FLASH PRIORITY MAGIC PENTAGON RELAY From: Airspace Defense Command Colorado Satellite Surveillance Task Force To: NAVCENT INDIAN OCEAN DIEGO GARCIA Italian Deterrent Force sortied both its INFERNO armed boomers this morning at the same time Presidential order DEFCON 4 in effect immediately. Activate and deploy investigation and containment patrol USS Memphis and USS Dallas END of FLASH Il Sottomarino Lanciamissili Balistici Fabrizio Quattrocchi rimorchiato fuori dal cantiere navale di Mondragone al termine di un ciclo di lavori di grande revisione Armamento 4 tubi lanciasiluri x armi Whitehead Sistemi Subacquei MK-5 da 533mm (dotazione 8 Siluri) 20 Missili Balistici a testata multipla CNI Enrico Fermi Industrie SLK-230 "Inferno"
Il Capitano di vascello Angelo Garrone non era il più anziano comandante della Regia Marina ma era sicuramente uno dei più capaci; molti sostenevano che fosse addirittura il migliore ufficiale in assoluto di cui la Marina disponesse. Ma per comandare una delle più terrificanti macchine da guerra delle forze armate di Sua Maestà la capacità professionale non era un requisito sufficiente. Occorrevano anche un equilibrio mentale ed un stabilità caratteriale fuori dal comune. I futuri ufficiali degli “Dei degli Inferi”, come erano chiamati informalmente nella Regia Marina i sottomarini lanciamissili balistici, per avere accesso al comando di un battello della classe Grandi Italiani erano osservati coltivati e selezionati per attitudine già a partire dall’Accademia di Genova. Le armi che avevano il compito supremo di preservare la sicurezza e l’indipendenza della patria, e che potevano annichilire con il lancio delle loro armi uno o più continenti non potevano essere affidate a chicchessia. Mai nella storia umana un tale potere distruttivo era non solo esistito ma anche stato messo ai comandi di singoli individui. I due comandanti dei lanciamissili balistici italiani avevano infatti una catena di comando univoca e diretta per il lancio strategico, una volta che avessero ricevuto l’ordine dall’autorità nazionale; e a differenza che per le armi strategiche installate in Silo che erano ad esempio il cardine della forza nucleare tedesca e che potevano essere attivate direttamente dall’autorità nazionale, quelle basate a centinaia di metri sotto il mare dovevano usare il tramite decisionale del comandante della piattaforma che le trasportava. Questo era il motivo per cui le procedure per l’attivazione ed il lancio delle armi strategiche a bordo dei sottomarini americani, francesi o inglesi erano di una certa complessità e necessitavano della presa di coscienza e dell’accordo di più di un ufficiale a bordo. Non così per la Regia Marina. Tutto ciò faceva del Capitano Garrone e del suo omologo, il comandante dell’altra piattaforma strategica Benito Mussolini. due degli uomini più potenti del mondo quando i sottomarini erano in mare. Ed uno dei due era sempre in mare dal momento che i due sottomarini si alternavano costantemente in operazione in maniera da garantire il deterrente nucleare italiano anche se l’altro fosse stato attaccato e distrutto in porto. Quella settimana era speciale. Entrambi i sottomarini erano in mare e ci sarebbero rimasti per una settimana. Il comandante lo sapeva, gli ufficiali lo sapevano e la bassa forza lo sapeva. Se una cosa del genere accadeva era perché un evento di una certa importanza stava per verificarsi e l’autorità nazionale voleva la massima sicurezza di avere tutto fuori e protetto da qualche centinaio di metri d’acqua almeno fino a quando la situazione non si fosse chiarita. Uno dei modi di disarmare una nazione completamente, negli anni novanta, era lanciare uno strike nucleare counterforce, unica dottrina di impiego delle armi strategiche accettata oltre a quella del lancio per disperazione. Tutte le potenze nucleari stavano bene attente a proteggere in qualunque momento il loro deterrente. L’innalzamento del livello di spiegamento delle forze di dissuasione da parte di qualunque delle potenze nucleari, e per qualunque motivo avvenisse, era sempre per l’autorità nazionale che lo metteva in atto una decisione molto grave da prendere ed un grave dilemma. Si trattava di bilanciare l’annullamento o la forte diminuzione dell’effetto sorpresa che lo spiegamento anomalo comportava con la necessità di garantire sicurezza del deterrente, ed in quell’occasione Sua Maestà ed il Capo del governo avevano preso la decisione più prudente. In qualche giorno, quasi l’intera Regia Marina sarebbe stata in mare per una delle operazioni più importanti della sua storia e le reazioni delle potenze ostili non poteva essere prevista ma solo valutata. Il deterrente nucleare andava preservato anche a costo di perdere l’effetto sorpresa. A loro volta i potenziali avversari potevano immaginare che una qualche operazione era imminente, ma non esattamente dove e di quale natura. Tutto ciò considerato il Conte Ciano aveva avvisato, tramite i canali ufficiali di sicurezza e salvaguardia, i capi delle nazioni avversarie che una variazione nello spiegamento dei sottomarini lanciamissili balistici italiani era in corso fino a nuovo ordine, cosa che era stata prontamente verificata e confermata dai servizi di ricognizione strategica ed allarme immediato delle altre potenze ostili ed alleate. Le autorità nazionali, specialmente quelle della Bilaterale, erano particolarmente allarmate quando un’anomalia nelle procedure standard riguardava il deterrente italiano per la ragione che abbiamo spiegato prima: e cioè nella catena di comando e controllo italiana del tutto atipica e decisamente spericolata; deprecata, criticata da tutte le altre potenze e definita senza mezzi termini irresponsabile. Di tutto questo il Capitano di Vascello Garrone era perfettamente cosciente mentre in piedi sulla torre di comando del Fabrizio Quattrocchi ammirava il magnifico sorgere del sole a quelle latitudini tropicali. L’imponente massa del nero mostro di metallo che comandava, scivolava sull’acqua come un enorme cetaceo che era un tutt’uno con l’elemento a cui apparteneva. Era in mare insieme al suo gemello Benito Mussolini, la cui posizione era sconosciuta persino a lui. Faccia impietrita in un’espressione mista tra preoccupazione e determinazione, il Capitano Garrone si portò il binocolo al viso per dare un ultima scorsa all’intero orizzonte prima di cominciare la missione. Il Fabrizio Quattrocchi sarebbe sparito dalla circolazione per almeno una settimana o a seconda delle circostanze anche per più tempo. Il primo ufficiale, che era in torre con lui e che sapeva bene quando non era il momento di disturbare il suo comandante, portò una mano all’auricolare che indossava sopra al berretto di ordinanza per ascoltare meglio. Disturbare il comandante divenne inevitabile. “Nave pronta all’immersione comandante” Il Capitano calò lentamente il binocolo e lo ripose sul torace dove riposava attaccato alla sua cordicella. La divisa cachi estiva della Regia Marina del Capitano era già chiazzata di sudore dopo poche ore di crociera in superficie data la temperatura esterna. L’impianto di condizionamento del sottomarino avrebbe eliminato il problema una volta che il Fabrizio Quattrocchi fosse stato in immersione. “Molto bene Signor Zucchi. Imbuchiamo ed iniziamo le procedure di controllo per l’immersione. Il Cacciatorpediniere Lanciamissili Da Giussano, una piattaforma modernissima, entrata in servizio solo un anno prima dell'inizio della nostra narrazione. Destinato alla difesa aerea della flotta, con ruolo complementare antinave, contro costa ed antisommergibile. Armamento: 1 cannone OTO Melara da 127mm 3 cannoni OTO Melara da 76mm "Super Rapido" 4 Missili antinave Spartaco Shergat 4 Missili Antisom MDA MILAS 6 Siluri Whitehead Sistemi Subacquei Mk-3 da 324mm 16 Missili antiaerei per la difesa di punto Aspide II 40 Missili antiaerei per la difesa a medio raggio "Pilum"
A sud di Creta le condizioni meteo al momento erano buone, ma le previsioni davano tempo instabile per la giornata che stava per cominciare. L’ammiraglio di Squadra Lucio Crispi, imbarcato su Nave S. Giorgio se ne stava appoggiato al passamano del terrazzo di plancia di babordo a fumarsi una sigaretta. Gli ufficiali della prima guardia notturna erano in plancia e non distavano che pochi metri da lui. In caso di necessità avrebbe potuto essere in plancia in un paio di secondi mentre gli sarebbe occorso più o meno mezzo minuto per correre al Centro di Combattimento situato a mezza nave se qualcosa di brutto fosse successo. Supermarina lo aveva messo al comando della Task Force E, il più grande schieramento navale che la Regia avesse spiegato in mare dai tempi della grande guerra. L’operazione era talmente imponente che tra un po’ c’erano più ammiragli in mare di quelli rimasti a Roma, a cominciare proprio da lui. E ciò nonostante Brat gli avesse tolto un gruppo navale dall’ordine di battaglia. La decisione di non includere il Pola nella Task Force per l’operazione Artiglio non era stata certamente solo di Brat; Il capo di stato maggiore da solo non decideva nemmeno con che mano tenerselo in bagno; doveva avere per forza avuto l’approvazione di Sua Maestà, ma ciò non di meno lui pensava che fosse stata una decisione sbagliata. L’opinione che aveva prevalso tra i pianificatori di Artiglio era che l’eventuale opposizione allo sbarco in Egitto ammesso che ci fosse stata, almeno in un primo tempo non sarebbe stato molto consistente. I rapporti del SIM indicavano che gli Inglesi non avevano rinforzato lo squadrone della RAF che avevano a Gerusalemme e nemmeno avevano portato in Palestina nuovi assetti di supporto, nonostante l’agitazione provocata dal rischieramento degli SSBN nostri. Qualche allarme in più lo destava il fatto che il sottomarino da attacco nucleare Conqueror avesse lasciato gli ormeggi della sua base di Gibilterra; questa non era una buona notizia. Non era noto dove l’unità subacquea inglese fosse direttoa ma non ci voleva un indovino per immaginarlo. Gli Inglesi sapevano di sicuro che un consistente spiegamento navale italiano era in mare; non c’era modo di nascondere un tale movimento alle spie di mezzo mondo ed in particolar modo a quelle inglesi o russe che erano le migliori. Comunque secondo Brat ed i soloni di Supermarina, la minaccia aerea non si configurava come sufficiente a mettere a rischio l’ammiraglia della flotta nonché orgoglio di un’intera nazione, che non ci si poteva permettere il lusso di mettere in pericolo senza una più che valida ragione strategica, pena un deterioramento del morale collettivo e l’ira del Cavalier Civile del Re Iscandar, padrino dell'incrociatore nucleare da battaglia e il cui genitore fu imbarcato sul vecchio e glorioso Pola della Grande Guerra. Per quanto riguardava invece la minaccia sottomarina, con due fregate tra cui la Maestrale specializzata antisom ed il caccia Da Giussano, di difesa ce n’era più che abbastanza. Per cui La Task Force E navigava a 10 nodi su un mare che per il momento era una tavola d’olio. Ore prima era transitata per le coordinate 35°19N 020°59E luogo in cui il 21 maggio 1948 si era svolta la violentissima battaglia navale di Gaudo e Matapan tra la Regia Marina e la US Navy, durante la quale perdemmo la corazzata Vittorio Veneto, ammiraglia della flotta e l’incrociatore pesante Pola. Gli Americani lamentarono la perdita della Portaerei Enterprise e di tre cacciatorpediniere. La prima affondata da una squadriglia di Savoia Marchetti Aerosiluranti ed i secondi dai superstiti della 8a divisione incrociatori Fiume e Zara. Battaglia durissima fu quella, nella quale perdemmo 847 marinai. Nel passare attraverso il luogo dello scontro, in un mare piatto e luminoso, tutti gli equipaggi non impegnati in mansioni urgenti erano sui ponti, irrigiditi nel saluto militare ai caduti nostri e del nemico che ebbe più morti e dispersi di noi. La Task Force E era divisa in tre Gruppi Navali: il gruppo 10 al comando dell’Ammiraglio di Divisione Franco Bonzano, uno degli uomini più capaci della Marina. Era imbarcato sul Cacciatorpediniere Lanciamissili Da Giussano, su cui issava le insegne sue e del gruppo navale. Il gruppo 10 era costituito oltre che dal caccia Da Giussano, dalle Fregate Maestrale e Lupo. Il gruppo T era costituito dall’ammiraglia della Task Force S. Giorgio, che imbarcava stipati come sardine i paracadutisti della Brigata Folgore, che alla fine si era deciso di elitrasportare sui loro obiettivi invece di aviolanciarli. Per questa operazione occorreva la sorpresa totale o teoricamente la RAF di base in Palestina avrebbe potuto annichilire le truppe senza scorta elitrasportate su Suez ed Ismailia. Nell’altra nave da sbarco, la S. Giusto, stipati come sardine pure loro c’erano i marinai del S. Marco e i Lagunari del Reggimento della Serenissima Repubblica di Venezia, che costituivano la prima ondata di invasione su Port Said. I loro obiettivi immediati dopo aver costituito la testa di sbarco erano ricongiungersi con i paracadutisti e conquistare la base aerea di Damietta, allo scopo di far affluire i primi reparti della Regia Aeronautica, che dalle basi libiche avevano la gambetta corta; in particolare i Fiat. L’ammiraglia S. Giorgio imbarcava anche l’Ammiraglio Crispi, Comandante Superiore in Mare, mentre sulla S. Giusto era imbarcato il comandante supremo del corpo di spedizione il Generale di Armata del Regio Esercito Franco Garofali. Del Gruppo T faceva infine parte la Rifornitrice di Squadra Nave Stomboli. C’era infine il Gruppo Trasporti Militarizzati, al comando dell’Ammiraglio di Divisione Kevin Manoli, e formato dalle quattro grandi navi da trasporto sulle quali era imbarcata la seconda ondata delle forze di invasione, costituita dalle Brigate di Fanteria Savona e Firenze facenti parte del II Corpo d’Armata. Tutto questo bel trenino navigava nella notte tre Creta e la costa africana con il Cacciatorpediniere Da Giussano in Testa, leggermente spostato a sinistra e costituente il picchetto antiaereo ed antisom avanzato. 15 miglia nautiche più a nord ovest c’era l’anello interno, costituito dalle due fregate sui fianchi, la rifornitrice e l’ammiraglia S. Giorgio. 5 Miglia dentro questo secondo anello, c’era l’anello centrale delle unità chiave della missione, costituito dai trasporti e da Nave S. Giusto che chiudeva la formazione guardandone la scia. Da notare che l’Ammiraglio Crispi aveva disposto che anche le navi anfibie e la rifornitrice di squadra costituissero scorta interna di ultima istanza per i trasporti militarizzati, con i loro cannoni da 76 e 25 in funzione antiaerea. Infatti non si prevedeva di incontrare resistenza di superficie all’azione italiana, ma come detto il Sottomarino d’attacco nucleare inglese Conqueror era probabilmente sulla loro scia e lo squadrone della RAF di Gerusalemme in allarme. In conseguenza di queste notizie sulla dislocazione delle forze potenzialmente ostili, le Fregate Maestrale e Lupo erano disposte arretrate nell’anello interno di scorta, in maniera da intervenire tempestivamente contro un’eventuale materializzarsi della minaccia subacquea. Il Da Giussano faceva invece per il momento missione a sé isolato in avanscoperta per est, sudest per frapporsi ad una eventuale minaccia aerea o anche di superficie. A disposizione erano poi anche la totalità degli gli elicotteri della Regia Marina imbarcati sulle varie unità italiane e per il momento tutti con configurazione antisom, dato che come detto non vi era notizia di unità di superficie inglesi nella base di Haifa, con l’eccezione di un pattugliatore d’altura della classe Castle segnalato dal SIM. All’attuale ridotta velocità la Task Force E sarebbe arrivata davanti al Delta de Nilo in un giorno e mezzo di navigazione, e tutto questo tempo sarebbe stato sfruttato per controllare al massimo grado, armi, strumenti e mezzi da impegnare nell’azione. Il Piano prevedeva che una volta che la prima e la seconda ondata fossero ben piantate per terra e l’aviazione fosse giunta ad appoggiare le operazioni, la Task Force avrebbe fatto ritorno in Italia per prelevare la terza ondata costituita dalle brigate pesanti da combattimento già parzialmente imbarcate su quattro altri grossi trasporti. La scorta ed i trasporti delle prime ondate avrebbero imbarcato il resto, navigato a tutto vapore di nuovo verso l’Egitto per mettere a terra anche questa forza. Naturalmente non era possibile prevedere in quel momento iniziale in che condizioni si sarebbero ritrovate le forze già impegnate. Tutto dipendeva da quale e quanta reazione avrebbero incontrato. A tale proposito, senza ombra di dubbio ci si sarebbe dovuti scontrare come minimo contro il costituendo Esercito Egiziano, secondo le ricostruzioni del SIM costituito da una decina di brigate di fanteria in stato più o meno avanzato di approntamento. Si trattava di personale in corso di addestramento da parte di consiglieri militari Inglesi. Il SIM riferiva infatti che due contingenti del Royal Regiment of Fusiliers erano rimasti in Egitto, dopo il ritiro dell’Esercito Inglese, intorno al Cairo e a sud di El Alamein, località nelle quali le truppe egiziane venivano addestrate. Era segnalata dal SIM anche la presenza di una o due brigate corazzate dotate di circa 240 vecchi carri Centurion riserve di magazzino britanniche. Tutte queste forze erano reputate con basso livello di addestramento e comando e controllo, e data la loro consistenza numerica c’era da sperare che fosse vero. L'incrociatore Nucleare da Battaglia Pola, studiato e realizzato nel dopoguerra in special modo sull'esperienza fatta dalla Regia Marina contro le portaerei statunitensi. Entrato in servizio nel 1983. E' chiamato dagli esperti navali stranieri con l'appellativo di derivazione holliwoodiana "Super Star Destroyer" Armamento: Sistema di difesa aerea di punto AA Dardo Sistema di difesa aerea di punto SAM Aspide II: 32 missili Sistema di difesa aerea d'area SAM Pilum: 40 missili 4 Torri da 127mm Oto Melara 4 Torri da 76mm Oto Melara Super Rapido Sistema Antinave a lungo Raggio Teseo Tesei: 16 missili Sistema Contro Costa a lungo raggio Junio Valerio Borghese: 16 missili da crociera 6 lanciasiluri Whitehead Sistemi Subacquei MK-5 da 553mm: 6 siluri 6 elicotteri imbarcati Agusta SM-30 per la lotta antinave e antisom
Iscandar Realtà o fantasia una cosa non cambia: costruiamo le più belle navi del mondo. Viva la Marina!
Il Salvatore Todaro, sottomarino nucleare d’assalto della 2a Divisione Subacquea, intitolato al più coraggioso e cavalleresco ufficiale navale della storia, pendolava come un pipistrello appeso alle profondità marine tra Mazzara del Vallo e Capo Bon. Il giorno prima si era diretto a pieno regime del suo reattore CNI R-20 partendo dal suo covo, la base dei sottomarini atomici della Maddalena, verso il Canale di Sicilia dove era stato assegnato d’urgenza per una operazione. Il cifrato giunto tramite ESM, visto che era giunto direttamente da Supermarina, non lasciava dubbi sull’importanza della missione. Fino alla ricezione di quel documento, gli ordini verbali per il comandante del Todaro erano di dirigere a tutta forza verso il Canale di Sicilia e di non rallentare per nessun motivo; ed infatti a quota periscopica aveva quasi spezzato l’albero ESM nel tentare di mantenere la prodigiosa velocità di 40 nodi con le antenne fuori, andatura che pochi vascelli da guerra al mondo potevano raggiungere. Il Todaro era uno di quei pochi. Il messaggio era ancora sulla scrivania della cabina del Capitano di corvetta Rech, comandante del battello ed era redatto nello stile sobrio e conciso di Supermarina; uno stile che il capitano del Todaro non smetteva mai di apprezzare. - ORDINE DIRETTO. Protocollo UeS1191 - Da Supermarina – Segretissimo Priorità GREGO. A Sottomarino S18 Salvatore Todaro e.p.c Comando 2a Divisione Subacquea LA MADDALENA SITUAZIONE Fonti SIM e SIS confermano sortita sottomarino inglese Conqueror da Gibilterra ieri alle 1300 meridiano di Londra. PRESUNZIONE Sottomarino inglese in oggetto dirige Mediterraneo Orientale intercettazione Task Force E impegnata operazione Artiglio. Alternativa dirige base aeronavale inglese isola di MALTA. ORDINI Portarsi Canale di Sicilia alla massima velocità intercettare sottomarino inglese in oggetto scopo confermare con certezza suo transito. MODALITA’ Eseguire missione in modalità FRTP*. Al momento ostilità con Inghilterra sono possibili ma non probabili. ESECUZIONE Verificare transito sottomarino inglese in oggetto in Mediterraneo Centrale tramite identificazione positiva. Una volta identificato bersaglio mantenere contatto per possibili nuovi ordini caso cambiamento stato ostilità con Inghilterra. ADDENDO Possibilmente evitare scoperta. Dare conferma ricezione tramite messaggio compresso Fine Il Todaro navigava adesso alla miserabile velocità di 6 nodi per dare al sonar Selenia SX-20 di prua ed al rimorchiato la possibilità di acchiappare qualcosa. “Che mi dice capo?” chiese Rech al suo operatore sonar anziano, 25 anni di esperienza da quando si navigava ancora con le tinozze della classe Toti. “Niente comandante. Almeno fino a quando non invertiamo il pendolo. Siamo troppo vicini al promontorio. L’acqua si infrange contro il cuneo e c’è un rumoraccio d’inferno.” Il sottufficiale si riferiva alle particolari caratteristiche morfologiche dell’area di Capo Bon che erano uno schifo per la ricezione sonar. Il sottomarino aveva invertito la rotta da un’ora per rimettersi a navigare verso la Sicilia ed il mare aperto, dove le condizioni sonar sarebbero state più favorevoli. Solamente dopo un certo tempo di navigazione con rotta 60 gradi in direzione della punta occidentale della Sicilia, l’operatore sonar poté iniziare ad avere di nuovo una ricezione acustica decente. “Contatto! Designare come UDINE1. Inizio fase di classificazione ed analisi passiva.” sentenziò il capo anziano seguendo alla lettera le procedure standard. Rech che non si era mosso dalla sala sonar per tutto il tempo, mise una mano sulla spalla del suo specialista e si sporse verso gli schermi a cristalli liquidi nel vano tentativo di capire qualcosa di più di lui. Prese una sigaretta dal pacchetto posto nella tasca pettorale del tecnico alla destra del capo e se la accese. Era un viziaccio quello del fumo che aveva tentato più volte di togliersi. Una missione dopo l’altra con la carriera in gioco, non avevano aiutato nell’impresa. “Secondo me naviga per 100-130 gradi. O è molto lento o è molto lontano o molto silenzioso. In tutti i casi viene verso di noi.” “Bene capo pazientiamo! Su indicazione della sala sonar, l’ufficiale tattico ed il team di tiro riportarono la situazione su di una carta generata elettronicamente nel centro di combattimento e pure sulla carta normale per ridondanza. I tubi lanciasiluri erano vuoti come prescrivevano le norme di comportamento in tempo di pace ed i missili da crociera Junio Valerio Borghese disarmati, ma non guastava mai tenere “i battitori”, come si definivano i componenti del team tattico nel servizio subacqueo, all’erta ed in allenamento. Da come stavano le cose il battello avrebbe potuto trovarsi ben presto in una situazione di combattimento reale e allora tanto valeva avere l’equipaggio pronto. Rech rabbrividì al solo pensiero. Non voleva combattere nessuna merd*sa guerra; già il protocollo di questa missione prevedeva la condizione due, cioè quella di 12 ore di guardia, 8 di riposo e 2 di addestramento e 2 di ricreazione; una routine abbastanza dura ma ancora sopportabile. Un gradino sotto la condizione di “posti di combattimento”. Passò ancora quasi una mezz’ora prima che il capo sonarista potesse emettere una sentenza definitiva. “Riclassificazione UDINE 1 in SAVONA 1. Molto probabilmente una petroliera di quelle dei cantieri di Riva Trigoso: Una di quelle medie.” Il sottufficiale armeggiava con il librone del catalogo delle frequenze, senza perdere di vista gli schermi. Molte delle impronte acustiche le conosceva a memoria, ma non tutte. Passarono ancora molte ore durante il quale il Todaro fece ancora mezzo pendolo da nord a sud. Giunto quasi di nuovo di fronte al promontorio tunisino, l’operatore sonar annunciò un nuovo contatto, questa volta subacqueo. L’esclamazione del capo, che non si era accorto che il comandante era rientrato di corsa nella sala sonar non fu delle più attinenti alla disciplina militare: “Cristo! Non è dove dovrebbe essere. E’ subacqueo di sicuro, rumore lievissimo e indecifrabile. Ma sicuramente sotto lo strato.” Il capo si premette ancora di più la cuffia sulle orecchie e attese ancora qualche minuto. "Frequenza battimento pale meno di 5 nodi. Viaggia parallelo a noi, distanza approssimativa 14 miglia. Una sola elica. Beta...ci devo lavorare." Rech si accese un’altra sigaretta; le cose non tornavano. Se la distanza era approssimativamente 14 miglia e la rotta stimata era corretta, questo poneva il contatto su una linea tra Pantelleria e Sciacca. Non aveva senso. Perché il contatto navigava su quella ro... “Manovra; comandante!!” Rech dovette sforzarsi per non alzare la voce. “Avanti Comandante” “Ridurre a 5 nodi, fare profondità per 120 metri.” “Si Signore, velocità 5 nodi scendere a 120 metri” “Ci ha sentiti!?.” ipotizzò l’operatore sonar girando la testa improvvisamente verso di lui e trovandosi ad essere d’accordo con l’intuizione del suo comandante. “Non vedo perché no.” concorse il comandante dando un furioso tiro alla sigaretta, mentre faceva lavorare il cervello. Quello che Rech stava cercando di fare era rompere il possibile contatto passando attraverso il termoclino e variando la velocità. C’era uno "spettro" la fuori (denominazione nella Regia Marina per contatto subacqueo non identificato) e certo a quelle longitudini non aveva nessun motivo di essere greco o Austriaco; "che poi gli Austriaci informano sempre Supermarina quando uno dei loro battelli usciva dall’Adriatico", pensò Rech. “Manovra; comandante” “Avanti Comandante” Barra a dritta 10 gradi, vediamo se riusciamo a triangolarlo con il sonar rimorchiato. “Si Signore, barra a dritta 10 gradi” Rech si voltò verso l’operatore della “Coda” come era chiamato il sonar rimorchiato che il sottomarino si portava appresso per maggiore flessibilità nelle operazioni di ascolto e scoperta. Aspettò qualche minuto perché il cambiamento di rotta e riallineamento dellp strascico facessero il loro effetto. Il tecnico dopo aver attentamente auscultato con gli occhi chiusi e la massima concentrazione, si girò a sua volta verso il suo comandante, scuotendo lentamente la testa, il che provocò un’alzata di occhi al cielo da parte del comandante. La guerra sottomarina richiedeva un’enorme dose di pazienza della quale i comandanti dei battelli d’assalto non erano necessariamente dotati. Infatti Rech non era il tipo intellettuale e posato da lanciamissili balistici. Era aggressivo ed istintivo, ed il fatto che l'Inglese che stava cercando e che era probabilmente proprio il sottomarino alla sua dritta lo stesse sbeffeggiando, lo faceva infuriare. A braccia tese sulla console dei sonaristi stava meditando cosa fare per contro sbeffeggiare l'avversario, quando il capo interruppe il corso dei suoi pensieri. “E lui!! Non so dirle se è il sottomarino che cerchiamo, ma di sicuro è un Trafalgar.” il capo si concentrò ancor di più sull’apparato di ricezione. Conteggio eliche… … … 15 nodi. Ha accelerato e il rilevamento cambia. 50 e 50 che sta poggiando a dritta, ma data la situazione tattica e le informazioni che ci ha dato Supermarina, direi che sta poggiando proprio a dritta.” Rech si chinò per vedere meglio gli schermi, prese una delle penne che aveva nel taschino pettorale e se la mise in bocca. L’Inglese aveva fatto un errore. Il comandante si rivolse al sonarista anziano. “Ha manovrato per 50 gradi per guardarsi alle spalle. Se ha aumentato velocità e cambiato rilevamento, vuol dire che non ci ha sentiti, oppure che è proprio uno scaltro bastar*o. 10 a uno che ci è sgusciato nelle acque territoriali tunisine per fotter*i meglio. Del resto se lo sarà immaginato che avremmo mandato qualcuno a fargli la posta nel Canale di Sicilia.” Il capo piegò la testa di lato mentre arrivava anche lui alle sue personali conclusioni. “In linea di massima concordo signore. Se non avesse virato a sinistra e non si fosse attardato sul meridiano di Pantelleria, non l’avremmo mai beccato. Però accidenti! Anche così ce n'è voluto.” “E' un Trafalgar mica una segheria subacquea.” rispose il Capitano Rech togliendosi la penna di bocca.” Poi dopo aver pensato ancora per qualche secondo, emanò i suoi ordini. "Manovra; Comandante". “Avanti Comandante.” “Barra a dritta 120 gradi, livella assetto, pari avanti un terzo. Il contatto lo abbiamo classificato anche se la zona di incertezza è ancora rilevante. E’ il nostro cliente.” Poi rivolse di nuovo l’attenzione al team dei sonaristi. “Adesso ci attacchiamo al suo cu*o e vediamo dove ci porta sto baronetto. Capo mi raffini rotta e velocità.” “Ci vorrà tempo signore. E’ davvero silenzioso come uno spettro. *Fuoco Ristretto Tempo di Pace Immagine pittorica di un Sottomarino Nucleare d'Assalto della classe Littorio Armamento: contromisure Acustiche Selenia Rotex-215 4 Tubi Lanciasiluri da 553 per Whitehead Sistemi Subacquei Mk-5 8 Missili da Crociera Junio Valerio Borghese (installati solamente a partire dall' S4 "Impero")
Nel pomeriggio nel Mediterraneo Orientale tra Creta e la costa egiziana il tempo si era irrimediabilmente guastato come i meteorologi avevano previsto. Il mare si era fatto grosso, con onde lunghe e alte fino a quattro metri, e l’intera Task Force E cominciò a ballare di brutto. Era calata anche una poco promettente foschia a limitare la visibilità e bene era che le navi della task force fossero abbastanza distanziate. Solamente il Da Giussano, picchetto avanzato antisom e antiaereo aveva i sensori attivi in funzione in testa al convoglio così come la S. Giusto in coda. Tutte le altre navi erano ad emissioni zero come da ordini dell’Ammiraglio Crispi. Sulla Fregata Lupo, come sul resto delle navi della task force, gli elicotteri erano stati ben assicurati negli hangar che tanto di volare non se ne parlava fino a quando il tempo non fosse migliorato; ma purtroppo o per fortuna, dipendeva da quale parte la si vedeva, i meteorologi prevedevano che le condizioni meteo sarebbero. peggiorate ancora. La pressione barometrica era in picchiata e non prometteva nulla di buono. Non era detto che ciò sarebbe necessariamente avvenuto, ma vi erano buone probabilità che avvenisse. Mancava un giorno alla meta e si sperava che il tempo fosse migliorato prima del loro arrivo a destinazione perché con quel tempo le operazioni anfibie erano al limite della fattibilità e non si poteva decollare dai ponti. O meglio magari si sarebbe anche potuto decollare, ma sarebbe stato pericolisisiimo atterrare sui quelle navi che rollavano con movimenti molto violenti. Quindi, non potendo lanciare gli elicotteri destinati all’elitrasporto dei paracadutisti, arrivati a destinazione, si sarebbe dovuto attendere; cosa non certo ideale. Il Sottotenente di Vascello Luigi Venuti, ufficiale tattico della Fregata Lupo, era in compagnia del suo amico e parigrado Andrea Avali, uno dei due piloti dell’Agusta-212 assegnato alla nave. Il primo era alla fine del turno di riposo, mentre il secondo era disoccupato a causa della meteorologia: lui ed il suo equipaggio avevano appena finito di assicurare il “volatile” all’interno dell’hangar in maniera che fosse protetto dal maltempo. I due giovani se ne stavano in coperta nella parte riparata del ponte di poppa. Come tetto avevano il ponte di batteria delle due celle di babordo degli Shergat. Avali se ne stava malinconicamente appoggiato alla base della torre di sinistra del Dardo, cercando di individuare senza successo il grosso trasporto Prosepina che navigava di conserva nell’anello interno. Improvvisamente si girò verso Venuti che era appoggiato al passavanti e guardava assorto fuoribordo. “Tu come preferisci morire in questa guerra” Venuti si girò a sua volta verso il suo camerata con aria sorpresa ed irritata. “Quale guerra” “Quella che stiamo per scatenare” “Ancora non si è scatenato nulla” “A me piace l’elicottero. Se devo morire, sull’elicottero credo si faccia una morte indolore nella maggioranza dei casi. Sulla nave invece...Sulla nave, nella maggioranza dei casi è brutto. Il mio terrore è di morire o peggio non morire bruciato o di annegare intrappolato in qualche compartimento sottocoperta. Ho letto dei reduci delle Falklands, dei marinai Argentini ed Inglesi: Terrificante.” “Hai deciso di allietarmi la giornata? E così che parli ai tuoi uomini?” “Ai miei di queste cose non parlo. Sai; pensavo che se scoppia il merd*ne con gli Inglesi vedremo finalmente tutte queste armi moderne e dottrine sofisticate, cosa valgono in realtà.” “Su questo non ci piove” rispose Venuti voltandosi nuovamente verso il mare che stava veramente cominciando ad ingrossare, la spuma bianca e grigia diventando sempre più alta ed imponente. “mio nonno mi raccontava da piccolo che i Sovietici pensavano di schiacciare noi ed i Tedeschi in una settimana grazie ai loro moderni KV, ma nostre armi si rivelarono migliori di quello che si pensava.” “Ma a quell’epoca la guerra si faceva con cannone bombe e siluri non guidati” “Appunto, mi chiedo come le innovazioni abbiano cambiato gli equilibri”. “Lo sai anche tu come funzionano le tattiche no? Quanti sottomarini hai scoperto in esercitazione, quanti ne hai martellati con il sonar!” “Si ma degli Inglesi non sappiamo nulla e le loro tattiche non le conosciamo. In quanto alle armi, non le abbiamo mai impiegate.” “Oh ma ti sei fissato con questi inglesi! Quelli dall’Egitto se ne sono già andati. E poi sono sicuro che nel peggiore dei casi, i politicanti risolveranno il problema. Nessuno vuole un’altra guerra tra superpotenze.” "Sarà come dici tu!? Vado a farmi una dormita. Devo essere in forma per quando il tempo migliora.” Avali si avviò sotto coperta barcollando per il rollio della fregata, che con quel mare non rendeva agevoli gli spostamenti dell’equipaggio. Venuti invece se ne tornò al CdC (Centro di Combattimento) dalla fregata, che la ricreazione era finita. Sullo schermo tattico dell’operatore degli Aspide, c’era la situazione generale. Al momento il mare intorno a loro era vuoto e c’erano solo un certo numero di contatti aerei. Un numero più basso del normale. Evidentemente molti voli erano stati cancellati a causa del maltempo. In particolare un contatto destava una leggera apprensione vista la sua prossimità, ed il Capitano Allegri aveva conseguentemente lasciato la plancia e adesso era anche lui al CdC. “Il vettore lo dà come decollato dal Gamal Abdel Nasser International. Come vede capitano ci passerà dritto di prora. Se il tempo fosse buono lo potremmo osservare ad occhio sopra l’orizzonte.” “Bene interrogate il transponder.” “Si Signore segnale inviato...ora ora ora.” Solo pochi secondi furono necessari per la ricezione e l’elaborazione delle informazioni. “E’ un executive registrato nel Principato di Monaco. Destinzaione Bucarest.” “Siamo sicuri che non ci può avvistare?” “Non con questo tempo” sentenziò l’operatore radar. “Bene allora lasciatelo andare senza dare nessuna comunicazione” Sissignore.” Nel frattempo, date le condizioni del mare le navi da trasporto dovevano forzare le macchine quasi al massimo per mantenere una miserabile velocità di 10 nodi. In linea di massima non si poteva permettere al maltempo di ritardare le operazioni, anche se d’altra parte a questo punto non c’era nessuna fretta di arrivare prima che le condimeteo migliorassero. Alle ore 2000 la task force compiva una conversione a sinistra di 20 gradi per portarsi sul parallelo di Port Said e cominciare l’ultima tratta per portare la task force all’area obiettivo. Tempo sempre pessimo e la fregata Maestrale non coordinò bene la virata e venne a trovarsi leggermente fuori posizione al momento del riallineamento. Per dare un’idea esatta della progressione della task force a quel momento, il Giussano nave di testa veniva a trovarsi all’ora indicata sul meridiano di El Alamein. L’ufficiale di guardia nel CdC della nave ammiraglia del 10° gruppo navale, vale a dire proprio Nave Da Giussano, si accorse immediatamente del disallineamento del Maestrale e comunicò immediatamente con il comandante della fregata per ottenere subito il ritorno in formazione di quel vascello. Non che lo scostamento di rotta fosse tale da pregiudicare la capacità del Maestrale di fornire la scorta ai trasporti sul lato di sinistra di cui era responsabile, ma comunque si trattava di un errore che andava corretto. L’Ammiraglio Bonzano era molto preciso su queste cose e sempre pronto a tagliare la testa di chiunque prendesse alla leggera tali situazioni. Nella Marina Italiana vigeva una disciplina ferrea e ci voleva poco a stroncare una carriera. L’avvicinamento della task force adesso proseguiva con rotta 90 gradi. L’Ammiraglio di squadra Crispi, al comando dell’intero ambaradan diede disposizione di ridurre la velocità a 6 nodi, cosa che non solo avrebbe offerto ristoro alle navi sballottate dal mare grosso, ma avrebbe anche dato l’opportunità alle condimeteo di migliorare mentre la task force completava l’approccio all’area dalla quale avrebbe dovuto operare. Si stava avvicinando il momento della verità e l’ammiraglio ci voleva arrivare con la piena disponibilità dei suoi reparti di volo, altrimenti l’operazione non poteva cominciare. Servivano ponti stabili ed un minimo di visibilità.
Verso la mezzanotte le condizioni atmosferiche migliorarono dopo aver toccato il punto perggiore un paio d’ore prima. I meteorologi avevano fatto davvero un ottimo lavoro nel sincronizzare la navigazione della task force nel Mediterraneo Orientale in corrispondenza di una pesante perturbazione. Ciò aveva minimizzato i rischi di incontri inopportuni a vista con naviglio e aeromobili che potenzialmente avrebbero potuto dare informazioni sul fatto che un’enorme formazione navale si trovasse in quella precisa zona di mare con quella precisa rotta e soprattutto segnalare la presenza di navi da trasporto scortate da quelle militari, il che avrebbe immediatamente messo chi di dovere sull’avviso circa la natura dell’operazione. Certamente era noto che una grossa task force italiana era in mare. Ma settimane prima il ministero della la difesa aveva annunciato un’importante esercitazione nel Mediterraneo Orientale che poteva anche essere valutata dai servizi di intelligence avversari come attinente all’evacuazione dell’Egitto da parte della Gran Bretagna; ma da lì a prevedere l’operazione per quello che era in realtà, ce ne passava. Come altro accorgimento per mascherare l’operazione, nello scaglionare le partenze delle navi, quelle da guerra avevano salpato tutte nello stesso momento per avvalorare l’annuncio della grande esercitazione, mentre quelle da trasporto avevano lasciato le acque nazionali da porti diversi e scaglionate. Punto di ritrovo; da qualche parte a sud della Sicilia. Si era anche approfittato del fatto che era in corso la rotazione della squadriglia da pattugliamento marittimo della RAF a Malta, il che lasciava un punto cieco nel Mediterraneo Centrale nei giorni critici in cui l’operazione Artiglio prendeva il via. Il maltempo nella traversata incontrato tra zona di Gaudo e la costa africana era stato anche ben calcolato per occultare i movimenti della task force, ed il risultato era che con le forze navali italiane riunite a 70 miglia dal delta del Nilo, probabilmente ancora nessuno sospettava cosa stesse realmente accadendo. Se la Marina fosse riuscita ad ottenere la sorpresa tattica, si sarebbero potuti elitrasportare i paracadutisti sui loro obiettivi in tutta sicurezza come primo atto della campagna terrestre. Il maltempo aveva fino ad ora tenuto la task force coperta da eventuali occhi indiscreti anche di traffico civile, ma adesso la perturbazione era passata ed i voli di ricognizione avrebbero potuto riprendere. Era noto infatti che gli Inglesi avevano un distaccamento della Royal Navy ad Haifa, costituito da un pattugliatore d’altura che imbarcava un elicottero Lynx munito di radar navale a lungo raggio. Non era invece noto se gli Inglesi avessero altri assetti da ricognizione a terra. Di sicuro c’era il contingente RAF a Gerusalemme. Questo era pericoloso: uno squadron di velivoli armati tra le altre cose con missili antinave Sea Eagle (non si sapeva quanti missili), che potevano mettere a dura prova le difese aeree della task force fino a quando non si fosse conquistato un aeroporto in Egitto per basarci uno o due gruppi di caccia ed un paio di aerei ALRD a difesa della flotta. Alle 0400 l’attività su tutte le navi italiane si faceva frenetica. Era ora di prepararsi all’azione. Il Generale Garofali, comandante in capo dell’intera operazione, dava ordine all’Ammiraglio Crispi di disporre le sue navi per lo sbarco della brigata mista Lagunari/San Marco e per l’elitrasporto dei suoi paracadutisti sugli obiettivi assegnati. Le abitudini erano dure a morire tra gli esponenti delle tre differenti forze armate impegnate nell’operazione ed infatti il Generale Garofali fece la gaffe di riferirsi ai paracadutisti come “suoi” in quanto assetti dell’esercito, dimenticando che ogni singolo elemento di quella operazione era “suo” incluse navi, gli elicotteri e le forze da sbarco della marina. Il subordinato Ammiraglio di Squadra Lucio Crispi fece finta di non aver notato la sottigliezza ed immediatamente si mise al lavoro per eseguire l’ordine del superiore. L’unica difficoltà era che coordinare il movimento per l’approccio alla costa di una tale quantità di navi, si rivelò più complicato del previsto, inquantoché durante le esercitazioni raramente ci si era addestrati con navi da trasporto civili come quelle che erano adesso agli ordini della task force. Nonostante il gruppo trasporti militarizzati fosse comandato da un ammiraglio di divisione della Regia Marina, il coordinamento e lo scarso addestramento di ufficiali e marinai civili a manovrare in quelle condizioni di elevata densità di naviglio e per di più sottocosta, mise decisamente in crisi la formazione e la disposizione per le operazioni congiunte con il Regio Esercito. Per fortuna fino a quel momento non si era avuto alcun segno di presenza ostile o che potesse contrastare le operazioni della task force, e quindi almeno da quel punto di vista temporaneamente si poteva stare tranquilli. Pareva che la sorpresa strategica e tattica fossero state acquisite. Man mano che la task force coordinava la sua azione i vari ordini si dipanavano giù per la catena di comando fino ai livelli inferiori, ed in uno di questi livelli inferiori, per la precisione nel reparto di volo della fregata Lupo, si diffondeva lo sconforto una volta che il capitano della nave, riceveva l’ordine dall’Ammiraglio di Divisione Bonzano, che guidava dal Giussano tutte le forze della scorta navale, che l’elicottero della Lupo era on call con siluri a bordo e pronto ad intervenire in caso di contatto con sottomarini potenzialmente ostili, che comunque l’intelligence non dava come presenti nell’area al momento. Questo non voleva dire che il Conqueror, partito da Gibilterra due giorni prima non avrebbe fatto la sua apparizione per scoprire posizione ed intenzioni della task force. Andava da sé che la posizione e le intenzioni della task force sarebbero state chiare e note a tutti nel momento in cui la parte terrestre di Artiglio fosse cominciata in alcune ore. A quel punto sarebbe stato necessario guardarsi contro ogni possibile azione ostile contro la forza navale italiana. Non appena i primi paracadutisti avessero preso terra, il Governo Italiano avrebbe annunciato immediatamente una zona di esclusione intorno alla task force di 100 miglia di diametro ed avvisato tutti in naviganti e gli aeromobili del rischio nell’addentrarsi al suo interno. In base al Manuale di San Remo pubblicato proprio quell’anno sulle leggi applicabili ai conflitti marittimi, l’Italia avrebbe dichiarato la zona interdetta al traffico militare. Una mossa ardita dal punto di vista diplomatico legale e che presentava alti rischi di incidenti con unità militari di potenze potenzialmente ostili ed in primo luogo con quelle della Gran Bretagna. Ma era un rischio al quale occorreva necessariamente sottoporsi: non si poteva permettere a qualunque unità militare di scorrazzare nel bel mezzo di un’operazione complessa come quella che gli Italiani stavano mettendo in atto. Intorno alle ore 1000 lo schieramento dei trasporti e delle navi anfibie era stato quasi completato e le unità di scorta si stavano disponendo intorno per nord alle unità vitali per formare una bolla protettiva per tali unità che sarebbero statedi lì a poco impegnate nelle delicate operazioni di sbarco ed elitrasporto. Uno degli elicotteri Agusta 212 della Maestrale aveva cominciato ad evoluire a nord della formazione immergendo ad intervalli regolari e in punti diversi il suo sonar attivo ad immersioneSelenia SX-118, ma per il momento senza risultati. Il Conqeror doveva essere ancora lontano. Non passerà molto tempo prima che Supermarina informi Il Generale Garofali e l’Ammiraglio Crispi che il sottomarino inglese era stato confermato transitare dal Canale di Sicilia il giorno prima e che sarebbe stato potenzialmente sul posto al massimo in un paio di giorni, o anche prima se avesse navigato rumorosamente. A bordo della fregata Lupo, essendo giunti nella posizione da assumere rispetto alle navi dell’anello interno che erano pronte a fermare le macchine ed a iniziare le successive operazioni, ci si preparava all’assunzione del ruolo scorta statica, che prevedeva macchine al minimo velocità di 4 nodi e pendolamento di pattuglia in zone stabilite. Naturalmente anche al CdC ferveva l’attività e l’ufficiale tattico Venuti si preparava a dare inizio alle procedure standard previste dal manuale tattico in quelle circostanze. “Sonar; Tattico.” “Avanti Tattico” “Prepararsi a dare energia al sonar attivo; voglio cinque impulsi ravvicinati una volta stabilita la nostra posizione. “Si Signore; cinque impulsi ravvicinati a macchine ferme.” rispose il sottufficiale anziano che guidava il team del sonar scafo in maniera professionale. Non passò un secondo dall’attivazione dell’apparecchiatura che l’intera nave e rapidamente l’intera task force andarono in arresto cardiaco. “Contatto!! Contatto!! strillò lo stesso sottufficiale sonar che un secondo prima aveva mantenuto un tono molto freddo. “Sicuro sottomarino due miglia rilevamento 210.” Venuti si sforzò di mantenere la calma mentre allo stesso tempo parlava al microfono e appoggiava una mano sul pulsante di l’allarme posti di combattimento. “Capo è sicuro che non sia il nostro riverbero?” chiese Venuti che di scherzetti acustici ne aveva visti di tutti i tipi. “No Signore. Nessun riverbero. E’ un dannato sottomarino non identificato; confermo a distanza due miglia 210 rilevamento reale e 120 rilevamento rispetto a noi.” Venuti non fece in tempo a girare la testa che il comandante era già nel CdC materializzatosi con il teletrasporto. “Posti di combattimento Venuti! Posti di combattimento” ordinò concitato. Il segnale ululò in tutta la nave e non ci volle molto per avere il personale a posto. Già prima dell’emergenza quasi tutti erano già ai lori posti. Non c’era bisogno che i comandi nave si rivolgessero su per la catena di comando. Tutto era davanti agli occhi di tutti in data link, fin su al comando dell’ammiraglio Crispi che aveva la responsabilità della conduzione dell’azione navale. Prima ancora che gli Italiani – che erano venuti sperando nella sorpresa ed invece la paralizzante sorpresa l’avevano avuta loro – potessero riprendersi, un secondo allarme venne dal Maestrale, che aveva anche lui attivato il sonar attivo e scoperto un sottomarino praticamente 50 metri sotto la sua chiglia. “Non è possibile!” Commentò il comandante del Lupo, Capitano di Fregata Maurizio Allegri. “Il Maestrale ha avuto un elicottero in ricerca in quella zona per due ore con il sonar ad immersione e prima ancora con il sonar passivo della Fregata.” “E noi?” chiese esterrefatto Venuti. “Noi che stiamo battendo l’area con il sonar passivo da questa mattina presto?” Il Capitano incrociò lo sguardo con Venuti. Avevano già qui due sottomarini. Altro che sorpresa strategica! “Il nostro contatto muove lentamente per 270. Conteggio eliche 2 nodi” annunciò l’operatore sonar. Allegri non poteva fare nulla. Le regole di ingaggio erano chiare. Usare le armi solo per difesa, e solo dopo lo stabilimento della zona di esclusione, attaccare solo per ordine diretto del comandante di divisione. A nord invece accadde qualcosa di ancora più prodigioso. Il contatto sottomarino scoperto dal Maestrale che aveva anche uno degli Agusta in fase di decollo, dopo essersi spostato a distanza di sicurezza, ebbe la sfacciataggine di emergere addirittura, lampada luminosa per le comunicazioni diurne già in azione. Inizia messaggio: a complesso navale italiano; questa è la nave di Sua Meastà Spartan. Vogliate per cortesia spiegare la vostra presenza in acque territoriali di un paese sovrano e le vostre intenzioni. Fine messaggio Ancor prima che il messaggio terminasse, l’Ammiraglio Crispi aveva già diramato l’ordine di non rispondere a messaggi o provocazioni degli Inglesi; tutto ciò mentre il contatto a sud si comportava in maniera totalmente diversa: prese a strisciare sul fondo a 2 nodi in direzione 270 per sottrarsi a qualunque tentativo di identificarlo positivamente. Il Capitano allegri di nuovo incontrò lo sguardo di Venuti, mentre ascoltava le disposizioni del comandi di divisione. “Questi sono qui da ore. E noi abbiamo pettinato l’aera con i sonar passivi per ore e non abbiamo sentito nulla per ore.” Venuti abbassò lo sguardo per qualche secondo e poi lo rivolse di nuovo al superiore. “Ci siamo chiesti per anni quanto è silenzioso un Trafalgar...Mi sa che adesso lo sappiamo.* ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ *Non sa l’equipaggio del Lupo che il sottomarino a sud non era un Trafalgar, ma il sottomarino americano Helena della classe Los Angeles batch II, che in violazione dei trattati di Ginevra si trovava in Mediterraneo, agevolato nel transito per Gibilterra dalla Royal Navy.
Il sottomarino britannico rimase in superficie, l’Ammiraglio Crispi dovette ammettere che gli Inglesi avevano le palle quadre. Infatti non c’era posizione più debole per un sottomarino che quella, nella quale era praticamente indifeso e impossibilitato anche semplicemente a rispondere al fuoco se fosse stato attaccato Teoricamente avrebbe potuto lanciare un siluro anche in superficie, ma per farlo avrebbe dovuto prima riallinearsi, tempo nel quale il Maestrale lo avrebbe distrutto a cannonate e con le torpedini leggere. Per cui di fronte alle insistenze dei britannici per sapere quali fossero le intenzioni di quell’assembramento di navi davanti alla costa egiziana (domanda del tutto retorica), Il comandante superiore in mare si decise ad andare personalmente alla radio e parlò in Italiano, un po’ per dimostrare agli Inglesi chi comandava in Mediterraneo ed un po’ per tenerli nell’incertezza e guadagnare tempo. Giacché gli Inglesi gli avevano fatto quella bella sorpresina, avrebbe dovuto assumere in prima persona qualche decisione di tipo politico diplomatico giacché pur essendo sottoposto al Generale Garofali, aveva la assoluta autonomia per quanto riguardava la sicurezza della task force navale. “Attenzione nave Spartan. Qui è il comandante in capo della task force E della Regia Marina Italiana impegnata in operazioni militari. Allontanatevi immediatamente a 30 miglia dalla mia formazione. Il Governo italiano sta per annunciare una zona di esclusione di 100 miglia intorno a questa task force. Se tentate di immergervi vi affondo e se entrate di nuovo nella mia zona di esclusione saremo costretti a difenderci” Detto questo commutò sulla frequenza del Gruppo Navale 10. “G10; comando” “Avanti Comando.” la risposta dell’Ammiraglio Bonzano fu pressoché istantanea. “Mettete quel sottomarino sotto tiro dei cannoni e mettere in punteria i missili antinave. Voglio quella unità subacquea fuori da un raggio di 30 miglia da noi. Se tenta di immergersi affondatela.” “Si Signore; se non si allontana?” “Affondatela. Se inizia il movimento di allontanamento fatela seguire da un aeromobile per controllare che non si immerga. Tenete pronti i missili i cannoni ed i siluri. Ma non aprite il fuoco senza un mio ordine preciso” "Comando ricevuto e registrato. Chiudo" Infine Crispi, che come avrete capito non scherzava, si mise in contatto con Roma. Il sangue nelle vene di Bonzano ebbe un considerevole abbassamento di temperatura, ma immediatamente diramò gli ordini tattici al Maestrale ed al Giussano. Di proposito non diede alcun ordine al Lupo: nel malaugurato caso in cui avesse dovuto usare gli Shergat contro quel bersaglio, voleva usarne il meno possibile. Comunque i primi sistemi d’arma ad entrare in azione furono il 127mm del Maestrale che brandeggiò verso il sottomarino inglese e i tubi lanciasiluri degli Mk-3 sempre del Maestrale. Il Giussano approntò una soluzione di tiro per i missili antinave, cosa che il Maestrale non poté fare in quanto era troppo vicino. Più o meno allo stesso tempo il S. Giorgio ed il S. Giusto svuotavano i ponti di volo. Il primo facendo decollare tutti gli Agusta SM-30 di cui disponeva stracarichi di paracadutisti del 1° Reggimento Tuscania e del 186° reggimento paracadutisti, ed il secondo facendo decollare tutti gli Agusta-129 da attacco per appoggiare l’elisbarco in veste di artiglieria volante. Il Tuscania era destinato all’obiettivo considerato più difficile, vale a dire Suez, mentre il 186° era aveva come obiettivo Ismailia. Inutile dire che queste due operazioni erano al limite della temerarietà, in quanto si sapeva che le due località erano ognuna presidiata da una brigata di fanteria egiziana, ma il Generale Garofali contava sulla sorpresa, sull’impeto e sull’addestramento superiore dei suoi paracadutisti, nonché sull’appoggio aereo dei Mangusta. Il Sergente Albrengo mise piede a terra per primo, scorrendo giù dall’elicottero della marina che trasportava il suo plotone. Aveva i suoi ordini ed il suo obiettivo: il terminale del traghetto Nemra 6 sul Canale di Suez a circa 180 metri in linea d’aria dalla piazzetta dove l’elicottero doveva scaricare il plotone con discesa a fune. Il rumore degli elicotteri era infernale, così come il polverone sollevato dalle loro pale. Tutt’intorno il traffico civile di automobili, motorette e mezzi pesanti si era arrestato a testa in su, e la gente non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo; c’era chi scappava e chi si fermava a guardare le truppe che sgorgavano a plotoni interi dagli elicotteri dalla livrea grigio sporco della Regia Marina Italiana. Il punto dove erano sbarcati era uno dei tre punti strategici di cui il 186° doveva prendere possesso. Il terminale del traghetto era obiettivo precipuo del suo plotone. In cuffia gli giunse la voce del Sottotenente Filzi che si era già lasciato indietro di una cinquantina di metri dietro di lui con il comando di plotone. “Sergente; veloce!! Veloce!! dirigersi sul terminale. Siete la squadra di punta per Dio!!” La confusione era elevata, ma i suoi paracadutisti erano abituati ad operare in quelle condizioni. Sopra le loro teste il frastuono dei Mangusta alla ricerca da obiettivi da battere era assordante ma familiare. A loro volta gli elicotteri da attacco alzavano un polverone d’inferno che limitava la visibilità, ma non si poteva fare a meno di quel supporto. In quel momento era tutto quello che il reggimento aveva a disposizione come appoggio tattico, oltre a due mortai da 81 per compagnia. Per cui Albrengo e suoi uomini si alzarono passamontagna e sciarpe sul viso e proseguirono. Il sergente fece cenno alla sua squadra di avanzare verso nord lungo la strada che collegava la piazza in cui erano atterrati con l’imbocco del terminale. Nel contempo segnalava ai civili di levarsi di mezzo, che aveva da fare. Questi, notando le mimetiche e le armi non familiari e gli ordini urlati in Italiano al si sopra del frastuono, non tardarono molto a capire cosa stava succedendo e quindi si affrettarono ad obbedire agli incitamenti di Albrengo, per non incorrere in guai peggiori. Si trattava di percorrere un centinaio di metri, arrivare in un’altra piazzetta in mezzo ad una piccola zona costituita in prevalenza da magazzini, e poi svoltare a destra verso il Canale. Aveva tutto a memoria, tutto studiato sulle mappe e sui modelli prima e durante la navigazione verso l’Egitto, e lo stesso i suoi uomini. La squadra avanzava sotto la protezione di una seconda, che si era arrestata all’inizio del viale ed aveva messo in posizione mitragliatrici e lanciagranate nel caso qualcuno si fosse fatto vivo con brutte intenzioni. Inutile dire che la cosa si verificò ben presto quando la pattuglia di due paracadutisti che avanzava in testa si imbatté in un gruppo autocarrato egiziano che accorreva in difesa, senza sapere bene ancora dove o contro cosa. Quello che inizialmente sembrava un semplice drappello nemico si rivelò invece consistere in paio di centinaia di uomini che contrattaccarono d’impeto gli Italiani, alcuni montati ed altri appiedati. Albrengo diede ordine alla Breda SAW 90 di fermasti ed aprire il fuoco, mentre d’iniziativa intervenivano gli Agusta da attacco con i cannoni a canne rotanti, che fecero un macello di camion egiziani. La fanteria invece volava per aria a pezzi, nel senso che ogni proiettile da 20 che andava nel mucchio separava arti, tagliava in due uomini e faceva scomparire teste. Sotto l’ombrello di questo macello di polvere, fuoco e sangue, che nel frattempo alcuni camion colpiti avevano preso fuoco, la squadra di Albrengo riprese l’avanzata ma fu presa d’infilata da una sezione nemica che non aveva notato in una via laterale. Qui la squadra ebbe le prime perdite della campagna; perse un uomo colpito in testa da roba di grosso calibro che polverizzò elmetto e cranio, ed ebbe un ferito con una gamba rotta da un altro proiettile. Di colpo la squadra si fermò e rispose al fuoco, mentre la squadra che prima copriva si buttò in un edificio attiguo e da lì cominciò a lanciare granate e a sparare con tutto, dopo aver cacciato fuori la famiglia che occupava il fabbricato. Gli Egiziani dopo un combattimento piuttosto duro si ritirarono. Albrengo non si curò oltre del battaglione motorizzato egiziano o quel che l’era. Aveva la piazzetta in vista e la svolta a destra che lo avrebbe portato sull’obiettivo. Aveva con sé due squadre ed il sottotenente era sparito. Provò a chiamare alla radio sulla frequenza di plotone e non ricevette risposta. Per cui esercitò l’iniziativa. Non incontrò ulteriore resistenza e si attestò intorno alle ore 1400 sul suo obiettivo con due squadre che non erano più a piena forza ma che potevano ancora più che dire la loro. Dispose i suoi nei punti strategici lungo la sponda del canale, che valutò essere largo più di 300 metri e si recò rapidamente dalla seconda squadra. Qui apprese che il sergente era morto, che il sottotenente era all’inseguimento del complesso nemico in ritirata verso occidente con la terza squadra ed i mitraglieri e che loro non avevano ordini precisi Di conseguenza Albrengo mise alle sue dipendenze anche la seconda squadra e si dispose a seguire l’intento del suo comandante. Tenere gli approdi sul Canale di Suez fino all’arrivo delle truppe da sbarco. In mancanza di ordini più precisi, quelli rimanevano validi. I due reggimenti di paracadutisti si ritrovarono nelle prime ore della campagna coinvolti in pesanti combattimenti. Ma le operazioni erano appena cominciate. La presa di Ismailia, Suez e Port Said erano la premessa per l'ulteriore sviluppo dell'azione. Le altre due fasi dell'attacco, e cioè la spinta dalla Libia e lo sbarco a Port Said erano anche sul punto di cominciare. Paracadutisti del 186° reggimento estendono lo sguardo al di là del Canale dopo aver conquistato uno degli approdi.
Per la fine della giornata la notizia che l’Italia aveva invaso l’Egitto era battuta da tutte le agenzie di stampa del mondo. I titoli dei giornali tedeschi, i più liberi tra gli apparati stampa della Triplice, andavano dall’inno alla liberazione dell’Italia dalle sue catene nel Mediterraneo fino alla condanna dell’avventurismo italiano che rischiava di precipitare il mondo in una nuova guerra mondiale. Durissime le reazioni della stampa britannica, americana e della agenzia sovietica TASS. Gli Anglo Americani parlavano di intollerabile ed ennesimo colpo di testa di una spietata dittatura senza scrupoli, che in qualche modo andava fermata. Ora è bene notare che quella non era certo la prima operazione militare che una potenza europea attuava nei confronti di una colonia o ex colonia. Ma qui in effetti c’erano senza dubbio un paio di differenze: in primis l’Egitto era appena stato evacuato dalle forze britanniche, che per altro si erano semplicemente spostate in Palestina. Non che queste forze fossero cospique; un reggimento di fanteria leggera. Ma comunque si trattava pur sempre di un affronto alla Gran Bretagna che l’Italia stava perpetrando. La cosa giudicata più grave dal governo inglese non era tanto il prestigio; modi di salvare la faccia ce n’erano più d’uno, quanto il fatto che con questo improvviso sviluppo si rischiava di perdere l’accesso all’Oceano Indiano attraverso il Mediterraneo. Vero era che l’accesso al canale attraverso il Mediterraneo con un’Italia ostile era un terno al lotto comunque, ma con il canale in mano all’Italia era perduto di sicuro senza più bisogno di giocare al lotto. Nei piani dell’Inghilterra, e su questo c’era un accordo segreto con gli Stati Uniti, alla trasformazione dell’autonomia egiziana in vera e propria indipendenza da Londra, le multinazionali dei due paesi avrebbero continuato a gestire il Canale di Suez mediante accordi con il nuovo governo egiziano indipendente. Adesso con le notizie che arrivavano dal Mediterraneo Orientale rischiava di non esserci più un governo egiziano. Dopo una serratissima discussione nel parlamento di Sua Maestà Britannica, venne fuori l’ipotesi peggiore per l’Italia: la Gran Bretagna avrebbe dato a Roma un ultimatum per cui o interrompeva le operazioni militari sul territorio egiziano e nelle sue acque territoriali e ritirava le truppe entro 48 ore o la Gran Bretagna avrebbe dichiarato la guerra. Mentre questi sviluppi tragici si assiepavano all’orizzonte, sul terreno in Egitto le cose evolvevano di pari passo. Dopo lo sbarco con elicotteri di elementi della Brigata Folgore sugli obiettivi di Ismailia e Suez portati a termine con successo e con il ripiegamento delle forze egiziane dalle due città, non si poteva vantare lo stesso grado di successo a Port Said. Qui i due battaglioni da sbarco italiani stavano ancora combattendo sulle spiagge per sloggiare la 1a brigata di fanteria egiziana che seppur con gravissime perdite, stava resistendo più del previsto. Correva anche notizia che lo stato maggiore egiziano avesse deciso di montare una controffensiva proprio in quel settore, richiamando altre forze della I Armata egiziana ed in particolare la 2a brigata corazzata, che secondo l’intelligence militare italiana era in viaggio dalla città di Tanta verso Port Said sulle tortuose strade intorno alle zone paludose del Delta del Nilo, per ricacciare in mare gli Italiani invasori. Avrebbe accompagnato i 120 carri Centurion in viaggio per le teste di sbarco anche il comando della I armata, per coordinare l’azione con la brigata di fanteria schierata in difesa. E questa era una prima pessima notizia: gli Italiani infatti non si erano aspettati una reazione pronta da parte dei comandi egiziani che erano stati valutati come farraginosi e lenti nella loro azione di comando a causa della mancanza di addestramento e di equipaggiamenti moderni di comando e controllo. Gli Egiziani stavano anche predisponendo un massiccio contrattacco contro Suez, dove il Tuscania si era attestato dopo aver raggiunto i suoi obiettivi. Qui pareva che gli Egiziani stessero concentrando le tre rimanenti brigate di fanteria della III armata tutto intorno alla città. La manovra avrebbe richiesto tempo per essere completata ma era in corso. Era chiaro che per quanto riguardava il settore del canale, il Generale Garofali doveva sapientemente dosare i rinforzi nei vari settori, facendo i conti con la limitata disponibilità di assetti da trasporto. In più su Port Said si sarebbero potuti utilizzare come supporto i cannoni da 76 delle navi da sbarco e, se si fosse riusciti a svincolarle dalle operazioni di difesa della flotta anche solo temporaneamente, si sarebbero potuti utilizzare anche i cannoni da 127 delle navi del 10° gruppo. Solamente adesso ci si rese conto che in questa situazione il Pola avrebbe fatto estremamente comodo con la sua artiglieria consistente in 4 torri da 127mm, utilizzabili contro costa, ed eventualmente anche con i suoi missili da crociera. Tutte le forze egiziane in movimento che abbiamo indicato sopra erano segnalate in marcia lungo le strade strette e confinate tipiche del delta. Se gli Italiani avessero avuto l’aviazione già sul posto avrebbero potuto macellare le colonne egiziane in avvicinamento, ma così come stavano le cose, cono un unico squadrone di A-129 disponibile, dovevano scegliere cosa macellare. Infine c’era il fronte libico, dove le operazioni erano cominciate non appena i paracadutisti avevano messo piede a terra ad est. Qui la brigata attaccava a botta dritta con tutti i suoi quattro reparti in linea: la fanteria lungo la litoranea con il 1° e 4° Bersaglieri, e sul fianco destro il 4° Reggimento Carri dotato di MBT Ariete. A proteggere l’estremo fianco desertico, la nostra vecchia conoscenza lo Squadrone di Cavalleria S. Giusto. I reggimenti di bersaglieri e quello corazzato attaccarano immediatamente e senza preparazione di artiglieria per aumentare l’effetto sorpresa, il che si verificava. Gli Egiziani della II armata ripiegavano su tutta la linea prima fino a Marsa Matruh e poi addirittura sul comando d’armata posto ad Habou Haggag, sempre sulla litoranea. Improvvisamente però e senza alcuna preparazione, gli Egiziani contrattaccavano facendo intervenire un’intera brigata di Centurion che uscivano a passo di carica proprio da Abou Haggag e coglievano a loro volta di sorpresa il 4° Reggimento Carri, soverchiandolo con il numero e con l’impeto. Il reggimento carri italiano era colto in movimento ma si apprestava a combattere validamente stoppando la carica nemica e subendo perdite sensibili. I primi rapporti parlavano di 8 carri Ariete distrutti dai perforanti inglesi con una perdita di 14 Centurion per gli Egiziani. Una brigata di fanteria egiziana contrattaccava poi i bersaglieri del 1° e dell’8° Reggimento lungo la litoranea, ma l’attacco veniva respinto con gravi perdite da parte degli Arabi. La spinta italiana verso oriente comunque si arrestava temporaneamente in attesa di riordinare le forze e di veder entrare in scena l’8° Reggimento Artiglieria Terrestre con i Palmaria per polverizzare il nemico di fronte alla brigata con le submunizioni anticarro. Da ultimo una brigata di fanteria attaccava anche lo squadrone di cavalleria all’estremo sud, ma i cavalleggeri non avevano difficoltà a sganciarsi ed a porsi temporaneamente al riparo dei carri del 4° che nel frattempo avevano assunto una provvisoria posizione difensiva. Il primo giorno di operazioni se n’era andato dunque tra alti e bassi, ma quello che destava più preoccupazione a quel punto era l’atteggiamento della Gran Bretagna. Si sarebbe dovuto attendere il processo diplomatico di reazione riguardante le alleanze. La Gran Bretagna non aveva nessuna formale alleanza, mentre l’Italia aveva come alleate la Germania e la Francia. Non vi era dubbio che gli Inglesi si erano assunti un rischio enorme nel reagire in maniera così forte all’azione italiana; d’altra parte come abbiamo visto questa non era una colonia sperduta nel nulla pietre e sterpi. Qui si parlava di un punto strategico fondamentale per il commercio mondiale e l’accesso ai grandi mari. Gli occhi del mondo erano puntati sulla Francia e sulla Germania, in quanto che nessuno si aspettava che l’Italia semplicemente prendesse armi e bagagli e dichiarasse che aveva scherzato o che umilmente si adeguava al diktat degli Inglesi. La Camera dei Comuni strapiena per decidere la linea da tenere con l'Italia
A Palazzo Venezia l’aria se non proprio da funerale, era per lo meno abbastanza cupa. Nel cortile interno c’era l’elicottero della Regia Aeronautica addetto al trasporto di Sua Maestà che era volato a Roma per discutere insieme al capo del governo, ai capi di stato maggiore ed al direttore del SIS quanto seria fosse la situazione e cosa fare. Poche ore prima l’ambasciatore britannico aveva chiesto udienza ed il Conte Ciano glie l’aveva negata facendogli comunicare che al servizio diplomatico inglese non aveva nulla da dire e da esso non aveva nulla da ascoltare. L’ultimatum consegnato il giorno prima dallo stesso ambasciatore era quanto bastava al governo italiano per decidere i suoi prossimi passi. Esisteva una linea rossa, fece riferire il Duce all’ambasciatore Inglese. Se proprio il Primo Ministro avesse avuto avuto qualcosa di urgente da comunicare al Governo Italiano, poteva alzare la cornetta ed usarla. Il Conte Ciano era furioso con gli Inglesi. Per questi provava un disgusto che non si limitava alle azioni del loro governo ma all’intera cultura, o come diceva lui non cultura, del popolo britannico e degli Anglosassoni in generale. In particolare gli Inglesi con quello che rimaneva del loro sgangherato Commonwealth, erano oramai diventati i cani da salotto degli Americani da quando la Grande Guerra era finita, quando invece avrebbero potuto unirsi alla triplice e costituire un blocco compatto ed infrangibile contro cui quei depravati di Americani e Russi si sarebbero rotti le corna senza possibilità alcuna di successo nelle loro macchinazioni contro le potenze della stabilità e della ragione. Invece la stramaledetta isola, sempre in mezzo alle palle di qualcuno durante tutta la sua storia, adesso doveva fare ancora una volta da metro di incertezza per gli equilibri mondiali. “Quanto è seria la pagliacciata di questi… ehm...degli Inglesi?” chiese con aria disgustata il Duce al Dottor Pernaga. Avrebbe voluto usare parole adeguate al suo stato d’animo per definire gli Inglesi, ma c’era Sua Maestà, ed una delle poche persone di fronte a cui Ciano si conteneva, per lo meno se c’erano altri presenti, era il giovane sovrano. “E’ maledettamente seria Duce; ci sono tutti gli estremi per credere che l’Inghilterra non si fermerà. La Germania e la Francia sono ovviamente benevole nei nostri confronti e promettono tutto l’appoggio possibile in caso di scontro, tranne naturalmente che quello di un’entrata in guerra diretta diretta contro l’Inghilterra. Il trattato della Triplice, così come rivisto dopo la Grande Guerra, non contempla la mutua difesa in caso l’incidente sia stato provocato da un membro dell’alleanza.” “Voglio fare notare” si intromise il Re che questo atteggiamento dei nostri alleati mi pare molto saggio. La guerra contro la coalizione Egitto-Inghilterra è nostra. Tutto quello che ne ricaveremo sarà nostro ed al contempo avremo l’appoggio degli alleati. A me pare un buon viatico per noi.” “La mia proposta” continuò Aimone imperturbabile “è che noi questa campagna in Egitto la combattiamo e la vinciamo; se siamo soli è pure meglio. Quando avremo vinto ed umiliato l’Inghilterra, la posizione di preminenza nella Triplice sarà nostra.” “Si tratterà di una campagna lunga” intervenne il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Crai. Dovremo combattere gli Inglesi per mare per terra e per aria per prevalere in Egitto. Secondo me, soprattutto per mare date le caratteristiche geostrategiche del teatro della contesa. Dovremmo naturalmente fare di tutto per contenere il conflitto in Egitto.” aggiunse Crai mettendo le mani avanti. “La prima cosa che dovremo fare” riprese il Re, nella sua veste di Capo di Stato Maggiore delle forze armate tutte, “sarà quella di impedire agli Inglesi di portare rinforzi in Egitto ed in Africa in generale. Quando escono dalle loro isole li prende in consegna in Atlantico la 12a Divisione sottomarini d’assalto dell’Ammiraglio Zenker a Bordeaux. Quello che rimane delle loro carcasse dopo che i nostri sottomarini se li sono lavorati per bene, se lo mettono in Mediterraneo finiamo di macellarli con l’aviazione e la flotta di superficie riunite. Se invece si decidono per fare il giro lungo intorno all’Africa, li aspettiamo con il sottomarino d’assalto Impero nell’Oceano Indiano e se fosse per me gli tirerei dietro anche i lanciamissili balistici.” Il Re fece una pausa di riflessione, meditando sul caso periplo intorno all’Africa. “Non sarebbe il caso di far uscire dal Canale non appena lo controlliamo totalmente un paio di corsari da mettere a ruota libera negli oceani? Lei cosa suggerisce ammiraglio? Che so il Pola, l’Audace o naviglio piccolo!?” Il Re si rivolse al Capo di Stato Maggiore della Marina Bellinzoni Brat. Il Capo di Stato Maggiore della Marina era allibito di fronte al modo in cui Aimone aveva liquidato con estrema faciloneria ed ottimismo fuori luogo il problema dell’interdizione navale sui sette mari delle forze inglesi, ma non lo diede a vedere. “Suggerisco prudenza Maestà. Il traffico mercantile britannico sarà tutto convogliato e scortato.” “Non mi riferivo al traffico convogliato, Ammiraglio, mi riferivo a quello che rifornisce l’isola” “suggerirei prudenza anche in questo caso Sire”. Continuò Bellinzoni con un’appena velata aria di sufficienza. “Gli Inglesi importano il 95% delle loro merci via mare; noi solo il 40%. Ma se gli Inglesi si mettono ad attaccare il nostro traffico per rappresaglia, è pur sempre un 40%. “Ammiraglio” lo riprese spazientito Il Re. “Questi atteggiamenti prudenziali non ci hanno giovato in passato e non ci gioveranno nemmeno adesso. Predisponga i piani per mettere un paio di corsari in mare. Magari anche tre, uno in Atlantico, uno nell’Oceano Indiano ed uno nel Pacifico. Il tutto naturalmente se la guerra con l’Inghilterra scoppia davvero.” Il Capo di Stato Maggiore non gradì. Forse il Re pensava che una contesa navale estesa a tutti gli oceani del mondo fosse una gazzarra tra aerei da caccia in pochi chilometri cubici di cielo. Tuttavia aveva ricevuto un ordine diretto del capo di tutte le forze armate. Bisognava anche rispondergli secondo il galateo Reale a sto aviatore ignorante ed improvvido. In più era noto che quando Aimone si metteva qualcosa in testa... “In questo caso Maestà” rispose rassegnato Bellinzoni, “metterò in atto uno studio immediato su quali unità utilizzare senza depauperare troppo la capacità della flotta di assolvere ai compiti di prima linea; e se sarà la guerra con l’Inghilterra mi creda, ne avremo parecchi di tali compiti.” L’ammiraglio fece una pausa di riflessione. “in prima battuta direi che le due corvette classe Minerva potrebbero fare al caso nostro, insieme alla Fregata Zeffiro che è già oltremare nella base di Kismayo. Potremmo rifornire le tre navi da basi francesi e da Kismayo. Occorrerebbe solo trovare un approdo nel Pacifico, ma non credo che i nostri alleati avrebbero alcun problema a concedercene uno dei loro. In Atlantico ed Oceano indiano, detti corsari sarebbero anche coadiuvati dai sottomarini d’assalto. “Voglio anche metterla sull’avviso Maestà” l’Ammiraglio Bellinzoni Brat fece un ultimo tentativo per dissuadere il Re dalla guerra navale senza quartiere che Aimone stava proponendo, “a proposito del fatto che se cominciamo ad ispezionare aggressivamente il naviglio neutrale e a sparare su quelle navi che non si fermano, paesi con la testa calda e le potenzialità militari, e mi riferisco in particolar modo agli Stati Uniti ma non solo, potrebbero mettersi di traverso con la scusa che la guerra di corsa è al limite tra atto di guerra ed atto di pirateria per gli usi marittimi internazionali.” “Sono d’accordo con lei ammiraglio se agissero come scorta diretta a mercantili, ma non oserebbero mai attaccare una nave isolata nostra solo perché si trova in mezzo al mare.” “Potrebbero se cominciasse a divenire chiaro quali sono le nostre navi corsare Maestà.” E qui il Re dovette incassare. La guerra contro la Gran Bretagna ci potava stare, quella con gli Stati Uniti… “Lo vedremo man mano che la situazione si sviluppa ammiraglio; per adesso lei predisponga i piani.” “Al suoi comandi Sire.” Fu la risposta totalitaria di Brat. “Passiamo alla situazione terrestre signori” Aimone reindirizzò la discussione. “Alla luce dei nuovi sviluppi abbiamo abbastanza forze in teatro?” Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito si schiarì la gola. “Per l’operazione così com’è abbiamo già impegnato o pianifichiamo di impegnare il 60% delle nostre forze terrestri in Egitto. La brigata paracadutisti, due brigate di fanteria, l’Ariete e la Granatieri di Sardegna sono già assegnate all’Egitto. In più la Garibaldi agisce dalla Libia. Questa elevata massa di forze era stata prevista per l’operazione in quanto le forze terrestri egiziane sono primitive ma decisamente superiori alle nostre. Le ho già consegnato Sire i rapporti relativi alla prima giornata di combattimenti.” Il Generale Crai bevve un sorso d’acqua e continuò con la massima franchezza. “In madrepatria abbiamo ancora le due brigate alpine, e la Sassari. Oltre questo dovremmo cominciare a mobilitare e ad aprire i depositi con la ferraglia, Leopard 1, AMX-30 e vecchi APC francesi ed altra robaccia del genere. Ora se noi dovessimo affrontare solo gli Egiziani, le nostre forze in teatro sarebbero sufficienti. Ma se si aggiungono gli Inglesi con le loro eccellenti unità terrestri...non garantisco più Sire.” “Sono davvero inferiori le nostre forze?” chiese il Conte Ciano che era stato muto fino a quel momento essendo tutto meno che un esperto militare. “Solo in alcuni settori Duce. La loro fanteria leggera è meglio equipaggiata. Hanno dei veicoli molto recenti che la rendono molto più manovriera della nostra. I nostri carri Ariete Duce, sono spiacente di doverle confermare che sono inferiori a quelli inglesi. Se si fosse seguito il mio suggerimento di acquisire le ultime versioni germa…” “Lo sappiamo Generale, siamo edotti dei rapporti” tagliò corto il Duce a cui sentire che le forze armate italiane erano seconde a chicchessia gli dava i sintomi della scarlattina. “Ed è inutile eccellenza e Maestà” continuò il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito “che io vi dica quanto sono importanti i carri armati nel teatro di guerra dove ci accingiamo a combattere; senza contare il fatto che al momento la Libia è sguarnita di truppe. Gli Inglesi potrebbero tentare un’operazione anfibia alle nostre spalle, tipo quella americana durante la Grande Guerra in Tunisia, Algeria e Marocco, quando tentarono di liberare le colonie francesi.” “Per il resto dell’Africa” concluse il Generale Crai l’unico confine in comune con gli Inglesi è quello tra il Sudan e la Republica Centrafricana, e qui non risulta che gli Inglesi abbiamo truppe se non la polizia locale per il controllo interno. Quindi almeno in prima battuta dovremmo essere tranquilli su quel fronte. “Ma se gli Inglesi portano forze sul teatro egiziano dove ci troveremmo a combattere?” chiese il Re. “Ci sono due possibilità” sentenziò il comandante supremo del Regio Esercito. Quella più grave è che prendano terra in Libia. Per noi quello sarebbe un disastro di proporzioni bibliche; qualcosa che va evitato a tutti i costi o portando forze in Libia o rendendola completamente impermeabile dal mare e dal cielo. La seconda possibilità, quella più normale e che gli Inglesi stabiliscano le loro basi di partenza in Palestina: nel qual caso dovremo, non appena controlliamo tutte e due le sponde del canale, acquisire il più possibile di terreno nella penisola del Sinai e combatteremmo là.” “In un caso del genere” intervenne il Capo del Servizio di Informazioni di Stato, “prenderei contatto tramite i Tedeschi con il movimento sionista ebraico, che sta solo aspettando che succeda qualcosa per far scoppiare la rivolta nei territori dove il movimento vorrebbe fondare uno stato ebraico. Ci sono frange dei servizi di sicurezza tedeschi, diciamo così...indipendenti dalla linea ufficiale del Governo Federale…” Il capo del SIS fece una pausa per meditare le parole “Diciamo quelle frange dei servizi segreti tedeschi più vicine all’Italia...voglio dire...quelle di estrema destra, che sono in strettissimo contatto con la resistenza ebraica da molto tempo in funzione anti-inglese, ed anti-sovietica. I dirigenti ebraici hanno sempre preferito avere i Tedeschi come interlocutori rispetto a noi, ma data la nuova situazione magari gli uni e gli altri potrebbero avere interesse a parlare anche con noi.” Il Conte Ciano si sporse in avanti con aria interessata. “Attivi subito il necessario su questa cosa Pernaga. Qualunque cosa per rendere la vita difficile ai piumini inglesi.” “Occorre tenere al minimo le truppe che gli Inglesi riescono a portare in teatro in ogni caso, Eccellenza e Vostra Maestà” reiterò guardingo Il Generale Crai; altrimenti dovendo combattere Egiziani e Inglesi insieme, Ebrei o non Ebrei, il risultato potrebbe essere un disastro per noi.” “Gli Inglesi possono alimentare il Fronte solo da due punti” intervenne di nuovo il Re: “Il Mediterraneo ed il Golfo Persico, sbarcando la loro roba in Kuwait e facendola giungere in Palestina via Iraq e Giordania. Compito della marina è chiudere il Mediterraneo ed il Golfo Persico. Nel caso del Mediterraneo la Regia Aeronautica coadiuverà strenuamente la Marina e questo ve lo garantisco personalmente.” Il Sovrano gettò un’occhiata ai due relativi capi di stato maggiore che non si amavano particolarmente. Ma uno aveva il Re con il fiato sul collo mentre l’altro ce l’aveva addirittura dentro la forza armata come comandante di gruppo. “Predisporrete immediatamente i piani per sigillare entrambi i mari” concluse perentoriamente Aimone sempre sguardo fisso sui cavalieri dell’aria e del mare. Entrambi annuirono con deferenza. “Adesso l’ultima questione” disse ancora il Re D’Italia ed Imperatore di Libia, Etiopia, Sudan, Eritrea, Somalia e forse in futuro anche d’Egitto. “C’è qualche spazio per un impiego strategico di aliquote dell’aviazione: intendo dire attacchi diretti alle isole britanniche per ficcarne lo sforzo bellico. Mi riferisco a ferrovie, fabbriche di armi, ed infrastruttura critica.” Tutti si guardarono l’un l’altro inorriditi, incluso il tetro e sgusciante capo del SIS. Solamente il Duce sembrava avere un’aria divertita all’idea sollevata dal giovane sovrano. Era proprio uno scavezzacollo, degno sangue dell’animoso sangue del suo celebre Zio, che aveva fatto vedere i Sorci Verdi agli Americani che tentarono di sbarcare in Africa Orientale nella Grande Guerra. Aimone notò lo sguardo di sgomento di tutti i partecipanti alla riunione e corresse il tiro. “Lo dico solo perché nel caso, saremmo in una posizione strategica ideale: immaginate noi rifornire in volo sulla Francia e lanciare i nostri Junkers in pacchetti d’attacco con scorta, guerra elettronica e SDA (Soppressione delle difese aeree) contro l’Inghilterra. Ed immaginate gli Inglesi non poter fare altrettanto se non partendo dal mare con la loro portaerei, che dovrebbero necessariamente esporre in Mediterraneo.” Il Dottor Pernaga si permise. Quando era troppo era troppo! “Alla Maestà Vostra è venuto in mente che i Britanni dispongono di due sottomarini lanciamissili balistici e che se noi gli bombardiamo il territorio nazio…” Il Re interruppe con gesto di stizza. “I sottomarini lanciamissili balistici li abbiamo anche noi e non credo che gli Inglesi avrebbero il coraggio di rispondere ad un attacco convenzionale con uno nucleare. Questo chiamerebbe immediatamente in causa una risposta generalizzata oltre che italiana di tutte le potenze atomiche amiche nostre.” "E di quelle loro, brutto coglio*e", avrebbe voluto aggiungere Pernaga, ma ovviamente si trattenne. Ciano che era un consumato bastar*o e che che il Re lo aveva tenuto in braccio e gli aveva dato il biberon quando si sporcava ancora il pannolino, pensò bene di mettere un freno alla tangente pericolosa che la discussione stava prendendo. Di carne al fuoco ce n’era già molta e non era il caso di pensare da subito ad una guerra totale contro l’avversario, almeno fino a quando una eventuale escalation non si rendesse assolutamente necessaria. “Forse Maestà” si inserì il Duce con misurata calma ed indifferenza “sarebbe il caso di vedere come si sviluppano gli eventi prima di prendere decisioni che minaccino di allargare inesorabilmente il conflitto. Avremo tutto il tempo di venire a misure più radicali qualora le cose non dovessero andare in un senso favorevole a noi.” Aimone, che ben conosceva quel particolare sguardo del capo supremo del Fascismo, si guardò intorno per controllare gli umori del resto dei partecipanti alla riunione. “Sta bene” declamò dopo alcuni secondi di riflessione. “Diamo corso alle misure che abbiamo deciso, spingiamo a fondo l’offensiva contro gli egiziani e vediamo di impedire agli Inglesi di mettere a terra le loro forze terrestri. Mediterraneo e Golfo Persico sono le chiavi, con l’attrito accessorio in Atlantico ed Oceano Indiano” Il Re fece una pausa prima di rivolgersi in particolare all’Ammiraglio Bellinzoni Brat. "Ammiraglio; mi predisponga l’attività di attacco al traffico commerciale Inglese. Se non li posso attaccare dall’aria, almeno lo farò per mare.” Il Capo di Stato Maggiore della Marina sperava che il Re si fosse dimenticato di quella parte del programma, ma si inchinò al volere del suo sovrano.
“Lo abbiamo perso”, fu la sconsolata informazione che il sottufficiale addetto al sonar dovette dare al Capitano Rech a bordo del Todaro. “Deve essere passato attraverso lo strato e abbiamo perso le zone di convergenza, e con loro il contatto. Il maltempo in superficie non aiuta” concluse il capo sonarista. Al comandante sfuggì un’imprecazione tra i denti. “Manovra, Comandante.” “Avanti Comandante.” “Aumentare a 18 nodi, mantenere rotta e profondità.” “Si signore velocità 18 assetto neutro” “Pazientiamo e vediamo se riusciamo ad acquisirlo capo” “Ci provo Signore” Il processo venne improvvisamente interrotto dall’avviso di un messaggio prioritario UNO a bassa frequenza da Supermarina. “Manovra, Comandante.” “Avanti Comandante.” “Portarsi a quota periscopica sto arrivando in sala controllo.” “Si Signore; quota periscopica.” Il sottomarino cominciò ad inclinarsi verso l’alto per guadagnare quota. Arrivò a quota periscopio più o meno nello stesso momento in cui Rech metteva piede in camera di manovra. “Quota Periscopica Comandante” “Alza periscopio” “Alza Periscopio agli ordini Comandante” Rech diede un rapido giro di orizzonte con lo strumento ottico, mentre metteva fuori anche le antenne per ricevere il flash da Roma. La visibilità era quasi zero, pioveva forte e la nebbia oscurava l’intero campo visivo. Il forte vento a raffiche increspava le onde ma non ancora in maniera maiuscola. Comunque pioggia e rifrazione sonora delle onde che si incontravano in maniera irregolare, rendevano pietose le condizioni sonar, e ciò parzialmente spiegava la perdita del contatto. Il messaggio arrivò tramite la telescrivente e Rech lo lesse con attenzione. Era breve e lapidario. Dopo averlo letto un paio di volte per essere sicuro che voleva dire proprio quello che voleva dire, il Capitano lo passò al suo secondo ufficiale. - INIZIO MESSAGGIO. Ostilità con Gran Bretagna MOLTO PROBABILI. Annuncio inizio ostilità verrà con nuovo messaggio a bassa frequenza priorità UNO si ripete UNO equivalente codice stato di guerra GAMMA, GAMMA, GAMMA. Qualunque altra comunicazione di diversa natura seguirà canali a bassa frequenza priorità DUE si ripete DUE. Al prossimo messaggio a bassa frequenza con priorità UNO, non è dunque richiesta la quota periscopica ma autorizzato immediatamente all’uso delle armi contro traffico militare e SOLO militare della Gran Bretagna. Nuova zona di operazioni 4-6-19 ed in caso di ostilità cominciare operazioni contro nemico. Rapporti Task Force E operante suddetta zona, danno un sottomarino classe Trafalgar ed un altro sconosciuto nell’area. Portarsi a coordinate indicate alla massima velocità che non comprometta sicurezza vostra unità. FINE MESSAGGIO - Il primo ufficiale riconsegnò il cifrato nelle mani del comandante con aria grave. “Pare che ci siamo Comandante!?” Rech diede una significativa occhiata al suo secondo. “Un Trafalgar al largo della costa egiziana, più uno non identificato” ripeté in tono grave il capitano. Questo con tutta probabilità significava che gli Inglesi avevano tutti i loro maledetti sottomarini da assalto nel Mediterraneo, il che voleva dire che la sorpresa strategica non aveva funzionato e che inesorabilmente la bilancia delle forze subacquee si spostava a favore loro. Se avevano già due sottomarini al largo dell’Egitto e quello che stavano inseguendo loro faceva tre, c’era da sperare che Dio e le forze antisom della task force l’avessero protetta perché i suoi poteri di difenderla contro tre sottomarini erano alquanto limitati, e comunque in zona di operazioni ci doveva ancora arrivare. Non disse nulla di tutto ciò al primo ufficiale, ma dal suo sguardo capì chiaramente che questi sapeva cosa lui stesse pensando. Lentamente Rech agguantò il microfono vicino al periscopio, che appena ricevuto il messaggio era stato calato di nuovo nella sua sede. “Attenzione; parla il comandante.” In tutta la nave gli uomini si fermarono e guardarono all’insù verso gli altoparlanti e chi stava svolgendo compiti che non poteva interrompere, distolse una piccola parte dell’attenzione da essi. “Abbiamo appena ricevuto un preavviso di inizio ostilità da parte di Supermarina nei confronti dei mezzi militari della Gran Bretagna. Da questo momento la nave è definitivamente in condizione di approntamento due e tale rimarrà fino a nuovo ordine. D’ora in poi qualunque chiamata ai posti di combattimento non sarà, ripeto non sarà un’esercitazione. Ci siamo addestrati per anni a questa contingenza e adesso mi aspetto da tutti voi che facciate funzionare al meglio questa tinozza della quale tanto ci vantiamo. Il contribuente paga fior di tasse per farci navigare e combattere. Vediamo di non deluderlo. Ritornate pure alle vostre mansioni e grazie a tutti per l’attenzione. Se il preavviso verrà annullato e si ritornerà ad una condizione tre, naturalmente voi sarete i primi a saperlo.” Non aveva aggiunto che sperava vivamente che il preavviso venisse annullato, perché lui era il comandante e non poteva esprimere apprezzamenti di quel genere. Era sicuro comunque che ogni anima a bordo condivideva la sua speranza. Nel frattempo aveva un lavoro da fare: riacquisire il dannato Trafalgar, e per dire il vero ci provò in tutti i modi. Purtroppo tra le condizioni del mare non ideali e l’abilità e la silenziosità del sottomarino nemico, il contatto non fu ristabilito. Davanti alla costa egiziana invece e più in generale nel Mediterraneo dell’est il tempo era buono e la complessità delle operazioni infinitamente maggiore. Il sottomarino inglese Spartan aveva temporaneamente acconsentito ad allontanarsi dalla zona calda navigando in superficie, conscio che non appena l’elicottero armato che la fregata Maestrale gli aveva messo di scorta avesse avuto necessità di rientrare alla base, lui avrebbe potuto immergersi e questa volta attaccare sul serio, dato che l’ultimatum inglese all’Italia scadeva in 28 ore. La task force italiana si preparava quindi al peggio. L’ammiraglio Crispi e il Generale Garofali erano oramai consci che l’inizio delle ostilità era imminente. Il primo si sforzò di richiedere rinforzi navali a Roma. L’operazione non era stata concepita per affrontare tre sottomarini nemici immediatamente. Supermarina, per bocca dell’Ammiraglio Bellinzoni Brat, fece sapere che avrebbe fatto il possibile, ma che lui doveva dare corso a quelle operazioni Antisom che le stesse piattaforme che lui comandava avrebbero dovuto fare nel canale di Sicilia in caso di tentativo inglese di far passare da lì sottomarini. Nulla cambiava se non il teatro delle operazioni. La variante se mai era la vicinanza alle basi inglesi in Palestina che aggiungeva la dimensione aerea alla minaccia, per lo meno temporaneamente. A questo proposito, in contatto con il comando della task force si metteva anche il Re in persona, il quale incitava ad intensificare il tempo delle operazioni. Una volta che le basi aeree di Damietta e El Arab fossero state in mani italiane ed una testa di sbarco consolidata sul canale, i rinforzi sarebbero arrivati in quantità, a cominciare dalla riserva galleggiante delle due divisioni di fanteria. Avrebbe provveduto lui stesso a modulare l’entità dei reparti aerei da rischierare in Egitto per stroncare definitivamente la resistenza degli Egiziani e mitigare la minaccia aerea costituita dalla base militare di Gerusalemme. Quindi sui fronti navale e terrestre, Crispi e Garoflai si misero al lavoro. Venne riconfigurato lo schieramento navale al largo di Port Said. Il sottomarino che la fregata Lupo aveva individuato al sonar attivo era riuscito a far perdere le proprie traccie, probabilmente allontanandosi oltre la portata limitata delle emittenti. L’altro, come detto, navigava verso Cipro a bassa velocità ed in emersione sotto la scorta di un elicottero A-212 della Maestrale armato con due siluri Mk-3. Il Generale Garofali avrebbe voluto i cannoni da 127mm delle navi da guerra a tirare contro le spiagge dove una brigata di fanteria egiziana ancora contestava il terreno ai reparti del S.Marco e del Reggimento della Serenissima Venezia. Dalla cattura di alcuni prigionieri si era appreso che si trattava della 1a Brigata di fanteria egiziana, considerata un reparto scelto. L’Ammiraglio Crispi replicava che non poteva distogliere le navi da guerra dall’anello esterno di protezione delle navi vitali per la missione e che l’esercito per il momento avrebbe dovuto aiutarsi con gli elicotteri da attacco che facevano la spola dalla S. Giusto e con i 76 delle navi da sbarco se riuscivano ad avvicinarsi abbastanza alla costa. Sul Fronte terrestre, andava in scena l’epopea del Reggimento Carabinieri Tuscania, asserragliato nell’abitato di Suez e sottoposto all’assalto di due diverse brigata della III armata egiziana. I paracadutisti, con l’ordine di non mollare la città a nessun costo, resistevano da veri e propri Folgorini. Fu emblematica la risposta del Tenente Colonnello Colombo comandante del reggimento, che all’invito del suo comandante generale di brigata a tenere rispose: “Tanto non abbiamo nessun posto dove ritirarci. Mandate Rinforzi. Folgore!!!” Dopo due giorni di combattimenti ininterrotti, il reggimento era conciato piuttosto male e si pensava quindi di rinforzarlo con il 185° Reggimento Guastatori Paracadutisti, riserva di brigata. Nel frattempo al confine con la Libia era affluito a tutta velocità il Reggimento Artiglieria Terrestre Pasubio da Sidi el Barrani, e si scatenava l’offensiva della Brigata Garibaldi sulla località litoranea di Abou Haggag, tenuta da una brigata corazzata ed una di fanteria nemiche. Gli Egiziani si stavano a loro volta preparando ad attaccare, e ne risultava quindi una battaglia di incontro dove la superiorità tattica dei due reggimenti di bersaglieri impegnati nell’azione si rivelò decisiva. La fanteria piumata sbarcava dai Marder con le armi anticarro leggere in pugno, mentre i mezzi martellavano a loro volta i Centurion di fabbricazione britannica a suon di Milan. Parecchi mezzi egiziani vengono incendiati e la fanteria egiziana autocarrata era disorientata e colpita da più lati da quella italiana appiedata che manovrava con sagacia all’ingresso del piccolo villaggio. Quando il volume di fuoco degli Arabi cominciò a diminuire con il diminuire del morale e delle munizioni, i bersaglieri ebbero buon gioco nell’infliggere serie perdite al nemico, che però con coraggio non abbandò il campo. L’effetto del munizionamento di caduta anticarro dei Palmaria fece il resto nel determinare un pieno successo italiano in questo scontro chiamato Prima Battaglia di Abou Haggag. Anche gli Italiani però avevano consumato camionate di munizioni, specialmente missili anticarro, ma essi avevano le basi logistiche ad un tiro di schioppo (Marsa Matruh) Mentre gli Egiziani le loro basi logistiche le avevano al Cairo. Il Generale Bardelli, comandante della Brigata Garibaldi, mandò un cifrato al generale Garofali, dal quale direttamente dipendeva, in quanto la brigata era autonoma e non dipendeva da alcun comando di corpo d’armata. Nel messaggio faceva rapporto sulla situazione dopo due giorni di combattimenti e si diceva soddisfatto dell’andamento della battaglia. Aveva perso un po più carri armati di quanto aveva preventivato, ma il nemico, se le cose avessero continuato ad andare come erano andate sino a quel momento, non sarebbe durato a lungo. Dopo l’invio di questo messaggio, si manifestò un serio contrattacco di una gran massa di fanteria egiziana sul fronte dei carri del 4° reggimento. Questi sparacchiarono qualche colpo e poi ripiegarono alla chetichella sulla costa. Era chiaro che Bardelli o chi per lui un discorsetto al comandante di quel reggimento doveva farlo. A Port Said, elementi del Reggimento della Serenissima erano riusciti parzialmente ad aggirare la 1a brigata egiziana sul fianco sinistro e ad ampliare da quel lato la testa di sbarco. I combattimenti erano duri e gli Egiziani avevano fatto in tempo durante la notte a pure a trincerarsi in città. Il comandante del raggruppamento da sbarco, Contrammiraglio Flavio Pavone aveva chiesto ed ottenuto una missione di attacco al suolo da parte degli elicotteri d’attacco. Alla rimostranza del suo superiore, Generale di Corpo d’Armata Mau, comandante del Corpo d’Armata d’Assalto circa l’intervento di elicotteri da combattimento in un centro abitato, Pavone aveva risposto che o i Mangusta gli spianavano gli edifici occupati dal nemico sul porto e sulle spiagge o Por Said non la si prendeva. Per cui i Mangusta arrivarono e spianarono. Per ampliare la testa di sbarco e prendere possesso della città occorreva tempo. Gli Egiziani resistevano casa per casa e non facevano sconti, tanto è vero che il Contrammiraglio Pavone fu sorpreso dal basso livello di perdite dei suoi due reggimenti. Di tempo però non ce n’era molto anche se il contrammiraglio ancora non lo sapeva: una brigata corazzata stava arrivando a rinforzo della città, e se era vero che una brigata corazzata non era adatta a combattere in città, e né tanto meno era a suo agio nel terreno compartimentato del delta, era pur sempre una brigata corazzata. Infine sul canale, Il Generale Monti comandante della folgore faceva arrivare la sua seconda ondata di paracadutisti tramite gli elicotteri della marina, dislocandoli come segue: a Suez, a rinforzo del provato Tuscania il 185° Reggimento Guastatori ed il 185° artiglieria, con i mortai pesanti. Nel settore di Ismailia faceva elitrasportare il 187° Reggimento Nembo sul fianco della brigata di fanteria nemica già colpita in precedenza dal 186° per darle il colpo di grazia e consolidare la posizione in città. Quindi il piano prevedeva che il 186° uscisse massiccio dalla città sputando fuoco e piombo, mentre il 187° tramite avioassalto sul fianco destro, prendesse il nemico d’infilata. Il Generale Monti non era tipo da subire l’iniziativa del nemico senza fare nulla ed era disposto a prendersi dei rischi. Con queste azioni aveva praticamente impegnato tutta la brigata, ma secondo lui nei punti giusti ed a ragion veduta. Al momento non aveva bisogno di riserve. L’attacco non fece grandi progressi ma alleggerì la posizione del 186° e mise comunque in difficoltà il nemico. Il giorno dopo scadeva l’ultimatum inglese. Elementi del plotone esploratori del 187°Nembo, elitrasportati per primi nella zona paludosa nordovest di Ismailia per la perlustrazione preliminare all'accoglimento del grosso del reggimento.
Di Soldati non avevano l’aria neanche un po’. Se non fossero stati seduti nell’angusto spazio dei tre grossi elicotteri della marina che li trasportavano e non avessero impugnato armi da guerra, li si sarebbe potuti descrivere come turisti subacquei in gita turistica per un’immersione. Le cose che non tornavano erano le facce completamente annerite, le mute nero opaco a bassa intensità ottica, e gli strani veicoli che i presunti subacquei si portavano dietro e che giacevano sui pavimenti degli aeromobili. Si trattava di un certo numero di VTAS (Veicoli Trascinatori d’Assalto) in uso sia alla X MAS che agli soldati del IX Reggimento Arditi Paracadutisti della Brigata Folgore. E proprio di quest’ultimo reparto facevano parte i 90 uomini che qualche minuto prima della mezzanotte, scadenza dell’ultimatum inglese, stavano navigando su tre speciali SM-30 della X MAS, svuotati di tutto in maniera da avere la piena capacità del vano di carico e lo spazio per caricare i VTAS. Erano partiti dalla S. Giorgio ed erano in navigazione con rotta verso est. Gli elicotteri volavano con i loro motori silenziati ad una quota compresa fra i sei e gli otto metri dal mare placido e nero, per sfuggire ai radar. I piloti, crema della crema dei corsi di volo della marina, nonostante volassero in automatico grazie ad un apparecchiatura tedesca chiamata Radarhöhenmesser che misurava la distanza da terra ed automaticamente adeguava la quota del volatile, erano attentissimi ai comandi per evitare incidenti. Lo strumento era montato anche sugli Junkers-99, ma su questi la quota minima era 50-60 metri a seconda del profilo del terreno. Sugli elicotteri, data la velocità minore di questi aeromobili, la quota minima poteva andare fino a 6 metri, con il velivolo in movimento longitudinale. La destinazione della “gita turistica” era la base aerea di Al Buhat in Palestina, nido del 251st RAF Squadroon dotato di 18 British Aerospace Harrier Gr. 5, che garantiva la copertura aerea e le capacità di attacco della RAF nella regione. Gli Harrier potevano con i serbatoi supplementari ben coprire tutto il cielo della Task Force E. Ancora più pericolosi erano i missili antinave Sea Eagle immagazzinati nella base di Al Buhat che gli Harrier potevano portare e lanciare da una distanza quasi doppia della gittata dei missili antiaerei italiani imbarcati. Tutta questa roba andava eliminata, e già che ci si andava in gita, tanto valeva fare le cose per bene attaccando anche la stazione radar costiera della Royal Navy e la batteria di missili SAM Rapier che avrebbe un domani potuto dare fastidio alle forze aeree italiane operanti nelle vicinanze della costa sud della Palestina. Non ultimo si sarebbero attaccati anche gli aerei veri e propri. Il commando di arditi era quindi diviso in 6 pattuglie: tre per gli Harrier, una per il deposito munizioni dove presumibilmente erano immagazzinati anche i missili Sea Eagle, una per la stazione radar, ed una infine per la batteria di missili antiaerei. Ogni elicottero portava 2 pattuglie ed una volta messi a mare tutti gli arditi a 20 chilometri dalla costa, limite massimo sotto l’orizzonte radar degli Inglesi, ogni pattuglia si sarebbe diretta indipendentemente verso il suo obiettivo. Se la missione fosse andata bene, e l’attrezzatura nemica distrutta, i velivoli SM-30 non avrebbero incontrato nessun problema nel ripresentarsi nel luogo di rilascio degli Arditi o in luogo alternato, ed esfiltrare gli incursori a cose fatte. L’intelligence dettagliata era stata una gentile concessione delle forze aerospaziali francesi e dei loro satelliti spia ad alta definizione grazie ai quali si erano potuti studiare gli obiettivi nei minimi particolari ed approssimare con una certa probabilità l’ubicazione dei missili antinave, obiettivo assolutamente prioritario. La preparazione di questa missione era cominciata ben prima che la task force salpasse dalle acque nazionali ed era adesso il momento di portarla a termine. Visto che gli Inglesi erano irriducibili tanto valeva cominciare le ostilità con il botto. La pattuglia del Capitano R con il suo capo si preparò all’espulsione dall’elicottero quando la macchina rallentò nettamente, segno che erano arrivati al punto iniziale di infiltrazione via mare. Tutti i componenti applicarono il repellente contro gli animali indesiderati e mordaci ed indossarono le maschere collegate all’ossigeno. Le pinne ed il resto dell’attrezzatura erano già calzati e quindi gli incursori rilasciarono prima i tre VTAS e poi si tuffarono in mare dall’elicottero che stazionava sulla superficie calma del mare con le pale che descrivevano un perfetto cerchio increspato nell’acqua. Non ebbero bisogno di scambiarsi alcun messaggio gli Arditi, che a gruppi di 5 abbrancarono i VTAS ed iniziarono la navigazione verso la costa, che durò circa un’ora e si svolse senza particolari inconvenienti. Arrivati a destinazione depositarono sul fondo i veicoli, e ne marcarono il punto sulle loro attrezzature digitali di navigazione e manualmente su una carta plastificata della zona costiera di loro competenza. Poi cominciarono a nuotare lentamente verso terra per il resto del tragitto. La costa era sabbiosa il che comportava sempre il rischio che fosse frequentata, e che imponeva quindi la massima attenzione durante l’avvicinamento e la presa di terra. In sede di pianificazione si era scelto un punto di approdo che distava solo 150 metri da una zona boschiva al di là della spiaggia che fu esattamente dove gli incursori si diressero una volta preso terra. Qui stabilirono il loro primo punto di incontro e recupero e nascosero un’aliquota di viveri e munizioni che avrebbero potuto rappresentare la salvezza di incursori in difficoltà. Le procedure operative standard non prevedevano più l’abbandono temporaneo in un PIR del materiale di nuoto e quindi gli incursori se lo portarono dietro, pinne e tutto. L’obiettivo distava circa 9 chilometri dal punto di ritrovo ed era tempo di mettersi in cammino con cautela. La squadra si mosse naturalmente con la massima circospezione attraverso un itinerario completamente coperto, ma non per questo meno pericoloso, che era stato predisposto in anticipo. L’ultima parte dell’avvicinamento richiese una particolare attenzione perché si doveva svolgere attraverso un paio di arterie di comunicazione e attraverso del terreno aperto. Il traffico sulle strade era scarso data l’ora e non vi era segno di pedoni e civili in giro. Dopo circa mezz’ora di movimento di avvicinamento gli Arditi arrivarono alla recinzione esterna della base aerea di Al-Buhat. Si controllò attentamente che non vi fosse nessun sistema di allarme e si procedette a praticare un’apertura nella rete di metallo sovrastata dal filo spinato. La pattuglia si diresse a botta dritta verso l’edificio che l’intelligence aveva indicato come quello dove era tenuto il munizionamento degli aerei. Molto probabilmente nello stesso tempo dal lato ovest stavano entrando le pattuglie destinate al sabotaggio degli aeromobili veri e propri. La base di Al-Buhat non era dotata di Shelter e gli aerei erano parcheggiati all’aperto in una zona designata e nemmeno troppo dispersa. Ma questo non era affare loro, per cui si avviarono con cautela e movimento super tattico verso l’edificio assegnato. Giunti a quel punto si riscontrarono due difficoltà: la prima era che naturalmente l’edificio era sorvegliato, e la seconda che era molto illuminato per una vasta area circostante, cosa che dalla ricognizione fotografica non risultava. La seconda problematica era una contingenza non prevista che avrebbe potuto mettere a repentaglio la missione, in caso il comandante della pattuglia avesse deciso di proseguire. Rapido scambio di idee tra R ed i componenti anziani della pattuglia e si decise di andare avanti. Se fossero stati la pattuglia destinata all’attacco al radar costiero o alla batteria SAM ci avrebbero pensato su due volte, ma il loro obiettivo erano i missili antinave; bersaglio prioritario insieme naturalmente agli aeromobili stessi. La pattuglia si divise quindi in due aliquote: due team di tiratori scelti silenziati per eliminare le sentinelle e tre team di assalto che avrebbero approcciato l’edificio ai due lati ed all’ingresso. Il team centrale con le cariche esplosive temporizzate. I tiratori scelti eliminarono prontamente le sentinelle su quel lato dell’edificio, ma quella fu l’ultima cosa che andò bene per la missione della pattuglia “Rho” così come era stata designato il distaccamento destinato ai missili Sea Eagle. Per somma sfiga, quando la sentinella di destra cadde, la cosa fu notata da un veicolo di pattuglia mobile che proprio in qual momento faceva la sua comparsa sul lato est dell’edificio. I militari appartenenti a tale distaccamento mobile non ci misero un secondo a dare l’allarme all’intero complesso ed a questo punto il Capitano R si trovò davanti una scelta decisiva per la sua squadra. I team d’assalto erano già in movimento anche se ancora non erano entrati nella zona illuminata. A quel punto non c’era più tempo per i conciliaboli e quindi R parlò sul circuito radio a cui ogni singolo componente della pattuglia aveva accesso in ricezione e trasmissione. “Qui R. OPPOSIZIONE! OPPOSIZIONE! Codice Verde. Sezioni Tau, 2 e 3 dare copertura, noi facciamo irruzione nell’edificio.” Quindi i tiratori scelti presero di mira il veicolo in avvicinamento da cui militari nemici già erano sbarcati e già cominciavano a sparare. Le sezioni di Arditi in copertura si disposero a semicerchio intorno a quella di assalto che a questo punto come unica funzione aveva quella di entrare nell’edificio, localizzare i missili ed eliminarli. Prima di entrare nell’edificio il capitano R si guardò intorno e vide che la situazione era oramai senza scampo. Molti altri veicoli erano in avvicinamento a fari accesi. Prese per la “giacchetta” il vicecomandante della pattuglia. “Quando ho piazzato gli esplosivi vi avverto e voi vi arrendete, sono stato chiaro?” Il sottufficiale lo guardò ad occhi spalancati, il cui bianco era l’unica cosa visibile della sua faccia anche a quella minima distanza. “Sono stato chiaro Sergente?” gli strillò R una seconda volta. “Signorsì” “Bene proseguiamo.” Gli eroismi del caz*o andavano bene nei film con Stallone e Swartzy ma nella realtà lui aveva la responsabilità della vita di tutti i suoi uomini. Intendeva portare a termine la missione senza farli ammazzare tutti. Secondo l’intelligence la base aveva una compagnia di avieri ausiliari della RAF e 15 uomini non avrebbero potuto trattenerli a lungo. L’intera base era adesso in allarme ed R pregò solo di non avere compromesso anche la missione delle pattuglie destinate ad attaccare gli aeromobili. Con due uomini fece saltare la porta di ingresso a colpi di SPAS-12. Il capannone era abbastanza ampio, ma grazie a Dio, non ci misero molto a trovare l’area dove erano immagazzinate le munizioni con l’aiuto delle torce. C’era pure un Harrier parcheggiato. I Sea Eagle erano inconfondibili, in quanto erano i più grossi ordigni presenti nella grande area, sistemati in grosse rastrelliere di metallo ancorate al pavimento. Il rumore della battaglia fuori si faceva sempre più elevato ed intenso, per cui gli Arditi di R non avevano tempo da perdere. Piazzarono le cariche temporizzate a tre minuti nello spazio tra i piedistalli delle rastrelliere. Avevano con loro una ventina di cariche e di missili ce n’erano quasi il doppio, quindi sistemarono le cariche tra gruppi di due o tre missili, che per motivi di spazio erano raggruppati abbastanza vicini e corsero verso l’uscita il più in fretta possibile, ben sapendo a quali rischi si sottoponevano. Indi comunicarono alle sezioni che combattevano fuori che il piazzamento degli ordigni era ultimato e che avevano tre minuti. L’ultima comunicazione fu per le sezioni di tiratori scelti. “ZETA qui R. Spada Spezzata, ripeto Spada Spezzata! Ci Vediamo in Italia.” I tiratori scelti, raccattarono la loro roba e si dileguarono verso il punto di incontro e di recupero. Quando R ed i suoi due gregari uscirono fuori trovarono militari inglesi, presumibilmente dell’aviazione che radunavano gli Arditi che si erano arresi. Erano tutti ovviamente molto nervosi. C’erano adesso meno due minuti di tempo. Gli Inglesi puntarono contro di loro le armi ed un ufficiale si fece avanti impaurito e con la pistola in pugno. Con la massima seraficità, R si guardò l’orologio ed informò l’ufficiale britannico che avevano un un minuto e quaranta secondi per allontanarsi prima che saltasse tutto in aria. L’ufficiale inglese, che ben sapeva di fronte a quale edificio si trovava e aveva anche capito dal loro aspetto e dal loro equipaggiamento, che gli Italiani non erano pacifisti con baffi e basettoni che avevano violato la base per protesta contro le armi e le guerre, e si risolse ad evacuare d’urgenza portandosi dietro i prigionieri, dai quali era più spaventato lui che loro da lui. Da prima il brillamento delle cariche non sortì chissà quali effetti, tanto e vero che R si chiese se erano esplose. Ma dopo qualche secondo, quando per simpatia cominciarono a zompare per aria le varie munizioni contenute nella santa barbara tutti si resero contro che non c’era tanto da caz*eggiare. Gli Inglesi a fatica riuscirono ad allontanarsi portandosi via i prigionieri, sotto la sorveglianza armata di un intero plotone di avieri. Gli Italiani ebbero un morto, due feriti di cui uno morì al pronto soccorso della base e sei prigionieri. Gli inglesi ebbero una sentinella morta ed una ferita, e cinque altri feriti tra le forze accorse dopo, dal momento che gli Arditi, come da ordini ricevuti da R non avevano spinto la difesa fino alle estreme conseguenze. Gli Inglesi ovviamente da R ed i suoi non cavarono nulla, ma ebbero quattro altri feriti quando saltarono per aria anche gli Harrier parcheggiati nell’angolo sudovest del perimetro della base, proprio mentre un distaccamento inglese si precipitava a controllarli. 12 Harrier Gr.5 su 18 furono distrutti e la missione della pattuglia S si poté quindi considerare un pieno successo, con gli Arditi ad essa destinati che si dileguarono senza lasciare traccia. Alcuni detonatori si erano danneggiati durante la nuotata a dispetto di tutte le precauzioni prese, e due che non parevano danneggiati comunque non funzionarono. L’attacco contro la batteria di Rapier fu portato con successo e la batteria messa fuori combattimento con la pattuglia di Arditi che anche in questo caso la fece franca. L’attacco al complesso Radar costiero invece fallì e la pattuglia fu in gran parte catturata. La guerra era cominciata con i fuochi d'artificio napoletani anche se non era proprio capodanno. VTAS in azione durante un'esercitazione Missile Sea Eagle
Il messaggio che nessuno voleva vedere arrivare, alla fine arrivò. ed arrivò con priorità uno come da precedenti indicazioni; sicché il Todaro non ebbe bisogno di estendere le antenne per la ricezione. A questo punto la nave doveva considerarsi in guerra con qualunque mezzo militare britannico e poteva attaccarlo senza preavviso. Naturalmente lo stesso valeva per il nemico. La priorità numero uno era riacquisire il Trafalgar che li aveva seminati ad est del Canale di Sicilia, levarlo di mezzo e poi concentrarsi sulla protezione della flotta davanti alla costa egiziana dagli altri sottomarini nemici, ma nello stesso momento avvenivano molte altre cose. Tanto per cominciare così come aveva fatto il Governo Italiano, anche quello Inglese emanava un comunicato che dichiarava pericolose per la navigazione le acque del Mediterraneo del Sud, a partire dalla longitudine dell'isola di Creta fino alla costa della Palestina. La Gran Bretagna dichiarava zona di guerra le acque a sud di Creta ed a sud di Cipro, e invitava il traffico mercantile a percorre rotte a nord di quelle latitudini. Invitava inoltre il traffico aereo a navigare con gli strumenti di riconoscimento sempre ben in funzione, onde evitare di poter essere scambiati per bersagli dai mezzi di guerra britannici e potenzialmente abbattuti. Da ultimo il Governo Britannico dichiarava interdetto lo spazio aereo egiziano, palestinese e quello compreso tra la longitudine di Cipro e quella della costa est del Mar Mediterraneo. I voli dovevano essere dirottati a ovest ed a est dell'area interdetta. Con questo si concludeva il bollettino di guerra n°1 del Governo di Sua Maestà Britannica, che non faceva cenno alla prima azione di guerra avvenuta la notte prima. Cosa strana, non ne faceva cenno nemmeno il bollettino italiano, che anzi non veniva nemmeno emesso. Il personale dell'intera task force italiana al largo dell'Egitto era naturalmente in stato di massima allerta già da qualche giorno e la scadenza ufficiale dell'ultimatum inglese non aveva certo modificato la situazione. Ed infatti durante la seconda guardia mattutina del primo giorno di guerra, l'operatore radar del Giussano diede il suo primo allarme del conflitto. Si trattava di un allarme concitato, in quanto in bersagli erano stati individuati ad una distanza non particolarmente confortevole. "Plancia; Operazioni. Due bersagli aerei in rapido avvicinamento rilevamento 100, quota a pelo d'acqua distanza 16 miglia!!" I radar da ricerca aerea del Giussano non erano riusciti a scoprire la coppia di jet che volava bassissima, prima che gli fossero praticamente addosso. Il che era sorprendente dato il battage mediatico anteguerra sulle capacità antiaeree del Da Giussano. Il Comandante non era in plancia; era nella cabina dell' l'Ammiraglio Bonzano a pianificare le operazioni da svolgere una volta che la seconda ondata d'invasione con le brigate di fanteria avesse ricevuto la luce verde per lo sbarco. Dunque Il primo ufficiale, che aveva il comando della nave, non perse tempo e non ne aveva da perdere nemmeno un po', non con il nemico a meno di 15 miglia e a 500 nodi di velocità. "Operazioni; plancia. Ingaggiare con gli Aspide!! Immediatamente! Posti di Combattimento!! Corro al CDC." Quando l'ufficiale arrivò al centro di combattimento la soluzione di tiro per i missili Aspide 2 era pronta. Il motivo per cui aveva ordinato di ingaggiare con i missili a corto raggio era che a quella distanza i Pilum erano già fuori gioco, vista la quota dei bersagli. Se li avessero scoperti prima... Il fuoco fu iniziato proprio mentre l'Ammiraglio Bonzano ed il comandante della nave si precipitavano anche loro di corsa nel centro di combattimento. "Missili fuori!!" annunciò con enfasi l'ufficiale antiaereo nel momento in cui due ordigni lasciarono in rapida successione le rampe di lancio. La distanza era talmente corta che oramai con i binocoli si poteva osservare l'azione a vista, per cui tutti gli ufficiali concentrarono la loro attenzione sul vettore che i missili stavano seguendo. I missili si dirigevano infatti contro un paio di puntini che molto rapidamente si rivelarono per quello che in realtà erano, e cioè una coppia di Harrier Gr.5 sopravvissuti all'azione italiana della notte precedente e ben decisi a vendicare la distruzione degli aerei dei loro colleghi. Con orrore gli ufficiali italiani videro i due aerei nemici lanciarsi in secche manovre per evitare i missili cosa che riuscì ad entrambi, nonostante il carico bellico che portavano. Gli Harrier passarono quindi a più di 400 nodi di poppa al cacciatorpediniere. Il loro bersaglio non era il Da Giussano. L'ammiraglio Bonzano si attaccò quindi alla radio. "Attenzione a tutte le scorte. Due Harrier Inglesi sono penetrati nello schermo antiaereo, ingaggiateli! Fuoco a volontà con tutte le armi!" Le restanti navi si scorta ed anche le altre navi militari che facevano parte del sistema di data link della flotta, avevano naturalmente già tutti i dati circa rotta e velocità degli aerei nemici, e fu subito chiaro che questi puntavano sul S. Giorgio e sul Maestrale. Quando sul Giussano si fu certi della rotta degli aggressori, un'ondata di apprensione si abbatté sul centro di combattimento. "Mio Dio, c'è il Comandante Superiore in Mare sul S. Giorgio!" disse Bonzano con sgomento. Tutti gli altri ufficiali non seppero fare di meglio che guardarsi l'un l'altro. E con loro gli ufficiali imbarcati su tutte le altre navi, meno che su due dove l'attività era frenetica. Sul Maestrale e sul San Giorgio infatti non c'era tempo per lo scoramento. "Li vedi?" chiese con calma l'ufficiale tattico all'operatore degli Aspide della fregata. L'unità navigava di scorta ravvicinata al S.Giorgio, ma purtroppo sopravento il che metteva dannatamente fuori gioco il sistema di difesa di punto Dardo. Rimanevano i missili ed il cannone da 127mm, che seppur limitatamente, poteva essere usato come arma antiaerea a distanza breve. Gli analisti lo reputavano in grado di abbattere un aereo o un missile. L'ufficiale tattico aveva i suoi dubbi. I radar di controllo fuoco del Maestrale erano già sul nemico, ed il comandante aveva già confermato l'ordine dell'ammiraglio di fuoco libero a tutte le armi. La concentrazione di tutto il personale era assoluta e si sudava freddo sotto le tenute ignifughe. Sfortunatamente i radar di tiro antiaereo della fregata non erano paragonabili a quelli del Da Giussano, ma a parziale compensazione di ciò il Maestrale, a differenza del Giussano, aveva avuto il tempo necessario per brandeggiare anche l'Otobreda da 127. Fu questione di qualche decina di secondi prima che gli Harrier inglesi fossero a tiro e praticamente sulla verticale, se di verticale di poteva parlare data la loro quota, del S. Giorgio. "Fuoco a volontà!! Fuoco a volontà!! Rilasciare tutto!" ordinò l'ufficiale tattico da sotto al suo passamontagna antifiamma, e la salva di Aspide lasciò le rampe. Quasi contemporaneamente l'Otobreda, già brandeggiato per 98 gradi, cominciò ad abbaiare fuoco contraereo ad una cadenza accettabile in rapporto al calibro dell'arma. Gli Harrier arrivavano molto veloci e fu subito chiaro che ce l'avevano proprio con il San Giorgio, che aveva già messo al massimo le macchine, 20 miseri nodi, e tentava di presentare un bersaglio di taglio agli Inglesi evidentemente armati di bombe. Mise pure in azione il suo Super Rapido da 76mm ed il cannoncino da 25 quando il nemico fu a distanza utile. Gli Harrier si trovarono quindi improvvisamente nel bel mezzo di un non trascurabile volume di fuoco contraereo. Manovrarono bene ma uno fu abbattuto sicuramente da un Aspide, e si disintegrò in aria, mentre il secondo non si capì quale dei cannoni impegnati nel tiro lo colpì. Fatto sta che l'Inglese, scartò violentemente e seppur colpito, riuscì a mettersi su una rotta di scampo a nord senza essere riuscito a rilasciare il suo carico bellico. Rottami dell'aereo abbattuto caddero sul S. Giorgio, provocando un incendio non grave. Grazie a Dio non c'era nessuno in coperta e le squadre antincendio riuscirono piuttosto velocemente a contenere le fiamme. Il pilota inglese abbattuto non si lanciò. Quando il personale della task force riuscì a ricominciare a respirare, si fece il punto della situazione. L'abbattimento venne attribuito al Maestrale, ed nel suo CDC erano tutti sorrisi e pacche sulle spalle, ma era chiaro che sulle tattiche AA della task force c'era da discutere. Che uno squadrone decimato di aerei senza armi a lunga gittata seminasse il panico nell'anello di difesa aerea coordinato un caccia antiaereo dedicato, non era fatto accettabile. La recente battaglia andava esaminata a fondo e andavano fatte le necessarie correzioni tattiche.
“Gli Inglesi hanno voluto fare gli eroi e comunque per poco non ci hanno fatto lo scalpo lo stesso!” asserì con fastidio l’Ammiraglio Crispi, comandante in capo della task force, in collegamento radio con il personale in comando delle scorte a bordo del Da Giusssano. “Lucio devi trasferirti sul Giussano. E’ più sicuro” l’Ammiraglio Bonzano pregò il suo diretto superiore. “Sei sicuro che sia più sicuro? Mi risulta che a salvare la nave ammiraglia siano stati la sua difesa di punto ed il Maestrale.” Il comandante in capo della spedizione, il Generale Garofali, era in collegamento radio ed ascoltava; di tattiche navali non capiva un accidente quindi si limitava a stare a sentire cosa i geni della marina si inventavano per evitare di mandare a rotoli l’intera operazione. In realtà il piano era di mettere a terra gli alti papaveri dell’operazione Artiglio non appena la testa di sbarco a Port Said fosse stata abbastanza sicura, ma fino a qual momento detti papaveri rimanevano su navi diverse, in maniera da non lasciarci la pelle in più di uno a seguito di un attacco ad una determinata nave. Quindi la loro analisi post azione dovevano farsela via radio. Per il momento a terra una zona che potesse definirsi sicura non c’era ancora. “Com’è che il vantato Giussano ci ha lasciato due bersagli aerei in eredità e non è riuscito ad abbatterli?” Chiese il comandante in capo della task force. “Non li abbiamo visti! Non li abbiamo visti fino a quando non erano già fuori dal raggio minimo del sistema di difesa a media gittata.” “Si ma i radar di controllo tiro, ultimo grido della Selenia??” “Non so cosa dirti Lucio, il comandante Auditi, qua mi dice che gli Aspide li hanno mancati tutti e due e non sa spiegarsi come, specialmente considerando il fatto che poi un Aspide del Maestrale ne ha beccato uno e quindi il sistema d’arma all’atto pratico funziona.” “Va be’ e quindi le tattiche come le aggiustiamo?” “Secondo me è meglio non toccare niente” rispose il responsabile del gruppo di scorta. La minaccia aerea, tra la battaglia di oggi e quella di ieri fatta dagli Arditi è quasi azzerata, ma il Maestrale da dov’è non lo sposterei. Mi serve per difenderci dalla minaccia sottomarina che è a questo punto molto più seria.” Il comandante della task force fece una pausa prima di riprendere il discorso. “Ho fatto rapporto a Supermarina sullo scontro. Sono molto seccati a Roma. A proposito della minaccia sottomarina, Bellinzoni mi ha detto che sta venendo qui il Todaro da Ponente e che sta inseguendo un secondo Trafalgar, quello di Gibilterra.” “Dio Santo, gli Inglesi hanno in Mediterraneo l’intera linea di SSN. Lo vedi che la minaccia sottomarina è la più grave?” “Si ma ci mandano il Todaro per attenuarla.” “Lo comanda sempre Rech?” “Si sempre Rech” “Meno male. Mi sento più tranquillo. Quindi ti va bene se lasciamo il Maestrale dov’è? Primo non lo voglio distogliere dalla tua scorta vicina, visto che sei un testone e non vuoi trasferirti su una vera nave da guerra, e secondo credo che la mia nave di bandiera qui possa fare molto meglio di quanto abbia fatto finora.” e nel dire questo Bonzano diede una seria occhiata al comandante Venuti. “Ok tienimi informato” “Sicuro...senti sul San Giorgio è tutto a posto ho sentito che ha subito danni dai rottami dell’Harrier abbattuto.” “Poca cosa, principio di incendio subito domato. Grazie a Padre Pio gli elicotteri erano tutti sottocoperta ed il personale pure e non avevamo operazioni di volo in corso: danni collaterali.” “Speriamo che il consolidamento a terra avvenga presto, così possiamo ricevere l’aviazione e concentrarci esclusivamente sui rifornimenti. Quando prendiamo Alessandria mi piacerebbe usare quel porto come terminale di scarico. Almeno non dovremo più stare qui fermi ad aspettare gli attacchi degli Inglesi.” “Si speriamo presto. Vado che devo conferire con i comandanti dei trasporti per le precedenze della seconda ondata.” “Tienimi informato chiudo.” Scheda Tecnica del Giussano (Regolamento "Naval Command 2021 Edition" by Rory Crabb)
“Si immerge! Si Immerge!” l’operatore di sistemi dell’A-212 del Maestrale diede l’allarme al comandante dell’aeromobile. Era un bel po' che il sottomarino britannico navigava in superficie per portarsi fuori dalla zona di esclusione, ma nonostante avesse percorso il tragitto alla massima velocità che la sua propulsione gli consentiva in superficie, alla scadenza dell’ultimatum l’elicottero Italiano non aveva ancora avuto la necessità di tornarsene alla sua nave per raggiunti limiti di carburante, il che metteva lo Spartan in una condizione tattica disperata. Adesso il comandante britannico si pentiva amaramente di aver fatto lo sborone emergendo per fare vedere agli Italiani quanto il suo sottomarino gli era arrivato nel cu*o a dispetto delle difese antisom della task force. Adesso infatti non aveva altra scelta che provare a scappare. Il suo paese sarebbe stato tecnicamente in guerra con l’Italia in meno di un’ora e lui non aveva certo intenzione di arrendersi ad un elicottero italiano, consegnando nelle mani dei mafiosi un Trafalgar nel pieno della sua vita operativa. Nella posizione in cui si trovava però era praticamente indifeso. La bravata commessa ore prima gli gli sarebbe costata come minimo la carriera e molto più probabilmente la pelle sua e del suo equipaggio. Arrivati a quel punto, il comandante dello Spartan fece l’unica cosa che poteva fare; immersione di emergenza, macchine avanti tutta ed una volta raggiunti i 40m di quota barra tutta a dritta. Gli Italiani avrebbero avuto 50 e 50 di lanciare dalla parte giusta. La reazione del comandante dell’elicottero fu istantanea. Le armi erano pronte da un bel pezzo. “Rilascia il siluro!” ordinò perentoriamente all’operatore di sistemi. Un Whitehead Mk3 da 324 millimetri si staccò dall’elicottero e cadde in mare nella zona turbinosa dove il sottomarino si era immerso. “Mi fermo. Metti il sonar a mare” ordinò il comandane. L’elicottero con una gentile virata discendente si portò ad una quota dalla quale era possibile immergere il sonar ed ascoltare cosa stava succedendo e cominciò l’hovering sul posto.. Immediatamente l’operatore dei sistemi cominciò a parlare al suo comandante. “Nessuna ricerca circolare. Lo squalo va dritto sul bersaglio. Forti rumori di cavitazione. Il Trafalgar sta forzando al massimo.” Il sonar ad immersione dell’Agusta adesso emetteva impulsi continui allo scopo di tracciare con precisione i rilevamenti del siluro e del bersaglio. Il siluro stava cominciando a fare lo stesso. “Ha invertito la barra e lanciato un generatore di rumore.” Oramai il sub inglese era alla canna del gas. Passarono ancora quattro o cinque secondi e l’operatore non ebbe bisogno di aggiornare la situazione ulteriormente. Un’enorme esplosione poté essere vista e sentita senza l'aiuto di nessuno strumento. Sulle prime il comandante che non aveva mai sganciato un’arma reale pensò che gli avessero armato il volatile con una testata nucleare tattica. Prima l’acqua del mare sembrò risucchiata verso il fondo ed immediatamente dopo, un enorme geyser d’acqua bianca e verde si levò in alto, che pareva un fungo atomico. Il siluro era andato a segno. “Impatto! Impatto! Annunciò l’operatore di sistemi con considerevole ritardo, e quando la perturbazione dell’esplosione si affievolì ed i filtri automatizzati dell’apparecchiatura per evitare lo sfasciamento dei timpani dell’operatore si disinserirono, si rimise in ascolto in cerca di segni che gli descrivessero i risultati dell’azione. Il sottomarino aveva considerevolmente diminuito la velocità, ma era ancora vivo. La cosa stupì parecchio l’operatore dei sistemi dell’elicottero. Nei romanzi di Tom Clancy quando un sottomarino era colpito di solito affondava subito subito, e senza rompere ulteriormente le palle. Non in questo caso. Il comandante dell’elicottero non sapeva cosa farsene di un sottomarino nemico danneggiato ad 80 miglia dalla task force, quindi o l’Inglese emergeva e si arrendeva o lui lo avrebbe distrutto definitivamente. E pure se si fosse arreso avrebbe dovuto comunicare con la task force per organizzare il salvataggio dell’equipaggio o qualcosa del genere, ma per il momento l’azione non era ancora finita. Nel frattempo a sud di Creta il Todaro navigava con il reattore a regime allegro ed una velocità di 30 nodi. Il tentativo era quello di acchiappare l'altro Trafalgar che gli era passato sotto il naso nel canale di Sicilia. Questi era sicuramente diretto verso la zona dove stazionava la task force italiana. Naturalmente a quella velocità gli apparati di ascolto erano quasi inutili, tuttavia c’era la possibilità che il sottomarino nemico forzasse anche lui la velocità diventando rumoroso, per cui gli operatori del sonar del Todaro erano comunque in stato di massima allerta. L’altra possibilità era che l’Inglese avesse rallentato per farlo passare ed un quel caso c’era il pericolo di incassare un siluro. Il Capitano Rech decise che era un rischio da correre. Molto dipendeva anche dallo sfalsamento latitudinale tra i due battelli. E la pazienza alla fine pagò. “Contatto. Rilevamento 130 a una zona di convergenza.” annunciò l’operatore sonar del Todaro. “Secondo me è lui Signore; comunque 80 contro 20 che è un contatto sommerso, non ho altre informazioni oggettive per il momento.” Rech fu alquanto sorpreso che il sonar avesse rilevato qualcosa in quelle condizioni di moto, e comunque ne fu lieto. La posizione approssimativa indicata dall’operatore sonar era sul meridiano di Bardia, quindi una trentina di miglia ad est dalla posizione del Todaro. Per quanto riguardava la latitudine, ancora nulla. “Capo si metta al lavoro. Dovrà farmi il miracolo con il sottomarino alla velocità corrente. Soprattutto, non lo perda.” Anche il resto della task force si stava concentrando in quel momento sulla guerra anti sottomarina; attualmente un totale di tre elicotteri, due SM del S. Giorgio e e del S. Giusto ed un 212 del Lupo erano in azione. I primi due in cerca del terzo sottomarino non identificato che era stato localizzato sul versante ovest della task force ma di cui si erano successivamente perse le tracce; questo senza contare l'elicottero del Maestrale impegnato nel finire il Trafalgar azzoppato. Alla notizia di tale azzoppamento, l’Ammiraglio Bonzano chiese ed ottene l’autorizzazione a modificare la disposizione tattica del suo 10° Gruppo Navale (Il gruppo da battaglia), e così l’ammiraglia del Gruppo (il Giussano) si spostò ancora più a est tra il delta del Nilo e Gaza per garantire più allarme in caso di nuovo attacco aereo inglese, che però a quel punto era considerata minaccia secondaria fino a quando il nemico non avesse trovato il modo di rinforzare la base di Al Buhat. Venne spostato anche lo stesso Maestrale che passò sottovento alle navi vitali Stromboli e S. Giorgio in maniera fa garantire loro più copertura aerea. Il grosso del lavoro antisom sarebbe dunque passato al comando della fregata Lupo, che avrebbe coordinato non solo il suo elicottero, ma anche tutti quelli impegnati in ruolo antisom in ogni dato momento fino a nuovo ordine. Sulle navi ammiraglie italiane Giussano, Stromboli, Prosepina e S. Giorgio si respirava a questo punto soddisfazione ed ottimismo per le prime legnate assestate agli Inglesi, ma a modesto parere di chi scrive, se la soddisfazione era giustificata, l’ottimismo lo era un po’ meno, in quanto se esaminiamo le operazioni di guerra condotte sino a quel momento notiamo che l’attacco alla base di Al Buhat era stato un attacco estemporaneo condotto da forze speciali, mentre il riuscito attacco al sottomarino inglese era stato frutto di una bestialità commessa dal nemico quando non vi era ancora lo stato di guerra. Anche la difesa contro la prima operazione aerea nemica si era conclusa si positivamente, ma contro un reparto nemico già decimato e sprovvisto di armi a lunga gittata; ed anche così, il nemico era andato vicino a fare veramente male. Bene la soddisfazione quindi, ma io avrei sostituito l’attenzione e la concentrazione sulle prossime operazioni all’ottimismo, specialmente considerando che la campagna terrestre in Egitto non aveva ancora avuto nessuna svolta decisiva.