“E’ un Trafalgar. Deve essere per forza il sottomarino che abbiamo inseguito dal Canale di Sicilia.” comunicò l’operatore sonar del Todaro alla sala di manovra. Aveva isolato la traccia acustica dopo un lavoraccio certosino. “Risale e cambia rotta. Distanza due zone di convergenza. Nuova rotta del contatto 50 gradi conteggio pale 18 nodi.” Il Capitano Rech era a conoscenza del fatto che la Task Force E aveva cominciato la navigazione di rientro in Italia e considerando la posizione di quel Trafalgar, essa poteva risultare dannatamente pericolosa per il treno di navi in movimento verso ponente. “Veniamo a quota periscopica, mettere fuori le antenne di trasmissione. Diamo il segnale di scoperta del sottomarino nemico. Rallentare a due terzi, rotta 65 gradi. Navigazione silenziosa, calcolare soluzione di tiro mentre ci avviciniamo, preparare tubi di lancio tre e quattro.” Pur rallentando il Todaro guadagnava comunque sul Conqueror che si trovava adesso più o meno sul meridiano di Alessandria d’Egitto appena fuori dalle acque territoriali. Più o meno nello stesso tempo la task force andava assumendo formazione e rotta di rientro in Italia per caricare il III Corpo Corazzato del Generale Gioda; con un’unica eccezione: la Fregata Maestrale rimaneva indietro per intercettare e distruggere il sottomarino inglese Spartan probabilmente diretto ad Haifa per le riparazioni a seguito del suo primo incontro con il Maestrale. C’era anche da preoccuparsi dell’altro sottomarino sconosciuto che infestava le acque del Mediterraneo Orientale. Su di lui stavano lavorando la Fregata Lupo e il suo elicottero, man mano che la task force sfilava verso ponente. C'è da registrare su questa decisione dell'Ammiraglio Crispi, avallata dal Generale Garofali la contrarietà del comandante del 10° Gruppo Navale Ammiraglio Bonzano a dividere le forze del gruppo di scorta, ancorché per un fruttuoso scopo rappresentato dalla possibile distruzione dello Spartan. Ed infatti il nemico cominciò presto a minacciare i movimenti verso ponente della task force. “Contatto!! designare come Sondrio 1. 10 a 1 che è lo stesso contatto che ha lanciato su di noi tre ore fa. Distanza 18 miglia rilevamento 5 gradi.” L’operatore del sonar attivo del Lupo non poteva essere più preciso di così. “E’ pronto l’elicottero?” domandò con impazienza il comandante Norma. “Pronto al decollo in 5 minuti rispose l’ufficiale tattico. “Mandatelo sul contatto non appena pronto” “Si Signore. Elicottero sul contatto non appena pronto.” Ci volle quasi un quarto d’ora per portare l’Agusta-212 del Tenente Avali sulla posizione approssimata della verticale del contatto sottomarino, e quando immerse il suo trasduttore con il sonar passivo rilevò una gran quantità di...nulla. “Questo dannato pilota di sottomarino è proprio un basta*do!” commentò l’operatore sonar del volatile italiano. “Mantenga la calma capo.” esortò il comandante dell’elicottero. “Ci vuole pazienza in questo tipo di mestiere”. “Si signore; la pazienza si mantiene molto meglio alla scuola antisub che non cercando il nemico che ha già lanciato una volta contro la nave Signore.” “Ritiri il trasduttore; ci portiamo un miglio a nord est. La posizione l’ha già trovata la nave. Dobbiamo solo aggiornarla ed identificare positivamente il bersaglio” “Si Signore.” Non lontano dalla costa palestinese si andava intanto impostando la battaglia tra il Maestrale, i suoi elicotteri ed il Pattugliatore inglese Sutton a protezione del sottomarino Spartan danneggiato che stava tentando di scapolare da Cipro verso Haifa. Si era ancora nella fase pretattica. L’operatore di sistemi dell’elicottero era impegnatissimo con la frustrante ricerca del sottomarino britannico che non portava frutti, mentre il Maestrale che era a conoscenza del fatto che il pattugliatore inglese aveva salpato dalla base navale inglese in Palestina attivò il radar di ricerca di superficie nel tentativo di scovare la nave britannica. Tutti gli sforzi da entrambe le parti andarono a vuoto, benché l’elicottero avrebbe potuto con una rotta d’approccio leggermente più a levante entrare addirittura in contatto visivo con la nave inglese. A sua volta il Sutton, con le sue rudimentali apparecchiature ESM, non captò i radar di ricerca del Maestrale che emettevano energia a 360 gradi. Insomma un inizio di battaglia tra ciechi. I rispettivi obiettivi erano per gli Italiani non permettere allo Spartan già danneggiato dal team antisom del Maestrale di arrivare tutto d’un pezzo ad Haifa e anche di impedire al pattugliatore inglese di interferire con le operazioni del gruppo di volo della fregata italiana. Ovviamente gli obiettivi degli Inglesi erano speculari. Lungo i meridiani da Alessandria a Port Said intanto l’identificazione del sottomarino sconosciuto (che abbiamo visto essere l'americano Helena della classe Los Angeles 2) era stata ancora vana, ma fu l’Ammiraglio di Squadra Crispi a tagliare il nodo gordiano ordinando di aprire il fuoco sul sottomarino anche se non positivamente identificato. La situazione era troppo pericolosa e l’ammiraglio decise di usare la sua autonomia di comando per proteggere la task force. Tra l’altro più o meno allo stesso tempo, era pervenuta una comunicazione compressa dal sottomarino nazionale Todaro che un altro sub britannico, il Conqueror era sulle tracce delle navi italiane. Tale comunicazione indicava ovviamente anche posizione e rotta approssimativa del Conqueror. “Rilasciare il siluro!” Ordinò il comandante dell’elicottero del Lupo Sottotenente di Vascello Avali qualche secondo dopo avere ricevuto l’ordine dalla nave madre, e l’operatore eseguì immediatamente. L’Mk-3 abbandonò l’elicottero appeso al suo paracadute e colpì l’acqua non molto distante dalla posizione del nemico. Il Lupo aveva la posizione del contatto abbastanza definita ma non una soluzione di tiro. Per cui il lancio del siluro fu un po’ alla spera in Dio. Quel sottomarino era comunque troppo vicino alla task force ed andava eliminato anche e magari con l’aiuto di Dio. Il siluro italiano si mise in ricerca automatica a zig zag non appena raggiunse la profondità prevista dal suo programma. L’A-212 rimase in ascolto con i sonar passivo. “Ha emesso un generatore di rumori. Conteggio pale in aumento ma ancora non abbastanza segnatura per classificarlo.” L’operatore di sistemi rimase in ascolto ancora per qualche minuto, fino a quando non poté più sentire le emissioni del siluro, che evidentemente era andato a vuoto. Con le relative bestemmie a radio spenta, il comandante Avali dovette segnalare un attacco a vuoto sul sottomarino. Un sottomarino che lui continuava a non riuscire a localizzare. Sulla fregata l’atmosfera era tesa; il Capitano Norma ed il team antisommergibile stavano tentando ad ogni costo di non perdere il contatto, ma il sottomarino nemico si stava rapidamente portando oltre la portata del sonar attivo della nave e la sua posizione diventava sempre più incerta. L’atmosfera passò poi da tesa a tesissima nello spazio di trenta secondi, giacché l’Americano aveva ben presente dove la fregata si trovava, e non perse tempo ad attaccare a sua volta e per una seconda volta. Siluri!! Siluri in acqua!!” allertò l’operatore sonar della fregata. Gli ordigni erano indubbiamente diretti verso di lei, che era la nave italiana più vicina al sottomarino. “Macchine avanti tutta, barra a sinistra!” ordinò istantaneamente il comandante Norma. “Mettere in mare il falso bersaglio!” I due ADCAP americani avevano già fallito il bersaglio una volta e le probabilità che ciò si verificasse di nuovo erano scarse. La tattica super aggressiva del Lupo nella caccia al sub non aveva pagato e da cacciatrice, la fregata italiana si era trasformata in preda. La nave raggiunse i 36 nodi abbastanza rapidamente, ma gli MK-48 si avvicinavano comunque a velocità molto elevata. L’equipaggio dell’elicottero ascoltava tutto con sgomento chiedendosi se avrebbe ancora avuto una nave sulla quale appontare. Uno dei siluri esplose sulla scia del falso bersaglio rimorchiato, ma il secondo continuò inesorabilmente verso la poppa della fregata. “Barra a dritta, macchine indietro tutta!!” urlò il Capitano Norma in un ultimo tentativo disperato di evitare il siluro, ma il timoniere non fece in tempo ad eseguire l’ordine che il siluro colpì subito dietro alla mezzanave a tribordo. L’impatto fu tremendo e l’onda d’urto fece mancare il ponte sotto i piedi a tutti, con conseguenti slogature e fratture di parecchie caviglie. Il capitano Norma rimase illeso per miracolo e si precipitò all’interfono. “Rapporto danni in plancia subito!!” Sua priorità adesso era salvare la nave, che aveva perso immediatamente molta della sua velocità. L’ufficiale ingegnere chiese un minimo di tempo per accertare la situazione e poi ricontattò la plancia. “Abbiamo un enorme squarcio a mezza nave ed un incendio negli alloggi ufficiali. Ho squadre di emergenza già in azione sulla falla ma imbarchiamo molta acqua.” “Mi tenga informato tenente.” Il Capitano Norma sapeva che la nave era probabilmente condannata era già molto appoppata e stava inesorabilmente rallentando. Le macchine però rispondevano ancora.” Dopo qualche minuto l’ufficiale ingegnere si rifece vivo. “Plancia; ingegneria. Aggiornamento: abbiamo danni alla sovrastruttura a mezza nave oltre alla falla. Velocità massima ridotta a 10 nodi, ma stiamo lavorando sull’entrata d’acqua. “Ottimo Tenente. Cerchiamo di tenerla a galla.” “CDC; plancia. Comunicate all’elicottero di trovarsi un altro ponte dove atterrare. Tenetemi quel sottomarino sotto controllo. Dobbiamo dare una soluzione di tiro all’Elicottero o credo proprio che ci finirà.” Poi Norma contattò il comando del 10° Gruppo Navale. “Ammiraglio siamo stati colpiti da un siluro e siamo quasi fermi in acqua richiedo assistenza per dare caccia al sottomarino che ci ha lanciato contro. L’Ammiraglio Bonzano rispose immediatamente. “Capitano posso inviarle uno o due elicotteri di rinforzo, ma lei dovrà vedersela da solo con la sua nave per il momento. Ci è stato segnalato un altro sottomarino inglese dritto di prora al convoglio e col Giussano sono impegnato a difendere i trasporti. In zona c’è anche il Todaro che potrebbe aiutare. Intanto mi metto in contatto con l’Ammiraglio Crispi per vedere se può distaccare una delle navi anfibie per assistervi in caso di abbandono nave. Norma diede il ricevuto, ringraziò l'ammiraglio e si ributtò nella situazione danni. “Confrontare i rilevamenti e...fuori tre e fuori quattro.” Ordinò il Capitano Rech che era riuscito a rifinire abbastanza la soluzione di tiro sul Conqueror. I due Whitehead MK-5 lasciarono all’unisono la prua del Todaro in quella che stava rapidamente diventando la più cruenta battaglia navale dai tempi della Grande Guerra, insieme a quella già combattuta dai suoi colleghi del Littorio e del Roma di cui lui però lui non sapeva ancora nulla. Il Todaro aveva lanciato più o meno alla massima portata dei siluri, ma l’Inglese si accorse subito di essere un bersaglio ed avviò le sue manovre evasive. Con grande costernazione dell’equipaggio, di entrambi i siluri si persero le tracce senza che nessuno dei due esplodesse. Il Conqueror l’aveva fatta franca e bisognava cominciare a chiedersi se i dannati sottomarini inglesi fossero colpibili o se avessero qualche dannata tecnologia sconosciuta che li rendeva invulnerabili.
Nelle suo erratico pattugliamento per cercare di localizzare lo Spartan, l’elicottero del Maestrale finì per entrare in contatto visivo con il Sutton che a su volta pattugliava la zona a tutta forza proprio per colpire eventuali elicotteri italiani in zona che stessero dando la caccia al sottomarino ferito. Quando il Sutton avvistò l’Agusta contemporaneamente al radar e con i mezzi ottici, il suo valoroso comandante, in perfetto spirito nelsoniano, puntò dritto sull’aeromobile brandeggiando il suo singolo cannone da 40mm. Allo stesso tempo la fregata Maestrale aveva contemporaneamente e finalmente battuto al radar l’unità leggera britannica e, ricevuta la conferma di identificazione positiva da parte dell’elicottero, il Capitano Valente decise giustamente che non valeva la pena utilizzare i preziosi e numericamente limitati missili Shergat trasportati dalla fregata, e prese quindi a manovrare per portare al tiro il suo cannone di prora da 127mm, mantenendosi fuori dalla gittata del pezzo da 40 dell’avversario. Il comandante dell’elicottero vide chiaramente che l’unità nemica si stava dirigendo contro di lui con decisione, ma aveva il trasduttore in mare e prese la decisione di completare la ricerca prima di allontanarsi. Sarà come vedremo una atto di valore, ma fatale. Stava quasi per rassegnarsi ad un ennesimo insuccesso nel localizzare lo sfuggevole sottomarino inglese, quando ricevette il messaggio di scoperta dalla fregata. “Contatto! Contatto positivamente identificato come sottomarino della classe Trafalgar. Sei miglia rilevamento 350; relativo a Iena 1,5 miglia rilevamento 80. Conteggio pale...basso. Con la sovrastruttura danneggiata, lo Spartan aveva tradito la sua presenza al sonar passivo del Maestrale anche a velocità relativamente bassa. L’ufficiale tattico della fregata si voltò sgomento verso il comandante Valente. “E’ vicinissimo. Può tirarci contro comandante.” “Soluzione di tiro pronta per azione di superficie contro pattugliatore nemico. Distanza 5 miglia rilevamento zero zero.” comunicò professionalmente l’ufficiale all’artiglieria, distraendo momentaneamente l'attenzione del comandante dalla questione Spartan. “Ci spara!! Ci spara contro” comunicò nello stesso tempo l’Agusta che veniva a cadere sotto il fuoco del Sutton.” completando un quadro di completa confusione di battaglia dove tutte le cose avvenivano allo stesso momento. L’azione era visibile con i binocoli. Il fascio tracciante del pezzo da 40 inglese fu chiaramente visto scaturire dall’unità britannica. L’elicottero italiano colpito in pieno prima che potesse abbozzare qualunque manovra evasiva, precipitò in mare. “Fuoco!! Aprire il fuoco sul nemico. Fuoco a volontà!” fu l’imperioso comando del Capitano Valente sconvolto di aver visto il suo equipaggio aereo abbattuto davanti ai suoi occhi. “Timoniere, macchine avanti tutta, barra a sinistra rotta 310. Andiamo a recuperare l’equipaggio. Ufficiale Tattico, mantenere il fuoco sul bersaglio di superficie mentre muoviamo.” Tutti gli ufficiali ripeterono e confermarono gli ordini, mentre il Maestrale accelerava brutalmente vibrando sotto i piedi della guardia di plancia. Valente sperò in cuor suo che ci fosse qualcuno da recuperare. Sporse lo sguardo dalla al di là della vetrata di plancia a prua mentre l'OTO da 127mm apriva il fuoco in direzione del nemico. Valente portò il binocolo agli occhi e lo puntò a 10 gradi in direzione del pattugliatore inglese. Il Primo colpo si perse una cinquantina di metri a prua del bersaglio. Il secondo invece lo centrò in pieno a mezza nave anche grazie all’ausilio del radar controllo fuoco asservito al cannone che dimostrò di funzionare molto bene e molto in fretta. Valente non aveva mai tirato delle cannonate vere su un bersaglio e quando vide che a bordo del Sutton si sviluppava un incendio rimase per un secondo sgomento dalla precisione dell’armamento. “Permesso di attivare il sonar attivo per soluzione di tiro sul Trafalgar. A questa velocità il passivo è inservibile”, comunicò con efficienza l’ufficiale alla guerra sottomarina. “Permesso accordato tenente. Confrontare i rilevamenti e lanciate.” A questo punto il Maestrale era impegnato in battaglia totalitaria, con tutti i sensori attivi; che sulle onde elettromagnetiche prodotte dalla nave nel raggio di 10 miglia ci si sarebbe potuto camminare sopra. L’ufficiale antisom istruì il suo operatore sonar di procedere con la soluzione di tiro nei confronti del sub. Il sonar attivo a scafo della fregata entrò prontamente in azione. Cotale sonar attivo era ben meglio di quello passivo eppure la fregata non ottenne un eco di ritorno. O il maledetto pilota di quel sottomarino ne sapeva una più del diavolo, o il suo rivestimento anecoico era incredibilmente efficace nonostante i danni, oppure c’era una combinazione delle due cose in ballo. “Nullus, Nullus!” comunicò l’ufficiale antisom alla plancia. Non abbiamo una soluzione di lancio precisa. “Aggiornare soluzione passiva e lanciare comunque” ordinò perentoriamente il comandante della fregata. Voleva il nemico annichilito e non sarebbe sceso a compromessi, specialmente adesso che con la perdita dell’elicottero la potenza di combattimento della nave nel ruolo antisom era più che dimezzata. Occorreva stroncare quel sub lì e subito. Dopo qualche secondo il capitano ricevette conferma che due siluri MK-3 erano stati scoccati dal lanciatore di tribordo. “Il nemico aumenta la velocità. Conteggio pale 18 nodi. Fa un rumore d’inferno” comunicò l’operatore sonar alla plancia, scavalcando il suo ufficiale. Valente avrebbe voluto trasferirsi al CDC, ma doveva rimanere in plancia per dirigere le operazioni di soccorso dell’equipaggio dell’elicottero, quindi si limitò a seguire dalla plancia le operazioni di combattimento. Ci fu una prima esplosione a giudicare dal rilevamento prematura. Evidentemente il primo siluro aveva impattato qualcosa di diverso dal bersaglio, e probabilmente un esca lanciata dal sottomarino. Nell’attesa spasmodica di tutti, il secondo siluro mancò di esplodere nel momento in cui secondo i rilevamenti avrebbe dovuto raggiungere il bersaglio e la sua acustica si perse nella distanza. “Cristo!!” sfuggì l’imprecazione al comandante. “Cosa ci vuole per ammazzare questo pezzo di me*da?!” “Magari una soluzione di tiro decente?” pensò ma non disse l’ufficiale tattico. Il Capitano Valente capì subito di essere andato oltre alle righe di un professionale e freddo comandante di un’unità militare della Regia Marina; incrociò lo sguardo col primo ufficiale e con l’ufficiale di plancia e si ricompose immediatamente. Della bassa forza presente in plancia, nessuno osò spostare lo sguardo dal compito in cui era impegnato in quel momento, tra cui anche quello di rimanere in ascolto per eventuali rumori di rottura causati dall’esplosione del primo siluro; non si poteva mai sapere. Non ce ne furono. “Barra a dritta per zero zero, velocità due terzi. Attenzione nell’approccio al relitto.” Il comandante uscì sul ponte plancia di babordo per osservare meglio il team di salvataggio che stava preparando il gommone di soccorso per l’equipaggio dell’elicottero. Ma anche prima che tali procedure potessero essere completate, arrivata la fregata sul luogo della caduta dell’aeromobile, non si trovò nulla se non qualche pezzo galleggiante dell’Agusta ed una enorme macchia di cherosene, dato che al momento dell’abbattimento il velivolo aveva ancora quasi il pieno carico di carburante. L’elicottero era già affondato portando con se i due membri dell’equipaggio che Valente poté solo augurarsi che fossero già morti al momento dell’affondamento. Il fondale di 1800 metri in quel punto non lasciava molte speranze. Valente girò rabbiosamente il binocolo in direzione del nemico; il suo intento adesso era di ammazzare gli Inglesi uno ad uno. Intento il grosso della task force era in movimento verso ponente per tornare in Italia. “E scomparso nel nulla comandante” L’operatore di sistemi dell'Agusta del Lupo non si capacitava di come il sottomarino che aveva lanciato sulla sua nave fosse riuscito a svanire in un buco nero. Era arrivato anche un SM-30 del S. Giusto a dare una mano con il suo sonar, ma nulla da fare; il sottomarino (americano) era riuscito per il momento ad eludere la ricerca. Nel frattempo, sulle tracce del terzo sottomarino nemico, il Conqueror, ara giunto un elicottero del Giussano, indirizzato sulle le coordinate fornite dal segnale di scoperta battuto dal Todaro. L’Agusta si mise pazientemente a cercare di localizzare il sottomarino inglese con precisione. Il Capitano Rech invece non aveva di questi problemi. Il Todaro era riuscito a mettersi in un’ottima posizione dietro al Conqueror ed aveva mantenuto il contatto a dispetto di tutte le losche manovre messe in atto da quest’ultimo, che forse sospettava di essere stato localizzato dalla sua collega e letale nemico italiano. “Confrontare i rilevamenti e svuotare i tubi da uno a quattro.” Ordinò Rech che questa volta voleva davvero andare al bersaglio grosso, visti gli insuccessi precedenti. Il sottomarino inglese non aveva risposto al suo precedente lancio, segno tangibile che Rech era riuscito a mantenere la posizione del suo Todaro sconosciuta ai sensori del nemico. I quattro Mk-5 si fiondarono contro il Conqueror da una distanza di circa 14 miglia; per gli standard di un siluro pesante italiano, piuttosto vicino. Di nuovo il sottomarino inglese iniziò le sue manovre evasive; l’operatore sonar ascoltò puntualmente l’aumento della velocità ed il repentino cambio di rotta. Registrò anche i consueti rumori di scafo dell’Inglese che cambiava repentinamente quota. Dopo un po’ ci fu un’esplosione anticipata che gettò l’equipaggio del Todaro di nuovo nello sconforto, ma poi si udirono due distinte esplosioni al tempo corretto di stima delle distanze, segno inequivocabile che questa volta i Whitehead avevano colto in pieno il sottomarino nemico. Un’ondata di giubilo si propagò per tutto il sottomarino italiano, e Rech dovette perentoriamente ordinare il silenzio a bordo. L’equipaggio era stato parecchio non professionale ma la frustrazione era stata tanta ed avere due colpi a segno contro un nemico fino a quel momento sfuggevole come una saponetta, diede all’equipaggio un senso di liberazione. “Ferma tutta, barra a dritta, timoni a salire, portiamoci a 40 metri. Sonar; comandante. Dare informazioni.” “Comandante; sonar. Rumori di sfasciamento e di imbarco acqua; molta acqua comandante.” Il tono dell’operatore sonar era di mal celato godimento, come se l’essere in procinto di registrare acusticamente la distruzione di un sottomarino da 5 miliardi di lire e la morte del suo equipaggio fosse cosa di cui godere. “Nessun tentativo di risalita?” chiese Rech. “Per il momento non che io possa sentire Signore” rispose prontamente l’operatore sonar. Era chiaro che il Conqueror era stato colpito molto gravemente. Quanto gravemente lo avrebbe detto il sonar nei prossimi minuti. Il Conqueror peraltro non era nemmeno l’unica nave dove si lottava per la sopravvivenza. La battaglia contro i danni a bordo stava essendo persa anche sulla fregata lupo, dove fiamme e imbarco acqua stavano rapidamente sopravanzando la capacità delle squadre di emergenza di far fronte alla situazione. Il Capitano Norma era oramai in procinto di ordinare l’abbandono nave. Il S. Giusto era giunto vicino alla fregata, incurante dei rischi di essere colpito a sua volta, per procedere all'eventuale trasferimento a bordo dell'equipaggio del Lupo. L’unica unità che sembrava per il momento star facendo un buon lavoro era il Sutton, il cui equipaggio aveva rapidamente spento l’incendio a bordo causato dal proiettile italiano da 127. Questo non metteva certo al sicuro la nave leggera inglese dalla vendetta del Maestrale ma almeno dava tempo al suo comandante di prendere delle decisioni. Il Pattugliatore d'altura Sutton della classe Castle si prepara ad uscire dal porto di Haifa.
Le squadre d’emergenza del Sutton erano appena riuscite a domare il piccolo incendio a bordo della nave, che il Maestrale lo puniva di nuovo con un’altra salva devastante del suo 127 millimetri. Questa volta due proiettili aprivano una via d’acqua nello scafo a mezza nave ed altri due distruggevano l’elicottero Lynx sul ponte di volo, appiccando un secondo incendio a bordo. La velocità dell’unità leggera britannica era ridotta a 6 nodi. Il valoroso comandante del Sutton aveva tentato di distrarre l’attenzione della fregata italiana dalla caccia al sottomarino ed In un certo qual modo ci era anche riuscito ma a che prezzo! Non contento il pattugliatore con una quarantina di morti, mutilati ed ustionati a bordo, si lanciava ancora contro la fregata italiana colpendola con il suo cannoncino da 40 e costringendola ad accostare verso nord, ancora più lontano dal sottomarino. Scarsi i danni, molta la strizza. Nel frattempo il Maestrale era però riuscito a lanciare il suo secondo elicottero, oltre che a controbattere il pattugliatore inglese con un’altra precisa e demolente scarica del suo cannone principale. Il Sutton semi affondato ed in fiamme aveva almeno raggiunto lo scopo di impedire al Maestrale di partecipare insieme al suo secondo aeromobile alla caccia allo Spartan che era oramai a meno di dieci miglia dal porto di Haifa. Nel frattempo la task force continuava a sfilare verso Creta sotto la protezione di una serie di elicotteri appartenenti alla Fregata Lupo e ad altre navi, i quali elicotteri erano in affanno per scovare l’ultimo sottomarino inglese (americano) che minacciava l’incolume rientro in Italia della task force. Sfortunatamente Nave Stromboli si trovò a passare entro la gittata dei siluri dell’Helena, che aveva un buon quadro della situazione tattica. La grossa rifornitrice italiana lanciata a tutta forza per raggiungere il convoglio fu immediatamente captata e positivamente identificata dal sub americano che aveva sul suo sonar anche alcuni dei trasporti ed il Giussano. I trasporti erano fuori tiro, il Giussano era a tiro, ma l’Americano preferì selezionare la rifornitrice di squadra in luogo del cacciatorpediniere, per indirizzargli una sventagliata di quattro siluri per essere certo di spezzargli la schiena subito. Il comandante statunitense apprezzò che la rifornitrice era un bersaglio più pagante e contro quello lanciò. Il lancio degli ordigni fu captato dall' SM-30 del S. Giusto, ma il sottomarino non fu localizzato in quanto troppo incerto era il punto di origine dei siluri. Con grandissima sagacia e manovra, la lenta nave italiana, guidata dalle segnalazioni del sonar attivo dell’SM-30 riuscì as eludere ben due dei quattro ADCAP che l’Helena gli aveva lanciato contro, ma gli altri due andarono inesorabilmente a segno causando danni devastanti. La nave fu quasi spezzata in due dall’impatto ed immediatamente perse tutta la sua velocità, rimanendo ferma in mezzo al mare, con una novantina tra morti e feriti a bordo a causa del terrificante impatto; una vera ecatombe che le scorte non erano riuscite ad evitare. Nel frattempo e piuttosto inaspettatamente, il rottame del Conqueror improvvisamente emerse in superficie par permettere all’equipaggio di abbandonare il sottomarino; di riparare i danni non se ne parlava e tanto valeva emergere prima di lasciarci tutti la pelle in una maniera orribile, andando a fondo con il sottomarino. La segnalazione fu data dall’Agusta-212 del Giussano che orbitava sopra al nemico, che comunicò che l’equipaggio stava probabilmente predisponendo le cariche per l’autoaffondamento della nave. Il cacciatorpediniere italiano era a circa 25 miglia dalla scena e ci avrebbe messo quasi un’ora ad arrivare sul posto, cosa che doveva fare, o c’era rischio che gli Inglesi rimettessero il Conqueror in grado di zoppicare fino ad una base amica: improbabile visti i danni a bordo ma non impossibile. Per il momento sul posto rimaneva l’elicottero del Giussano a sorvegliare la situazione. Contemporaneamente a questi fatti, colava a picco il prode Sutton che era riuscito a mettere a mare nemmeno la metà del suo equipaggio. A macchine ferme, il Maestrale si portò in abbrivio sulla scena del sinistro per recuperare i naufraghi inglesi, molti dei quali feriti andarono ad affollare l’infermeria della nave. Il comandante del pattugliatore inglese era tra i morti. Interrogati i primi prigionieri che si erano riavuti dallo shock, essi confermarono tutti che il comandante non aveva voluto salvarsi ed era andato a fondo con la sua nave. L'equipaggio del Maestrale tributò gli onori militari ai sopravvissuti del Sutton e li trattò con tutti i riguardi. Al Capitano Valente era pure sbollita la rabbia per la perdita dell'equipaggio dell'elicottero non appena si rese conto di che tipo di strage la sua nave si era resa protagonista. In più c'era ancora in ballo l'inseguimento dello Spartan da parte del secondo Agusta. “L’ho beccato!! Contatto a mezzo miglio, rilevamento 170, velocità stimata 10 nodi. Deve essere per forza lo Spartan. Non risultano altri sottomarini in questa zona." Comunicò l'operatore di sistemi del suddetto elicottero al suo comandante, il quale a sua volta informò immediatamente il Maestrale. Lo Spartan era praticamente a circa tre miglia dall’imboccatura del porto e navigava oramai in acque basse. Ciò nonostante il secondo volatile del Maestrale (ricordiamo come il primo fosse stato distrutto dal Sutton) riuscì a localizzarlo e a lanciargli contro un siluro Mk-3 di fretta che non andava a bersaglio, andando invece ad impattare sul fondo. Lo Spartan la faceva dunque franca per una seconda volta. Intanto nelle acque contestate al largo del Delta del Nilo si aggirava ancora furtivo il Todaro “Manovra; Sonar. Il Rottame dello Stromboli è in procinto di affondare; ci sono tutti i classici rumori di torsione.” riferì l’operatore sonar del Todaro, che si aggirava ancora corsaro nelle turbolentissime acque sul meridiano di Damietta. Il relitto era tra lui e l’Helena, ed il Capitano Rech era decisissimo a scovare il pescecane che aveva affondato lo Stromboli e probabilmente azzoppato il Lupo. “Un Terzo Traflagar nel Mediterraneo” disse Rech al suo primo ufficiale. “Le cose non tornano: il Conqueror lo abbiamo spacciato noi. Lo Spartan lo ha danneggiato il Maestrale. Un sottomarino della classe Trafalgar è stato segnalato da Supermarina in Atlantico. Che forse gli Inglesi hanno costruito un quarto SSN senza che noi ce ne accorgessimo?!” rifletté il comandante ad alta voce sempre rivolto al suo secondo in comando. “E se fosse Russo?” Azzardò il primo ufficiale. “Nooo” nessun Russo è così maledettamente silenzioso” sentenziò in risposta il comandante. Rech si rivolse nel frattempo al sottufficiale che controllava la manovra. “Motori avanti piano, rotazione per 5 nodi, rotta nove cinque. Giriamo intorno al relitto dello Stromboli. Magari sentiamo il basta*do che gli ha sparato. “Contatto di superficie” interruppe il sonar. Uno dei trasporti nostri accosta allo Stromboli. Probabilmente per recupero naufraghi.” “Coraggiosi in nostri mercantili” commentò Rech. Il sub nemico è sicuramente ancora in zona. Contatti sommersi?” “Il nulla più nulla. Se c’è un sottomarino là fuori o e immobile o è inglese.” A Rech venne la seria tentazione di spazzare il fronte con il sonar attivo ma si trattenne. Non molto più tardi l’operatore sonar dovette dare il triste l’annuncio dei rumori dell’ultima discesa dal rifornitore Stromboli negli abissi del Mediterraneo Orientale, mentre il resto della task force era in fase di allontanamento, con le seguenti eccezioni: il Lupo che stava ancora cercando di riparare i danni ed andava verso ponente a soli 16 nodi accompagnato dal S. Giusto, pronto a raccogliere eventuali naufraghi nel caso la fregata non ce la facesse a stare a galla. Il Maestrale che navigava a tutta forza dalla costa palestinese per raggiungere la task force. Aveva ordine di passare a nord di Creta per evitare ogni tipo di complicazioni sottomarine. La nave porta container "Prospetto" che era coraggiosamente tornata indietro ad assistere lo Stromboli e che stava recuperando i pochi superstiti in mare. “Invertire la rotta. Timone due sette zero. Mantenere velocità cinque nodi.” Il Capitano Rech stava provando tutte le angolazioni e tutti i trucchi del mestiere per localizzare il sottomarino fantasma che aveva demolito il Lupo ed affondato lo Stromboli. Sarebbe stata una preda incredibilmente preziosa che avrebbe reso il palmares di missione del Todaro strepitoso: due sottomarini nemici affondati in una missione sola. Ma occorreva estrema prudenza. L’avversario che avevano di fronte si era già dimostrato letale ed inafferrabile. Poi l'Americano fece un errore. Allo scopo di tenersi in contatto con il Prospetto, che era la prossima nave che voleva affondare, accelerò a 20 nodi in un tempo troppo breve e per qualche prezioso (per gli Italiani) e nefasto (per lui) secondo, cavitò. “Contatto!!” esclamò l’operatore sonar del Todaro. Il sottufficiale tecnico, uno dei migliori sonaristi della Regia Marina incollò ancora di più l’orecchi alle sua apparecchiature e cercò conferma di quello che sentiva nel display a cristalli liquidi sulla console del suo apparato. Poi aprì di nuovo la comunicazione con la camera di manovra. “Comandante può venire con urgenza in sala sonar?” Rech perplesso sapeva che il sonar aveva localizzato qualcosa che non poteva essere messo per interfono e si precipitò nel vicino locale. “Signore non so se questo è il sub che ha sparato alle nostre navi. Ma questo che ho beccato io è americano; classe San Juan.” Rech rimase per qualche secondo senza parole. “Grado di attendibilità?” “Cento per cento comandante. Ha appena appena accelerato, forse per anticipare il movimento del trasporto che ha soccorso i naufraghi dello Stromboli. Ma non appena ha dato fiato all’elica l’ho riconosciuto. Confermo; nucleare americano ad elica singola classe Los Angeles seconda serie signore.” Fine Primo capitolo dell’AAR Considerazioni di fine prima parte: I regolamenti usati (Modern Naval Command e Air War C21 Max) danno una bella idea della letalità delle operazioni militari sul finire del secolo scorso. Se si porta l'azione a fondo le perdite sono elevatissime, sia per Aria che per mare. La Battaglia del Delta, come la storia ricorda la prima grande battaglia navale tra forze navali moderne dopo la Grande Guerra combattuta ancora col cannone e con l'aero silurante, è stata una mezza ecatombe ed il primo scontro nell'Atlantico ha pure provocato perdite devastanti agli Inglesi e danni considerevoli ad uno dei sottomarini italiani. Cosa sarà poi quando gli schieramenti aero navali sul canale e nel Sinai saranno completati! In prima battura possiamo dire che per il momento gli Italiani stiano avendo la meglio, ma finora a parte lo scontro navale nel Mediterraneo, dove comunque avevano una certa prevalenza numerica, non si può dire che si siano scontrati con le migliori forze britanniche. E' chiaro che questa guerra, così come qualunque conflitto ipotizzabile tra Italia e Gran Bretagna è in primo luogo un conflitto aeronavale e che tali operazioni aeronavali siano indispensabili per sostenere qualunque operazione terrestre in od intorno al continente africano dove i due contendenti si stanno al momento affrontando. Ho optato per fermare qui la prima parte dell'AAR perché sto valutando la possibilità di cambiare la scala delle operazioni terrestri da Operazionale a Skirmish, dato che le operazioni navali ed aeree sono a livello di singola piattaforma (seppur con una debita riduzione di scala di 1 a 4 per le navi e di 1 a 3 per gli aerei, volevo capire se potevo fare lo stesso per le operazioni terrestri, con un regolamento realistico ma giocabile. Il candidato in questione è il sistema di combattimento di Twilight 2000 4a edizione con cui condussi già una campagna qualche anno fa forse proprio sul forum del produttore svedese di Twilight 2000 4a edizione. Arrivederci a presto per la continuazione della II Grande Guerra del 1993
Fanta Techno-Thriller parte seconda Il Maresciallo Ordinario Ludovico Vardone, classe 1955 era una di quelle tipiche persone che avrebbe potuto essere qualsiasi cosa nella vita; qualsiasi cosa avesse deciso di essere. La sua intelligenza acutissima dove l’ambito logico matematico era di eccellenza pari a quello sociale ed umanistico, avrebbe potuto fare di lui un eccellente professionista in qualunque campo intellettuale o imprenditoriale avesse voluto cimentarsi. Il Maresciallo Vardone però aveva un problema che ne avrebbe limitato le possibilità di scelta: sin da ragazzo sognava di entrare a far parte del Regio Esercito. Da bambino, tra le sue molteplici letture con le quali divorava libri di qualunque natura a velocità “Pled” come si diceva in una celebre parodia del film “Guerre Stellari”, glie ne capitò tra le mani una in particolare. Non uno dei soliti libri di argomento matematico, tecnico o scientifico che già a 4 anni il bambino macinava di gran lena; ma un romanzo di fantasia: “Sandokan la tigre di Mompracem” di cui ebbe più tardi anche il piacere di vedere una versione televisiva nel 1976, quando aveva già ventuno anni ed aveva già da tre realizzato il suo sogno di fare parte del Regio Esercito. Questo libro determinò in lui la passione per il mestiere delle armi. Non furono le gesta delle tigre ad impressionare il bambino, ma le uniformi e l'organizzazione dei "Sepois" di Sir James Brooke, il cattivo della storia. La strada verso il mestiere della guerra non era stata quella maestra che Ludovico aveva programmato, bensì una strada secondaria che gli avrebbe però comunque permesso di accedere alla professione dei suoi sogni di infanzia. Fallite le prove fisiche dell’Accademia Militare di Torino, dopo aver demolito letteralmente i test di ammissione scritti ed orali, non si rassegnò all’esclusione dalla sua prediletta forza armata. L’entrata dalla porta gli era sta negata, sarebbe entrato dalla finestra. Uno dei suoi professori di liceo che tra l’altro aveva combattuto nella Grande Guerra sul fronte russo tedesco come geniere, gli aveva consigliato di fare domanda per l’Accademia Navale di Livorno data la sua naturale ed incredibile inclinazione per le materie tecniche e scientifiche; ma il nostro voleva l’Esercito e l’esercito avrebbe avuto. Dopo essere stato escluso come abbiamo visto dal ruolo di aspirante sottotenente del Regio Esercito, Vardone tutto fece meno che scoraggiarsi e si presentò qualche mese dopo in un centro di reclutamento militare in Toscana (era di Lucca). Qui procedette per una seconda volta a fallire le selezioni fisiche dopo aver conseguito risultati record in quelle teoriche. Superò in maniera così eclatante i test di ammissione che in via eccezionale il colonnello comandane del centro di reclutamento, che non era un cieco burocrate nonostante la tipologia del reparto che comandava, lo volle far sottoporre ad un colloquio con lo psichiatra militare del centro. E questa fu la fortuna di Ludovico ed un'ennesima dimostrazione di come la decisione istintiva di un singolo possa influire sull'intera vita di una persona. Il ragazzo non aveva la necessaria resistenza ed era troppo goffo per la fanteria; una certa tendenza alla pinguedine non era neanche quella di aiuto ad un aspirante guerriero; ma visto che gli esaminatori delle prove teoriche erano stati impressionati sia dalla sua apparentemente infinita strumentazione intellettuale e lo psichiatra dalla sua fortissima motivazione, e visto che le guerre non si combattevano più con spadoni e corazze, gli fu offerta la possibilità di arruolarsi nella specialità dei servizi e dei supporti tecnici dell’esercito. Ludovico non ci pensò sopra un attimo. Non sarebbe entrato nell’unità Tier 1 dell’Esercito ma avrebbe comunque portato la divisa e tanto gli bastava. Nell’Agosto del 1973 si arruolò quindi come volontario a lunga ferma. Vardone veniva da una famiglia della classe media. Il padre era Ingegnere edile presso una grossa impresa di costruzioni, ben in regola con i “contributi” al partito e la madre era casalinga. Il padre di Ludovico aveva anche una passione per la caccia e spesso aveva portato il ragazzo nelle lunghe escursioni sugli appennini; escursioni nelle quali Ludovico aveva imparato per lo meno ad individuare le prede se non ad ammazzarle perché il padre non gli aveva mai permesso di imbracciare un fucile. Quando il vecchio Vardone seppe che il figlio si era arruolato, non fece commenti. Si limitò a dirgli le seguenti parole. “Vedrai come diventerai pacifista adesso che ti mandano in Africa in qualche guerra di sterminio di locali innocenti!” In Africa Ludovico non ci andò per vent’anni, ma alla fine ci andò. Il fucile imparò ad usarlo in un centro di addestramento basico dell’esercito a Pisa, dove a pochi passi dalla caserma “Von Arnim” della Brigata Folgore c’era la scuola di specializzazione elettronica dell’Esercito, dove Ludovico trascorse i primi mesi della sua carriera, imparando i rudimenti della vita militare, a sparare con il fucile Beretta FAB-59 ed a usare la bomba a mano. Cominciò inoltre a familiarizzarsi con gli aspetti tecnici e logistici della forza armata, dalla riparazione di impianti alla costituzione di una base di supporto logistico. Dopo quatto anni di servizio al reparto, di cui gli ultimi due come assistente istruttore, conseguì la sua prima specializzazione teorica ed operativa di tecnico elettronico. Il grado di Caporale invece lo conseguì dopo pochi mesi di permanenza al centro di addestramento. Terminato tutto il tirocinio di preparazione, venne trasferito in una sezione logistica alpina con base a Verona nel 1977, forse il periodo più duro della formazione di Ludovico. Gli Alpini non permettevano a nessuno di essere fisicamente “scarso” come dicono loro, nemmeno ai reparti logistici aggregati. Pur non essendo sottoposto a nessun addestramento specialistico di guerra e sopravvivenza in montagna, Ludovico dovette adattarsi ad un regime di esercizio fisico abbastanza faticoso per i suoi standard, e fu mandato “volontario” ad un corso di guida per mezzi militari. In questo reparto Ludovico conseguì la specializzazione di tecnico degli armamenti, che consisteva nell’abilitazione alla riparazione ed al mantenimento di tutte le armi da fuoco in dotazione all’Esercito e pure di molte in dotazione agli eserciti stranieri. Un periodo lungo sei anni, passati alla caserma Gabriele Nasci di Verona, durante i quali il nostro ricevette la promozione a Sergente per meriti di servizio, con tanto di riconoscimento del comandante del 5° Reggimento Alpino “Vestone”, una delle migliori unità di fanteria leggera d'Europa. Venne successivamente trasferito a Roma presso il battaglione logistico dei Granatieri dove superò (per un pelo) il corso di condizionamento fisico presso il Reggimento dei Corazzieri del Re ed approfondì tutti gli aspetti tecnici dl mantenimento sul campo delle forze combattenti, conseguendo con pieno merito ed onore di servizio la specializzazione di meccanico abilitato alla manutenzione e riparazione di veicoli militari e civili. Il suo brillante stato di servizio anche in questo terzo periodo della sua carriera gli valse la promozione a Sergente Maggiore. Trasferito in Sardegna presso il reparto logistico della Brigata Sassari (tutti i militari del Regio Esercito devono fare almeno un turno di servizio in Sardegna), Ludovico continuò il servizio e l’addestramento nelle funzioni tecniche e conseguì l’abilitazione al pronto soccorso militare di primo livello. Periodo breve ma molto intenso quello passato in Sardegna, anche qui distinguendosi per abnegazione e spirito di servizio, cosa che gli fruttò ancora una promozione a Sergente di Prima Classe. Nel 1989 Ludovico ebbe il suo ultimo trasferimento in tempo di pace presso la Caserma Giovanni Messe di Brindisi presso lo squadrone logistico delle truppe corazzate. Al momento dello scoppio delle ostilità contro la Gran Bretagna nel 1993, aveva appena conseguito la ambita specializzazione di paramedico di combattimento presso la scuola di medicina militare e traumatologia di Foggia e completato l’iter addestrativo di specializzazione tecnica per forze terrestri. Con la promozione a Maresciallo Ordinario alla veneranda età di quasi quarant'anni, venne anche la sua prima assegnazione di guerra; in verità un’assegnazione di assoluto prestigio concessa solamente ai migliori sottufficiali ed ufficiali della specialità supporto: l’Eroica Intendenza di Armata. Ludovico si ritrovò dunque improvvisamente sottufficiale operativo nella squadra comando “Santa Maria” dell’Intendenza del Corpo di Spedizione Italiano in Egitto CSIE, responsabile della vita e del mantenimento in efficienza di un corpo di armata combattente oltremare. Il reparto era di base a Port Said, ma con responsabilità sull’intero teatro operativo egiziano nonché sui quello di imminente apertura nella Penisola del Sinai. L’intendenza serviva il Regio Esercito e la Regia Aeronautica allo stesso tempo ed i suoi ufficiali e sottufficiali dovevano quindi essere anche particolarmente versati nel gestire i rapporti con forze armate diverse, italiane e nel caso anche straniere. Il Maresciallo Vardoni imbarcò quindi a Lecce su un Caproni 510 dall’Aeronautica con destinazione la base di Damietta sul Delta del Nilo, già occupata dalle forze italiane, dove si diceva che fosse di stanza il Re d’Italia con il suo squadrone di aerei da combattimento. Quivi lo aspettava l’AR-76 della sezione dei Reali Carabinieri della Santa Maria, guidata dall’appuntato che la comandava e che lo attendeva per trasportalo al suo primo comando di guerra.
Quando la il 10° gruppo navale di scorta della Task Force E, informato dal Todaro, venuto a quota periscopica per qualche minuto al solo scopo di comunicare la sua scoperta, venne a conoscenza del fatto che un sottomarino americano operava nel Mediterraneo dell’Est, si scatenò un putiferio di vaste proporzioni a bordo di ogni nave operante. In primo luogo il trattato di Lugano del 1950 proibiva espressamente la presenza in Mediterraneo di forze navali americane, così come le potenze imperiali si erano impegnate a non schierare forze navali nell’emisfero caraibico, con l’eccezione delle forze di protezione della colonia tedesca del Venezuela e di quella francese della Guyana. Tali forze, specificava il trattato dovevano essere mantenute in un raggio non superiore alle 100 miglia dalle acque territoriali di tali colonie. Accordi separati erano previsti per l’Oceano Pacifico. Invece adesso si poneva un problema tattico gravissimo alla task force italiana che stava rientrando in patria per andare a prelevare il convoglio della seconda ondata e dei rifornimenti per le truppe operanti nel vicino oriente. La presenza di un sottomarino sofisticatissimo che probabilmente aveva già aperto il fuoco su unità navali italiane e la cui presenza costituiva comunque una flagrante violazione di un importantissimo trattato internazionale, era un problema che andava affrontato immediatamente. L’ammiraglio Crispi contattò quindi immediatamente Supermarina per ricevere delucidazioni sulle regole di ingaggio nei confronti di questa nuova minaccia. L’Italia non era in guerra contro gli Stati Uniti e non era nemmeno nel suo interesse entrarci. Ma se un’unità militare americana aveva deliberatamente attaccato navi italiane la cosa non poteva essere ignorata. L’ammiraglio Crispi non mancò di specificare che probabilmente il sub americano era quello che aveva affondato lo Stromboli causando la morte di una novantina di persone, incluso il comandante del Gruppo T da Sbarco della task force ammiraglio di divisione Giuseppe Boi. L’Ammiraglio Bellinzoni Brat, capo di stato maggiore della Marina, svegliato in piena notte dagli ammiragli coadiutori di servizio presso la sala operativa di Supermarina, si mise immediatamente in videoconferenza con il Re, il quale peraltro era già sveglio e stava preparando le operazioni del IX Gruppo Caccia per la giornata. Sua Maestà contattò immediatamente Palazzo Chigi dove il Duce fu a sua volta svegliato di forza per ordine di Sua Maestà e così nel giro di un quarto d’ora la massima autorità nazionale era riunita per prendere una decisione da adottare nei confronti dell’identificato sottomarino americano. La decisione di dare piena libertà alla Task Force E di ingaggiare il sottomarino americano senza restrizioni ebbe come vedremo conseguenze di vasta portata sugli eventi futuri. Nel frattempo sul meridiano do Alessandria, le squadre di emergenza del Lupo stavano gradualmente vincendo la battaglia contro i danni estensivi che la nave aveva subito dall’attacco con i siluri dell’Helena. Gli incendi erano quasi domati così come pure il pericolo di affondamento che non era comunque ancora stato scongiurato. Le squadre di emergenza continuavano a lavorare duramente e la nave era sempre accompagnata dal S. Giusto in caso di improvvisa necessità di abbandono nave. “Andato” affermò sconsolato l’operatore sonar del Todaro. “Il contatto è scomparso. Deve essersi riportato al di sotto dello strato, contemporaneamente cambiando aspetto e velocità.” Il Capitano Rech alzò gli occhi al cielo. Non c’era da meravigliarsi che il San Juan fosse sfuggevole. Si trattava di uno dei migliori sottomarini al mondo e condotto da equipaggi che erano la crema della marina americana. Occorreva pazienza, metodo e grande abilità per incastrarne uno e soprattutto senza farsi ammazzare. “Capitano; Sonar. Messaggio a bassa frequenza proveniente da Supermarina” Il Capitano Rech ordinò alla manovra di portare il Todaro a quota periscopica. “Alzare antenna satellitare” “Alzare antenna satellitare si signore” Il messaggio super compresso arrivò in meno di un secondo ed il capitano con il primo ufficiale andarono nella cabina del comandante per decifrarlo, insieme all’ufficiale alle comunicazioni. Rech chiese di farsi confermare il contenuto del messaggio per ben tre volte data la sua gravità. “E’ la seconda grande guerra!!” commentò allibito il primo ufficiale. L’ordine conteneva niente di meno che la direttiva per la caccia e la distruzione del sottomarino americano. Si raccomandava in particolare di usare tutti i mezzi a disposizione per impedire alla nave americana di attaccare la task force in ritirata dal Mediterraneo dell’est. “Forse no” ragionò ad alta voce Rech. Gli Americani sapevano benissimo che non avrebbero dovuto trovarsi in quelle acque a norma del trattato di pace di Lugano e forse il Duce contava sul fatto che se gli Americani fossero stati trovati ed affondati avrebbero preferito mettere tutto a tacere per evitare imbarazzi in ambito internazionale piuttosto che usare l’incidente come pretesto per entrare in guerra; o per lo meno questo era quello che il Capitano Rech si augurava. Comunque gli ordini erano chiari: inseguire e distruggere il sottomarino americano. Un Trafalgar del resto l’avevano già accoppato. “Adesso che sappiamo bene chi abbiamo di fronte, adatteremo le nostre tattiche.” disse ai suoi due interlocutori per rassicurarli. Non fu certo di essere riuscito a rassicurare sé stesso. Il San Juan rimaneva un avversario formidabile e pericolosissimo. “Abbiamo solamente sei siluri rimasti comandante. Dopo di che dobbiamo tornare in Italia per rifornire. O lo spacciamo subito questo Americano o gli lasciamo il convoglio alla mercé con la scorta di un cacciatorpediniere. Il Todaro insieme al messaggio flash di Supermarina aveva anche scaricato tutte le informazioni tattiche della task force fino a quel momento e le navi erano parecchio sparpagliate. Una fregata gravemente danneggiata e fuori gioco e l’altra a 60 miglia a nord, per il momento non impiegabile. L’unica carta a favore del Todaro era il presumibile appoggio indiretto di cui avrebbe potuto usufruire dagli elicotteri, che comunque non era poco. Il Maestrale stava venendo alla sua massima forza su rotta 200 per avvicinarsi anche lui alla posizione presunta del sottomarino americano, ed aveva entrambi gli elicotteri in volo; il suo superstite e quello della fregata Lupo che adesso era passato sotto il controllo del Capitano Valente in quanto il Lupo non poteva più accoglierlo sul ponte. In più si preparavano all’azione tutti i rimanenti elicotteri della task force non appena l’Ammiraglio Crispi disseminò l’ordine di caccia e distruzione del battello americano. L’ulteriore problema di cui la task force italiana doveva preoccuparsi erano le condizioni atmosferiche che stavano diventando instabili. Per il momento ancora nessun effetto critico sulle operazioni tattiche, ma il mare ingrossava ed il barometro non prometteva bene. Ideale sarebbe stato che le condimeteo non peggiorassero in maniera drastica prima che la caccia al sottomarino americano fosse terminata. L’elicottero del Sottotenente di Vascello Avali era di nuovo in volo, dopo aver fatto rifornimento di carburante dal Maestrale. Era alla disperata ricerca del sottomarino che gli aveva sfasciato la nave madre. Le informazioni dicevano che era americano ed Avali era assolutamente soddisfatto che il comando avesse dato l’autorizzazione di distruggerlo. Il problema però era trovarlo. Errano già quattro ore che andavano avanti e indietro nell’aerea di pattugliamento assegnata immergendo e recuperando il sonar; ma dell’Americano nessuna traccia e l’operatore dei sistemi di Avali era come sempre molto nervoso. “Non si preoccupi capo. Le troveremo alla fine il basta*do e lo affonderemo. “Incudine; Piuma; ci portiamo sull’altro versante della zona di pattuglia ora...ora...ora. Vediamo di triangolare la posizione del possibile contatto.” “Ricevuto Incudine. Noi rimaniamo nella zona beta.” “Ci sono possibilità di ricevere rinforzi?” “C’è il Todaro da qualche parte a rilevamento assoluto 110. Anzi attenzione a non scambiarlo eventualmente per il nemico. E poi forse arriverà anche un SM dal San Giusto se riesce a svincolarsi dalla scorta vicina della vostra fregata.” Da parte sua l’Helena non aveva nessuna intenzione di abbandonare la caccia alle navi della task force italiana. Il suo comandante era al corrente di avere sulla testa almeno due elicotteri antisom ma erano piuttosto lontani e per il momento brancolavano nel buio. Dalle informazioni ricevute dal comando britannico c’era almeno un sottomarino italiano in zona, della classe Littorio, dal quale occorreva guardarsi bene dal momento che aveva già colpito ed affondato il Conqueror qualche ora prima. L’Helena aveva una posizione approssimata di tale sottomarino, ma non aggiornata da molto tempo e quindi probabilmente del tutto inattendibile. “Piuma; Incudine. Contatto! Contatto positivo, sottomarino nucleare non identificato. Rilevamento zero zero su mia posizione, velocità più di venti nodi. Distanza 3 miglia. Data la posizione non dovrebbe essere il Todaro.” Il messaggio venne immediatamente raccolto dall’intera task force e da Supermarina. L’elicottero del Giussano aveva avuto un contatto positivo con il sonar attivo. L’eco di ritorno era stato abbastanza forte da localizzare un sottomarino ma non abbastanza per classificarlo. Supermarina non esitò a l’ordine di aprire il fuoco venne ritrasmesso immediatamente giù per la catena di comando. “Attenzione qui incudine a tutti gli aeromobili in caccia. Il contatto si sposta velocemente con rotta 300.” “Incudine; Falce. E’ appena entrato nella nostra zona.” L’operatore di sistemi dell’SM-30 del San Giorgio, sfruttando il data link con l’elicottero del Giussano aveva adesso la possibilità di sganciare un arma. Il comandante dell’elicottero gli ordinò di preparare una soluzione di tiro basata sulla trasmissione dei dati di Incudine, ma la cosa risultò impossibile dato il repentino aumento della distanza tra il contatto e l’elicottero del Giussano. Non c’era il minimo dubbio che quel pilota di sottomarino sapeva davvero il fatto suo. “Lanciare sul rilevamento!” ordinò perentoriamente il comandante dell’elicottero medio. L’operatore calò immediatamente un MK-5 in mare che iniziò immediatamente la sua spirale di ricerca. Con il trasduttore ancora in mare incudine rilevò tutte le manovre evasive del contatto ed anche il lancio di un’esca acustica. Il Siluro andò direttamente attraverso le contromisure nemiche, ma il siluro mancò il bersaglio. La mancanza di una soluzione di tiro, l’eccezionale resilienza acustica del bersaglio ed il lancio senza una soluzione precisa, rendevano difficile l’aggancio del bersaglio. Non aiutava il fatto che il comandante del sottomarino manovrasse la sua nave con assoluta maestria. Il pilota di incudine rimase parecchio deluso e anche un po’ scoraggiato. “Se questa è la qualità dei moderni sottomarini americani” disse tramite l’interfono al suo operatori a bordo, Dio non voglia che questi vengano mai coinvolti nella guerra. “Per prendere questo merluzzo” replicò l’operatore di sistemi, “occorre una caccia continua di tutti gli elicotteri a disposizione. Se non per affondarlo, almeno per allontanarlo. Nelle esercitazioni con i nucleari francesi non abbiamo mai avuto tante difficoltà come adesso.” “Siluri in acqua! In numero di due. Entrambi diretti su di noi. Sono Mk-48 non c’è il mimo dubbio!” gridò l’operatore sonar del Todaro. Il sottomarino era chiamato ad una nuova prova. “Macchine avanti tutta, barra a babordo aumentare la velocità portarsi a quota 200. Prontamente la manovra del Todaro eseguì gli ordini, ma se questo fosse stato sufficiente a salvare la nave, rimaneva da vedere. L’Helena aveva sentito il Todaro in avvicinamento; lo aveva classificato ed aspettato al varco, nonostante l’Americano fosse impegnato in manovre evasive. “Lanciare due falsi bersagli” ordinò il Capitano Rech mentre il sottomarino cambiava decisamente e repentinamente assetto e velocità. L’operatore sonar si premette le cuffie sulle orecchie, prima di girarsi con uno sguardo di disperazione verso la camera di manovra. “I siluri sono passato attraverso le esche. Puntano ancora su di noi. Distanza 2000 metri.” Barra tutta a dritta, timoni in salita massima, macchine velocità di emergenza. Il Todaro cavitava adesso in maniera brutale, ma non aveva più una grande importanza. Ora solo la manovra poteva salvare il sottomarino. “Adesso!! timoni a scendere, macchine indietro tutta!” ordinò sempre con la massima calma il capitano Rech. I siluri passarono uno a 30 metri a dritta del Todaro e l’altro quasi ne sfiorò la fiancata di babordo. Per grazia di Dio non esplose. A bordo del sottomarino italiano il sudore si poteva asciugare con lo straccio da lavare i pavimenti. Gli sguardi misti di incredulità ed ammirazione per il comandante, che con una manovra veramente da funambolo aveva salvato la nave. Senza dubbio gli Americani dovevano masticare amaro e riconoscere anche loro di avere di fronte un comandante almeno pari al loro. Rech si guardò intorno in camera di manovra, sudato non meno dei suoi subordinati. “Allora...vi piace la guerra?” disse per stemperare la tensione allo stesso tempo sfoderando uno dei suoi mefistofelici sorrisi. - naturalmente una finzione. Il comandante non era meno terrorizzato dei suoi uomini, con la differenza che non poteva darlo a vedere. “E’ per questo che avete fatto domanda di essere assegnati ai sottomarini no?” Rech rimase per qualche secondo pensieroso. Poi si voltò verso il primo ufficiale. “La prossima volta che lo localizziamo, attiviamo il sonar attivo e lo facciamo secco.” “Si Signore.” rispose l’ufficiale esecutivo convenendo implicitamente che il San Juan era troppo spettrale per poter essere ingaggiato con buone probabilità di colpire senza una soluzione ultra precisa per il tiro. “Falce a SUBCOM. Il contatto è entrato nelle acque territoriali di Creta. Chiediamo istruzioni” A bordo del S, Giorgio l’Ammiraglio Crispi non dovette riflettere per più di qualche secondo prima di dare la sua risposta. “Perseguitelo. Mi assumo io la responsabilità.”