Respinto l’attacco della fanteria nemica, Vannetti ebbe finalmente modo di controllare lo schieramento della sua squadra così come il caporale Fergusson l’aveva disposta prima del suo arrivo. Decise di non avere particolari obiezioni alle scelte tattiche del suo vice, che tra l’altro lo informò che il veicolo era stato assegnato, insieme agli altri VM-Protetti del plotone, al vicecomandante Sergente Maggiore Vernazzoni, per costituire un complesso di manovra in più. Questo modo di operare era standard nel Regio Esercito, così come in molti altri eserciti per quanto riguardava l’impiego di veicoli armati a livello di plotone. L’elemento appiedato della squadra era dunque schierato tra le protezioni SALCO del settore ovest del perimetro con due fucilieri al centro, un granatiere a destra e l’operatore dell’arma automatica di squadra disposto obliquamente sulla sinistra, in maniera da prendere di infilata chiunque si avvicinasse alle posizioni a meno di 500 metri. Il Caporale Fergusson e Vannetti erano la riserva della squadra, pronti ad intervenire per sostituire qualche perdita e a contribuire con il loro fuoco. Sul fianco sinistro, duecento metri di vuoto, e poi i VM-90, tra cui anche quello della squadra, a scafo sotto alle ALCO con la mitraglia da 15 pronti a maciullare qualunque malcapitato a cui fossero venute idee brillanti in quel settore. Sulla destra erano in contatto con la 1a squadra del Sergente Acosti insiame al comando del plotone del Sottotenente Garbato, ed infine a destra della 1a squadra, la 2a agli ordini del Sergente Mainetti. Le sezioni esploratori del plotone leggero erano formate solo da sei uomini, invece dei nove di una normale squadra di fanteria: tre fucilieri (tra cui il vicecomandante), un granatiere, un operatore di arma automatica di reparto (negli elementi leggeri si usava la Breda SAW-90 da poco entrata in servizio) ed un comandante di squadra. La sezione poteva essere divisa in due separati fire team uno al comando del sergente caposquadra e l’altro del graduato vicecomandante. Alla sezione appiedata occorreva aggiungere l’equipaggio del mezzo composto da un autista ed un rallista (nei mezzi armati). Vannetti approfittò del momento di pausa per fare una rapidissima conoscenza con gli uomini che avrebbe dovuto da lì in poi comandare. Nel dipartimento assaltatori, oltre al caporale Derek Fergusson di madre scozzese, c’erano il Soldato Amadori ed il Soldato Gioffo. Il mitragliere aveva un nome illustre e si chiamava Valerio Gramsci, mentre il soldato Fanella aveva in dotazione il lanciagranate montato sotto al fucile d’assalto. Gli uomini rappresentarono a Vannetti di avere poche munizioni rimaste dopo l’assalto della fanteria nemica e che un secondo attacco li avrebbe trovati a potenza di fuoco ridotta, per la necessità di non consumare tutte quelle che gli erano rimaste, per cui senza porre tempo in mezzo Vanentti contattò il comando di plotone. “Ho già informato il comando Gazzella 3” fu la risposta laconica via radio di Garbato dalla torre di osservazione. “Ci mandano la Jeep comando a prendere le munizioni al compound. I veicoli nostri non si possono muovere dalla linea, nemmeno uno alla volta. Quando arrivano da voi, scaricate in fretta e lasciateli andare che devono rifornire di 15 millimetri anche i veicoli del plotone.” Vannetti diede il ricevuto e si predispose ad attendere, informando la squadra che le munizioni erano in arrivo. La situazione tattica pareva essersi tranquillizzata, con gli insorgenti che si erano ritirati dietro ad una altura posta a 500 metri a sud ovest dalla posizione della squadra. Cinquecento metri più a sud era visibile un altro complesso di fanteria nemica, sempre appostata sulle pendici dell’altopiano ed infine vi era un terzo gruppo, questo numerosissimo, che si era pure questo arrestato sotto il fuoco di armi pesanti proveniente dal versante nord del perimetro. Vannetti non poteva vedere chi sparava ma poteva vedere i traccianti e sentire il rumore secco di cannoni automatici, con il loro caratteristico strascichio sibilante. Vannetti si chiese chi potesse sparare con tali armi, giacché una compagnia di cavalleria non ne era provvista; nessuno l’aveva informato che il S. Giusto era stato rinforzato da un plotone di bersaglieri dell’8° reggimento. Nell’attesa dei rifornimenti, Vannetti si consultò con il suo vice. “Per il momento sembra che i beduini abbiano tirato i remi in barca sergente." fece notare Fergusson; "Ma sono sempre lì. Se rimangono in contatto vuol dire che attaccheranno di nuovo.” “Fanno sempre così?” chiese Vannetti a cui durante l’addestramento prima del rischieramento in colonia avevano spiegato che gli insorti utilizzavano tecniche da guerriglia. “Signornò. Normalmente attaccano con mortai lanciarazzi o mitraglia pesante e non appena li individuiamo si dileguano. Occasionalmente hanno anche dei cecchini.” Il caporale portò lo sguardo in basso. “Il Sergente Botta, suo predecessore è stato ammazzato proprio da un cecchino.”
Nonostante l’ora tarda, il Duce, Sua Eccellenza il Conte Galeazzo Ciano era sprofondato nella sua poltrona preferita nella sala del mappamondo, così come nonostante la sua molto avanzata età era ancora lucidissimo e per certi versi fisicamente efficiente. Il potentissimo e onnisciente capo del servizio segreto noto con la poco appariscente sigla di SIS (Servizio Informativo di Stato) era seduto di fronte a lui. Il SIS era l’apparato di informazioni che faceva capo direttamente al partito ed il suo capo era sempre un alto funzionario del partito. La politica del SIS era la risultante delle diverse correnti di un partito che aveva pochi rivali a livello di potere che deteneva nel suo paese. Forse solo il PCUS aveva come centro politico un’autorità più forte del Partito Fascista. Italia ed Unione Sovietica erano del resto le due più grandi e potenti dittature europee. Due strani regimi quelli italiano e sovietico. Il primo era riuscito a forgiare un’alleanza con la progressivissima Repubblica Federale Tedesca, mentre il secondo addirittura con uno stato agli antipodi per vedute sociali ed economiche come gli Stati Uniti d’America. Misteri della politica internazionale. “Questa informazione è affidabile?” chiese il Conte Ciano, guardando in un punto preciso in alto su una delle pareti dell’enorme enorme sala. Era seduto con le gambe accavallate nella sua uniforme bianca da cerimonia della Regia Aeronautica della quale aveva il titolo onorifico di comandante delle forze operanti. Lo sguardo all’insù che apparentemente dimostrava indifferenza per quello che il capo del SIS gli avrebbe risposto ne metteva, ancora alla sua età, in risalto la mascella decisa e la tempra inossidabile che aveva tenuto il Conte al potere per tutto quel tempo. “L’informazione è sicura Eccellenza, proviene direttamente da una intercettazione di una comunicazione tra l’ambasciata britannica a Washington a la Casa Bianca. Si tratta di una nota ufficiale al Presidente degli Stati Uniti da parte del Governo Britannico a conclusione di due anni di negoziati.” “Gli Americani hanno dunque ottenuto il ritiro della Gran Bretagna dall’Egitto.” Il Conte fece una smorfia di disgusto nei confronti dell’inettitudine del Governo Britannico. “Cosa è rimasto della vecchia Inghilterra” si chiese meditando sulle parole del suo subordinato “Da grande potenza mondiale a mendicante di affari e tecnologia degli Americani al prezzo di pezzi del suo corpo.” Come se il capo del SIS avesse letto nel pensiero del Duce, condì le sue informazioni oggettive con un contorno di valutazioni personali. “Sono diventati la prostituta d’Europa Eccellenza. Barattano il loro impero un pezzo alla volta per le garanzie americane di assistenza e cooperazione economica e militare.” Il Conte girò lentamente la testa verso il suo uomo. “Avevamo dato loro la possibilità di vivere e prosperare nella Coalizione Imperiale. A loro;. la più grande potenza imperiale del mondo. E loro cosa fanno? Decidono che non è più possibile mantenere un impero in opposizione alla bilaterale, e se lo vendono al più alto prezzo possibile. Inaudito!” concluse il Conte. “Ora per noi Eccellenza questo apre degli scenari pericolosi. Come gli Inglesi abbandoneranno il paese, gli agitatori ed i consiglieri Sovietici ed Americani arriveranno come avvoltoi e si costituiranno basi ancora più solide per alimentare la guerriglia e le attività sovversive nelle nostre colonie in Libia ed in Sudan.” Il Conte Duce del Fascismo si alzò lentamente dalla pregiata poltrona in pelle di colore scuro in perfetta armonia con il carattere scuro dell’immensa sala del mappamondo. Solo la fioca luce generata da un enorme camino nella parete ovest conferiva un minimo di luminosità alla stanza che il Duce amava in di più in assoluto e che era stata teatro di altre decisioni storiche prese da suo suocero e da lui insieme negli anni d’oro della crescita della potenza italiana. “Devo Parlare con Sua Maestà, Carlo” Il Conte diede le spalle al primo funzionario del SIS Guardando fuori dalla finestra che dava sulla splendida piazza che portava lo stesso nome del palazzo di residenza del capo del governo e Duce del Fascismo. “Nessuna azione può essere intrapresa senza il suo parere” sentenziò Ciano. “Sono d’accordo che questi sviluppi rappresentano un gran pericolo per la continuità e serenità del nostro impero, ma non vi è dubbio che qualunque tipo di reazione nostra va discussa non solo internamente ma anche con gli alleati della Coalizione.” “L’idea che ci siamo fatti presso l’ufficio, Duce, e che Voi prendiate la decisione di inserirvi in questo vuoto di potere che si verificherà temporaneamente in Egitto per prevenire Americani e Sovietici di prendere possesso con i loro subdoli mezzi di quella che possiamo oramai considerare come ex colonia britannica.” Il capo del SIS fece una breve pausa come per pesare meglio le parole. “Questa finestra di opportunità sarà breve Eccellenza. Una volta che gli avvoltoi cominceranno a mettere le mani sul paese non potremo più intervenire con azioni risolutive.” Il Duce si voltò verso il suo servitore ed assunse la sua tipica posa di quando stava per dire qualcosa che poneva termine alla discussione. “Devo conferire con sua Maestà Pernaga.” E quando il Duce chiamava i suoi subordinati per cognome era segno che aveva preso la sua decisione. “Non posso prendermi iniziative di carattere militare che rischiano di confliggere con il suo ruolo di comandante supremo delle forze armate.” Pernaga assunse un’aria di rassegnazione. “Sta bene Eccellenza. Vi terrò informato sugli sviluppi della situazione. Mi sono permesso di comunicare in via preventiva con il Generale Bardelli e di cosigliare di alzare il livello di sorveglianza alla frontiera libico egiziana.” “Avete fatto bene Carlo. Al più tardi questa settimana chiederò udienza a Sua Maestà e vi assicuro che mi presenterò ben preparato al Consiglio Reale.” “Circa l’atteggiamento di Sua Maestà” interloquì il capo del SIS, “a noi pare che in questi ultimi tempi abbia forse smarrito un po’ il quadro generale della situazione Eccellenza. Da quando si è messo in testa che preferisce pilotare aerei da caccia alle sue prerogative di sovrano, ci sembra un po' meno pronto nel cogliere al volo opportunità che di certo non si presentano due volte.” Pernaga abbassò leggermente lo sguardo, consapevole di aver toccato un tasto delicato. Il Conte Ciano si squadrò il suo potente capo del SIS con attenzione. Non condivideva necessariamente le vedute pericolose del servizio, ma prese ne prese comunque attenta nota. Il Servizio di Informazioni di Stato era il più potente apparato para politico del paese ed aveva strette relazioni con tutti i centri di potere finanziario, economico e militare non solo italiani. Il suo capo era formalmente un dipendente del governo come un altro, ma non proprio. “Vi terrò informato anch’io Carlo. Qualunque cosa venga fuori dal Consiglio di Sua Maestà, voi sarete naturalmente il primo a saperlo dopo di noi.” Ciò stabilito, il capo del SIS si congedò dal Duce. “Cogl*one capo del fascismo del mio ca*zo” pensò il potente funzionario di stato scendendo giù dall’enorme scalinata che portava ai piani inferiori dell’edificio. “Ci fosse ancora tuo suocero in sella, L’Egitto ce lo saremmo già preso da un pezzo”. Non degnò nemmeno di uno sguardo l’inserviente che gli teneva la porta della Lancia blindata che lo attendeva nel cortile insieme al treno dei veicoli speciali del IX Battaglione Arditi che tra i suoi compiti istituzionali aveva il servizio di scorta delle più importanti personalità dello stato.
Verso le 1500 la situazione si era notevolmente tranquillizzata. Sul versante ovest del perimetro di a Al Zalatan la maggior parte delle forze nemiche si erano occultate alla vista ripiegando negli anfratti dell’altopiano. Ogni tanto si udiva tiro sporadico a nord di cannoni di piccolo calibro e qualche salva dei mortai dello squadrone. Per tenere alto il morale della truppa, Il Tenente Vitale comunicò a tutte le unità che non potevano vederlo, che un plotone di bersaglieri era entrato in linea nel vertice nord ovest vicino alla torre di osservazione e che i suoi Marder stavano aprendo un fuoco efficace contro appiedati nemici in ripiegamento. “Con questo” pensò Vannetti, scrutando l’area di responsabilità della sua squadra, “Forse i beduini hanno capito che è meglio ritornare alle loro tattiche di guerriglia. Passò una buona mezzora prima che arrivasse la Jeep con le munizioni. Si fermò prima dagli esploratori di Garbato e poi presso i VM del Sergente Maggiore Varnazzoni schierati a sud. Con cura Vannetti e Fergusson scaricarono le casse di munizioni, in maniera da non distogliere nessuno degli uomini dai compiti di sorveglianza e difesa del loro settore di competenza. Poi a turno gli uomini rifornirono tutti i caricatori usati con i proiettili sfusi appena giunti, e posizionarono i nuovi nastri per la Breda. Adesso se il nemico voleva venire, che venisse pure, sbruffoneggiarono tra loro gli uomini, sperando vivamente in cuor loro che il nemico decidesse invece di non venire. Insieme alle munizioni arrivò anche il graditissimo pranzo, ancorché nettamente in ritardo per esigenze tattiche, ed i soldati se lo divorarono velocemente senza mollare la sorveglianza del settore. E gli insorgenti non ebbero nulla in contrario a permettere allo Squadrone S. Giusto di finire il suo pranzo. Mentre gli Italiani si rifocillavano, la fanteria libica si piazzava senza fretta nelle posizioni di partenza strategiche per un nuovo assalto lungo tutta la cinta perimetrale. Non meno di 350 uomini, appoggiati da mortai, cannoni senza rinculo e mitragliatici pesanti si preparavano a dare un ultimo assalto alle posizioni italiane. Era stato ordinato che i pozzi di Al Zalatan dovevano essere distrutti, e con loro le forze italiane che li difendevano, e sarebbero stati distrutti a qualunque costo. Nel tardo pomeriggio tutto era pronto per l’offensiva. Il primo allarme fu dato dal Sergente Maggiore Varnazzoni in maniera laconica attraverso la frequenza di plotone. “Uno qui Gazzella 3. I beduini vengono in cresta con armi pesanti. E’ possibile che stiano organizzando un nuovo attacco passo.” Vannetti girò il binocolo in direzione sudovest per rendersi conto di che cosa i VM stessero parlando. Non poté vedere nulla in quanto la sua visuale era coperta dalle opere difensive del perimetro. Era sicuro però che il Sottotenente potesse vedere dalla posizione sopraelevata in cui si trovava. Girando il binocolo verso nord est però, Vannetti poté osservare un mucchio di fanteria nemica che era scesa dall’altopiano e dalla collina dell’Aquila e si apprestava ad attaccare. Ringraziò Dio che a nord fosse arrivato un plotone bersaglieri, e si ritrovò a temere che anche con quello… preparò i suoi uomini a respingere un eventuale attacco da nord ovest come da sudovest, controllò che tutti avessero le munizioni pronte ed a portata di mano e si risolse a vedere quali erano le vere intenzioni del nemico. Ma non furono gli elementi esploranti appiedati ad aprire il fuoco per primi. I Libici tentarono di piazzare una mitragliatrice pesante DshK in cresta sulla pendice sud dell’altopiano e quella fu evidentemente una cattiva idea, perché furono individuati immediatamente dai rallisti dei VM protetti che scatenarono il fuoco delle 15mm sui malcapitati serventi nemici in procinto di montare le armi, che furono annientati. Sfortunatamente questa attività attirò l’attenzione dei cannoni senza rinculo nemici appostati con le tecniche a “scafo sotto” a 250 metri dalla linea di cresta in posizione defilata. Una salva di questi cannoni si abbatté sulle posizioni dei VM, come indica il diario di guerra del plotone leggero del S. Giusto, perché testimoni oculari avevano i visto prima i cannoni in fase di piazzamento e poi gli scoppi sulle posizioni dei veicoli italiani. I guai non erano finiti lì, perché vedendo che la postazione dei VM era stata colpita, la fanteria nemica, consistente in almeno una sessantina di elementi si buttò giù dalla cresta di corsa in un attacco stile Dien Bien Phu. La situazione si fece subito critica in quanto gli equipaggi dei due rimanenti veicoli erano forse ancora sotto shock per gli effetti del tiro dei cannoni nemici quando la fanteria libica si fece sotto. Probabilmente i rallisti tentarono di brandeggiare la mitragliatrici Franchi-Socimi ma il nemico arrivò prima che qualcosa di costruttivo potesse essere tentato e la posizione fu sopraffatta. I quattro Italiani che la difendevano furono tutti uccisi, incluso naturalmente il Sergente Maggiore Varnazzoni. Non si è mai scoperto se tentarono di arrendersi o meno, giacché dell’azione non esiste alcun testimone oculare o sopravvissuto. Fatto sta che i rimanenti due VM-90 protetti e relative armi furono caddero nelle mani degli insorgenti e non vi fu nessun Italiano superstite. Questo sviluppo metteva in grave crisi la difesa per tre motivi principali: • il nemico aveva fanteria all’interno del perimetro del complesso petrolifero, se non della base Istrice. • Minacciava il compound delle abitazioni dei tecnici e degli operai civili poste a 500 metri dal punto di irruzione nemica. • Il nemico aveva preso possesso di armamento pesante italiano che sarebbe adesso stato immediatamente utilizzato contro lo squadrone. Urgevano quindi misure immediate. Il walkie talkie di Vannetti cominciò a gracchiare con autorità. Il Sottotenente Garbato aveva ricevuto i suoi ordini dal comandante di compagnia. “3 qui comando. Tutto il plotone si sposta sul compound dei tecnici. Faccia guidare la sua squadra dal caporale Fergusson che sa dove andare. Il nemico è nel perimetro! Ripeto il nemico è nel perimetro! Schieratevi a sud del complesso. Avrete la 2a squadra alla vostra destra e noi in riserva con la 1a a difendere i civili e a darvi supporto. Il nemico va arrestato. Non abbiamo più notizie di Varnazzoni. Dobbiamo presumere sia morto e l’equipaggiamento catturato. Il nemico potrebbe presentarsi montato su VM pesanti. Dare ricevuta passo.” I comandanti delle due squadre diedero il ricevuto ed il Sergente Mainetti della 2a squadra fece presente che se il nemico si era impossessato dei VM blindati, le loro armi leggere avrebbero fatto fatica a fermarli. “2 qui comando. Sto vedendo se il comando di squadrone mi distacca una o due Centauro. Intanto voi eseguite movimento. Nemico va arrestato prima del compound, ripeto, nemico va arrestato prima del compound a qualunque costo, chiudo.”
Intermezzo Ansa “La super base dei sottomarini atomici lanciamissili balistici di Kismayo è in “allarme rosso” per l’arrivo la prossima settimana della Soubrette Lorella Cuccarini che terrà un grande spettacolo in onore della Regia Marina e degli equipaggi dei nostri angeli custodi della pace della classe “Grandi Italiani”. Gli Equipaggi del Benito Mussolini, Leonardo Da Vinci, Giuseppe Garibaldi, e dell'ultimo l’ultimo nato della classe, Fabrizio Quattrocchi, sono in fibrillazione nell’aspettativa di ammirare la bellissima e famosissima Lorella, che si esibirà per quattro giorni in una serie di spettacoli e coreografie per allietare i nostri militari dislocati nella remota fortezza navale somala. Per l'occasione attraccherà presso la base navale di Kismayo anche L'incrociatore nucleare da battaglia francese Richelieu, in transito dall'Indocina all'isola di Madagascar. La data dell’esibizione è stata coordinata in maniera da cadere esattamente al cambio della guardia in mare tra la coppia Quatrocchi/Garibaldi che ritornano dalla loro permanenza bimestrale in mare per essere sostituiti dal Mussolini e dal Da Vinci. Come è noto i nostri portamissili balistici sono in mare 24 ore al giorno per garantire la deterrenza nucleare in maniera continuativa. Lorella si esibirà per gli equipaggi in partenza e poi attenderà l’arrivo dei due sottomarini rientranti e del Richelieu per ripetere l’esibizione. I fortunati marinai ed aviatori di marina in servizio a terra presso la base avranno il privilegio di vedere lo spettacolo due volte. Ancora più fortunato è uno dei team della X MAS di stanza a Kismayo già in viaggio per Roma nel momento in cui scriviamo, per andare a prelevare la star alla quale assicureranno il servizio di sicurezza per tutto il tempo che la soubrette sarà fuori dal territorio metropolitano. Mario Crimi Agenzia Ansa
Nel settore nord, la fanteria libica tentò un attacco alla postazione SALCO dei mortaisti. Di questo episodio si parla nel diario di guerra del S. Giusto. “L’attacco nemico alla postazione a scafo sotto prospiciente alle protezioni SALCO si sviluppò in maniera disordinata. La fanteria semplicemente correva verso le nostre postazioni in massa, come evidentemente i consiglieri sovietici avevano addestrato gli Arabi a fare. Questa non era un’azione di guerriglia. La postazione era difesa da quattro uomini con i veicoli, di cui due alle ralle e due dietro le protezioni a sparare con i fucili, e in seconda schiera i due pezzi da 81 della sezione. Mantenemmo un fuoco metodico e disciplinato, e considerando il fatto che i VM erano armati solamente di una mitragliatrice media Breda 7,62, non ce la cavammo male. I libici arrivarono abbastanza vicini ma nella corsa verso di noi non mancarono di ostacolarsi tra di loro. L’assalto fu stroncato ad una sessantina di metri dalla postazione. Si stima che il nemico abbia perduto in quest’azione almeno una ventina di uomini. Uno dei VM è stato danneggiato dal fuoco delle armi leggere nemiche ed uno dei rallisti ha avuto una ferita superficiale.” Il terzo attacco, contemporaneo agli altri due – e di aver coordinato bene i tempi delle diverse azioni bisogna dare atto ai Libici - avvenne contro il plotone dei bersaglieri schierato a rinforzo nell’angolo nordovest della base Istrice. Qui i Marder, che combattevano da posizioni fisse ed individuate dal nemico, riuscirono a respingere la trentina di uomini che prese d’assalto i veicoli, I bersaglieri che combattevano appiedati non furono da meno. Pur avendo qualche perdita, difesero la loro posizione respingendo il nemico, e causando a loro volta perdite; Si trattò in entrambi i casi di combattimenti molto tesi dove il risultato avrebbe potuto facilmente essere rovesciato. Il bersaglieri appiedati ebbero due morti e otto feriti. Anche di questa azione una testimonianza diretta lasciata dal vicecomandante del plotone bersaglieri, Il Sergente Maggiore Salvatore Renati che si trovava al comando dei Marder. “Il nemico venne avanti con più di un centinaio di uomini; senza fuoco di copertura e senza alcuna preparazione. Noi eravamo esterrefatti: in due anni di contro guerriglia in colonia, una cosa del genere non l’avevo mai vista. Il nemico correva e sparava e devo dire che anche se il loro tiro non poteva essere preciso, la solida massa di proiettili che veniva verso di noi e che tambureggiava e rimbalzava sulla corazzatura dei veicoli ci mise addosso un certo nervosismo. Quando furono a duecento metri aprimmo il fuoco con tutte le MG-42 veicolari. Di brandeggiare con precisione i cannoni non ci fu tempo. Sempre ottime armi le MG tedesche anche ricalibrate nel 7,62 standard della Coalizione. Nonostante il nostro fuoco sostenuto, alcuni di quelli arrivarono addirittura a contatto, al punto che l’equipaggio del veicolo alla mia sinistra ebbe nemici che riuscirono ad arrampicarsi sullo scafo, dopo aver scavalcato le protezioni SALCO. Dovetti brandeggiare l’MG per sparare sul Marder del Sergente Mainetti. Alla fine dopo dieci minuti di questa follia, riuscimmo a respingere i Libici, ma l’esito fu molto incerto fino alla fine. Fu buona ventura per noi che il paio di RPG sparati dei guerriglieri esplosero contro le SALCO. Intorno alle 1600 sfumò per il plotone leggero la possibilità di ricevere alcun aiuto dalle autoblinde, in quanto il Tenente Vitale le spedì con urgenza sul versante nord del perimetro a rinforzare le posizioni dei mortaisti e dei bersaglieri sotto massima pressione. Il plotone corazzieri (Centauro) del Sottotenente Paglia si schierò subito sotto alla torre di osservazione nord a guardare entrambi i fianchi della base, in caso gli insorgenti avessero reiterato gli attacchi da quella parte. Vitale confermò a Garbato l’ordine di tenere il compound dei civili anche senza il rinforzo dei ruotati e di evacuare tali civili al più presto verso il compound Istrice. Venne anche data comunicazione alla Jeep dell’intendenza schierata all’estremo sud di guardarsi contro gli possibili attacchi dall’interno del complesso e di appoggiare nel caso la difesa dell’area interna con il fuoco. Quando i Centauro del Sottotenente Paglia arrivarono alla destinazione assegnata i bersaglieri avevano appena respinto un secondo attacco; a fatica. Quando le autoblindo arrivarono sul posto non ebbero il tempo di brandeggiare la loro artiglieria in quanto il nemico già ripiegava. Paglia lentamentemosse la sua blindo per prendere contatto con i bersaglieri, lasciando le altre due del plotone nella posizione che avevano raggiunto. Doppiata la torre di osservazione nord, gli venne alla vista il campo di battaglia. I Marder in posizione difensiva avevano gli scafi coperti di bossoli. La polvere del deserto non si era ancora posata a terra dopo l’ultimo scontro e copriva tutto e tutti, inclusi gli equipaggi che stavano tentando di fare il punto della situazione e controllare le armi. Un sottufficiale sporco ed impolverato venne fuori da uno dei mezzi e si incamminò verso il Centauro che avanzava a lenta ruota, con il cannone depresso e non meno sozzo ed impolverato dei Marder. Avanzando, il sottufficiale dei bersalgieri si sistemò il fucile d’assalto che gli penzolava verticale sul torace e l’elmetto piumato bene in testa. “Sergente Renati Signore 8° Bersaglieri.” Il sergente fece un impeccabile saluto militare arrivato a ridosso del Centauro che nel vederlo arrivare nel frattempo si era arrestato nel polverone causato dalla battaglia, scricchiolando sassi e sterpi sotto gli enormi pneumatici . Il sergente aveva capito di trovarsi di fronte ad un comandante di plotone date le antenne dell’autoblinda che si avvicinava. “Tenente Paglia. Pare che siamo arrivati tardi per darvi una mano.” scherzò paglia appoggiato alla Breda AA dell’autoblinda. “Il nemico lo abbiamo contenuto signor tenente, ma roba del genere io non ne ho mai vista, pensavo che fosse finita con la grande guerra. Le sue blindo rimangono qui?” “Fino a nuovo ordine sergente. Nel frattempo consiglio di sistemare meglio i mezzi per una futura difesa” disse Paglia vedendo i Marder parecchio disorganizzati e con i cannoni brandeggiati a caz*o in direzioni diverse. “Dov’è il vostro comandante?” “Ce l’ha di fronte signor tenente. Il sottotenente Biglia è a sud con i gli appiedati e mi ha lasciato il comando qui. Desidera conferire con lui?” “Non sarà necessario sergente, sono sicuro che lei sta facendo un buon lavoro qui. Il mio reparto è dall’altro lato della torre di osservazione, e se i beduini tornano, stia pur certo che sentiranno anche noi.” "Molto bene signor tenente, riferirò al mio comandante.” Dopo lo scambio regolamentare di saluto militare, Paglia girò il mezzo per tornare al suo plotone. Non appena rientrato però il Sottotenente Paglia ai avvide che in realtà la fanteria nemica veniva di nuovo, questa volta sia da nord che da nord est. Dopo aver imprecato le bestemmie di rito in stretto idioma bresciano, si fece due rapidi conti: Vitale gli aveva ordinato di appoggiare la difesa nella parte nord del perimetro, ma come da procedure operative standard lui aveva la massima libertà su come svolgere questo compito. Calcolò quindi che stando fermo dove si trovava avrebbe dovuto sostenere un attacco su due fronti e dividere le sue forze un una difesa statica. Ma Paglia non aveva nessuna intenzione di concedere al nemico tale vantaggio, e quindi mise mano alla radio, già regolata dal suo caricatore sulla frequenza di plotone: “Pantere qui è uno: carichiamo la roba che viene da est con un ampia conversione per il loro fianco destro. Tutti uniti andiamo all’attacco del primo complesso, lo distruggiamo e poi ci portiamo di nuovo in posizione per fronteggiare l’attacco da nord. Date conferma che gli ordini sono chiari, passo.” Tutti risposero affermativamente e come un sol mezzo, il 7° plotone pesante dello squadrone S. Giusto si mosse dapprima su una rotta mediana rispetto ai due complessi nemici, in maniera da mantenere i Libici nell’incertezza sulla natura della manovra del 7°, e poi giunto sulla congiungente dei due reparti nemici, Paglia ordinò la secca conversione a destra ed il plotone piombò sul fianco del complesso nemico est vomitando fuoco in movimento dai 105 e dalle Breda. Il primo plotone che Paglia si trovò di fronte fu polverizzato dalla carica della cavalleria pesante del S. Giusto. Coraggiosamente i Libici misero in posizione le loro Dushkas e contrattaccarono con il plotone che gli era rimasto a colpi di RPG e bestemmie in Arabo. Abilmente ed anche con un po' di cu*o coi dadi, che non guasta mai, Paglia manovrò il suo plotone in maniera da non farsi agganciare e con il fuoco soppresse l’attacco avversario costringendo il nemico a buttarsi a terra. Nella furia dello scontro e nel turbine di sabbia sollevato da esso, il sottotenente ricevette improvvisamente una concitata comunicazione radio dal suo Centauro all’estrema destra della linea del plotone: “Uno qui Tre, il nemico è a ridosso del perimetro a nord passo. Ripeto il nemico è alla torre di osservazione nord.” L’altro complesso di fanteria si era mosso più rapidamente di quanto Paglia avesse previsto. Dalla sua posizione non poteva vedere, ma comunque commutò istantaneamente sulla frequenza di compagnia. “Martello qui Pantera; attenzione, il nemico è alla torre di osservazione, potreste vedervelo apparire sulla sinistra. Tenete duro. Noi stiamo galoppando verso la vostra posizione, passo.” “Grazie dell’avvertimento Pantera, vedete di muovere il cu*o al più presto, che a sparare ad alzo zero con i mortai non siamo allenati, chiudo.” “Il solito finto duro basta*do” pensò Paglia del suo parigrado mortaista Fiore e vide come risolversi a liquidare il nemico che aveva di fronte abbastanza in fretta da poter ritornare presto al perimetro. A sud la situazione era come a nord ancora incerta. Gli insorgenti erano riusciti a penetrare nel perimetro, ma Garbato aveva già evacuato i civili in direzione del compound della base Istrice. Leggiamo il diario del 8° plotone leggero: “Il nemico tentò di far passare sopra alle SALCO i due VM che aveva catturato, ma rimasero bloccati a ruota per aria. Vennero quindi avanti con la fanteria, e noi aprimmo il fuoco con tutte le armi – nel frattempo ci eravamo riuniti ai nostri VM con le Franchi-Socimi – ed il nemico fu inchiodato a terra, seppur all’intero del perimetro. Quando credevamo di avere la situazione in nostro favore, il Sergente Vannetti con il walkie diede l’allarme che i Libici stavano mettendo in batteria cannoni senza rinculo sul nostro fianco destro a ridosso delle SALCO.”
La successiva ora di combattimenti portò buone e cattive notizie allo stesso tempo sulle frequenze di compagnia. Quelle buone furono che il plotone corazzieri (Centauro) continuava ad imperversare dietro alle linee nemiche a nord. Le autoblinde di Paglia avevano fatto fronte a nord, per poi virare di 180 gradi a cadere sulle terga della compagnia di fanteria nemica settentrionale; ciò non prima di aver messo a tacere le Dushka del complesso di fanteria nemica ad est. Con questo il complesso libico est era praticamente annientato, e il 7° plotone pesante volgeva l’attenzione a nord. La manovra era certamente arrischiata perché Paglia era adesso quasi totalmente tagliato fuori da ogni linea di comunicazione con lo squadrone. Rimaneva un piccolo pertugio per rientrare senza combattere. Ma Paglia già aveva messo in conto, nel caso, di ritornare combattendo, se la fortuna continuava ad assisterlo tra RPG e fuoco di armi leggere. Non così rosea la situazione a sud, dove operava il plotone esplorante leggero del Sottotenente Garbato. Asserragliato nel compound del complesso dell’Agip, il plotone veniva a trovarsi sotto attacco di fronte da parte di copiosa fanteria nemica e dal lato destro era sottoposto a pesante fuoco di armi pesanti che coprivano l’attacco dei guerriglieri. La squadra di Vannetti in particolare si trovò a subire il fuoco di cannoni nemici RC e comunicò di avere già alcuni feriti da schegge. A questo punto Garbato prese la decisione di ripiegare le sue squadre leggerine (6 uomini) ed i tre veicoli all’interno del perimetro di Istrice abbandonando il complesso petrolifero. Questo da una parte metteva momentaneamente in salvo i suoi uomini dal pesante fuoco nemico, ma dall’altro in primo luogo consegnava il complesso di Al Zalatan nelle mani degli insorgenti ed in secondo luogo tagliava fuori la Campagnola dell’Eroica Intendenza che ancora presidiava, ligia agli ordini, la porzione sud del perimetro dell’impianto. Quando ripiegando il plotone leggero venne in contatto con il comando di compagnia, dislocato presso la carraia, il Tenente Vitale fu molto sorpreso del fatto che il Sottotenente Garbato non avesse eseguito gli ordini. Dal diario del Tenente risulta che egli si giustificò adducendo il fatto che i civili erano oramai stati evacuati e lui riteneva che a questo punto l’ordine di tenere il compound a qualunque prezzo fosse automaticamente decaduto. Sempre dallo stesso documento risulta che il Tenente Vitale non fu per nulla d’accordo con questa interpretazione. A questo punto Vitale ordinò perentoriamente al Sottotenente Garbato di prendere posizione alla destra della carraia e che questa posizione andava tenuta ad oltranza e ad ogni prezzo, in quanto se fosse stata perduta sarebbe stato interdetto l’accesso alla base a tutti i veicoli, incluse la possibilità per la Jeep dell’intendenza di evitare l’accerchiamento e del plotone di Centauro di avere libertà di manovra fuori e dentro il perimetro per dare rinforzo là dove necessario. Il Sottotenente Garbato con questo ordine non aveva più margine di manovra, ma per lo meno pensò in cuor suo, si era sottratto al fuoco micidiale dei cannoni senza rinculo che minacciavano di macellare i suoi veicoli ed i suoi uomini. Al calar del sole, la battaglia pareva ancora tutto meno che risolta, mentre invece il nemico era al limite delle sue possibilità all’insaputa degli Italiani. Paglia, imperversando ancora sul versante nord del perimetro con le sue autoblinde, decideva che forse era opportuno fare rapporto al comando di squadrone e dopo aver caricato e disperso un altro plotone di fanteria nemica, scoragguandone l’attacco contro le posizioni dei mortai, si attaccava alla radio per dare e ricevere lumi. Il Tenente Vitale in linea di massima approvava la linea di condotta del subordinato, specificandogli però che era tempo di tornare presso la carraia dove un gruppo di insorgenti minacciava di sopraffare il plotone leggero, di tagliare fuori un reparto dell’intendenza rimasto isolato a sud e di fare irruzione nel perimetro della base Istrice vera e propria. Vitale raccomandava al Sottotenente Paglia in primo luogo di agire con rapidità, ed in secondo luogo di non farsi ammazzare, visto che stante la situazione come stava, lui rappresentava l’unica forza ancora in grado di manovrare con una certa libertà e l’unica con cui lui avrebbe ancora potuto influenzare il combattimento. Le direttive date a Paglia comprendevano di irrompere da est a ovest presso la carraia ad attaccare sul fianco la fanteria nemica che era penetrata all’interno del complesso. Da ultimo Vitale raccomandava particolare attenzione alla segnalazione di un certo numero di cannoni senza rinculo presenti nell’area che potevano essere assai dannosi per autoblinde disattente, oltre alla normale panoplia di RPG ed LMG. Paglia diede il ricevuto e si accinse a riprendere alla mano il plotone per eseguire gli ordini ricevuti. Unica preoccupazione del sottotenente dei blindati era che il giro esterno che avrebbe dovuto fare comportava un viaggetto di una decina di chilometri; si trattava di portarsi praticamente sul versante opposto del complesso su un terreno particolarmente accidentato. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo durante il quale il plotone leggero doveva durare. Non fu l’attacco del centinaio di insorgenti provenienti dal compound del complesso petrolifero che misero in difficoltà la difesa del plotone leggero, abbarbicato alle protezioni SALCO che facevano da pilastro destro della carraia, bensì quello sferrato da un secondo plotone fanteria nemica, che prese il reparto alle spalle, tentando di penetrare sul versante ovest, dove agivano i bersaglieri. L’allarme venne dalla 3a squadra. Il Sergente Vannetti, a sua volta avvertito dal granatiere Fenella ebbe la prontezza di avvertire il comando del plotone via walkie. Ordinò immediatamente a Gioffo ed Amadori di fare fronte verso la nuova minaccia, mentre volavano proiettili che si conficcavano con sibilo soffuso nelle protezioni SALCO riempite di sassi e sabbia, e razzi RPG sopra le loro teste. La prima e la seconda squadra erano impegnate a respingere l’assalto fronte portato dal gruppo principale di insorgenti, il cui obiettivo era e rimaneva quello di fare irruzione nella base Istrice, prendendo possesso dell’entrata principale e chiudendo l’intero squadrone in trappola. Occorre dire che i Libici arrivarono ad un passo dal farlo. Le tre squadre italiane, appoggiate dalle HMG, e schierate ai due angoli della struttura protetta vomitarano un fuoco infernale, che inflisse un sacco di perdite all’attacco principale, ed impedì per il momento l’infiltrazione da tergo. Il plotone leggero si conformò quindi bene agli ordini del Tenente vitale di arrestare il nemico sul posto senza concedere ulteriore terreno. Nel frattempo a sud la jeep dell’intendenza che aveva ricevuto ordine di abbandonare la sua postazione di vedetta per riportarsi dentro la base presso la carraia era riuscita dopo innumerevoli sforzi a passare attraverso il punto di giunzione di due moduli Salco ed a guadagnare il terreno aperto. Con la Breda che copriva le ore 6 del veicolo, l’eroico equipaggio dell’Eroica si apprestava a tagliare la corda, evitando di essere preso in trappola come un sorcio. Un’altra buona notizia proveniva dal versante nordovest, dove i bersaglieri comunicavano che fanteria nemica si era portata a ridosso delle sue postazioni difensive senza aver avuto però la forza di portare avanti l’attacco una volta giunta in posizione. Questo faceva ben sperare che il nemico fosse oramai al culmine della sua capacità offensiva. Il Tenente Vitale fece un rapido bilancio dell’ultima ora di operazioni e concluse che forse ce l’avrebbe fatta a fermare il nemico ed a mantenere intatto l’onore suo e quello dello squadrone. Per precauzione comunque si riguardòancora una volta i codici radio per l’eventuale situazione “GLADIUM” che comunicava al comando centrale che una unità da combattimento italiana stava per essere distrutta in campo aperto da un dispositivo di insorgenti. In un caso del genere, tutti gli assetti ad ala fissa e rotante a disposizione in colonia sarebbero intervenuti con sortite CAS immediate per salvare la situazione. Fortunatamente i codici radio d’emergenza erano mantenuti in duplice copia. Una era andata perduta con la distruzione della squadra comando, e l’altra a disposizione sul veicolo comando che era quella che lui stava adesso consultando. Naturalmente una chiamata del genere poteva condizionare un’intera carriera se fatta a sproposito, come d’altra parte la sua omissione o il suo ritardo potevano condannare l’intero squadrone alla distruzione e il Regio Esercito ad una sconfitta tattica e soprattutto di enorme valore strategico politico e propagandisticoper gli insorgenti. Tutto ciò pensato e predisposto, Vitale si attaccò alla radio sulla frequenza di compagnia per allertare il plotone mortai. “Martello qui è Arpione. Mantenete le posizioni difensive fino a nuovo ordine. Io mi porto al contrattacco dei reparti nemici che hanno tentato di fare irruzione a ovest e perderemo momentaneamente il contatto. Mantenete le posizioni e difendetele ad ogni costo fino al mio ritorno in posizione passo.” “Ricevuto Arpione, manteniamo le attuali posizioni fino a nuovo ordine. Tornate presto passo.” “Prima possibile Martello. Dovreste vedere sfilare tra breve Pantera da nord a sud mi raccomando il fuoco amico chiudo.” concluse il comandante dello squadrone. In quella situazione, con il calare del buio e la tempesta di polvere sollevata dai combattimenti e dai movimenti era facilissimo che ci si cominciasse a sparare a vicenda. In questa vena, il Tenente Vitale si premurò di informare anche il plotone leggero del movimento che stava per compiere. “Gazzella qui Arpione, muoviamo verso di voi con l’intenzione di occupare la posizione immediatamente a nord di dove vi trovate. Avanziamo verso di voi con i fari accesi. Dovremmo comparire sul vostro settore di destra o di centro, date ricevuta passo.” “Avanti Arpione; Gazzella sulla frequenza. Notato e copiato attendiamo vostro posizionamento. Fate attenzione; il nemico è subito a ridosso della cintura perimetrale ed è armato di RPG, passo.” “Notato e copiato Gazzella, l’obiettivo è di contenere il nemico e possibilmente di ricacciarlo. Arriviamo con una mezza squadra ed un arma di reparto; chiudo.” Nonostante l’affanno, la determinazione e lo zelo del comando di squadrone, si appurò dopo breve tempo e lunga azione che era cominciata nella tarda mattinata, che non fu necessario combattere oltre. Quando la Jeep comando arrivò a destinazione il nemico non c’era più e quasi contemporaneamente a questa scoperta, Vitale cominciò a ricevere rapporti che indicavano che in tutti i settori il nemico ripiegava con il favore dell’incombente oscurità. Forse era la volta buona che mollava davvero l’osso. “Arpione a tutti, accertarsi e confermare movimenti di sganciamento del nemico, dare conferma in ordine di realizzazione e prepararsi per la vigilanza notturna. Se sopravviviamo a questa notte, domani ci aspetta un lungo debriefing. Se è confermato che il nemico ripiega, congratulazioni e complimenti a tutti quanti. Qui è Arpione chiudo.”
La base della Regia Aeronautica di Brindisi Omega 17 non era una base aerea ordinaria. Essa era stata allestita e modificata per ospitare un comando di gruppo del tutto particolare; quello di Sua Maestà Imperiale Aimone di Savoia Aosta, ventisei anni, comandante supremo delle forze armate italiane e comandante tattico del IX Gruppo CIO (Caccia Intercettori Ogni tempo) che portava il suo nome: il IX Gruppo caccia Aimone Aosta Montato sul caccia di prima linea Fiat G-98, il reparto era responsabile della difesa aerea del Mediterraneo Centrale, dell’Adriatico e dell’Italia Meridionale. La base ospitava anche la 118a squadriglia ALRD (Allarme Lontano Radiolocalizzazione) dotata di Caproni Ca.510 trimotori a reazione e della 17a sezione separata trasporto VIP dotata di Caproni Ca.509 Le misure di sicurezza intorno ed all'interno alla base erano ovviamente imponenti. Queste erano garantite da un intero battaglione di avieri in luogo della ordinaria compagnia, con l'aggiunta di un plotone di Distruttori della Regia Aeronautica che si alternava al servizio di sicurezza personale di Sua Maestà. Questa pratica per così dire anomala di avere il comandante supremo di tutte le forze militari della nazione che reggeva anche il comando di un singolo reparto, comportava delle conseguenze altrettanto anomale. In primo luogo Sua Maestà andava in volo spesso con le sue squadriglie e prendeva parte alle missioni ordinarie ed operative del gruppo che pianificava personalmente con i suoi ufficiali. In secondo luogo chi volesse avere udienza con lui avrebbe dovuto andare a Brindisi e questo era il caso del Conte Ciano, dei comandanti delle tre forze armate italiane e del consigliere particolare del Re che tutti insieme atterrarono con diversi aerei per un’importante Consiglio di Stato. Sua Maestà era un Sovrano atipico ed atipica era l’organizzazione che aveva dato allo stato. In questo spesso toccava, quando addirittura non superava, i limiti imposti dalla costituzione che il suo lontano predecessore Carlo Alberto aveva concesso al paese più di un secolo prima e che suo nonno e suo padre prima e lui dopo avevano modificato negli anni a colpi di emendamenti consuetudinari da quando la monarchia italiana era passata sotto il dominio del ramo d’Aosta. Ciò che aveva reso possibili queste modifiche era essenzialmente la venerazione che il popolo italiano aveva per i suoi ultimi tre sovrani, che mettevano Aimone in una posizione fortissima nei confronti del governo fascista, al punto che si parlava negli ambienti politici di diarchia, dove il potere legislativo era diviso tra Monarchia e Gran Consiglio del Fascismo. Questo valeva soprattutto nel campo della politica estera, dove il Re voleva mantenere un ruolo se non di predominanza come sarebbe piaciuto a lui, almeno di assoluta indispensabilità. In altre parole non si muoveva foglia nella politica estera del paese senza il consenso del Re. In politica interna poi la Casa Reale aveva negli anni assunto un ruolo moderatore delle tendenze estremiste del Partito Fascista, ne aveva modernizzato obiettivi ed indirizzo politico di lungo termine e stemperati gli eccessi che avevano portato il partito al potere nel 1922 a seguito dei disastri coloniali che avevano provocato la caduta della precedente forma di stato a base liberale e pluralista, anche di fronte al pericolo che il paese finisse nelle mani delle bande comuniste ben istruite e prezzolate da Mosca. Si poteva dire quindi che all’inizio degli anni 90 del ventesimo secolo, l’Italia fosse certamente uno stato autocratico, ma dove la conduzione illuminata della casa regnante garantisse ad esmpio un elevatissimo livello di libertà economica come in pochi paesi esisteva. Qui la monarchia, con l’aiuto dell’alta classe industriale e finanziaria più intellettualmente avanzata, aveva essenzialmente rivoltato il fascismo come un calzino da struttura corporativa che era inizialmente a sovrastruttura politica che non interveniva nell’economia del paese, al punto che quando nel 1935 ci fu il grande crack della Banca Popolare di Milano, il nonno di Aimone aveva rischiato coraggiosamente la corona mettendosi di traverso ai tentativi dei banchieri italiani e stranieri di costringere lo stato ad intervenire per salvare l’importante istituto di credito. Da quell’episodio traumatico la finanza italiana e pure quella internazionale capirono che con la casa Savoia Aosta non si scherzava. Lo stato intervenne a coprire i conti correnti, gestì la conseguente fiammata inflazionistica nel miglior modo possibile, guadagnandosi la venerazione ed il rispetto del popolo. Azionisti ed avvoltoi furono invece lasciati andare in malora e rimasero in maniche di camicia molto corte. Di questo l’oligarchia finanziaria internazionale non perdonò mai Casa Aosta, anche perché il modo di agire della famiglia avrebbe potuto portare altre leadership politiche sulla stessa strada. Nel corso degli anni monarchia e partito presero le loro contromisure nei confronti del tentativo di marginalizzazione che l’Italia ebbe a subire in conseguenza dei fatti del Banco Popolare. Innanzi tutto la politica liberista del partito e della corona provocarono un’esplosione della ricerca tecnologica e scientifica. Con la privatizzazione delle più importanti università e delle imprese di stato, l’Italia assunse un ruolo guida nella ricerca in molti campi, il che a sua volta favorì lo sviluppo anche in settori chiave come l’energia, la produzione bellica, l’energia atomica e l’industria medica. In Italia nel 1974 venne eseguito il primo trapianto di cuore con il paziente che sopravvisse per ben due anni dopo l’intervento. I reattori nucleari per applicazioni civili e militari rivaleggiavano con quelli di tutte le altre potenze mondiali ed il paese era il terzo esportatore mondiale di petrolio, sia pure molto distanziato dopo colossi quali la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Fiorentissime poi l'industria leggera e media, come il lusso, l'industria automobilistica e quella di alta precisione. Altre industrie leggere come quella alimentare e della moda erano poi tra le più sviluppate al mondo e tra le più competitive. Forte l'agricoltura, unico settore aiutato dallo stato per contrastare lo strapotere del settore secondario e terziario. In quel di Brindisi il Consiglio Reale di Stato si riuniva per discutere della delicata situazione strategica che stava per venire a crearsi nel Regno d’Egitto con il passo che la Gran Bretagna stava per intraprendere di concedere la piena indipendenza a questo paese. Per l’Italia questo comportava due importanti conseguenze: la situazione del Canale di Suez e la situazione strategica generale nel Nord Africa. Erano presenti Sua Maestà Imperiale Aimone di Savoia Aosta. Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio Conte Galeazzo Ciano. Il Consigliere Particolare del Re l’eccellenza Cavaliere dello Stato Dottor Lucio Valdagnini. Il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, Generale d’Armata Fulvio Crai. Il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica Generale d’Armata Aerea Mario Grandoni. Il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, Ammiraglio di Squadra Francesco Bellinzoni Brat.
Prima di esaminare le risultanze del Consiglio di Stato di cui abbiamo detto sopra, è opportuno accennare rapidamente a qual' era lo stato delle relazioni internazionali ed in particolare la situazione nel Mediterraneo. La Grande guerra del 46 si era, è vero, conclusa senza capitolazioni o modifiche dell’ordine costituito dalle potenze imperiali in più di un secolo di storia, ma se la Triplice Alleanza Coloniale era uscita non troppo male dalla guerra, la potenza partner di quest’alleanza ne era uscita assai provata. Ci riferiamo ovviamente alla Gran Bretagna, che dal confronto navale contro la US Navy durato quattro lunghi anni sui principali oceani del globo ne era uscita mezza devastata e le sue finanze in dissesto. E’ vero che le marine italiana, tedesca e francese avevano fatto la loro parte al fianco della ex super Royal Navy, ma le potenze della Triplice si erano più che altro concentrate a terra contro l’altro grande obiettore all’ordine coloniale costituito; l’Unione Sovietica. La Bundeswehr coadiuvata dai corpi di spedizione italiano CSIR e francese ATR (Armée de Terre en Russie) era riuscita a contenere le offensive a massa sovietiche fino ad indurre la potenza dell’est a mollare l’osso, alla fine anche minacciata da una possibile manovra sul fianco da parte dell’Impero Austroungarico che non aveva colonie extraeuropee, ma non vedeva di buon occhio né i dissoluti Americani né i demoni bolscevichi. Non aspettava altro Francesco X che vedere l’Armata Rossa indebolita, per abbandonare la neutralità ed entrare in guerra. Il tutto era stato prevenuto nel 49 con la fine delle ostilità, relativo trattato di pace e l’implicita ammissione della Bilaterale di aver mancato gli obiettivi immediati. Nonostante ciò, ed è la tesi di molti storici di vertice, si può affermare che la Grande Guerra sia stata alla fine comunque un successo strategico a lungo termine per la Bilaterale, in quanto la Gran Bretagna seriamente indebolita avrebbe fatto da catalizzatore al processo di decolonizzazione prima suo e poi delle potenze della Triplice. Queste nefaste previsioni avevano cominciato a trovare riscontro negli anni 60 quando l’Inghilterra aveva dovuto mollare l’India per pure e semplici ragioni di finanze dello stato. L’ex isola sul cui impero non tramontava mai il sole, era stanca di accettare prestiti dalle potenze della Triplice per tenere in piedi il suo troppo esteso impero e decise che una ritirata per accorciare il fronte era di rigore. L’india ottenne quindi l’indipendenza nel 1964 per finire quasi immediatamente sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Il secondo pezzo di impero inglese a sgretolarsi fu quello caraibico, che prontamente finì sotto il protettorato dei colossi economici statunitensi. Ciò avvenne alla metà degli anni 80. Adesso meno di dieci anni dopo il cancro si espandeva sulle sponde africane, ma qui c’era una differenza. L’Africa era dominio assoluto di tutte le potenze della Triplice e Germania Italia e Francia non avrebbero permesso al marciume Russo-Americano di attecchire anche lì con la loro muffa, a costo di scatenare una seconda guerra mondiale. Su questo le tre potenze dello status quo erano tutte d’accordo: non un passo indietro in Africa o in altre aree dove erano presenti gli interessi di tutti e tre gli stati. Prima di giungere al Consiglio di Stato e senza informare il Conte Ciano, Aimone di Savoia Aosta aveva dato ordine alle ambasciate italiane a Berlino e a Parigi di sondare quei governi sulle loro sensazioni circa quello che stava per accadere in Egitto e cioè l’abbandono di quella strategica colonia da parte della Gran Bretagna. Il Re normalmente molto esplicito e diretto nel suo stile diplomatico aveva dato istruzioni ai plenipotenziari di informare le cancellerie alleate che naturalmente l’Italia si aspettava di avere luce verde dagli allerti per poter difendere i propri interessi in particolar modo riguardo alla situazione del Canale di Suez, che teneva l’Italia e solo l’Italia in catene nel Mar Mediterraneo. Porre veti o riserve a questo diritto italiano sarebbe stato come impedire alla Germania di difendere i propri interessi negli stretti di Danimarca, E parve ad un primo approccio che sia l’Eliseo che la Cancelliera Labero non avessero nulla in contrario a che L’Italia si sentisse libera di difendere i propri interessi nel Mediterraneo, giacché la valenza strategica in quel mare era scarsa per i Francesi e nulla per i Tedeschi. Avevano però i due governi ricordato ai rispettivi ambasciatori italiani che la Triplice era un’alleanza strettamente difensiva che non rispondeva nel caso in cui un suo membro fosse stato l'aggressore, e consigliavano dunque prudenza nei confronti della situazione nel Mediterraneo. Aimone prese queste dichiarazioni come semplice fumo negli occhi. Avrebbe voluto vedere gli altri membri della Triplice lasciare andare in malora l'Italia con conseguente cambiamento dell'equilibrio militare mondiale, senza battere ciglio. Tutto ciò detto occorre che il lettore sia anche sommariamente edotto sulla situazione Strategica del Mediterraneo. Le basi navali in questo bacino erano esclusivamente italiane, francesi, ed inglesi, quando escludiamo quelle degli stati rivieraschi non allineati ovvero Grecia, Impero Ottomano e Spagna. C’era poi l’Impero Austroungarico che non aveva basi nel Mediterraneo ma ci poteva arrivare tramite quelle in Adriatico. L’impero Ottomano aveva anche basi in Adriatico nella regione albanese. Ora di tutti questi non allineati, la Grecia lo era solo parzialmente in quanto aveva un accordo con gli Stati Uniti relativo alla concessione delle sue basi aeree e navali nell'Egeo in caso di conflitto che minacciasse la sovranità e l’integrità territoriale greca. La flotta americana non era presente in Mediterraneo. Uno dei punti del trattato di pace del 50 era proprio che quel mare fosse tenuto sgombro da forze americane, ma in caso di conflitto naturalmente il trattato di pace non contava. Di fronte all’indebolimento della Royal Navy e, secondo alcuni servizi segreti bene informati, alla mancanza di volontà della Gran Bretagna di essere coinvolta in un’altra guerra con gli Stati Uniti, il compito di bloccare l’Atlantico era passato alla Marine Nationale ed alla Regia Marina. A tale uopo la Francia aveva messo a disposizione la base navale di Bordeaux, dove operavano i sottomarini d’attacco nucleari Roma e Littorio ed i germanici convenzionali U-13 e U-15. A questo si aggiungeva la flotta francese dell’Atlantico e si sperava che tutto ciò avesse controbilanciato l’influenza preponderante della US Navy, che era comunque di gran lunga la più potente marina da guerra del mondo, e che si era prontamente ripresa dalle batoste subite nella grande guerra, quado si combatteva ancora col cannone e col siluro. Infatti. A differenza della Gran Bretagna gli Stati Uniti erano usciti dalla guerra finanziariamente solidi e non ci avevano messo molto a ricostituire e migliorare le loro forze navali. Forte della luce verde data dagli alleati, il Re aveva dunque aderito alla linea dura dello stato maggiore delle tre armi volta ad un’azione di sorpresa quando l’Inghilterra avesse abbandonato l’Egitto. Si era calcolato che anche se l’Inghilterra fosse tornata sui suoi passi e risposto militarmente all’azione italiana, il conflitto sarebbe stato circoscritto e gestibile, ed in caso di insuccesso militare l’Italia avrebbe sempre potuto dire che era disposta a ritirare le sue truppe se l’Inghilterra avesse ripreso possesso almeno del Canale di Suez, e che l’azione militare italiana non era rivolta contro l’Inghilterra ma solo a difendere un interesse vitale dell’Italia. Roma si sarebbe offerta in questo caso anche di appoggiare militarmente Londra nel controllo del Mediterraneo Orientale ivi incluso ovviamente l’Egitto ed avrebbe così disinnescato ogni possibile allargamento del conflitto. Se invece le cose fossero andate bene, l’Inghilterra avrebbe peso l’Egitto comunque ma l’Italia si sarebbe inserita nel vuoto di potere e avrebbe messo di fronte al fatto compiuto le potenze della Bilaterale e quelle neutrali. Quindi non molto da perdere in nessun caso e rischi accettabili. La posta in palio per l'Italia era di valore inestimabile: finalmente l'accesso autonomo a tutti i mari del mondo ed il potenziale geostrategico per diventare una vera superpotenza globale. Le forze a disposizione per l’operazione erano a grandi linee le seguenti (soggette a modificazioni) Regio Esercito Comando supremo e supporti d’armata da definire Due Comandi di Corpo d’Armata e supporti da definire Brigata Bersaglieri Garibaldi, dalla Libia come forza sussidiaria. Forza da sbarco mista RE RM comprendente i battaglioni S.Marco e Sile Brigata Paracadutisti Folgore Brigata di Fanteria Motorizzata Savona Brigata di Fanteria Motorizzata Firenze Brigata Meccanizzata Trento Brigata Meccanizzata Trieste Regia Marina Incrociatore Nucleare da Battaglia Pola Cacciatorpediniere Lanciamissili Da Giussano Fregata Lanciamissili Maestrale Fregata Lanciamissili Aliseo Fregata Lanciamissili Lupo Navi da trasporto e logistiche per il corpo di spedizione Regia Aeronautica da trasferire in volo appena conquistate le basi di El-Arab e Damietta 51° Gruppo bombardieri leggeri Macchi-210 Ghibli IX Gruppo caccia ognitempo Fiat G-98 Aimone di Savoia Aosta 10a Squadriglia ALRD Caproni Ca. 509 Servizi vari
Grazie per il Pola, non gli far fare una brutta file, altrimenti te la vedi con il suo erede spirituale. Guarda la mia firma
Alle ore 0400 di ogni giorno La Sua Maestà Imperiale era già in piedi, essendo una persona che andava a dormire presto e con sei ore di sonno era più che soddisfatto. Prima di recarsi a consumare la colazione presso la mensa della base, aveva quindi il tempo di farsi un caffè e di scaldarsi una tazza di latte al microonde in camera sua. Ci metteva dentro il caffè e faceva la sua pre-colazione leggendo tutti i principali titoli dei quotidiani italiani che un inserviente gli aveva messo sul tavolo in anteprima assoluta. Poi passava ai principali quotidiani stranieri di uno o due giorni prima. Finita la pre-colazione e la scorsa alle notizie, era la volta della la palestra e della corsa mattutina di 5 chilometri. Poi ritorno alla base, doccia, vestizione per la giornata con l’aiuto dell’attendente e seconda capata alla mensa per fare colazione con i suoi ufficiali. Si discuteva quindi della missione mattutina, già programmata ed esaminata la sera prima e poi si volava. Questa routine Aimone la teneva tutti i giorni dal lunedì alla domenica a meno che non avesse altri impegni di stato, nel qual caso lasciava il comando del gruppo al Maggiore Filzi e se ne andava dove doveva andare, utilizzando a tale scopo la 17a sezione separata trasporto VIP dotata dei trimotori Caproni Ca.510. Visto che Sua Maestà non andava mai in licenza, una mattina un giovane tenente gli aveva chiesto se lui andasse mai in vacanza; e la risposta del Sovrano era stata: “In vacanza da cosa?” Una di quelle mattine il Re si trovava dunque in testa pista con il suo Fiat con due gregari per andare ad intercettare una coppia Ju-99 della Luftwaffe provenienti dalla base di Aviano posta nella parte orientale della Pianura Padana. Era una sortita di addestramento programmata come missione straordinaria in vista del ridispiegamento del IX gruppo nel Vicino Oriente. “Volo Fontour, autorizzati al decollo. Pista in uso 4B vento 12 nodi al traverso.” annunciò con voce monotona l’operatore della torre di controllo che si occupava di loro. Aimone diede manetta ai due Fiat Pegaso R-20 il cui sibilo aumentò sensibilmente all’interno dell’abitacolo, nello spingere il G-98 Reale lungo la bretella di collegamento parallela alla pista di decollo della base di Brindisi. Gli altri due G-98 del volo Fontour lo seguivano in fila indiana. “Torre ricevuto, qui Fontour Uno pronti al decollo.” I tre Fiat, nella loro livrea grigia a bassa intensità si allinearono in testa pista con il comandante della missione davanti agli altri due schierati parallelamente più indietro. I due gregari che accompagnavano Aimone (nominativo radio Joker) erano il Capitano Giorgio Marenco (Obelix), 1800 ore di volo sul Fiat G-98 e solido membro della squadriglia rossa ed il Tenente Mauro Mossotti (Nitro), nuovo acquisto appena arrivato dal reparto di conversione operativa. Uno degli scopi della missione era proprio quello di far accumulare ore di volo di addestramento al combattimento alla burba Mossotti in vista dell’imminente ciclo operativo. “Joker a tutti, dare postcombustione e andiamo!” I tre Fiat, rilasciati i freni, si avventarono lungo la pista con un triplice boato, grazie alle 15 tonnellate di spinta generate dai Pegaso a postbruciatore, e a 240 nodi si staccarono tutti e tre da terra all’unisono, mantenendo la stessa formazione che avevano sulla pista e si diressero a nord a potenza militare ritirando i carrelli anche all’unisono. Dopo poco li contattò come previsto il Caproni radar che doveva seguire la loro missione. “Volo Fountur qui DIO. Vi visualizziamo sulla verticale di Bari confermate origine Omega 17, velocità 300, rotta 340, in ascesa passo.” DIO qui Fontour 1. Confermiamo origine e tutti i parametri. Avete già un vettore per noi interrogativo passo.” “Negativo Fontour, siamo in caccia. In caso di necessità l’orbita di pattuglia 05-02 Base Trani. Confermate passo. “Confermo DIO; ci dirigiamo verso l’area di attesa chiudo”. Nessuna variazione di rotta era necessaria per raggiungere l’area di pattugliamento e quindi il volo Fontour proseguì a velocità di crociera dopo aver raggiunto la quota stabilita e tagliato la potenza militare per risparmiare carburante. La missione prevedeva che i Crucchi arrivassero da nord. Normalmente la Luftwaffe aveva il permesso di sorvolare lo spazio aereo austriaco quando annunciava un’esercitazione congiunta con gli Italiani; ma oggi gli aggressori partivano da Aviano e non ce n’era stato bisogno. La missione si prospettava relativamente semplice; del resto era una missione per svezzare la burbetta. L’aero da allarme lontano radiolocalizzazione avrebbe scoperto gli Junkers il prima possibile, i Fiat si sarebbero portati alla quota necessaria per intercettarli. I Tedeschi vedendosi illuminati da un segnale sufficientemente forte avrebbero eseguito le manovre evasive di rito. Gli Italiani gli avrebbero puntato contro gli Aspide ed una volta ottenuto L’aggancio del radar di tiro, avrebbero offerto ai Tedeschi morti il caffè, visto che l’esercitazione prevedeva che i “nemici” atterrassero con loro a Brindisi a fine missione per la discussione post missione e per una bella pizza e birra in centro a spese dei perdenti. Con il che Aimone già pregustava la pizza gratis per lui, per il volo Fontour e per i Distruttori della Regia Aeronautica del Servizio di Sicurezza Reale. La voce dell’operatore del Caproni venne alla radio una o due ottave sopra del normale. “Volo Fontour qui DIO! Banditi multipli quota ottomila velocità 520 nodi rotta 94 a ore 9; ripeto ore 9 passo!” L'opratore aveva sparato a mitraglia tutto ciò in meno di 4 secondi. “Qui Fontour 1. Ripetere DIO: ore 9 interrogativo quota ottomila interrogativo passo.” "Volo Fontour è un CONFERMO MAIUSCOLO. Ripeto, confermo banditi a ottomila metri sul sud della Corsica, e vengono dritti su di noi; molto veloci, passo!!” “Qualcosa non torna” pensò Aimone ai comandi del suo fido G-98. I crauti si supponeva arrivassero da nord e non da ovest; e soprattutto gli Junkers-99 in missione di penetrazione non arrivavano a 8000 metri, ma scoperchiavano i tetti delle case, il ché in condizioni particolari, la legge italiana permetteva che gli aerei da guerra facessero anche in tempo di pace. Quindi la velocità era sbagliata, la quota pure e la direzione invece anche. Ma erano banditi che non rispondevano all’INA (identificatore nemico-amico). Aimone pensò per qualche secondo e poi abbaiò i suoi ordini. Nitro, incollati al mio cu*o e fai tutto quello che faccio io. Soprattutto guardami in basso e dietro. Obelix, vai all’aera di pattuglia e tieniti pronto a tutto. Io e Nitro andiamo ad investigare i contatti. Entrambi i gregari diedero il ricevuto ed eseguirono istantaneamente gli ordini. Il ragazzo si incollò come un francobollo alle ore 4 del suo Re. L'onore di essere assegnato al gruppo di Sua Maestà era riservato solamente ai migliori dell'accademia e dei corsi di conversione. L'onore di volare con lui nella prima missione operativa era poi qualcosa di veramente esilarante. Nitro mise da parte la strizza e l'emozione e si concentrò sulla missione. Nel frattempo, istintivamente il Caproni era già in virata ed in picchiata per sottrarsi alla minaccia come da procedure standard, dopo aver avvertito i Fiat che avrebbe cercato di mantenere il contatto con i banditi. I tre equipaggi dei Fiat italiani, piloti ed operatori di sistemi, si prepararono a questo punto a qualunque evenienza. Quello che era successo è che i pianificatori tedeschi della missione avevano giocato un brutto tiro al Signor Re d’Italia. I Crauti erano si decollati da Aviano, ma invece che venire a sud si erano diretti verso il confine francese. Avevano fatto un bel girone largo su Lione, preso contatto con una cisterna francese MBDA su Marsiglia e poi erano sfrecciati sul Mediterraneo per prendere di sorpresa la squadra blu. In più c’era anche un altro piccolo particolare sconosciuto ai difensori: quello che il Caproni aveva scoperto non era il volo degli Junkers, ma il volo di scorta, costituito da due Fiat G-98 della Luftwaffe. Sarebbe stata una bella sorpresina per Sua Maestà. D’altra parte lui era il primo ad incoraggiare tiri mancini nella pianificazione addestrativa. Per questa missione però aveva chiesto di non farne, giacché aveva un tenentino alla prima missione con il reparto. I pianificatori germanici gli avevano disubbidito; del resto in Germania loro il Re lo avevano cacciato da tempo. Gli Junkers c’erano ma volavano in quel momento a 10 metri sulle onde del Tirreno e a 20 chilometri a tribordo della scorta, sollevando un enorme turbine d’acqua nella loro scia: il Caproni ancora non li aveva visti. Doppia sorpresina per Sua Maestà! Questa volta la pizza l’avrebbero pagata gli spaghettari. Continua... Il Fiat-G98 lotto II esemplare 17 riservato al primo pilota d’Italia Aimone di Savoia Aosta fotografato alla cerimonia di consegna al IX gruppo. Notare la livrea particolare con i colori di Casa Savoia. Arrivato a Brindisi verrà ritrattato con la livrea tattica standard.
Iscandar faremo il possibile per tenere a galla l'ammiraglia della flotta. In questa storia d'Italia alternativa, il Pola è un "Super Kirovone" da battaglia multiruolo, con un'attenzione particolare a quello dell'assalto alle portaerei americane.
“Radiolocalizzatori in modalità ricerca su di noi. Almeno 2 emittenti!!” fu l’allarme dell’operatore ESM del Caproni al comandante del velivolo. “Identificativo?” chiese con apprensione il comandante. “Ci sto lavorando, due secondi di pazienza signore.” “Oscurali” “Signorsì”. L’operatore ESM azionò le contromisure elettroniche per confondere il ritorno di quegli impianti, mentre il comandante cercava disperatamente di acquistare velocità in maniera da poter virare il più in fretta possibile via dalla minaccia senza stallare. Il grosso trimotore era al momento della scoperta dei banditi a regime di bassa crociera e manovre azzardate a quella velocità non erano consigliabili con quel bestione. Dopo qualche secondo di smanettamento sulla consolle dell’impianto RP (Ricezione Passiva) l’operatore del Caproni venne a capo di cosa li stava cercando. “Sono Fiat Maggiore. Radiolocalizzatori Grifo-25 alla massima potenza di ricerca. Direi che dalla forza del segnale e dalla distanza hanno 60 probabilità su 100 di averci individuati.” “Non dovrebbero esserci G-98 in quella zona Tenente. E’ sicuro di quello che dice?” “Signorsì. Confermo 2 emittenti Grifo-25.” L’operatore stava per dare qualche altro parametro circa il profilo di volo dei banditi, ma dovette interrompersi. “Hanno virato secco e aumentato la velocità maggiore!! Vengono dritti verso di noi, velocità 750 nodi!” “Cristo! Attenzione Volo Fontour. I banditi sono Fiat G-98. Puntano dritti su di noi. Vengono a piena velocità militare. Vettore 270, distanza 320 chilometri.” I Tedeschi l'avevano fatta davvero sporca. Adesso il Caproni invece di essere protetto dai caccia Italiani era tra loro e gli aggressori. Aimone sulla frequenza del Caproni si fece due rapidi calcoli mentali e capì che i Tedeschi gli avevano giocato uno dei loro sporchi trucchi da Tedeschi. Invece di mandargli gli Junkers su Pescara in missione di penetrazione a bassa quota, gli avevano mandato dei caccia ad abbattergli il Caproni; e dal versante tirrenico invece che da quello “avianico”. Diede una rapida occhiata allo schermo radar. I suo impianto era ovviamente in modalità passiva, ma riceveva il collegamento dati dal Caproni. Questi era sulla verticale di Frosinone, e stava cercando disperatamente di sottrarsi alla minaccia. Ma non poteva certo sfuggire alla velocità ed alla manovrabilità dei Fiat. L’unica speranza era dare postbruciatore e catapultarsi verso i banditi, sperando di arrivare a neutralizzarli prima che quelli potessero lanciare. Fatto un conto della serva a mente circa distanze accelerazioni e velocità però, Aimone non credeva di potercela fare. Il comandante del Caproni giunto sulla verticale dell’Aquila non poteva fare altro che notare come la pattuglia di G-98 proveniente da Ovest ce l’avesse decisamente con lui. Stavano inesorabilmente manovrando per portarsi nell’inviluppo delle loro armi e la distanza era calata a 60 chilometri. I Banditi erano sulla verticale di Roma e sempre più spavaldi. A quella distanza il nemico in un combattimento reale avrebbe già potuto ingaggiarli con i missili a guida radar. “Illuminatore controllo fuoco su di noi!” Annunciò con rassegnazione l’operatore di sistemi del Caproni. I Fiat germanici avevano attivato i radar di controllo e tiro per la guida semi attiva dei loro missili Schwert. Nello stesso momento in cui sull’HUD del leader dei Fiat appariva la dicitura “Lock On” l’operatore di sistemi annunciava al comandante dell’aereo radar italiano che erano stati abbattuti. Ma la storia non era finita lì, perché i caccia italiani pilotati da Aimone e Mossotti intanto si erano sverniciati le ali a tutta manetta per giungere a distanza di tiro, regolandosi sul contatto costantemente aggiornato dal Caproni che aveva tenuto acceso il radar sino all’ultimo momento. Questo non era proprio realistico, perché in una situazione realistica il Caproni avrebbe spento il radar già da mo’ e non avrebbe potuto continuare a tracciare i bersagli per i caccia amici. Quindi anche gli Italiani attivarono i loro radar di controllo e tiro sugli omologhi germanici. I sistemi di ricezione passiva del G-98, chiamato in gergo anglosassone RWR, attivava automaticamente le contromisure quando l’aeroplano era illuminato da un fascio radar, ma i Grifo-25 del volo Fontour riuscirono comunque ad agganciarsi a mala pena ai bersagli e questa volta fu la volta dei Tedeschi ad essere sorpresi. 2-1 per l’Italia palla al centro, anche se gli Italiani avevano barato un pochino. Ad Aimone che masticava un po’ di tedesco in quanto la sua fidanzata Caterina d’Asburgo, gnocca stratosferica d’oltre alpe glie ne aveva insegnato un minimo, parve di udire un paio di bestemmie alla radio in lingua teutonica, e Subito dopo il data link con il Caproni scomparì, in quanto obbediente alle regole del gioco, il trimotore italiano aveva spento il radar una volta “abbattuto”. Aimone poté comunque seguire i Tedeschi sul suo radar mentre viravano verso sud e calavano la velocità ammettendo di essere fuori gioco. Comunque l’aereo radar l’avevano abbattuto e adesso gli Italiani potevano impiccarsi nel cercare di beccare i Tornado rasoterra diretti su Pescara. Mentre Obelix continuava ad orbitare sulla verticale di Trani, Aimone e Mossotti, virarono a destra sempre in formazione, per riallinearsi e ricompattare la squadriglia; ridussero la velocità e vennero a nuova rotta 60 gradi. Non avevano la più pallida che i due Tornado germanici fossero giunti al loro ultimo way point fissato sulla verticale di S.Benedetto del Tronto e stavano per cominciare la corsa d’attacco. La perdita dell’ALRD era stata fatale per l’esito finale dell’esercitazione. Durante la virata per riportarsi sul Gargano, il Grifo della Italica Maestà diede una spazzata look down shoot down nel suo cono di ricerca e per puro caso beccò la traccia spuria di un contatto tra S.Benedetto del Tronto e Pescara, rotta 130 velocità 600 nodi e quota ridicola. Aimone fece due più due e capì che i Crucchi l’avevano veramente fregato. Visto che con quei parametri di volo il contatto non poteva certo essere un volo di linea diretto in Puglia, doveva per forza essere lo Junker Tedesco che veniva a bombardare Pescara; puntuale come un orologio e proveniente da nord, come stabilito. Unica differenza era un Tornado e non due come prevedeva la missione. Se non avesse dovuto avere a che fare con i Fiat nemici e con l’abbattimento del Caproni…Alla riunione post missione l’avrebbero sentito! Comunque una tenue speranza ce l’aveva. Il Grifo poteva teoricamente ingaggiare un bersaglio da una costa all’altra della penisola. Magari con un po’ di cu*o avrebbe ancora incenerito il bombardiere prima che arrivasse a destinazione. Per cui si mise ad armeggiare con i comandi del radar per vedere di illuminare quel nuovo bersaglio. Quello che Aimone non sapeva era che i Tornado in realtà erano due, ma che si erano separati poiché uno aveva mancato l’initial point della corsa d’attacco per un problema al sistema di navigazione inerziale. Quindi il secondo Tornado non era stato individuato. “Obelix. Qui Joker. Dai energia al localizzatore e portati per 340; velocità tutto quello che puoi. Sono arrivati gli incursori. Singolo bombardiere in volo sulla costa a quota praticamente zero. Picchia dritto per 340 e vedi se riesci ad illuminarlo. Io ci sto già provando.” Il leader del volo Tornado della Luftwaffe già si leccava i baffi. Non gli rimaneva che raggiungere il radiofaro di Pescara e cabrare di brutto per rendere nota la sua presenza agli Italiani energizzando l’Identificatore Nemico Amico, Il che avrebbe rovinato la giornata ai Maccaroni. La cabrata avrebbe al contempo simulato un attacco con profilo loft (a fionda come dicevano gli Inglesi) e sbeffeggiato gli Italici. Aveva perso il Gregario per qualche ragione a lui non nota, ma non importava; era sul bersaglio e la missione era stata un successo. Stava appunto gioendo della sua prestazione quando improvvisamente l’RWR gli si illuminò come un albero di Natale. Due radar da ore 3, presto identificati come Grifo-25 si erano agganciati su di lui pronti alla guida missili. Il navigatore, che comandava la missione quale ufficiale più alto in grado,sorrise sotto la maschera ad ossigeno, e attivò la radio. “Too late mandolins, we are on target. Say hallo to our little bombs, over.” sparò in un Inglese fortemente accentato. In effetti in una situazione reale il Tornado avrebbe sicuramente fatto in tempo a sganciare prima che i Fiat potessero aprire il fuoco. Certo nella stessa situazione reale, gli Italiani avrebbero poi potuto inseguire l’aggressore, ma questo era un aspetto non coperto dalla missione addestrativa. A norma di regolamento per la missione del giorno, il bersaglio a terra era colpito. L’ufficiale germanico non immaginava di aver appena chiamato mandolino il Re d’Italia, ma comunque si portò alla quota di fine esercitazione prima che la squadra di coordinamento missione mista italo-tedesca a bordo del Caproni si facesse viva alla radio in Inglese. “DIO a tutti. Missione terminata. Rotte rispettive per base Omega17 Brindisi. Orbitare in area 4B in attesa di istruzioni per l’atterraggio. Il nominativo è “Omega Control”. Complimenti a tutti. Gran bella battaglia. Ci vediamo a terra, Chiudo.” A terra davanti agli espressi magistralmente preparati dagli inservienti del bar della base, si appurò che il Re d'Italia aveva abbattuto l'asso tedesco Oberst Manfred Greib, comandante del Famigerato Luftwaffengeschwader 71 "Richtofen". Nonostante ciò la vittoria fu assegnata ai Tedeschi che avevano in qualche modo raggiunto l'obiettivo strategico della missione seppur con pesanti perdite simulate. Aimone mangiando la sua pizza al gran ricevimento serale a spese della Corona, non poteva a fare a meno di pensare che forse presto il IX sarebbe stato chiamato ad operazioni di combattimento per davvero. Ai crucchi, che preoccupazioni del genere non ne avevano, la pizza piacque alquanto.
La pianificazione dell’operazione “Artiglio” doveva essere per forza di cose una questione interforze. Si trattava della più complessa operazione che le forze armate italiane avessero mai intrapreso; più complessa di qualunque altra operazione intrapresa nella Grande Guerra e per di più in questa operazione, l’Italia non avrebbe avuto alleati. Per quanto riguardava le informazioni sul nemico, il SIM riportava che la brigata di fanteria inglese che costituiva la guarnigione dell’Egitto era stata ridislocata in Palestina, altra colonia in fermento dell’Impero britannico, non solo sotto pressione da parte dei soggetti arabi, ma pure dal movimento ebraico di liberazione della terra promessa, che in quella zona voleva addirittura far nascere uno stato ebraico. Il SIM riportava anche che squadre di consiglieri militari inglesi erano rimaste in Egitto per l’addestramento delle forze locali, che erano però ancora ad un livello primitivo. Le forze armate egiziane erano per il momento poco più che adatte al mantenimento dell’ordine interno. Inoltre il nuovo stato indipendente non aveva ancora né una marina da guerra e né un’aviazione militare. Quindi il momento era decisamente favorevole ad un’operazione di forza italiana. La riunione preliminare per l’organizzazione della pianificazione presso il quartier generale dell’Esercito a Roma era presieduta dal Re in persona ed erano presenti i capi di stato maggiore delle tre forze armate. La decisione politica era stata presa su impulso del Conte Ciano, spinto fortissimo dal capo del SIS. Dott. Carlo Pernaga e con l’assenso del Re era oramai una cosa scontata. A questo punto non rimaneva che mettere in campo la pianificazione militare e qui intervenivano i tecnici sotto il comando del Re, che era pur sempre il comandante delle forze armate. Nel passato Mussolini aveva per questioni personali di culto della personalità sempre voluto essere il condottiero militare, anche se di roba militare non capiva nulla. Per cui durante la grande guerra, almeno formalmente lui aveva tenuto il comando delle forze operanti, mentre il sovrano, papà di Aimone quello delle forze in generale. Queste sottigliezze al Conte Ciano non interessavano; lui il culto della personalità non ce l’aveva, soprattutto giunto all’età alla quale era giunto, aveva oramai un solo desiderio non soddisfatto: vedere l’Italia avere un impero all’altezza di quello delle altre grandi nazioni europee. Questa dell’Egitto era un’occasione storica che se ben sfruttata avrebbe potuto dare al paese la chiave per fare dell’Italia una vera potenza transoceanica. Sua Maestà Aimone di Savoia Aosta aveva convocato la riunione preliminare nella sede di Super Esercito per un motivo molto semplice. Intendeva affidare il comando ad un ufficiale dell’esercito: il Generale d’Armata Franco Garofali, ufficiale capace e degno figlio di suo padre che nella Grande guerra si era distinto al comando della divisione Ariete. Il padre Alessandro si era congedato con il grado di generale di corpo d’armata ed il figlio lo aveva adesso superato in grado appena promosso dal Re in persona al grado di Generale d’Armata. “Questo non vuol dire” affermò il Sovrano dopo aver addotto le motivazioni per cui la scelta era ricaduta su Garofali “che le altre armi non avranno un ruolo fondamentale in questa operazione.” Il Re, in piedi a capo tavola del grande tavolo da conferenza nell’aula magna dell’edificio di Super Esercito, guardò tutti i suoi cavalieri con aria circospetta. “Dai cavalieri della tavola rotonda a questa masnada di putta*ieri con la panza ne passa parecchio”, pensò Aimone mentre se li fissava per bene uno per uno; ma lui aveva un piano per neutralizzarli tutti e impedire che combinassero casini. Affidare appunto l’intera operazione ad un ufficiale, cazz*to e capace. Con il ministero della difesa in mano al Conte Ciano, si poteva star sicuri che l’esecutivo non avrebbe interferito troppo nella condotta dell’operazione e lui avrebbe fatto massima leva sul suo ruolo costituzionale di capo delle forze armate. A differenza di molti altri capi simbolici di forze armate, lui di forze armate se ne intendeva, e tutti i presenti lo sapevano molto bene. “Di conseguenza la partecipazione corale di tutto l’apparato militare sarà decisiva per l’esito di questa operazione e di conseguenza per la sua valenza politica. Come sapete io non sono un uomo di molte parole, ma vi assicuro che la piena collaborazione delle tre forze armate dello stato a questa impresa io la esigo; ed in maniera superiore, infinitamente superiore a quanto successo in passato; in tempo di guerra ed in tempo di pace.” Aimone fece un’altra pausa per essere ben sicuro di avere l’attenzione di tutti. “Perché in questa operazione si gioca il futuro dello stato come potenza politica e militare ed il futuro intero assetto strategico della nazione. Per cui tratterò personalmente con chiunque ponga ostacoli o riserve a questa totale collaborazione che voglio vedere finalmente instaurata tra le mie forze armate. Gli organismi li abbiamo messi in piedi, le procedure le abbiamo collaudate, i vostri subordinati sono abituati ad usare gli uni e le altre. Quindi tutti i presupposti per il successo sono a nostra disposizione. Sta a noi decidere come usarli al meglio.” Lasciata cadere sul tavolo la velata minaccia di stroncare la carriera di chiunque tra gli ufficiali superiori avesse fatto scherzetti da grande guerra, facendo ostruzionismo o trascinando i piedi o peggio, attuando la nota tattica dello scaricabarile ed altre virtù del genere, Il Re lasciò la parola al Generale Garofali. Ufficiale giovane (56 anni), Garofali era venuto dalla gavetta non avendo frequentato la Regia Accademia di Torino, ma era non di meno un eccellente ufficiale che aveva ricoperto importanti incarichi di comando in Italia e all’estero. Paracadutista, e giovanissimo diplomato della scuola sottufficiali di Roma si era guadagnato sul campo i gradi di ufficiale comandando un plotone in Somalia in una situazione veramente disperata, dove si trovò a sostituire il comandante del plotone caduto in azione. Il comando di un plotone lo tenne anche ritornato in patria giacché riuscì a recuperare in breve tempo dalle ferite riportate nella suddetta azione e gli fu affidato il comando di un plotone di paracadutisti del Battaglione Poggio Rusco. Di nuovo in azione in Ciad al comando di una compagnia inquadrata in un battaglione di Fallschirmjägersi distinse di nuovo e fu in seguito invitato dalla Bundeswher a servire come ufficiale di collegamento ed istruttore presso la scuola di fanteria del Brandeburgo. Da lì ebbe molti altri comandi quasi sempre in zone ad alto rischio, fino al comando delle forze di Proiezione che deteneva da un anno e mezzo. In occasione dell’operazione Artiglio aveva ricevuto la promozione a generale d’armata da Sua Meastà in persona e si accingeva ad aprire un nuovo capitolo della sua brillante carriera. Il capo di stato maggiore del Regio Esercito, Generale Crai non parve aver capito bene le parole del Re, in quanto si gongolava come un pavone perché uno dei suoi protetti aveva avuto il comando supremo dell’operazione il che suggellava ancora di più secondo lui il ruolo preminente delle divise verde oliva su tutti gli altri, pur non dimenticando beninteso che il Re era un ufficiale della fascistissima Regia Aeronautica. Il fatto che nonostante questo Sua Maestà avesse affidato il comando all’esercito confermava ancora di più che non poteva fare altrimenti. Non venne in mente neppure per un attimo al primo generale d’Italia che la scelta del Re era stata conseguenza di un’attenta analisi della natura e della portata delle operazioni previste. “In questa operazione” prese dunque la parola il Generale Garofali, verrà impegnato il nerbo del Regio Esercito e forze importanti della Regia Marina e della Regia Aeronautica. Ho chiesto ed ottenuto da Sua Maestà l’assegnazione di sette brigate di manovra per questa operazione e si tratta ovviamente di uno sforzo considerevole, ma adeguato agli obiettivi.” Il generale fece una pausa perché tutti si imprimessero bene in testa quello che sarebbe seguito. “Obiettivo dell’operazione è la conquista di sorpresa del Canale di Suez in un primo tempo ed in un secondo tempo, il controllo dell’intero paese, che richiederà presumibilmente un elevato numero di forze per il mantenimento fino a quando la situazione non si sarà calmata.” Il generale fece un cenno agli inservienti e venne proiettata una mappa delle operazioni sull’apposito schermo. “La Brigata Folgore verrà aviolanciata nell’azione di primo tempo sulle località di Ismailia e Suez.” Indicò le località sulla carta con un’asta di metallo. “Contemporaneamente il resto della forza d’assalto costituito dalla brigata da sbarco mista” e rivolse lo sguardo verso il capo di stato maggiore della marina, “prenderà terra a Porto Said. Conquisterà e terrà detta località sino allo sbarco delle forze di seconda ondata, costituita dalle brigate motorizzate Savona e Firenze. Queste forze cominceranno ad allargare il loro controllo sul delta del Nilo, con l’aiuto della terza ondata costituita dalle brigate meccanizzate Trento e Trieste. Già dall’inizio dell’azione agirà dal confine libico la Brigata Bersaglieri Garibaldi che rastrellerà le forze nemiche appunto dal confine alleggerendo la posizione delle nostre forze nel Delta in caso di bisogno ed assicurando il controllo dell’Egitto Occidentale durante l’intera operazione di rafforzamento in quella che diventerà la sesta colonia italiana.” Il Generale Garofali fece una breve pausa. La natura dell’operazione era a grandi linee già conosciuta sia dal suo superiore Generale Crai che dagli altri capi di forza armata. Nella sua esposizione lui aveva fornito i dettagli ed i tempi. “Le forze saranno inquadrate in tre corpi d’armata: il corpo d’assalto, costituito dalla Folgore e dalla Brigata da sbarco mista. Il II corpo d’armata, costituito dalle brigate Firenze e Savona ed il III corpo d’armata corazzato costituito dalle brigate Trento e Trieste, ciascuna dotate di un battaglione carri. La brigata Garibaldi sarà invece alle dirette dipendenza di questo comando d’armata e stiamo studiando la possibilità di avere un vincolo di impiego su un’ottava brigata da designare come riserva di armata. Garofali attese che il mormorio nella grande sala si chetasse. “La Regia Marina avrà il compito più difficile e delicato dell’intera operazione” spese con cura queste parole ad uso e consumo dell’ego dell’Ammiraglio Brat, che tra tutti i capi era il pallone più gonfiato e non faceva mai male adularlo un po’. “La Marina dovrà infatti assicurare non solo il trasporto del corpo di spedizione e la sua iniziale difesa da offese aeree e navali, ma dovrà poi sostenerlo e rifornirlo per tutta la durata dell’operazione anche e sopratutto di fonte all’eventuale opposizione armata della Gran Bretagna o di qualche altra potenza che intendesse intervenire in suo aiuto. Il Duce e l’Ammiraglio Brat non ritengono che l’eventualità di una coalizione contro di noi in questa operazione sia probabile. Ma un ritorno di fiamma da parte dell’Inghilterra ce lo possiamo aspettare ed a quel punto diventerà fondamentale l’alimentazione del corpo di spedizione nei modi e nelle forme che la Marina vorrà gentilmente proporre.” “Inoltre, e compito ancora più delicato, in un primo tempo il corpo di spedizione sarà privo di appoggio aereo. Gli unici aeromobili che opereranno a diretto appoggio dell’Esercito saranno gli elicotteri da attacco Mangusta imbarcati per l’occasione sull’Incrociatore da Battaglia Pola, nave ammiraglia e sede del mio comando sino a quando non avremo la possibilità di stabilire un comando a terra.” “E quindi, per quanto riguarda l’aviazione” riprese il Generale Garofali dopo aver scambiato un’occhiata di intesa con il Re, il suo intervento a supporto dell’operazione comincerà quando l’Esercito avrà conquistato le più vicine basi aeree all’area di sbarco, vale a dire le basi di Damietta e di El-Arab nel Delta. Va da sé che queste installazioni dovranno essere riadattate in breve tempo all’impiego nei nostri velivoli, ma l’Eccellenza Grandoni qui presente mi ha assicurato che questo non sarà un problema. Da quello che risulta dalle missioni di ricognizione aerea condotte nei mesi scorsi da nostri velivoli che convenientemente avevano perso l’orientamento sul Mediterraneo Orientale, le basi dovrebbero essere riattate in tempi piuttosto brevi dato che hanno ospitato fino a ieri velivoli della RAF di tipologia e livello di sofisticazione comparabile ai nostri.” Il capo di stato maggiore dell’aeronautica fece un cenno di assenso. “Una volta che la nostra aviazione avrà messo il piede a terra” proseguì Garofali, “comincerà a svolgere tutto lo spettro di missioni previsto dalla dottrina in appoggio all’operazione, a seconda del livello di opposizione che incontreremo.” Qui il generale fece una pausa significativa, in quanto per espresso volere del Re, il IX gruppo caccia era nell’ordine di battaglia come prima unità da intercettazione da destinare all’operazione. Tutti volsero uno sguardo di rispetto alla Maestà combattente. Dai tempi di Enrico V ad Agincourt questo era probabilmente il primo sovrano al fronte della storia europea. Tutti i presenti ed anche molti non presenti, a cominciare dalla madre del sovrano Claudia di Orleans e dalla futura sposa la nipote dell'Imperatore d'Austria-Ungheria, avevano scongiurato Aimone di lasciare perdere almeno fino a quando le acque non si fossero calmate il comando del IX gruppo. Ma Aimone non ne aveva voluto e non ne voleva sapere di abbandonare il suo gruppo nel momento del supremo cimento. Lui nato e cresciuto nella Regia Aeronautica avrebbe combattuto, se necessario, nella Regia Aeronautica. Aveva fatto testamento ed aveva segretamente nominato il suo legittimo successore in caso fosse caduto in battaglia, e tutti i rami di casa Savoia magari si auguravano pure che cadesse per vedere chi era il fortunato. Tutte le cose erano a posto e lui era tranquillo. In cuor suo sperava che non fosse necessario combattere o comunque di combattere a fondo. Ma se fosse stato necessario, lui era il primo militare d’Italia ed avrebbe combattuto. Sua Maestà Imperiale Aimone di Savoia Aosta.
Il re di maggio non era come sciaboletta, il secondo dovette ordinare al primo di andarsene, lui voleva restare a Roma
Prima di cominciare ad esaminare le operazioni in Egitto, è opportuno dare qualche cenno sull’assetto politico strategico globale, delle potenze della Triplice Alleanza Imperiale in generale e di quello dell’Italia in particolare. Tanto per cominciare la denominazione alleanza imperiale non era una denominazione appropriata in quanto dei tre tre stati che la componevano solamente uno si riferiva alle sue colonie con la definizione di Impero; e questo era proprio l’Italia. La Germania, che aveva i possedimenti coloniali più vasti tra le tre potenze della Triplice, definiva tali possedimenti terra del popolo; considerate le perdite subite dalle Gran Bretagna fino a quel momento, possiamo dire che la Germania aveva l’estensione extra continentale più vasta in assoluto. Dei suoi possedimenti facevano parte la Nigeria, il Ciad, la Guinea, la Repubblica Centrafricana, il Ghana, Togo, la Namibia, il Burundi, il Kenya, il Mozambico, il Ruanda, la Tanzania e l’Uganda. In America del Sud spiccava il Venezuela come deposito di oli combustibili della Repubblica Federale, mentre nel Pacifico i possedimenti tedeschi annoveravano Papua e Nuova Guinea, le Isole Salomone, Palau, la Micronesia, Nauru, le Isole Marianne, le Isole Marshall, e Samoa. Tutti questi possedimenti avevano in realtà vari gradi di autonomia amministrativa e/o legislativa. Molte delle colonie passate alla Germania dopo la Grande Guerra, in maggioranza in seguito ad accordi bilaterali, avevano acquisito appunto una certa indipendenza, come ad esempio la Repubblica Centrafricana, il Mozambico, il Burundi, Ruanda ed altre. La Francia non definiva nemmeno i suoi possedimenti con il nome di colonie ma li chiamava “Territori Oltremare” . Tali territori erano Francia a tutti gli effetti ed i loro abitanti, cittadini francesi a pieno titolo. Per quanto riguardava l’Italia essa era la più piccola delle potenze coloniali ed era forse per questo complesso di inferiorità che chiamava questi territori “Impero”. Facevano parte di questi possedimenti la Libia, l’Etiopia, la Somalia, l’Eritrea ed il Sudan, sottratto all’Inghilterra in cambio di aiuti militari e finanziari durante e dopo la guerra. All’epoca il paese non aveva avuto un gran che da scegliere. Le potenze della bilaterale si ripromettevano sic et sempliciter di prendere il controllo dell’ordine internazionale riducendo le potenze della Triplice a semplici medie potenze regionali, Inghilterra inclusa. La scintilla che aveva provocato la conflagrazione era stata la spedizione punitiva della Germania nei confronti del Venezuela a causa di un incidente in mare tra la marina da guerra Venezuelana (due tappi di sughero) ed una petroliera tedesca. Ma come spesso accade la scintilla non aveva fatto altro che deflagrare una situazione che era comunque già molto pesante per una serie di ragioni. Il conflitto era terminato nei termini di cui già abbiamo parlato ed aveva lasciato l’Italia in una situazione marginalemente migliore di quando era cominciato. Il Sudan era stato un’acquisizione chiave per l’assetto strategico del paese, venuta dopo un accordo con l’Inghilterra in cambio di un programma di aiuti finanziari alla ex superpotenza in situazione economica disastrata. La nuova colonia, non più di un ammasso di pietre deserto e foresta equatoriale aveva comunque un immenso valore strategico per l’Italia come territorio di collegamento tra la Libia ed il resto dell’impero africano, e prontamente l’Italia costruì al suo interno una serie di basi intermedie ed aeroporti per rendere fattuale questo collegamento. Per quanto riguardava le situazioni interne dei paesi della Triplice, la Germania era una repubblica federale di tipo parlamentare e tale era stata sin dalla cacciata della casa reale nel 1933, mentre Francia ed Italia erano assimilabili a sistemi presidenziali. La Francia era una repubblica presidenziale pura con due partiti che si alternavano al governo, mentre l’Italia, che sulla carta era una dittatura, in realtà era una specie di "Monarchia a premier forte" dove, c’era si un partito unico nell' unica camera esistente (Gran Consiglio del Fascismo), ma in realtà il partito aveva una serie di correnti politiche assimilabili a veri e propri sotto partiti. Si andava dalla corrente socialisteggiante della prima ora a quella super conservatrice, che faceva capo al Ministro degli Interni Luigi Bardelli ed al capo del SIS Carlo Pernaga, passando per quella moderata che faceva capo al Conte Ciano. Il potere legislativo era detenuto formalmente del Gran Consiglio, ma la costituzione materiale si era modificata nel senso che sia il capo del Governo e del partito che il Re d’Italia avevano più di una voce in capitolo nell’influenzare l’indirizzo legislativo della camera. Gli Italiani andavano alle elezioni ogni sei anni per dare la loro preferenza nominale a vari candidati alla camera del partito fascista, che faceva ovviamente capo alle varie correnti. Non c’era una vera e propria campagna elettorale ufficiale, ma in pratica la competizione continua tra le correnti attraverso i mezzi di stampa costituiva una campagna elettorale continua e senza esclusione di colpi. Dal punto di vista strategico militare, le potenze della Triplice stavano in equilibrio più o meno precario con i loro avversari extraeuropei, e si contendevano con questi l’appoggio e la simpatia dei cosiddetti non allineati, vale a dire i paesi iberici, quelli scandinavi, quelli balcanici quelli del Benelux, e tra i più importanti, l’impero Austroungarico, quello Ottomano, la Cina il Giappone e tutti i paesi del terzo mondo che godevano di indipendenza e sovranità. La scoperta della potenza distruttiva delle armi atomiche era uno se non il principale fattore che aveva posto fine alla Grande Guerra. Stati Uniti Inghilterra e Germania avevano quasi contemporaneamente condotto un esperimento atomico con successo alla fine del 1948 e qualche mese dopo Francia ed Italia erano seguite insieme all’Unione Sovietica. Il pericolo che il conflitto sfociasse in una distruzione di tutti i contendenti e dell’intero pianeta aveva fatto si che tutti venissero a più miti consigli e si accordassero per porre fine alle ostilità che vedevano in vantaggio Gli Stati Uniti ad Ovest (all’inizio del 1949 stavano preparando l’invasione delle isole britanniche) e la Triplice ad Est dove l’Unione Sovietica dava segni di esaurimento. I trattati di Pace, stipulati nel 1950 a Ginevra, avevano lasciato i contendenti in una situazione di guerra fredda dove tutti cercavano di conseguire gli obiettivi mancati nella guerra combattuta tramite guerre per procura ed operazioni coperte e sovversive. E questa situazione permaneva all’epoca dei fatti narrati in quest’opera. Le dottrine di tutte le maggiori potenze, ed in particolar modo quelle nucleari riconosceva che una sconfitta totale di una potenza atomica non era più contemplabile nei vari piani ipotetici di guerra dei vari contendenti. Era assodato e tacitamente accettato, nella dottrina di impiego delle armi atomiche dei vari paesi che le detenevano, che solo una minaccia diretta alla sovranità ed all’indipendenza di uno di questi paesi avrebbe giustificato l’impiego delle cosiddette “Armi Strategiche di Ultima Istanza”. Non erano previsti infatti, proprio per evitare ogni tipo di sfumatura grigia che potesse portare a conseguenze incontrollabili, la costruzione e lo schieramento di armi nucleari tattiche o di teatro. Questo era un punto fermo negli accordi multilaterali per il controllo degli arsenali nucleari delle varie potenze. Inoltre per il momento, le sei regine dell’apocalisse, come erano chiamate le potenze nucleari, in una serie di altri accordi multilaterali si erano impegnate a non minacciare la sovranità e l’indipendenza di qualunque potenza “industrialmente avanzata” che avesse mantenuto la sua neutralità, non si fosse dotata di armi atomiche e non ne avesse promosso la ricerca. Tutto questo pacchetto di accordi faceva parte del cosiddetto protocollo di non proliferazione, volto a mantenere il pianeta il più sicuro possibile dagli effetti nefasti e non più reversibili della scoperta dell’energia atomica. I paesi non nucleari più importanti godevano addirittura della garanzia difensiva da parte delle potenze nucleari, che equiparavano un attacco a questi neutrali come un attacco diretto al paese garante e con conseguenze analoghe. La Germania garantiva ad esempio in questo modo l’Impero Austroungarico e l’Italia quello Ottomano. L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti si dividevano la garanzia per quanto riguardava Giappone e Cina e molti altri accordi di questo tipo difendevano la sovranità di tutti i paesi industrializzati. Per i paesi del terzo mondo questa garanzia non valeva, in quanto questo avrebbe portato inesorabilmente ad una perdita di equilibrio e controllo delle relazioni internazionali, inflazionato il concetto di difesa credibile e reso la situazione internazionale estremamente pericolosa. Questa era la ragione per cui operazioni come quella che l’Italia stava per intraprendere, sia pure con gli elevati rischi che comportava, erano ancora definite e valutate come possibili. Erano occasioni rare e qualunque potenza di rango, non solo l’Italia, non se le sarebbe lasciate sfuggire. In particolare l’Italia era diventata una potenza semi oceanica, avendo stipulato accordi con la Francia per l’ottenimento di basi navali nel suo territorio in maniera che forze subacquee italiane potessero operare in Atlantico. La cosa era vantaggiosa per entrambi i firmatari dell’accordo: la marina francese avrebbe potuto contare su un buon rinforzo delle forze di interdizione marittima in oceano, mentre l’Italia acquisiva un certo respiro strategico al di fuori delle ristrette acque del Mediterraneo. Tale respiro era poi poi consolidato dalla costruzione negli anni sessanta della importante base navale di Kismayo in Somalia; un imponente installazione, chiamata la Singapore africana, dova l’Italia aveva basato il suo deterrente nucleare concepito sui due sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare della classe Grandi Italiani, Fabrizio Quattrocchi e Benito Mussolini, appoggiati dai gruppi di supporto a terra Giuseppe Garibaldi e Leonardo Da Vinci. La piazzaforte navale poteva ospitare e spesso ospitava altro naviglio di superficie e squadroni aerei qualora fosse stato necessario rafforzare e diversificare le forze utili alla difesa del deterrente ed al controllo dell’Oceano Indiano Occidentale. Il resto delle forze gravitava naturalmente nel Mediterraneo, dove l’Italia per il momento manteneva il centro dei propri interessi economici e strategici. Nonostante questa aspettativa di allargamento dei suoi interessi strategici a livello oceanico, nel 1993 l’Italia ancora non aveva piattaforme portaerei. Si era preferito concentrare tutto sulla costruzione della componente atomica della flotta, costituita da quattro sottomarini d’attacco della classe Littorio, i due SSBN già citati e dall’Incrociatore da Battaglia Nucleare Pola; una piattaforma strategica multiruolo con spiccata componente missilistica contraerea, antinave e contro terra. Quest’ultima componente aveva capacità convenzionale o nucleare. L’incrociatore aveva poi anche una limitata capacità antisom fornita in particolare dagli elicotteri imbarcati fino ad un numero di sei unità. La classe Pola non aveva equivalenti al mondo se non l’Incrociatore da Battaglia sovietico Kirov. Con questa componente “pesante” la Regia Marina valutava di poter assolvere a tutti i compiti di interdizione marittima e di esercizio della libertà di navigazione che la dottrina navale italiana prevedeva. Il discorso portaerei ed aviazione navale era stato rimandato a quando l’Italia davvero avesse avuto accesso a tutti gli oceani attraverso la conquista o di Gibilterra o del Canale di Suez, e la congiuntura politica del momento storico in esame presentava proprio un’opportunità del genere.