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Regno delle due Sicilie: Regno povero, o terza potenza industriale?

Discussione in 'Off Topic' iniziata da Vlad12395, 23 Giugno 2015.

  1. ronnybonny

    ronnybonny Moderator Membro dello Staff

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    A livello statistico la prima cartina non significa niente. Per quanto ne sappiamo poteva essere un 50,00001% a Torino e un 49,9999999 a Palermo
     
  2. Pandrea

    Pandrea Guest

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    Ovviamente c'è più da guardare la seconda, se invece si vuole qualcosa di scritto: "all'indomani dell'unificazione, nel 1861, l'Italia contava una media del 78% di analfabeti con punte massime del 91% in Sardegna e del 90 % in Calabria e Sicilia, bilanciata dai valori minimi del 57% in Piemonte e del 60% in Lombardia. (Sandra Chistolini, Comparazione e sperimentazione in pedagogia, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 46)
     
  3. Maxim Hakim

    Maxim Hakim

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    Interessante: in Sardegna che era sabauda fin dal 1700 la percentuale di analfabeti era "dell'80%". Sicuramente colpa delle "2 Sicilie".
    Amenità a parte, almeno sai come si è arrivati ai famosi censimenti del 1860 (ai quali fai riferimento nel post successivo) e del 1870 (nelle cartine) sull'alfabetizzazione in Italia? Come sono stati presi i campioni statistici?
    Per quanto riguarda quello del 1860, in una situazione caotica come quella di un territorio invaso (più di 120.000 soldati italiani impegnati nella "caccia al brigante" ), con dati completamente parziali e per stessa ammissione dei funzionari sabaudi, del tutto inattendibili, con fucilazioni, decapitazioni ed esecuzioni sommarie (legge Pica), la vedo un po' difficile che ci si mettesse a girare per le case a chiedere "scusi, lei è analfabeta?".
    Lascio la parola ai dubbi di due esponenti del parlamento italiano che sicuramente non credo siano passibili di simpatie borboniche: la documentazione è reperibile nei Rendiconti del Parlamento italiano. Sessione del 1870-71. Seconda edizione ufficiale riveduta. Discussioni della Camera dei Deputati. Volume secondo. Dal 22 marzo al 20 maggio 1871.
    Nella tornata del 24 marzo 1871, la Camera dei Deputati si trovò a discutere un progetto di legge per ordinare e regolare il secondo censimento generale del Regno d’Italia, dopo quello - appunto - del 1861. Nel corso della discussione prese la parola Ascanio Branca, potentino, ex comandante della Brigata Lucana sotto Garibaldi: "Noi abbiamo fatto un censimento nel 1861, quando non tutte le provincie d’Italia erano riunite al regno, come lo sono ora. Si sono fatte le statistiche, si è detto che nelle tali e tali altre provincie ci sono tanti analfabeti, ci sono delle provincie appunto del Mezzogiorno, a cui io appartengo, in alcuna delle quali questa massa di analfabeti si è fatta elevare fino all’89 per cento. Ebbene, occorre verificare se quest’asserzione, che spesso si ripete, e che io credo fallace, sia o pure no esatta."
    Poco dopo, nell’ambito della stessa tornata, il deputato friulano Gabriele Luigi Pecile rincara la dose: "Nel censimento del 1861, si è rilevato che gli analfabeti ammontavano a 17 o 18 milioni, il che certo deve essere stato effetto di un equivoco, equivoco che fu anche rilevato dall’onorevole Messedaglia in occasione che [sic] presentò una relazione alla Camera.
    Ciò avvenne per essersi calcolato il numero degli analfabeti sottraendo il numero di quelli che sanno leggere dal numero totale della popolazione.
    Io non intendo di fare che una semplice raccomandazione, ed è che, nel procedere al nuovo censimento, si abbia cura di mettere nelle schede una colonna, nella quale appariscano chiaramente le persone che sanno leggere e quelle che no, ommessi [sic] i bambini ed i lattanti, i quali in nessun paese del mondo si calcolano fra gli illetterati. È cosa che disonora il nostro paese, il far figurare nelle statistiche un numero eccessivo d’analfabeti che per il fatto non abbiamo."
    Quello del 1870 sembra fatto meglio, anche se comunque sarebbe interessante vedere in dettaglio la documentazione originale negli archivi storici (dato che hai postato tu questo particolare aspetto, non ti sarà difficile reperire anche la documentazione relativa, l’istituzione che si occupava dei censimenti della popolazione, a quell’epoca, era la Direzione generale di statistica, a sua volta dipendente dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, le cui carte, come quelle prodotte da quasi tutti gli organi centrali dello Stato unitario, si trovano depositate presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma, all’EUR).
    Per avere qualche ragguaglio in più, è interessante vedere quale era la legge dello stato sabaudo vigente all'epoca in materia, ovvero la Legge Casati (1859) estesa in blocco ai territori annessi successivamente.
    Tale legge afferma che la responsabilità di reperire i fondi per l'istruzione scolastica era affidata ai comuni e quindi non c'era alcun finanziamento da parte dello stato. Ne consegue che i comuni del meridione, che avevano già sufficienti problemi tra le distruzioni subite nel processo di unificazione, con problemi cronici di cassa, avevano ben altro a che pensare piuttosto che l'istruzione pubblica e quindi moltissime scuole vennero di conseguenza chiuse. La successiva legge Coppino, che comunque continuava a gettare l'onere del reperimento dei fondi per l'istruzione sui comuni, non riuscì a migliorare che di poco la situazione. Bisognerà quindi attendere il 1911 con la legge Daneo-Credaro.
     
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  4. mattia I visconti

    mattia I visconti

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    Più che altro il Lazio e il Triveneto non c'erano ancora nel Regno d'Italia al 1861 quindi mi chiedo che dati abbiano preso per fare la mappa.
     
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  5. Maxim Hakim

    Maxim Hakim

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    Potrei risponderti io, ma è cosa buona chiederlo al postatore.
    La questione è che dovrebbe poi ammettere una eterogeneità di dati già eterogenei e lacunosi fin dal principio.
     
  6. cerbero

    cerbero

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    la cartina non è stata fatta nel 1861 ma è odierna ;) e quindi probabilmente avranno preso i dati raccolti allora dallo stato pontificio e dal regno austro-ungarico
     
  7. kamata

    kamata

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    in questa mappa potete trovare un pò di dati, e fare qualche raffronto
    http://www.mapsandimages.it/eMaps/opera.htm?idOpera=24
    ho partecipato ad altre discussioni simili, ed i risultati sono stati:
    a: gli stati preunitari avevano un pil procapite simile, ed un livello di industrializzazione ed artigianato paragonabile.
    b:l'analfabetismo dilagava in lungo ed in largo in italia
    c:la classe dirigente era corrotta da nord a sud
    d:fu normale per l'epoca indirizzare lo sviluppo e le poche risorse verso il polo che aveva cagionato l'unità.
    e: se ad unificare fosse stato il regno delle due sicilie, il polo su cui sarebbe gravitato lo sviluppo sarebbe stato il sud, con un inversione dei ruoli, e le mire espansionistiche sarebbero state verso il mediterraneo.
     
  8. huirttps

    huirttps

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    Riesumo la discussione per segnalare un interessante articolo di una studiosa belga
    https://www.aeaweb.org/conference/2012/retrieve.php?pdfid=179

    E un articolo del Sole24Ore che ne parla
    http://www.ilsole24ore.com/art/fina...ecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F

    a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.
     
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  9. auricaesar

    auricaesar

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    Pure l'URSS aveva un'industria potentissima, seppur basata sullo sfruttamento fino alla morte del lavoratore...
    Quello che voglio dire, è che forse dovremmo dare uno sguardo al Regno di Napoli anche dal punto di vista del benessere sociale (non le libertà, beninteso, dato che non è oggetto della discussione).
    Con bassissime tasse sulla nobiltà latifondista, un controllo pressochè inesistente sullo stato dei lavoratori e il continuo sfruttamento di questi, ci credo che l'agricoltura andava benissimo, e mi sarei pure preoccupato se così non fosse stato.
    Per quanto riguarda l'alfabetizzazione, ho a lungo viaggiato in pieno ex-regno borbonico. Inutile dire che in un'intera zona di dieci-undici paesi (ognuno con una distanza media di circa 10/15 km) tutte, e ripeto TUTTE, le scuole presenti erano o del periodo post unitario o di quello fascista, per non parlare di quelle post-boom economico. Le uniche eredità dei Borboni sono vecchi palazzi signorili e un carcere.
    Quello a cui vi invito, signori, è a riconoscere pregi, ma anche difetti (e piuttosto grossi) del regno borbonico, senza giocare a rossi contro neri.
    Un altro dato su cui vi invito a riflettere sono le sommosse popolari nel periodo dell'Unità, e anche dopo con il brigantaggio, contro il latifondismo borbonico.
    Ho letto parecchie lettere e memorie dei capi dei briganti, Crocco et similia, ovvero l'intellighenzia del movimento, e in tutte non c'era odio contro i piemontesi, ma rimorso e vendetta, perchè speravano di ottenere ciò che era stato loro promesso, cioè il sovvertimento dell'ordine borbonico, cosa che poi non fu data. Non è che erano proprio degli angeli,i re di Napoli, per dirla breve...
     
  10. generalkleber

    generalkleber

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    Provo a ragionare fuori da schemi calcistici pro o contro. Tanto più che sono cose vecchie come il cucco e scherarsi ha un sapore comico.
    Il Regno delle Due Sicilie aveva avviato una forma di modernizzazione, come altre realtà politiche dell'epoca. Disponeva, in tal senso, di fattori di spinta e di fattori di resistenza. In positivo aveva alcune città popolose e potenzialmente attive; alcuni porti in grado di formnire infrastutture rilevanti, capacità produttive agricole notevoli, almeno un paio di università di buon livello e discreti circoli intellettuali, un tesoro pubblico rilevante con una bilancia in attivo. In negativo aveva una struttura sociale oligarchica che non presentava alcuna spinta alla modernizzazione; una burocrazia inefficiente; una borghesia estremamente limitata che, inoltre, era costituità prevalentemente da piccoli commercianti e membri dell'amministrazione. Un latifondo sterminato che impediva ogni riforma nelle sterminate campagne e lo strapotere della Chiesa che, per altri motivi, escludeva la possibilità di trasformazione modernizzante.
    Il limite maggiore era che, fuori dal Re (e dalla Chiesa), non esisteva alcuna istituzione cui era riconosciuta reale legittimità: non l'esercito, non la struttura giudiziaria, non la stessa amministrazione burocratica. Nessuna istituzione (oltre alle citate) possedeva una sufficiente legittimità su cui poggiare il proprio potere. Se ne erano accorti i rivoluzionari del 1820 che avevano esercitato il loro potere nel vuoto ed erano scomparsi tra le grida di giubilo della popolazione che festeggiava il ritorno del Re.
    La liberazione di Garibaldi prima e l'annessione poi spalancarono nuove, formidabili, possibilità. Non so se in una storia alternativa il REgno delle Due Sicilie disponesse della possibilità di riformarsi e uscire dalla dimensione decrepita ed anacronistica in cui si trovava ma certamente nella _nostra_ realtà questa possibilità la possedeva il REgno di Sardegna-Italia. I responsabili della Destra, correttamente, compresero che il problema principale era proprio fornire legittimazione alle strutture nazionali. Senonché alcune scelte scellerate fecero fallire il progetto: la riforma agraria sballata, la liberalizzazione dei commerci, il servizio militare...
    Potevano essere evitate? Rosario Romeo, studiando lo sviluppo industriale dell'Italia a partire dagli anni '70 ritiene di no. Il Sud, e in genere le campagne, furono sacrificati alle esigenze dell'accumulazione del capitale primario. Altri storici ritengono che invece si sarebbe potuto evitare. E' certo però che le scelte della Destra non furono motivate dalla ricerca del capitale primario ma da altre esigenze. In ogni caso le cose sono andate così: è da queste scelte scellerate che si origina la depressione del Meridione e non dall'annessione. La reazione popolare, su cui soffiarono i reazionari, provocò una repressione militare violenta: a Torino il Parlamento sapeva benissimo che il problema era sociale ed economico e non politico ma non aveva gli strumenti per trattarlo altro che come una ribellione politica.
    E' interessante, dal mio punto di vista interessato alla cultura, che le campagne militari che si avviarono nel Meridione provocarono il cristallizzarsi dei pregiudizi stereotipizzati verso i meridionali: i resoconti degli ufficiali e degli amministratori del nord risemantizzarono gli stereotipi tradizionali del rapporto città-campagna per estenderli a tutto il meridione e, chiaramente, le nuove elite culturali meridionali, che si stavano integrando nel nuovo Stato, accettarono questa prospettiva identificando come loro obiettivo quello di "costringere" il Meridione a "civilizzarsi", a costo di usare la forza.
    Dunque il Regno di Napoli poteva costituire una forza propulsiva capace di produrre modernità? Non abbiamo controprove ma verosimillmente no, non le aveva. Il Regno d'Italia permise al Meridione di modernizzarsi, come avrebbe dovuto fare? Anche qui la risposta è negativa. Era questo un destino? In altre parole sarebbe stato meglio per GAribaldi, di ritirarsi in pensione invece di partire per Marsala? No: a quell'epoca la cosa giusta da fare era quella, provarci. E nonostante tutto ha fatto bene.
     
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  11. huirttps

    huirttps

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    ma difatti non mi sembra di aver scritto nulla di drammaticamente nostalgico. Semplicemente si faceva notare, numeri alla mano, che il regno del sud non era affatto povero come generalmente dipinto nei libri scolastici.

    Poi la realtá odierna la conosciamo tutti.
     
  12. Silvan

    Silvan

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    Ho letto solo questo intervento e forse quindi ripeto cose già dette.
    La tua analisi omette alcuni fatti che reputo fondamentali per arrivare a delle conclusioni plausibili.
    Tra il 1861 e il 1881 in Sicilia, parlo solo della realtà su cui ho letto di più, si è combattuta una guerra vasta e feroce
    combattuta da una parte dai Piemontesi e dall'altra proprio da quella borghesia e nobiltà che dici erano inesistenti o immobili.
    I piemontesi in questa guerra, che sui libri di storia è identificata come lotta al brigantaggio per sminuire e sviare,
    perdono più uomini di quelli persi in tutte le guerre d'Indipendenza messe insieme. Le rappresaglie contro la popolazione e le violenze furono cosi feroci ed estese che portarono all'annichilimento della classe borghese che fu sterminata e quel che resto costretta a fuggire, non fu risparmiata nemmeno la nobiltà costretta al declino o al cambio bandiera.
    Una regione che dai tempi dei Fenici, passando persino dai Vandali e dagli Arabi, aveva avuto solo e sempre avuto immigrazione, invece dopo le devastazioni sociali ed economiche di 20 anni di guerra, conosce per la prima volta l'emigrazione.
    Fatta questa precisazione rispondo, per quel che penso, alle due domande finali.
    Il Regno di Napoli poteva costituire una forza propulsiva capace di produrre modernità? Assolutamene si, ed era questo quello che temevano gli Inglesi (occulti sostenitori dell'impresa garibaldina): che la corte Borbonica si risvegliasse dal torpore e diventasse troppo potente.
    Il Regno d'Italia permise al Meridione di modernizzarsi, come avrebbe dovuto fare? Il regno d'Italia ha distrutto il meridione, come uno sciame di cavallette su un campo di pomodori. Garibaldi era solo un mercenario al soldo dei piemontesi, esaltato dalla retorica dei vincitori, nei fatti aveva più dignità Geddafi.
     
  13. qwetry

    qwetry

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    Topic spostato in off topic perché non è storia militare
     
  14. psycosymon

    psycosymon

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    Come potevano gli inglesi temere di più il Regno delle Due Sicilie, alias mezza Italia sotto una Monarchia Assoluta inefficiente quanto quella Francese pre-rivoluzionaria, piuttosto che una sola Italia unita?? Cesare diceva Divide et Impera, ci sarà stato un motivo no?
     
  15. generalkleber

    generalkleber

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    Ti stai lasciando trasportare dalla retorica e stai rischiando di trasformare la questione storiografica in una questione di tifo calcistico. Messe le cose a questo modo uno può (forse) provare rabbia ma non approfondisce la comprensione. Dico "forse" provare rabbia, peraltro, perché sono cose di oltre un secolo e mezzo fa e, potrebbe anche essere che la rabbia di oggi abbia più a che vedere con questioni contemporanee che con l'approfondimento storico.
    Che esista una Questione Meridionale a partire dal 1861 (ma personalmente tarderei di almeno un anno) è tema su cui non si discute. E' riportato su tutti i manuali di storia dei licei con almeno 1-2 capitoli. L'argomento è stato oggetto di prova d'esame, a mia memoria, almeno un paio di volte. Esistono tonnellate di libri sul tema. Insomma, la questione non è se il meridione sia stato sfruttato: lo è stato e non ho mai trovato nessuno che abbia pensato di negarlo. Le iperboli (le cavallette sul campo di pomodori) non sono necessarie e rischiano, semmai, di confondere la comprensione.
    Sono state anche identificate le cause di questo sfruttamento, e già una commissione parlamentare torinese mise in luce che si erano commessi gravi errori e che il brigantaggio era connesso alla povertà e non alla protesta politica. Ci sono varie posizioni sui motivi di queste scelte ma nessuno, anche chi le difende, nega che la situazione sia stata tremenda. Pertanto, mi riferisco al secondo neretto, che i libri definiscano la lotta al brigantaggio per "sminuire e negare" è solo un'altra iperbole che lascia supporre chissà quale complotto della cultura storiografica italiana, complotto che durerebbe sino ai giorni nostri...
    Il brigantaggio era sempre stato endemico nel Regno di Napoli, comunque si chiamasse, come lo erano anche nello Stato della Chiesa. Occasionalmente assumevano coloriture politiche: era già accaduto con i Francesi di Napoleone. E saltuariamente veniva anche combattuto. In realtà il brigantaggio assumeva anche forme di potere alternativo e aveva legami con le grandi baronie che a volte lo usavano per i loro scopi. A partire dal 61 il Brigantaggio assume una coloritura politica reazionaria e i Piemontesi iniziano a combatterlo. Ma è a partire dal '62 che la questione sociale innescata dalle mancate riforme, o dagli effetti nefasti delle riforme adottate, trasforma il brigantaggio in altra cosa: una contestazione popolare dell'esistente. La guerra dura sino al 1876, quando, esaurita la capacità di lotta, la povertà troverà afogo nell'emigrazione. La lotta oltre quella data va scemando notevolmente in proporzione al numero di emigranti.
    La lotta coinvolge la classe borghese e la nobiltà? Sì, ma nel senso che i briganti se la prendevano soprattutto contro la nobiltà e la borghesia meridionale: i briganti non erano idealisti partigiani in lotta per la libertà, ma briganti, che razziavano la povera gente, che era povera gente meridionale e tutti coloro che rifiutavano di sostenerli: borghesi e nobili. Chi si avvantaggiò della fallimentare riforma agraria furono borghesi e nobili meridionali. Altro che sterminati (primo neretto)! trassero tutti i vantaggi possibili dalla situazione, pur solidarizzando, a parole, con il "povero popolo". La nobiltà meridionale, sostanzialmente tutta, trattava i beni del Regno come proprietà privata e, per questo, era priva di spinta alla trasformazione. Una spinta mancata che resta sua caratteristica anche dopo che passa dalla parte dei nuovi padroni. La borghesia era talmente minima, e in genere parassitaria, che non riesco a scoprire dati in favore della tesi di unaa classe sociale attiva e propulsiva.
    Gli inglesi sostenitori occulti? Mica tanto: pretesero che il nuovo Regno d'Italia si assumesse i debiti di quello meridionale e solo allora garantirono il loro appoggio determinante, bloccando le navi da guerra borboniche. Accettarono, dopo titubanze, non perché temessero la "potenza" del Regno di Napoli ma perché erano convinti della sua fragilità e vedevano migliore garanzia in un regno unitario. D'altra parte "potente" un Regno aggravato da una manomorta estesissima e da un latifondo nobiliare da rapina? Se pensiamo a un paio di poli produttivi il Sud si presenta valido e moderno ma se pensiamo alle campagne della Basilcata e della Puglia in mano a una nobiltà inetta e statica le cose cambiano. I contadini di Alberobello furono felici di pagare le tasse (!) con i Francesi pprima e con gli Italiani poi perché le tasse garantivano loro il diritto a tenere casa: precedentemetne (e anche dopop la ritirata dei Francesi) i nobili avevano il diritto di ordinare loro di abbattere le case: ordine che scattava quando gli amministratori regi venivano a chiedere ai nobili le tasse per il re. Mostrando che la popolazione era scarsa (i villaggi non esistevano!), i nobili potevano risparmiare il dovuto.
    Garibaldi mercenario? Garibaldi aveva, credo, un'intelligenza politica mediocre, e si possono avanzare mille riserve sul suo operato ma dire che era un mercenario è davvero solo una schiocchezza retorica.
    va ribadito: non stiamo discutendo se le popolazioni del Regno meridionale pagarono o meno un prezzo altissimo: certo che lo pagarono, e non meritavano di pagarlo. E' interessante che praticamente, sino a che non è esplosa la Lega Nord come fattore politico, nessun intellettuale meridionale, pur lamentando gli orrori e gli errori compiuti, abbia mai messo in discussione che l'Unità sia stato un vantaggio e un progresso per i meridionali. Esplosa la retorica indipendentista al Nord, ecco che, a seguito, ne esplode una di ritorno a sud. Per carità: le prospettive politiche attuali possono anche avere un senso. Ma trasportarle nel passato per cercare giustificazioni ideologiche è un inutile errore.
     
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  16. qwetry

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    Ho avuto per tanto tempo interesse alla questione, da una parte si dice una cosa, dall'altra si dice l'opposto, dove sta la verità? Da meridionale sono giunto alla conclusione: non mi importa, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, basta divisioni che si trascinano da 150 anni, viva l'Italia!
     
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  17. MrBrightside

    MrBrightside

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    Ti voglio bene.
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    Platonicamente, s'intende :D
     
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  18. auricaesar

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    Guarda anch'io la penso così.
    Fatto sta, però, che la questione meridionale non si è conclusa, e perdura. Si sarà rinnovata, non sono più i latifondi (oddio... Quelli ci sono ancora e il bigottismo dell'agricoltore medio meridionale è orribile) o le tasse il problema, lo sono la camorra e la corruzione, però c'è ancora.
    E i due principali ingredienti per terminarla sono due:
    - La conoscenza, un rapporto dettagliato su TUTTI i problemi del sud, dal quale si potranno compendere le radici. E quindi uno studio sulla questione.
    - Un Governo che seriamente si metta d'impegno di avviare la modernizzazione del Sud. Non voglio fare populismo, i governi in questi momenti di crisi hanno altre (molto più importanti) priorità, ma spero che in futuro ci sia un partito che abbia un programma serio per il sud.
    IMHO.
     
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  19. Silvan

    Silvan

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    No generalkleber non è questione di tifo da stadio, e capisco che il mio stile, le iperbole mi piacciono molto, può creare equivoci. Il punto, come sottolineavo nel precedente intervento, sono i fatti che hai citato e quelli che non citi perchè presumo in buona fede non li conosci. La tua risposta è ben scritta e si vede hai dedicato del tempo, e ti ringrazio di questo, devo quindi tedicarti del tempo anche io, non so come però, perchè lo merita la tua risposta e l'argomento.
    Il punto principale è la guerra che si combatte in sicilia dopo Garibaldi, fatti che proprio i Piemontesi hanno cercato di "sminuire e sviare", e solo dopo faticosamente venuti alla luce.
     
  20. Silvan

    Silvan

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    Nel 1860 la flotta mercantile del regno delle due sicilie contava oltre 9.000 bastimenti, seconda soltando a quella inglese.
    Una minaccia insostenibile agli interessi britannici.

    "L’Inghilterra, che vedeva del Regno delle Due Sicilie un pericolosissimo concorrente marittimo, fu ben felice di assecondare le mire espansionistiche piemontesi.
    Si attivarono sopratutto i circoli massonici inglesi, a cui erano affiliati i padri del risorgimento da Mazzini a Garibaldi e lo stesso Cavour, per fornire quegli enormi finanziamenti necessari per corrompere generali e ammiragli borbonici e spingerli al tradimento. Una cifra enorme fu stanziata a tal scopo da Albert Pike, Gran Maestro Venerabile della massoneria di Londra, e da Lord Palmerson, Primo Ministro della Regina Vittoria."
     

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