolto l’incrociatore leggero Giovanni dalle Bande Nere, ed il cacciatorpediniere Dardo, della classe Freccia, sottratto al gruppo da battaglia Vittorio Veneto. Si scelsero queste due unità in ragione della loro velocità, che avrebbe loro permesso di sottrarsi agli scontri sfavorevoli e della modernità relativa dei caccia della classe Freccia come navi scorta delle unità maggiori della flotta.

    Secondo il servizio informazioni della Marina, gli Inglesi avevano costantemente in mare tre o quattro convogli nell’Egeo, scortati da uno o due cacciatorpediniere e saltuariamente da un incrociatore contraereo, scorta che era giudicata alla portata della formazione italiana prescelta.

    Gli ordini per la FNS (formazione navale speciale), come fu battezzata la forza che avrebbe dovuto eseguire Baionetta, erano tassativi: non accettare combattimento con formazioni nemiche che contenessero la scorta di più di un cacciatorpediniere nemico, rifiutare in principio qualunque scontro con formazioni costituite solamente da navi da guerra, ed attaccare solamente le navi mercantili incontrate durante la crociera, anche quando scortate da un cacciatorpediniere singolo. Questi ordini non consentivano alcuna latitudine al comandante in mare ed andavano eseguiti alla lettera.

    Contemporaneamente a questa operazione, Supermarina mise in campo anche un convoglio; il convoglio Sagitta, dal nome del capo convglio, scortato dalle torepdiniere Espero, Ricasoli e Nicotera, e composto oltre che dal P.fo Sagitta, dalle motonavi Bullione e Samaria, che portavano i complementi per l’Africa Settentrionale ed una nuova compagnia motociclisti completa per il corpo terrestre tedesco in Africa. Tale convoglio sarebbe salpato da Napoli con destinazione Tripoli, visto che il porto di Bengasi non era grande abbastanza per agevolare lo scarico di un tale volume di carico.

    Oltre a ciò, alla fine del mese di marzo, come abbiamo accennato sopra, era stato dislocato tra la Puglia e la Sicilia il X Corpo Aereo Tedesco, composto dalle seguenti forze aeree: 1° Stormo bombardieri su Ju-88, 12° Stormo Assaltatori su Ju-87, 26° Gruppo Aerosiluranti su He-111 e 26° Gruppo caccia su Me-110C4 distruttori. Si trattava senza alcun dubbio di un enorme potenziamento dell’aviazione dell’Asse nell’Italia Meridionale. I Bombardieri furono divisi tra le basi siciliane e quelle pugliesi, mentre tutti gli altri aerei furono concentrati solo sugli aeroporti siciliani di Castelvetrano e Gerbini, sia per l’azione contro la fortezza di Malta che per la chiusura ermetica del canale di Sicilia.

    Puntualmente il 4 aprile le due operazioni presero il via dai rispettivi porti, di modo che che il convoglio venne a trovarsi alle ore 1000 a circa 200 miglia a nord di Palermo, mentre la FNS si trovava nello Ionio una quarantina di miglia a sud del tacco pugliese, diretta verso le coste meridionali della Grecia, per doppiare Capo Matapan ed entrare nell’Egeo. Per quanto riguardava la rotta del Sagitta si optò per la rotta di levante a Malta, passante per lo stretto di Messina e costeggiante le coste della Grecia, in maniera da rimanere fuori dal raggio di azione degli aerosiluranti di base a Malta. Questo naturalmente prolungava di moltissimo la permanenza in mare del convoglio, e lo esponeva di più all’insidia sottomarina, e si riteneva che i sommergibili inglesi fossero meno efficienti degli aerosiluranti. Quindi fino a prova contraria, sarebbe stata adottata questa tecnica, per lo meno fino a quando il nemico non avesse avuto l’opportunità di reinstallare reparti di superficie nel porto di La Valletta.

    Alla partenza delle due operazioni, tutte le forze aeree dell’Asse furono messe in stato di allerta e si predispose il trasferimento degli aerosiluranti tedeschi He-111 dalla Sicilia alla Puglia come misura di rinforzo all’operazione Baionetta. Sul Giovanni delle Bande Nere era infatti imbarcata una squadra di ufficiali della Luftwaffe per il collegamento con il comandante superiore in mare, il contrammiraglio Vincenzo Palladini, con insegna sul Bande Nere. Si sperava in tal modo di favorire un immediato appoggio aereo tedesco all’operazione baionetta in caso di necessità. La FNS si mise su rotta 148 alla velocità di 15 nodi per limitare i consumi di nafta e prolungare il più possibile la permanenza in mare. Un’operazione del genere richiedeva non solo un uso oculato del carburante a disposizione della forza, ma anche un altrettanto uso oculato delle munizioni.

    La navigazione delle due operazioni si svolgeva secondo rotte e velocità programmate per tutto il giorno 4. La mattina del 5 alle prime luci cominciavano le ricognizioni aeree da parte delle squadriglia OA di Taranto, dell’idroscalo di Palermo e del porto di Tripoli.

    Alle 0703, con gran sorpresa di Supermarina, l’idro ricognitore Cant 506 n° 3 della 88a squadriglia OA di Palermo, sempre quello pilotato dal Ten. Molinari, coadiuvato dall’ufficiale osservatore della Marina il STV Bargiga, avvistava la Forza H di Gibilterra in mare esattamente tra Capo Bon e l’isola di S. Antioco. Il Ricognitore segnalava una portaerei, due incrociatori e due cacciatorpediniere. La cosa sorprendeva ripetiamo il comando italiano in quanto primo, non era stata segnalata l’uscita della forza H dal porto di Gibilterra da parte degli informatori locali. Secondo, alla forza non risultavano appartenenti due incrociatori, ma solamente uno e terzo, occorreva scoprire al più presto quali fossero le intenzioni della formazione inglese, in quanto non era stata approntata alcuna uscita di navi maggiori italiane.

    In conseguenza di questo subitaneo ed inaspettato avvistamento, Supermarina richiese immediatamente al comando del X CAT di far decollare tutti i reparti da bombardamento disponibili, allo scopo da far saggiare alla Royal Navy la potenza offensiva della Luftwaffe. Il comandante del Corpo Tedesco, Generale Geisler, aderì immediatamente alla richiesta e predispose un’incursione a massa dei suoi reparti da bombardamento in quota ed in picchiata. Di conseguenza, si prepararono all’azione sia l’LG 1 con i suoi Ju-88 che lo StG 1 con i suoi Stuka. Era previsto che la formazione venisse scortata dai Me-110 dello ZG 26, mentre i Macchi 200 del gruppo Tenaglia vennero tenuti in crociera difensiva ed allarme sulla Sicilia Occidentale, in caso l’intento nemico fosse di attaccare gli aeroporti siciliani od altre installazioni. Controllando meglio la posizione dell’avvistamento ci si rese però conto che esso era ancora troppo ad occidente perché i caccia e gli Ju 87 potessero intervenire. Quindi si decise di provare solo con gli Ju-88. Naturalmente era un rischio mandare i bombardieri senza scorta. Ma il Generale Geisler, ansioso di entrare in azione, decise che era un rischio che si poteva correre.

    Alle 0735 si persero i contatti con il Cant del Ten. Molinari, il che fece presumere il peggio, e cioè che l’aereo fosse andato perduto a causa della caccia che operava sopra il gruppo nemico. Questa era ovviamente una pessima notizia per Lo LG-1, ma si decise, visto che erano oramai a metà strada, di farli proseguire.

    Alle 0805, uno degli Ju-88 del Ten.Col. Manfred Von Groom segnalava di avere abbattuto un Hurricane che gli dava la caccia, probabilmente decollato dalla portaerei inglese, e visto che questi aerei non erano equipaggiati per atterrare sulle portaerei, se ne dedusse che la missione del gruppo nemico era un nuovo approvvigionamento di caccia all’isola di Malta, che dopo l’ultima battaglia con i Macchi di Tenaglia, era rimasta solo con due aerei.

    Un quarto d’ora dopo, la formazione del Ten.Col Von Groom riprendeva contatto con il gruppo portaerei nemico e cominciava la corsa di attacco.

    Al comandante del gruppo tedesco, la formazione nemica si presentava in linea di fila, con la portaerei in ultima posizione nella colonna. Il gruppo nemico viaggiava con rotta ovest, forse per tornare alla base dopo aver lanciato gli Hurricane, di cui per altro, oltre a quello abbattuto dai mitraglieri degli Junkers non se ne videro altri.

    Alle 0821 gli apparecchi tedeschi segnalavano di aver completato l’azione e messo probabilmente a segno una bomba sulla portaerei nemica.

    Alle 0848 Gli Junkers segnalavano, sulla via del ritorno alla base, che mancava un aereo. Si doveva presumere che fosse andato perduto. Si decideva anche di richiamare il Cant 506 del Sgt. Pilota Lastrina, coadiuvato dall’Osservatore della Marina STV Malfatti, che era rimasto in contatto con il gruppo portaerei nemico, ad evitare di farsi abbattere anche lui da qualche velivolo nemico in crociera difensiva. Il Cant confermava che la portaerei nemica era probabilmente danneggiata.

    Più o meno allo stesso momento, provenivano notizie anche dall’operazione Baionetta. Ed infatti un idro ricognitore Ro 43 lanciato dal Bande Nere, avvistava lungo le coste della Turchia (la FNS si trovava a quell’ora appunto a metà strada tra la Grecia e la Turchia 140 miglia a nord di Creta, un gruppo navale nemico che pareva constare di un incrociatore ed un cacciatorpediniere. Una delle formazioni da evitare da parte della FNS, per cui il contrammiraglio Palladini, comandante superiore in mare dell’operazione, ordinava di cambiare rotta e portarsi da 72 a 112 gradi, in maniera da evitare l’avvistamento da parte del nemico. Contemporaneamente Palladini ordinava il lancio di un altro Ro sulla nuova rotta.

    Le ricognizioni del primo pomeriggio cominciano alle 1400; di particolare importanza quella sul Canale di Sicilia per tenere sotto controllo i movimenti del gruppo PA nemico.

    Il Coomodoro Palladini, giunto con la sua FNS sul meridiano della punta estrema di Creta, in corrispondenza della costa meridionale della Turchia, e constatata l’infruttuosità della ricerca aerea nella direzione del moto, ordinava di mettersi su nuova rotta per 256, in direzione del Peloponneso, sempre mantenendosi una via di fuga fuori dall’Egeo.

    Intorno alle 1517 decolla su allarme un’aliquota del 9° gruppo Macchi 200 per intercettare una formazione di 3 Blenheims diretti sull’aeroporto di Castelvetrano. Prendono il volo per l’intercettazione i tenenti Barra, Stroppa e Zaferio; ingaggiano una lotta durissima contro i bombardieri nemici, abbattendoli tutti e tre, ma subendo la distruzione di due Macchi ad opera del nemico che si difende disperatamente. Entrembi i piloti italiani si salvano col paracadute, mentre sei aviatori britannici, che riescono anche loro a lanciarsi sul territorio siciliano vengono fatti prigionieri.

    La mattina del 6 aprile si ritrova l’equipaggio dello Ju-88 mancante all’appello dopo la missione di attacco al gruppo PA nemico: in mare in un canotto di salvataggio dopo essere stati costretti ad un ammaraggio di fortuna ad occidente della Sicilia. Questa è una prima buona notizia della mattinata. L’equipaggio tedesco viene ricondotto a Castelvetrano.

    Intorno alle 0700 tutti gli aerei sono pronti e riforniti per incominciare la giornata di missioni.

    Un’ora e mezza dopo il decollo, il Cant n°2 della 94a squadriglia OA, pilotato dal S.Ten Margiotta assistito dal suo osservatore STV Crimi entrano in contatto nel Golfo di Tessalonika con un gruppo navale nemico costituito da un incrociatore ed un cacciatorpediniere; forse lo stesso con il quale la FNS era entrato in contatto precedentemente. L’idro ricognitore dà immediatamente il segnale di scoperta a Supermarina, che lo ritrasmette per sicurezza al Commodoro Palladini. In ossequio agli ordini di ingaggio ricevuti, quest’ultimo assume rotta 170 di allontanamento dalla forza nemica segnalata.

    Alle ore 1048 il sommergibile Ambra trasmette di aver silurato una nave mercantile nei pressi della costa egiziana, sul meridiano di Fuka. Non si avrà mai conferma dei danni inflitti. La giornata trascorre senza nessun altro evento fino a dopo il tramonto, quando la Forza Navale Speciale, ritornata in prossimità delle coste turche, avvista a 12000 metri, una nave nemica non identificata per 160 gradi di rilevamento. Immediatamente il Contrammiraglio Palladini ordina l’accostata a 270 gradi per allontanarsi prudenzialmente dal nemico nell’attesa di identificarlo meglio ed al contempo di aumentare alla velocità di combattimento di venti nodi, giacché la velocità stimata del nemico è 12 nodi. Sono le 2107, quando le navi nemiche vengono identificate per mercantili, naviganti proprio in direzione della FNS. Palladini ordina di dirigere verso di esse per attaccarle a cannonate a colpo sicuro. Occorre però fare attenzione all’eventuale scorta. Quindi il Contrammiraglio dà un nuovo ordine di variazione di rotta per 130 gradi. Tutti gli uomini della FNS vengono chiamati ai posti di combattimenti e si inizia l’ingaggio notturno. I due mercantili si presentano al traverso della forza italiana. Il Bande Nere brandeggia su quello retrostante, mentre il Dardo su quello avanzato. Tre minuti dopo una vedetta del Dardo dà l’allarme per l’avvistamento di una terza nave nemica; con tutta probabilità un cacciatorpediniere di scorta al convoglio nemico, e dietro di questa altre due navi ancora irriconoscibili nella scarsa luce lunare. A questo punto il contrammiraglio è assai incerto. Ordina una nuova accostata a 270, preoccupato di trovarsi di fronte ad una forza da battaglia inglese con i mercantili che fanno da esca. Palladini opera ancora sotto i tassativi ordini da parte di Supermarina di non impegnare il suo fragile incrociatore leggero contro una forza navale superiore. Un minuto dopo la situazione si chiarisce: si tratta di quattro navi mercantili e due navi da guerra inglesi; probabilmente cacciatorpediniere. A questo punto il comandante italiano prende la sua decisione: si trova davanti a forze da battaglia nemiche leggermente inferiori e con la possibilità, battute queste di devastare il grosso convoglio nemico costituito da quattro navi. Pertanto decide di impegnare la forza nemica manovrando per aumentare la distanza e sfruttare la maggior gittata dei suoi grossi calibri. Ordina quindi di prendere rotta 280 ed aprire il fuoco sulle navi da guerra nemiche. Quello con cui Palladini non ha fatto i conti è la precisione diabolica del fuoco notturno inglese, di cui all’epoca ancora non si aveva congizione presso i comandi italiani. In meno di tre minuti il suo incrociatore incassa tre proiettili da 120 due a prua che aprono altrettante falle nello scafo ed uno sul fumaiolo di dritta, che prende fuoco sviluppando un incendio a bordo. Il contrammiraglio decide di persistere nella manovra di allontanamento, ma fa aumentare la velocità a 33 nodi che è la massima che le sue navi possono tenere in formazione. I leggeri danni subiti per il momento non pregiudicano la velocità della sua squadra e quindi cerca di approfittarne per mettere mare tra sé e la precisissima (nel tiro) forza nemica. Viene anche ordinata l’emissione di fumo per confondere il fuoco avversario. Passano ancora due minuti, ed in rapida successione il Bande Nere incassa altri 4 o cinque proiettili alla corta distanza di circa 8000 metri. Il fuoco inglese è fracassatore: viene distrutto l’hangar degli idrovolanti insieme agli aerei, la seconda torre da 152 di poppa, che fa si che data l’angolazione l’incrociatore possa ora fare fuoco solo con una torre poppiera su due, e viene distrutto il fumaiolo di sinistra. Sulla nave sono in corso almeno tre focolai di incendio. Ma la velocità della nave non è ancora pregiudicata, per cui Palladini ordina di allontanarsi alla massima velocità. A questo punto c’è da sperare che gli Inglesi, vincolati alla difesa dei mercantili, non inseguano. Alle 2120, dopo aver incassato un altro proietto in plancia che fa un macello tra gli ufficiali in comando e gli addetti alla stessa, ferendo gravemente anche lo stesso contrammiraglio, le navi da guerra nemica scadono fuori vista. Si governa la nave dal posto comando secondario a poppa, essendo la plancia in preda ad un piccolo principio d’incendio. Al comando, l’ufficiale di rotta, capitano di Corvetta Alzano. All’una e mezzo di notte, i danni sono sotto controllo e la plancia è di nuovo agibile. La FNS fa rotta su Taranto alla massima velocità possibile, ed alle 1019 del 7 aprile giunge a destino senza ulteriori inconvenienti. Il convoglio Sagitta diretto a Tripoli continua la sua rotta non avvistato da nessuno, dove giunge il giorno dopo nel primo pomeriggio.



    Considerazioni.

    La portaerei Ark Royal non si ferma a Gibilterra ma prosegue presumibilmente per una base nella madrepatria,segno tangibile che è stata davvero danneggiata. Il contrammiraglio Palladini, dopo la sua convalescenza, viene messo sotto inchiesta per aver disatteso gli ordini di non impegnarsi contro forze nemiche contenenti più di un CT, ma viene assolto in considerazione del fatto che il convoglio nemico era grosso ed appetibile ed in teoria le forze nemiche non gli erano superiori.

    L’arrivo del X CAT ha fatto sentire immediatamente la sua presenza con il danneggiamento della PA della Forza H ad opera degli Junkers 88 del 1° Stormo bombardieri.

    La sgradita sorpresa dell’operazione Baionetta è stata costituita dalla presa di coscienza dell’enorme superiorità della Royal Navy sulla Regia Marina nel combattimento notturno. Le unità britanniche, aiutate possibilmente da strumenti di radiolocalizzazione per la direzione del tiro, hanno costretto alla fuga frettolosa uno dei nostri incrociatori, che ha sparato una sessantina di colpi, senza metterne a segno nemmeno uno alla distanza di 8000 metri. Il nemico si stima abbia messo a segno alla stessa distanza qualcosa come dieci o dodici colpi sul Bande Nere. Questo fattore non mancherà di influenzare pesantemente la pianificazione futura.

    Ju-88 del X CAT in azione di bombardamento su Malta
    001.jpg
     
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  10. metalupo

    metalupo

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    Per la missione di corsa non era meglio usare un gruppo di sommergibili?
     
  11. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Oh...Metalupo...fa piacere rivederti nella sedia di spettatore. Pensavo fosse rimasto solo il Fido StarUgo a seguire le gesta delle nostre armi.
    Un gruppo di sommergibili era in agguato all'uscita di Alessandria e pure lungo le rotte proabili dei convogli. Ma i sommergibili italiani durante la II gm avevano due problemi: uno erano molto visibili ed avevano un profilo Adsic molto appariscente, che consigliava di usarli con molta prudenza per non perderli, e due; non erano proprio dei mostri di efficienza offensiva. Per esempio durante lo scenario, l'Ambra ha segnalato un siluramento di una nave non meglio identificata, che alla prova dei fatti si è dimostrato falso. Il smmergibile evidentemente ha lanciato, ma ha poi ascoltato solo il suono dell'esplosione delle sue armi a fine corsa, preché nel rapporto missione nessuna nave nemica tranne l'Ark Royal, è stata danneggiata.
    Fammi sapere cosa ne pensi della campagna collegata terestre aerea e navale in corso. Mi sa che non la stanno seguendo in molti. Forse dovrei tornare alle battaglie singole e variegate nel tempo.
     
  12. Prostetnico

    Prostetnico

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    Guarda che la platea è mooolto più vasta di quel che sembra :approved:
     
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  13. StarUGO

    StarUGO

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    Bravi,fatevi vedere,mica che il buong @Luigi Varriale mi decide di smettere....
     
  14. Iscandar

    Iscandar

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    @Luigi Varriale sa che lo seguo sempre, oltretutto essendoci la Marina Italiana, seppur regia, essa è la grande silente ed io mi adeguo
     
  15. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    quando questa campagna sarà finita, se la formula è stata gradita a voi lettori, ne ho in programma un'altra ambientata in tempi moderni. Utilizzando sempre SP III, sostituendo Great Naval Battles con Harpoon Classic, ed il binomio Achtung Spitfire/Over the Reich con l'impareggiabile Flight commader 2 per la parte puramente aerea. Così la marina non sarà più "Regia" ma "Militare".

    La presente campagna è stata ispirata dalla feroce e coraggiosissima, nonché per la maggior parte disconosciuta e sottovalutata battaglia combattuta dalla nostra Marina per la difesa dei convogli con la Libia. "La vera battaglia del Mediterraneo" per citare Giorgerini, e probabilmente la più grandiosa impresa condotta da una forza armata italiana in tutta la storia del paese. Ad Indianapolis al dipartimento di storia militare dell'Università dell'Indiana sotto la guida del Professor Lawrence Sondhouse, specialista di questioni militari navali, questa battaglia era l'unica che il suo team di ricercatori studiava da vicino per quanto riguarda la guerra dell'Italia. "Utile per apprendere lezioni su come difendere convgli in acque ristrette" mi diceva il professore. E nell'ambiente degli studiosi esteri, nessuno è tenero con la Marina Italiana. Per gli specialisti come lo fu (in America) il Sommo Samuel Elliot Morison, la battaglia dei convogli è l'unica impresa degna di nota della Regia.
     
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    Ultima modifica: 20 Dicembre 2019
  16. metalupo

    metalupo

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    Ti seguo dal'inizio ma non avevo nulla da dire.
    La campagna combinata mi piace.

    Vero che i sommergibili Italiani avevano qualche bega, ma in linea di massima erano pari a quelli britannici, solo che furono usati piuttosto male strategicamente e tatticamente.
    In Atlantico dopo che si uniformarono strategicamente e tatticamente alle linee guida tedesche ottennero gli stessi tonnellsggi medi per unità degli uboot.
     
  17. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ci misero molto ad uniformarsi ! Quello che tu dici è vero solo per un ristrettissimo periodo dell'attività di Betasom, almeno secondo il Giorgerini e la sua monumentale opera "Uomini sul Fondo". Qualcosa di vicino alle prestazioni degli U-Boote, gli Italiani lo ottenennero solo nel ristretto periodo febbraio-aprile 1942, quando ci si dedicò alla caccia degli ancora sprovveduti Americani con i soli 10 sommergibili italiani rimasti: Calvi, Barbarigo, Morosini, Da Vinci, Cappellini, Finzi, Archimede, Bagnolini, Torelli e Tazzoli.

    Sul fatto che gli Inglesi non fossero nessuno in campo sommergibilistico, concordo pienamente. Ebbero successi spettacolari nel Mediterraneo per il semplice motivo che operavano nell'abbondanza, in un mare pieno di bersagli scortati da unità tecnicamente non all'altezza come caccia antisom. E nonostante ciò la Regia compì miracoli nella difesa dei convogli, se consideriamo il totale del tonnellaggio spedito ed il totale di quello arrivato.
     
  18. Iscandar

    Iscandar

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    @Luigi Varriale con harpoon sfondi una porta aperta, è il mio simulatore preferito, perché è un simulatore.
     
  19. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Aprile 41 deserto della Cirenaica. Memorie del Tenente Giulio Sforza, ufficiale alle operazioni dell’8a compagnia bersaglieri.

    Per quel poco che serviva, la compagnia era stata ricostituita. Non avevamo subito molte perdite durante la battaglia di Bengasi, dove eravamo intervenuti solo marginalmente. Lo scontro del passo di Homs però ci aveva resi orgogliosi di quanto avevamo fatto, nello sloggiare la compagnia di fanteria inglese che occupava l’altura allo sbocco ovest del passo. Le reni agli Inglesi le avevamo spezzate, e poco importava se dovemmo usare l’aiuto dell’alleato. La baldanza dei superiori conquistatori, gli Inglesi l’avevano persa; adesso ci preparavamo a fargli perdere il resto della Cirenaica come minimo e poi magari anche l’Egitto.

    I famigerati tedeschi non li avevao ancora visti; noi non ci avevamo lavorato insieme. Ma un tizio che conoscevo, un sergente mitragliere della Pavia, mi disse che erano devastanti. Mi disse che li aveva visti smontare pezzo dopo pezzo un intero battaglione corazzato inglese che era passato attraverso le posizioni della Pavia, come se non esistessero. Il suo plotone si era rifugiato in uno uadi e gli Inglesi lo avevano sopravanzato senza vederlo; erano già passati oltre e si avviavano verso l’allineamento del battaglione artiglieria. Si erano tritati i cannoni anticarro come culatelli e sembrava che più nulla potesse fermarli. Poi improvvisamente il sottufficiale aveva cominciato a vedere carri inglesi che si incendiavano e che si fermavano come se fossero stati fulminati da una mano gigantesca, fumanti e brucianti. Non si capiva nemmeno da dove i Tedeschi sparassero, erano troppo lontani, ma comunque torrette e pezzi vari volavano per aria ed era tutto un casino. Che fossero i Tedeschi a sparare lo aveva capito solamente dopo un bel po’ per esclusione, e perché sapeva che un corpo tedesco era intervenuto a supporto del raggruppamento.

    Comunque dopo la battaglia di Bengasi, il morale di tutti era alle stelle. Correva voce che il nuovo comandante del contingente germanico, Generale Wilhem von Lush, volesse passare immediatamente alla controffensiva sulle due piste che portano a Derna e a Mechili, come operazione preliminare alla riconquista di tutta la Cirenaica e dell’entrata in Egitto.

    Secondo le informazioni che erano pervenute al Maggiore Vicari, dal comando del XX raggruppamento, dopo la mazzata subita ad est di Bengasi, i Britannici non contrapponevano allo schieramento nostro, nulla di più di una scalcinata brigata indiana, e noi avremmo dovuto, secondo il Generale von Luch e pure secondo il Maggiore Shurz, che comanda l’omonimo Kampfgruppe avanzato germanico, sfruttare questo stato di cose per ammazzare definitivamente il nemico in ASI.

    Il Colonnello Ciccoletti mi riferì che al comando Superiore, e per dire la verità pure presso i comandi inferiori in prima linea, si stava facendo il possibile per frenare gli ardori offensivi dell’alleato inquantoché le nostre truppe non erano ancora pronte per un offensiva generalizzata, mancando di tutti quei mezzi motorizzati e di armamento che la rendano possibile. Il Capitano Star mi disse in confidenza che il Colonnello era miope forte se credeva che questi mezzi li avremo mai avuto prima che il nemico si rafforzasse di nuovo. Anzi secondo lui non li avremo avuti proprio mai. Tanto valeva quindi attaccare e battere il ferro fin che era caldo, con l’aiuto dei Tedeschi, che avevano ben dimostrato di essere dei buoni fracassatori di fru fru inglesi.

    Comunque, a parte tutte queste considerazioni di carattere strategico, la compagnia era schierata a cavaliere della rotabile Barce-Maraua-Derna, e si snodava in una colonna di quasi cinque chilometri di lunghezza, per evitare di presentare un bersaglio troppo concentrato all’aviazione ed all’artiglieria nemica.

    Gli ordini pervenuti per la compagnia prevedevano una ricognizione in forze lungo tale rotabile. A nord del nostro settore di competenza operava l’Ariete, che era stata tenuta in prossimità della Balbia per parare qualunque minaccia del nemico lungo l’asse principale est-ovest del teatro operativo. Tutti gli altri reparti, inclusi quelli germanici operavano nel vivo del Gebel cirenaico secondo direttive che non erano pervenute al comando dell’8a.

    La nostra missione specifica, nel quadro della cauta avanzata che il comando superiore italiano aveva autorizzato per placare la smania offensiva del generale von Luch e comunque tentare di tenerlo “a briglia corta” era quella di fiancheggiare la manovra della nostra fanteria che operava a sud del settore, servendoci appunto della rotabile come asse principale per il movimento, e tenendoci pronti a conversioni a sud in appoggio delle compagnie del raggruppamento che avrebbero dovuto raggiungere mano a mano gli obiettivi assegnati.

    Ricordo che eravamo in costante contatto con la compagnia corazzata del Capitano Postuma che operava alla nostra sinistra e che aveva il doppio e non facile compito di guardare la Balbia e di cooperare con noi nell’appoggio alle operazioni principali, in caso se ne fosse presentata la necessità.

    Il comando germanico voleva che l’Ariete fosse messa alle dipendenze del Maggiore Shurz, per dare ancor più consistenza al maglio corazzato delle forze dell’Asse, ma pare che sia il Col. Ciccoletti che il comando Superiore negarono tale assegnazione sia per non perdere il controllo dell’unica unità italiana in grado di imbastire una qualunque reazione dinamica ad eventuali sorprese del nemico, sia per motivi di mero prestigio, che avrebbe avuto a soffrire a dir loro, se avessimo messo consistenti aliquote delle nostre più valide forze agli ordini dei Tedeschi. Secondo Ciccoletti, che aveva parlato di questo problema all’ultima riunione di raggruppamento, non avremmo avuto più nessuna unità a disposizione per mantenere un minimo di controllo sugli avvenimenti.

    Secondo il Capitano Star, se la prima ragione poteva essere anche valida, la seconda non aveva assolutamente senso, il prestigio essendocelo secondo lui già giocato nelle precedenti battaglie, e non avendo “il prestigio” nessuna rilevanza se comparato al raggiungimento del risultato finale, che rimaneva il raggiungimento del Delta del Nilo ed Alessandria.

    Forse il capitano esagerava un po’ ma il Comando Superiore e Ciccoletti, comincia proprio ad averli sul c*ulo e diceva che se avessimo perso la dannata guerra avrebbe ben saputo a chi dare la responsabilità, e cioè ai nostri comandi inetti e boriosi che eran preoccupati più della loro immagine che di condurre al successo la campagna. Disse anche il capitano, che i Tedeschi avremmo dovuto tenerceli buoni, visto quello che avevano fatto vedere nel primo scontro a cui avevano partecipato in Africa. Alla faccia delle truppe non allenate al clima desertico, come le classificava Ciccoletti. Secondo il capitano saranno pure state non allenate al deserto, ma a menare le mani erano ben allenate di sicuro.

    Lo schieramento della compagnia era strutturato per l’avanzata lungo la rotabile, con il plotone comando in testa, visto che il Maggiore Vicari continuava ad avere sempre l’ardore dell’eroe, e poi diciamocelo pure; il suo plotone comando era il più caxxuto di tutta la compagnia. Dietro seguivano subito i mitraglieri pesanti con le Breda da 8 guidati dal Ten. Lunardi e la batteria anticarro del Tenente Allegretti, in ossequio al principio che il Maggiore voleva una buona aliquota delle armi pesanti pronte ad intervenire subito, come da lezione appresa nei precedenti scontri. Gli Inglesi si erano dimostrati veloci e scaltri nella manovra, e fino a prova contraria si doveva considerare che gli Indiani, lo fossero altrettanto. Dietro a questo primo scaglione di avanguardia, veniva il grosso della compagnia, con i plotoni di bersaglieri e di mitraglieri leggeri armati con le 6,5. Infine la retroguardia chiudeva lo schieramento con gli AT leggeri da 20, la seconda batteria anticarro e la batteria dei cannoni d’accompagnamento da 65. Il Maggiore Vicari, all’approssimarsi dell’ora prevista per l’inizio del movimento, percorse la colonna da cima a fondo con un’autovettura per raccomandare a tutti i reparti di stare uniti e di collegarsi periodicamente con lui tramite staffette per evitare le spiacevoli situazioni verificatesi durante la battaglia di Bengasi, quando alcune unità si persero nel deserto e non poterono prendere parte all’azione. Dopo di che riprese il suo posto nel veicolo comando in testa alla colonna e si inchiodò alla radio in attesa dell’ordine di partenza.

    Mentre ancora si attendeva la parola convenzionale per iniziare il movimento, il Sgt.Magg. Villano del plotone automezzi del comando di compagnia, segnalò a Vicari che secondo lui la colonna era già sotto l’osservazione del nemico; aveva visto lo scintillio di un binocolo proveniente dalle colline al di là del palmeto sulla strada, e consigliava estrema cautela. Il Maggiore Vicari mise mano al suo di binocolo e si mise a scrutare a fondo l’orizzonte. Se un osservatore nemico aveva già la compagnia sotto tiro, la missione avrebbe potuto essere molto, molto breve, giacché la direttrice obbligata di avanzata era completamente allo scoperto, se si eccettuava qualche alberello sparso, che certo non costituiva una sufficiente copertura. Per radio, il maggiore diede comunicazione al Postuma, il cui fianco destro era ben visibile dalle posizioni di partenza dell’8a, che il nemico avrebbe già potuto essere a conoscenza delle nostre intenzioni, e raccomandava la comandante carrista prudenza. Poscia informò anche il comando del raggruppamento. Ciccoletti accusò ricevuta e ordinò a sua volta prudenza. Come diavolo si poteva fare ad essere prudenti in siffatte circostanze, rimaneva un mistero per Vicari, che mi manifestò il suo disappunto per la situazione, ma gli ordini operativi non subirono nessuna variazione.

    Alle 1200 in punto, sotto il sole primaverile della Cirenaica, l’Ariete cominciò il movimento per prima, nella speranza che il nemico si rivelasse, sprecando qualche colpo sui carri ed informando della sua posizione anche noi. In testa, il plotone dei carretti leggeri del Tenente Grimaldi, come elemento esplorante, cominciò il movimento verso est. Noi iniziammp anche il movimento, occhi spalancati e tutti all’erta lungo la rotabile. La colonna alzava una tonnellata di polverone per metro quadrato nonostante la bassa velocità. La nube dovevaessere visibile fino in Turchia e c’era da sperare che gli osservatori dell’artiglieria nemica non fossero troppo bravi ad inviarci subito qualche nespola ad alto eplosivo sulle teste.

    Alle 1330, il Capitano Postuma segnalò per radio al comando di raggruppamento che i suoi esploratori erano entrati in contatto con il nemico cadendo in un’imboscata. Fortunatamente non ci furno perdite e la compagnia corazzzata si preparò ad attaccare la posizione nemica, forse tenuta da una compagnia di fanteria indiana. Questo messaggio lo intercettammo anche noi con le nostre radio. Immediatamente dopo, anzi quasi nello stesso tempo, il conducente di uno dei nostri autocarri nel plotone comando, frenò bruscamente e rilevò la presenza di fanteria nemica dritto di fronte, subito a sud del piccolo palmeto che teneva la strada all’ombra del sole martellante. Il Maggiore scese dal camion come un proiettile ed ordinò a tutti di fare lo stesso. Non si capiva perché il nemico non avesse ancora aperto il fuoco. Trascinandosi dietro l’operatore radio, Vicari diede ordine al plotone mitraglieri pesanti di serrare sotto lungo la strada, di mettere piede a terra e di aprire il tiro di soppressione sul plotone, forse una squadra, di nemici avvistati. Dopo poco tempo, anche non potendo vedere la sorgente di fuoco che ara più di un chilometro a nord ovest, vedemmo i traccianti delle Breda che fendendo l’aria andavano a ficcarsi più o meno nella posizione nemica. Inoltre il maggiore si mise in contatto con Ciccoletti chiedendo l’accesso ad almeno una batteria del battaglione di artiglieria, ma si sentì rispondere di affrontare le scarne forze nemiche che gli stavano di fronte con le sue sole armi di supporto, che l’artiglieria era impegnata altrove.

    “Come già impegnata altrove Signor Colonnello; la battaglia è forse iniziata?” domandò il nostro maggiore.

    “Esegua Maggiore, e mi tenga informato”.

    “Rotto in c*ulo” pensò Vicari mentre lanciava il microfono in grembo al suo operatore radio, e puntò il binocolo verso il nemico che gli stava di fronte.

    L'avanguardia dell'8a bersaglieri e la compagnia Ariete incontrano le prime
    posizioni indiane lungo la direttrice di avanzata.

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  20. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Per le 1530 era chiaro a tutti che quella che doveva essere una sgangherata brigata di fanteria indiana, era molto meno sgangherata di quello che i rapporti tedeschi avevano ottimisticamente previsto. Per una volta i comandi italiani erano stati nel giusto a predicare cautela. Adesso l’armata italo-tedesca si trovava in forti ambasce.

    Da quello che la ricognizione tattica era riuscita a mettere insieme dall’inizio della battaglia, gli Indiani avevano non meno di 6 compagnie schierate in un ampio e solido semicerchio difensivo che faceva perno sulla città di Derna, ed almeno una compagnia corazzata in riserva tre chilometri ad ovest della città in posizione centrale. In più gli Indiani contavano su un abbondante e micidiale appoggio di artiglieria media costituita almeno da un battaglione se non di più di pezzi di medio calibro, che erogavano un fuoco devastante e preciso. La situazione alle 1530 era la seguente:

    a nord, l’Ariete e l’8a compagnia bersaglieri erano impelagati contro forze superiori che difendevano il ciglione a nord ovest della città. Erano in corso pesanti combattimenti dall’esito incerto. Una delle tre compagnie indiane, quella più settentrionale era stata messa in fuga, almeno temporaneamente, ma le altre resistevano ostinatamente appoggiate dal fuoco martellante degli 88 nelle retrovie.

    Al centro, dell’attacco principale delle tre compagnie di fanteria italiana, rimaneva ben poco impeto. La Savona, che era partita in secondo scaglione, aveva ricevuto una tale razione di artiglieria nemica, che la sua progressione non era mai veramente cominciata. La Pavia si era portata sino a quasi due chilometri dai suoi obiettivi di primo tempo e poi si era fermata sotto il fuoco di arresto di una compagnia nemica posta davanti agli obiettivi e dal fuoco di artiglieria che ne aveva stroncato la progressione. La Bologna, sul fianco destro dello schieramento, la cui missione era di cadere sul fianco destro degli obiettivi di primo tempo, era stata presa di petto da un contingente di armi pesanti nemiche (2 libbre e mitragliatrici Vickers) e si ignorava se avrebbe potuto proseguire oltre, visto che non aveva nemmeno completato le ricognizioni settoriali per capire che cosa si trovava davvero di fronte.

    Persino i Tedeschi, che costituivano l’ala marciante sul classico fianco sud del teatro cirenaico, avevano incontrato una dura resistenza ad opera di un’ennesima compagnia di fanteria con turbante decisa a morire sul posto, ed una batteria di mortai aveva preso sotto il fuoco e decisamente falciato un plotone di motociclisti del 33° battaglione esplorante germanico. I Tedeschi si erano fino ad allora disimpegnati bene, facendo un sapiente uso delle loro armi combinate e causando forti perdite al nemico, ma rimaneva il fatto che non erano ancora riusciti ad avanzare al di là dello schermo difensivo indiano. La 3a compagnia autoblindo era per la verità alle spalle del dispositivo nemico, sul ciglione sud ovest di Derna, dal quale avevano dato la poco piacevole notizia di avere in vista una compagnia carri inglese composta da cruisers A 13 che difendevano gli obiettivi immediatamente ad ovest della città. Era in corso la conversione a nord della 10a compagnia Panzer per vedersela contro i carri inglesi (indiani?), mentre la 200a batteria Donner era rimasta indietro a controllo della fanteria indiana che ancora rifiutava di gettare la spugna.

    Tutto sommato una situazione non disperata per le armi italo tedesche, ma senza dubbio seria che andava gestita con attenzione. Per di più la maledetta AI di SP III, decisamente superiore a quella di SPWW2 (anche nel barare) metteva il Colonnello Ciccoletti ed il Maggiore Shurz decisamente alla prova.
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