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Economie e Guerra : WW1 & WW2

Discussione in 'Età Contemporanea' iniziata da rob.bragg, 10 Dicembre 2013.

  1. supertramp

    supertramp

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    L'URSS era la 2°-3° economia del mondo, perchè "relativamente debole"?
     
  2. Silvan

    Silvan

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    Era una battuta.

    Comunque mi sembra un tantino esagerato come giudizio negativo. E' vero che Hitler non era Bismark ma vogliamo dire anche che tutta la politica estera dei Tedeschi era sottilmente anti-sovietica e che in questo riusci alla grande nel suo obiettivo?
    Dal '33 al '39 i Tedeschi strinsero relazioni di amicizia con tutti i paesi periferici della URSS, dalla Finlandia, Paesi Baltici, Balcani, Turchia, Giappone e persino Iraq e Iran. E riuscirono anche a farsi spedire le materie prime fino al giorno prima della guerra.
    Nei confronti dei paesi occidentali l'obiettivo era il recupero della Grande Germania, e anche qui mi sembra che il successo sia stato pieno. I piani Tedeschi non sono stati contrastati fino alla guerra con la Polonia.
    Dopo il 1933 con la salita al potere in Germania del partito nazista tutte le maggiori potenze accelerano riluttanti la corsa al riarmo.
    Non credo che nel '33 Francia, GB, e URSS fossero paesi amici della Germania e non credo quindi che l'inimicizia sia stata causata da Hitler, semmai gli ingranaggi si sono messi in moto dal momento in cui i Tedeschi hanno di fatto denunciato i trattati di Versailles.
     
  3. Silvan

    Silvan

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    Interessante la tesi di Harrison, esposta nel suo libro Accounting for war, che la vera anomalia economica dei due conflitti mondiali sia stata l'URSS: una economia relativamente debole che non collassa (come Russia, Austria e, in ultimo, anche Germania nella prima o Italia e Giappone nella seconda) sotto il peso di un prolungato sforzo bellico.

    L'aiuto degli Alleati in particolare USA è stato enorme, semplicemente enorme. Non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi.
    Senza i macchinari, le apparecchiature, le materie prime e i componenti chimici essenziali, l'economia Russa sarebbe crollata.
    Lo ammette persino Stalin. :)
     
  4. Amadeus

    Amadeus

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    Il discorso di Harrison parte dal un esame di quanto avvenuto durante la I Guerra Mondiale.
    Prima del 1914, si pensava che la complessità delle infrastrutture di supporto e la ramificazione dei legami commerciali con l'estero nei paesi avanzati costituissero dei punti di grande debolezza in caso di guerra mentre si pensava che i paesi meno avanzati, con economie ancora prevalentemente legate all'agricoltura, sarebbero stati più "resistenti" alle privazioni ed al caos bellico ed ad un possibile blocco commerciale.
    Durante la guerra accadde, però, il contrario: confrontandosi con la necessità di dover mobilizzare risorse per lo sforzo bellico, gli ordinari flussi commerciali zone urbane-zone agricole si sfasciarono e le aree rurali si parcellizzarono in zone tendenti ad economie di sussistenza, privando i centri industriali di un adeguato afflusso di prodotti alimentari.
    Nella prima guerra mondiale, il vasto territorio e l'enorme popolazione si sono rivelate un'arma a doppio taglio per la Russia. Le enormi distanze e le infrastrutture scarse hanno reso difficoltosa la mobilitazione e la necessità di presidiare un territorio enorme (unitamente all'inadeguatezza del sistema logistico) hanno bloccato una grossa percentuale delle truppe disponibili lontano dal fronte.
    Può che al PIL complessivo, Harrison guarda al PIL pro capite, suggerendo che una nazione con un basso PIL per abitante, a prescindere dai valori assoluti, avrà maggiori difficoltà a mobilitare una frazione consistente della sua produzione per le esigenze belliche.
    Questa situazione ed il suo tragico, per lo stato zarista, epilogo era ben nota anche a Stalin ma, nonostante il desiderio accorciare la distanza con le altre potenze con un programma di industrializzazione forzata, insensibile a qualsiasi costo umano e sociale, alla vigilia della guerra contro la Germania nazista, l'URSS, in termini di PIL pro capite, era ancora il fanalino di coda, come si può osservare nella seguente tabella:

    tab1.1.png
     
  5. Lirio

    Lirio

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    Scusa Silvan,
    Non credo di aver compreso con esattezza la tua tesi della contrapposizione di due culture. Da una parte, quella europea, tu dici, di derivazione ellenico romana e poi intrisa di valori ebraico cristiani, e dall'altra quella moderna. Quella moderna, che fa perno sul concetto di commercio e finanza sarebbe per caso il capitalismo? Se così fosse, mi sembra di capire che la tua tesi vedrebbe la contrapposizione di due ideologie, quella antica europea centrata sull'uomo, sui valori umani e sulla cultura, e quella moderna che ruoterebbe attorno agli stati uniti d'America, basata sui numeri, sull'economia e sulla finanza (capitalismo). Secondo tale chiave di lettura, se ho bene inteso, la nazione più piccola in termini quantitativi, ben potrebbe prevalere su quella più grande in virtù di superiori valori qualitativi, anche nel caso di uno scontro armato, e quindi appare, seguendo tale ragionamento, del tutto fuorviante ridurre ad una fredda logica di confronto quantitativo, basato su dati statistici di matrice economica e finanziaria, la valutazione della possibilità di vittoria in guerra. Penso di aver sintetizzato il tuo ragionamento, ma mi interessa capire meglio questa tesi, senza dubbio originale, poiché è la prima volta che la sento, e non vorrei aver travisato il tuo pensiero. Ti chiedo cortesemente quindi di confermarmi la mia deduzione, oppure, qualora abbia male interpretato, di correggerla, se possibile chiarendomi per quale ragione in una ipotesi di confronto armato i valori umani qualitativi sarebbero superiori ai valori numerico quantitativi, poiché appare veramente centrale questo elemento e tale ipotesi forte, per suffragare o confutare la validità della funzionalità delle tavole statistiche oggetto di questa interessante discussione. Infatti, se tale tesi fosse sostenibile, allora anche le successive valutazioni quantitative in termini di valori produttivi ed economici, portati in altri contributi alla discussione (compreso il ragionamento di amadeus sul pil procapite), sarebbero del tutto pleonastiche o peggio, fuorvianti, ai fini della capacità di prevedere le probabilità di vittoria nello scontro armato tra popoli. Poiché però nel tuo ultimo intervento precisi che l'aiuto degli stati uniti alla Russia sarebbe stato tanto rilevante da impedirne il tracollo, e qui l'accezione che dai all'aggettivo "qualitativi" sembrerebbe più essere afferente alla qualità tecnologica degli aiuti economici che ai valori intellettuali o morali o culturali di cui sopra, temo di aver frainteso il tuo pensiero e di non aver più capito se allora contìno di piu', o di meno, i valori, o i numeri, la cultura umanistica antica, o quella capitalistica moderna, secondo la tua chiave di lettura della storia.
     
    Ultima modifica: 28 Dicembre 2013
  6. rob.bragg

    rob.bragg

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    During the twentieth century the world experienced two deadly global wars followed by a ‘cold war’ of unparalleled expense and danger. World War I opened this brutal epoch. To many who took part the experience was little less than apocalyptic; it seemed like an end, not a beginning. They saw it as putting a stop to history, progress, and civilisation. They called it the ‘Great War’. They did not know that it would be followed twenty years later by World War II and that the second war would be greater and more dreadful than the first .

    Our book suggests that the outcome of global war was primarily a matter of the levels of economic development of each side and the scale of resources that they wielded; in this respect our conclusion is similar to that of our previous study of World War II.

    How well the resources were organised mattered greatly, but rich countries could usually organise themselves more efficiently than poor ones. The human factor mattered too: how well the people were motivated. Generally we find that, given superior resources, the richer countries could solve the motivation problems that defeated the poorer ones. Thus, organisation and motivation tended to be endogenous; to this extent, they did not independently influence the outcome.

    Stephen Broadberry and Mark Harrison
     
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  7. Lirio

    Lirio

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    Interessante.
    In sostanza, il più ricco vince, e' una sintesi corretta?
     
  8. GyJeX

    GyJeX

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    bhe, è così da sempre, no ? :lol:
     
  9. Lirio

    Lirio

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    Credo di si, da sempre l'uomo cerca la ricchezza, spesso confusa con il potere.
    Se accettiamo tale assunto (al di la' di condividerlo), allora accettiamo il fatto che il denaro compra i beni materiali, conferendo all'uomo un potere: il potere di farlo.
    Beh, se definiamo, da dopo l'invenzione della moneta almeno, denaro come strumento per acquisire il potere, allora dovremmo convenire che, da sempre, le guerre si sono fatte per acquisire maggiore potere.
    Molte sono le citazioni degli storici che, in ogni epoca, hanno enfatizzato il fine del denaro per spiegare (al di la dei pretesti) la vera ragione della guerra, da un lato, ed il bisogno di denaro per finanziaria, dall'altro.
    Quindi, penso che in ogni epoca la guerra sia stata fatta per il denaro, sia stata finanziata con il denaro, ed abbia dato come risultato altro denaro.
    Il saldo di bilancio tra quanto speso e quanto ricavato rappresenta il risultato economico.
    I dati mostrati sia da rob, sia da amadeus, fanno riflettere.
    Sembrerebbe, seguendo tale semplice deduzione, che chi ha più soldi da investire, sia destinato, ceteris paribus, ad accumularne di più.
    Il che farebbe concludere che il più ricco, in termini statistici e a parità di altre condizioni, e' destinato a vincere di più.
    E farebbe anche concludere che statisticamente il risultato di guerre combattute in evidenti disparità di risorse fosse prevedibile a priori.
    Questa conclusione appare condivisibile.

    Meno condivisibile il fatto che tale scelta, anche da parte del più ricco, sia razionale.
    Ho dei dubbi sulla reale convenienza della guerra, anche per il vincitore. Temo che, in termini di teoria dei giochi, solo apparentemente ci sia un vincitore, e più probabilmente sia un gioco di tipo perdi-perdi.
    Si trascura spesso, anche nelle analisi ex post, il costo del l'opportunità perduta della guerra. Immagino che siano ben noti i costi sostenuti, probabilmente meno i mancati ricavi.
    Non so se qualcuno ha stime dei costi sostenuti per alcuni conflitti, sarebbe interessante leggerli.
    Tuttavia, credo che difficilmente qualche storico abbia calcolato i mancati profitti derivanti dal l'impiego di risorse che si sarebbero potute investire in ben più profittevoli risultati.
    Spesso leggo che la ricerca e sviluppo a fini militari sia motore per lo sviluppo in campo civile, ma mi riesce difficile trovare una motivazione razionale per la quale non sia possibile investire direttamente tali risorse in tale campo. Quante risorse sono state disperse nei conflitti, sottraendo ricchezza al genere umano?
    Se esistesse uno studio del genere, mi interesserebbe leggerlo. Credo sia difficile calcolarli, anche perché la guerra, uccidendo (soprattutto prima della seconda guerra mondiale) prevalentemente persone giovani di un solo sesso, non era affatto un sistema equilibrato di darwinismo sociale, ne' un modo razionale di investire le risorse, non essendo dimostrabile cosa si sarebbe potuto creare se quegli esseri umani non fossero morti in modo innaturale.
    Ciò che personalmente mi fa essere pacifista non è solo una motivazione morale (nei bilanci di cui sopra non abbiamo speso una sola parola sul valore della vita), ma razionale. Sono convinto che il saldo di qualsiasi guerra, anche in termini economici, sia sempre negativo, perfino per il vincitore, poiché nel lungo termine i risultati attesi per il progresso dei popoli sono di gran lunga più efficienti allocando risorse per costruire, e non per distruggere.
     
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  10. rob.bragg

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    Le conclusioni di Broadberry e Harrison nel loro libro 'The economics of WW I'

    <<The main lesson that has emerged from our study of the world wars of the twentieth century is that peace is better than war.

    The best that can be said for World War II is that a positive spin-off was a common understanding of this lesson. Because of this, the main participants in World War II cooperated after the war to promote recovery and trade. As a result, global economic growth in the half-century after World War II was much faster than in the half-century before it. In contrast, only some of the participants in World War I came away with this understanding. Others believed that the lesson of the war was to wage war again, only better. Hence World War II. >>
     
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  11. Lirio

    Lirio

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    Lo sapevo che tu avresti trovato perfino qualcosa a conferma della mia non documentata tesi!
    Non pensavo in 10 minuti, però.
    Mi viene un dubbio, che chiedo ad altri poichè tu saresti in conflitto di interesse:
    ma siamo proprio sicuri che Rob non sia un robot?
     
  12. rob.bragg

    rob.bragg

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    non ci crederai, ma avevo quasi previsto, o sperato, una tesi come la tua ... e mi ero tenuto il colpo in canna ... :p
     
  13. Lirio

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    quale onore!:lol:

    allora, ti conio un acronimo di secondo livello:
    TSMCCC
    (TSM Con il Colpo in Canna)

    come sanno ormai alcuni, il mio sogno, un giorno, sarà parlare per acronimi, e mi sto esercitando a creare il mio linguaggio.
     
  14. GyJeX

    GyJeX

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    quando arriverà quel giorno... saremo FUBAR
     
  15. Lirio

    Lirio

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    So che non è elegante scrivere due post di seguito, ma avevo scritto un post scriptum più lungo del corpo stesso, e ho ritenuto tutto sommato ancor meno inelegante precisare quanto segue. Ad integrazione della mia tesi precedente, vi propongo una piccola considerazione, una chiosa, tentando infine di proporre alla vostra valutazione una ipotesi.

    Considerazione
    Il fatto che la guerra non sia la scelta più razionale anche per il vincitore non implica, automaticamente, che il futuro vincitore, pur sapendo di aver buone possibilità di vincerla, ma anche sapendo che sarebbe una vittoria minore della scelta ottimale, possa evitare di sceglierla. Detto banalmente, ci sono situazioni di teoria dei giochi nelle quali, realisticamente, non occorre essere in due a prendere tale scelta, cioè non sempre è necessario che entrambe le parti vogliano davvero la guerra perché questa scoppi. In un mondo perfetto, di uomini razionali, nel mondo dei modelli economici, nel mondo del GDP, delle tabelle che sopra abbiamo letto, delle scelte economiche più convenienti, dato un paniere limitato di risorse (altra ipotesi forte), la guerra non avrebbe motivo di esistere, perché a mio parere tale scelta non verrebbe mai attuata. La ragione è che la guerra non sarebbe la scelta ottimale, cioè non sarebbe la scelta di ottimo. Altre soluzioni massimizzerebbero l'utilità. Il problema, purtroppo per noi, è che il mondo non è disegnato nelle tabelle e non è uguale a quello descritto nei libri, né nei manuali di sociologia, né in quelli di matematica. Il punto di massimo delle funzione dell'utilità umana certamente non coincide con la scelta della guerra. Ma il problema è che tale punto, molto spesso, per una serie di ragioni, non è sostenibile. Esiste quindi un punto di ottimo che non coincide con il punto di sostenibilità dello stesso, perché la realtà è imperfetta. La guerra viene così scelta anche come soluzione paradossale.
    Anzi, la mia tesi è che la guerra sia sempre una scelta paradossale. A mio parere esiste infatti un paradosso su 3 livelli.

    Chiosa
    1. Quando si ragiona in termini di teoria dei giochi, ma anche in molti modelli deterministico-quantitativi, compresi quelli economici, si pretende di studiare la realtà partendo da una ipotesi forte. In molti modelli statistici, finanziari, di storia economica, si legge nelle premesse, prima di altre considerazioni (il mondo è governato da regole di norma e varianza, ecc.) la seguente ipotesi forte: gli individui sono razionali. Ora, tale ipotesi, che taluni autori considerano scarsamente realistica in situazioni di conflitti "pacifici" (uno tra tutti, il mercato borsistico), a mio parere è del tutto irrealistica nei conflitti armati, e nei comportamenti psicologici alla loro radice. Al di là delle opinioni di molte persone che ho letto in questo forum, è sufficiente leggere alcune affermazioni di Hitler, fortemente ideologiche ed aprioristiche, e vedere come queste fossero formulate (basta vedere un filmato di uno dei suoi celeberrimi discorsi) per dubitare fortemente di tale ipotesi. Della sua, e di milioni di persone che sono influenzate, nella storia, da opinioni non razionali. Dell' egregora e della simbologia come forza in grado di plasmare il pensiero delle masse molto è stato detto, tranne che ciò sia un fatto razionale.
    2. La guerra viene spesso avviata coprendola con false motivazioni, in diverse epoche storiche, anche in anni molto recenti (giuridiche, religiose, ideologiche, ecc.), al solo fine di nascondere quello che, a ben vedere, è il comune denominatore di tutte, e cioè l'accumulazione di maggior potere. Ironicamente, l'uomo non si accorge, se non in tempi recenti, e in modo ancora marginale, del fatto che tale maschera sia semplicemente ridicola, poiché serve ad ottenere ciò che si potrebbe avere, in modo più efficiente, cioè con un saldo economicamente più conveniente, non con la guerra, ma con la pace. Si mente, a mio parere, paradossalmente, per ignoranza, oltre che per ipocrisia.
    3. Non sempre nella storia tale ipocrisia e menzogna viene dichiarata, al fine di ottenere la guerra come mezzo per accumulare ricchezza, da entrambe le parti, o prevalentemente, come la storia recente ci insegna, da quella economicamente più forte, e quindi statisticamente più avvantaggiata dal calcolo della probabilità. Il terzo paradosso ci dimostra che, se esistono circostanze storiche nelle quali si sia determinato sia il primo paradosso (irrazionalità), sia il secondo paradosso (ignoranza), allora è possibile che addirittura non sia il più ricco/avvantaggiato ad invocare la guerra, ma il più povero/svantaggiato. Io definirei tale terzo paradosso il paradosso della ideologia.

    Potremmo considerare questo aspetto dietro le tavole quantitative magistralmente sottoposte alla nostra attenzione da Rob Bragg e integrate dalle considerazioni di Amadeus. Preso atto della tesi sostenuta da Rob, che io personalmente sono propenso, per quanto fin qui letto, a condividere, siamo allora in grado probabilmente di comprendere il fatto che, in termini di esperimento statistico, le cose fossero chiare, e questo spiega il come sarebbero andate le cose, in termini di probabilità.
    Se facciamo uno sforzo di analisi in più, possiamo chiederci non il come, ma il perché di una scelta apparentemente illogica.

    Ipotesi
    La proposta di ipotesi che mi sento umilmente di avanzare a questo forum, e quindi sottoporre al vostro - spero non severo - giudizio, al mero fine di stimolare a mio modesto parere il dibattito fin qui più interessante, e conoscere il vostro pensiero, è riassumibile in una sintesi che vado a proporvi (e come tutte le sintesi, giocoforza non può che perdere in analiticità, auspicando, per converso, in un recupero in quanto a chiarezza e semplicità).

    Alla vigilia della seconda guerra mondiale (caso peraltro non certo unico nella storia), si erano determinate, pur in presenza dei dati quantitativi efficacemente dimostrati e chiaramente documentati in questa sede (informazioni che non potevano non essere conosciute anche ai decisori dell'epoca, almeno in termini generali), tutte e tre le condizioni paradossali che io vedo alla base di una guerra come quella, e di molte altre.

    Vi erano le condizioni storiche per una scelta paradossalmente irrazionale, paradossalmente ignorante, paradossalmente ideologica. Il mostro tricefalo dell'irrazionalità, dell'ignoranza e dell'ideologia si era reso manifesto nello stesso momento, e aveva convinto milioni di persone della ineluttabilità di una scelta assurda, con le tragiche conseguenze che tutti, con il senno del poi, conosciamo.
     
    Ultima modifica: 30 Dicembre 2013
  16. Lirio

    Lirio

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    meraviglioso, mi son guadagnato un altro acronimo a me totalmente ignoto e bellissimo!
    risolto grazie a vikipedia, grazie GyJex.
     
  17. rob.bragg

    rob.bragg

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    Ci può essere, in via del tutto teorica, una soluzione implicita nel tuo stesso ragionamento :

    a) <<In un mondo perfetto, di uomini razionali, nel mondo dei modelli economici, nel mondo del GDP, delle tabelle che sopra abbiamo letto, delle scelte economiche più convenienti, dato un paniere limitato di risorse (altra ipotesi forte), la guerra non avrebbe motivo di esistere, perché a mio parere tale scelta non verrebbe mai attuata. La ragione è che la guerra non sarebbe la scelta ottimale, cioè non sarebbe la scelta di ottimo. Altre soluzioni massimizzerebbero l'utilità. >>

    b) <<Il problema, purtroppo per noi, è che il mondo non è disegnato nelle tabelle e non è uguale a quello descritto nei libri, né nei manuali di sociologia, né in quelli di matematica. Il punto di massimo delle funzione dell'utilità umana certamente non coincide con la scelta della guerra. Ma il problema è che tale punto, molto spesso, per una serie di ragioni, non è sostenibile. Esiste quindi un punto di ottimo che non coincide con il punto di sostenibilità dello stesso, perché la realtà è imperfetta. La guerra viene così scelta anche come soluzione paradossale.>>

    Questa, da un certo punto di vista, è una rappresentazione della teoria del 'second best' ... abbastanza plausibile per comprendere razionalmente, ammesso sia possibile, le scelte che portano a decidere per una guerra ...

    E le scelte del tipo 'second best' possono essere, consapevolmente o meno, alla base delle decisioni di tutti i 'giocatori', non solo di chi precipita il mondo in una guerra mondiale, ma anche di chi potrebbe evitarlo ... :cool:
     
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  18. Amadeus

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    Oltre al fattore, suggerito da Lirio e ripreso da Rob, del ricorso alla guerra come second best in una sorta di versione globale del "dilemma del prigioniero", penso sia anche il caso di ricondurre l'elemento guerra al più generico conflitto tra fazioni.
    Voglio dire, i cannoni danno sì una mano ma non sono necessari né per aggredire un altra nazione né per affossare il proprio stato. Forse sarò esagerato ma non mi pare che in Europa, nella situazione attuale, i popoli e le classi dirigenti stiano mostrando una lungimiranza nettamente superiore a quella mostrata nel 1914 o nel 1939 (la crisi del 2008, i suoi prodromi e le sue conseguenze ne sono un esempio da manuale).
    E a chi mi dicesse: ma adesso la Germania ha capito la lezione, risponderei: pensava di averla capita anche all'epoca di Hitler.

    In buona sostanza, la Germania nazista, proprio per stare attenta a non ricadere nei (presunti) vecchi errori ne ha commessi di nuovi.
    Il 1914 ha insegnato che non era sensato avere un piano di mobilitazione generale formato "o tutto o niente" che ti costringeva a dichiarare guerra alla Francia (e quindi invadere il Belgio e quindi fare anche la guerra contro il Regno Unito) per risolvere un "problema" con un altro singolo stato (la Russia).
    Da qui il tentativo, prima, di evitare la Guerra Mondiale inglobandosi un vicino alla volta, nella speranza di non scuotere troppo le "pavide" democrazie occidentali, poi di inventarsi una "mossa geniale" per vincere la guerra in un colpo solo (o quasi) in tutte le estati dal 1941 al 1943 (nel 1944 le mosse risolutive le hanno fatte gli altri).
    Il 1918 ha insegnato (falsamente) che si era perso per la scarsa tenuta del fronte interno (la famigerata Dolchstoßlegende). Nel 1943-45 questa fissazione ha fatto sì che si passasse ad una economia realmente convertita alla guerra totale solo quando era già troppo tardi, poi, ha fatto sì che si continuasse ottusamente ed inutilmente per quasi un anno a fare la guerra quando era già tutto finito.

    Come diceva un mio vecchio professore, gli esperimenti è sì utile farli... ma bisogna anche capirli!
     
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  19. Silvan

    Silvan

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    La contrapposizione è tra il mio insieme di valori che mi porta a valutare un fatto storico partendo dalle persone, e quello di Rob.Bragg che privileggia un'analisi dei materiali. La successiva risposta di Rob chiarisce bene il concetto.


    Come avrei capito a questo punto la contrapposizione tra culture umanistica e capitalista e tra il modo diverso di valutare la storia tra me e Rob.
    Riguardo al tuo dubbio sugli aiuti USA alla Russia nella seconda guerra mondiale sono un argomento diverso, che non riguarda il precedente cioè la valutazione di un conflitto nel suo insieme.
    Parlavo di aiuti qualitativamente rilevanti riferito proprio al tipo di prodotti inviati. Non furono solo meterie prime grezze ma anche e soprattutto macchinari, motori, apparati elettronici, chimici ecc.
    Non so se è chiaro, se invece parliamo della contrapposizione Tedeschi-Russi anche se i secondi disponevano di risorse di molto superiori hanno comunque rischiato di perdere il confronto proprio perchè nel calderone vanno messi anche quei fattori umani che i numeri dell'economia non riescono a cogliere.
     
  20. Silvan

    Silvan

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    No.
     

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